º>AreeProtette

[Quali regole per i Parchi in una montagna parchizzata?]


Una montagna lombarda totalmente parchizzata?

(08.03.09) A un anno dalla fine della legislatura si rimette in moto il progetto di legge sulle aree protette

 

Il cammino del PDL 289 (Norme per l'istituzione e la gestione delle aree protette e la tutela della biodiversità regionale) si rimette in moto con una consultazione che coinvolgerà i soggetti interessati a partire da Parchi e comuni. Sarebbe bello che venisse ascoltata anche la voce dei contadini di montagna e dei pastori, ma non osiamo sperare tanto. Le istituzioni territoriali e le organizzazioni professionali agricole molto spesso di queste categorie "marginali" non si curano molto e anche quando esprimono "preoccupazione" per l'agricoltura di solito pensano agli "interessi forti".

 

Alla fine, negli equilibri e negli scambi politico-elettorali compensativi tra verdi, cementificatori, cacciatori di poltrone e consulenze, interessi dell'agricoltura forte chi viene sacrificato sono sempre i "rurali", i piccoli produttori di montagna che dai Parchi hanno molti più svantaggi che benefici non essendo attrezzati per destreggiarsi tra burocrazia, autorizzazioni, richieste di contributi.

 

Per tutti questi motivi non possiamo che guardare con preoccupazione alla prospettiva di ulteriore parchizzazione della montagna lombarda. Il PDL in questione all'Art. 3, comma 2 prevede che " la dorsale delle Alpi Retiche Valtellinesi, quella delle Alpi Lepontine Comasche, il sistema dei grandi fondovalle alpini, i massicci calcarei e dolomitici delle Prealpi, [...] costituiscono aree prioritarie per l’individuazione di nuove aree protette nell’ambito del PRAP" (Piano regionale aree protette). E' stato stimato che la Valtellina già interessata dal Parco delle Orobie Valtellinesi, dal Parco nazionale dello Stelvio, dalle Riserve naturali del Pian di Spagna, Riserva naturale Val di Mello, più monumenti naturali e frattaglie sarà "area protetta" per l'80%.  Su quanto tutto questo sistema "protegga" gli ambienti "fragili" basti dire che mentre ad un contadino di montagna si fanno storie e si chiedono autorizzazioni per una recinzione o per spostare una badilata di terra  nell'area umida del Pian di Spagna - dove ci sono grossi agricoltori - si continua a coltivare mais in modo intensivo (con quali impatti è facile immaginare)

La creazione di nuove aree protette nelle Prealpi e nella dorsale Lepontina implica una parchizzazione altrettanto massiccia anche fuori della Valtellina, con la prospettiva di una montagna sempre più "istituzionalmente" parco divertimenti dei residenti nelle aree della conurbazione lombarda. Parchi per fare cosa?

 

La storia dei Parchi regionali è ormai decennale ed è abbastanza evidente che il loro ruolo di centro di spesa (spesso più dotati dei "poveri" enti locali che, così, da "padroni" diventano "servi") non ha coinciso con effettivi miglioramenti ambientali e, tanto meno, con lo sviluppo socioeconomico e culturale delle comunità rurali dei Parchi. Basta vedere come il Parco delle Orobie bergamasche si aggrappi all'orso (icona provvidenziale di una naturalità "rigenerata" grazie ad un deus ex machina) per capire come nella realtà, al di là di tante spese di automantenimento e di autogiustificazione, al di là di un po' di promozione e di qualche iniziativa educativa, I Parchi non abbiano fatto molto. E qui c'è veramente da mettere in discussione i canali privilegiati di finanziamento di cui godono i Parchi in un contesto di crisi della finanza locale. Non è esagerato affermare poi che Parchi e Riserve sono stati "digeriti" dagli amministratori locali con la prospettiva dei "finanziamenti verdi" senza rendersi conto che  questa spesa era largamente vincolata  nonché controllata da una "burocrazia verde" pronta a scavalcare gli amministratori onesti e a intavolare semmai scambi con quelli più legati agli interessi clientelari. Consenso "comprato" è il caso di dirlo. Basta pensare alle già citatate Orobie.

 

Di fronte all'allargamento del "sistema delle aree protetette" è lecito quindi porsi degli interrogativi. Chi paga per questi Parchi? Se ne fruiscono i cittadini della pianura perché gli enti locali della montagna (oltretutto di aree spesso in difficoltà)  dovrebbero cofinanziare con loro risorse? E poi con queli regole e sostegni per le attività tradizionali dei montanari - quelle sì veramente sostenibili e tali da manterene la biodiversità?

Ad alcune domande la risposta possiamo già darcela. Dietro questa funzione sociale, ricreativa ed educativa (in linea di massima più che giusta) quali contenuti culturali vengono veicolati? Contenuti che rafforzano l'identità locale e le risorse dell'economia identitaria o che la disgregano e la marginalizzano ulteriormente?

 

Al di là della transazione di fondo che comporta lo scambio politico tra l'allargamento delle aree protette (e il mantenimento di un largo spazio gestionale alla lobby verde) in cambio di una opposizione blanda alla ulteriore cementificazione della "polpa" del  territorio, le aree protette presuppongono anche un altra transazione pericolosa per gli interessi rurali: quella relativa alla veicolazione di una "cultura da national park dei poveri" improntata alla wilderness da luna park (vedi il già citato orso JJ5 che si vorrebbe teleguidare con il radiocollare) e, ciò che è più grave, a considerare le attività antropiche un "disturbo". Nei fatti gli operatori, gli esperti, i consulenti, le cooperative, le associazioni ambientaliste, i centri di educazione ambientale, le guardie ecologiche e tutta la "cerchia" che ruota intorno ai parchi si muovono in ottica "parchista" anche quando, sulla carta, si proclama di voler valorizzare le attività tradizionali; anche quando gli amministratori vorrebbero, in buona fede, seguire una linea più "rurale". Ai cittadini i vari operatori che collaborano con i Parchi non sanno veicolare la cultura del territorio perché spesso non  la conoscono per via di una formazione culturale e professionale che a dir poco privilegia altri aspetti.

 

Così i Parchi non possono essere un volano di sostegno e valorizzazione delle attività tradizionali (che comunque sono penalizzate da ulteriori vincoli). Così il cittadino non è indotto a cercare prodotti e servizi dei contadini e degli artigiani locali e al massimo si da lavoro a qualche agriturismo "accreditato". Cose da tenere forse in qualche considerazione quando si proclama di voler difendere e sostenere la montagna.

Commenti ruralisti



View My Stats