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                        Il 
                        cammino del PDL 289 (Norme per l'istituzione e la gestione 
                        delle aree protette e la tutela della biodiversità regionale) 
                        si rimette in moto con una consultazione che coinvolgerà 
                        i soggetti interessati a partire da Parchi e comuni. Sarebbe 
                        bello che venisse ascoltata anche la voce dei contadini 
                        di montagna e dei pastori, ma non osiamo sperare tanto. 
                        Le istituzioni territoriali e le organizzazioni professionali 
                        agricole molto spesso di queste categorie "marginali" 
                        non si curano molto e anche quando esprimono "preoccupazione" 
                        per l'agricoltura di solito pensano agli "interessi 
                        forti". 
                          
                        Alla 
                        fine, negli equilibri e negli scambi politico-elettorali 
                        compensativi tra verdi, cementificatori, cacciatori 
                        di poltrone e consulenze, interessi dell'agricoltura 
                        forte chi viene sacrificato sono sempre i "rurali", 
                        i piccoli produttori di montagna che dai Parchi hanno 
                        molti più svantaggi che benefici non essendo attrezzati 
                        per destreggiarsi tra burocrazia, autorizzazioni, richieste 
                        di contributi. 
                          
                        Per 
                        tutti questi motivi non possiamo che guardare con preoccupazione 
                        alla prospettiva di ulteriore parchizzazione della montagna 
                        lombarda. Il PDL in questione all'Art. 3, comma 2 prevede 
                        che " la dorsale delle Alpi Retiche Valtellinesi, quella delle Alpi Lepontine Comasche, il sistema dei grandi fondovalle alpini, i massicci calcarei e dolomitici delle Prealpi, [...] costituiscono aree prioritarie per l’individuazione di nuove aree protette nell’ambito del PRAP" 
                        (Piano regionale aree protette). E' stato stimato che 
                        la Valtellina già interessata dal Parco delle Orobie 
                        Valtellinesi, dal Parco nazionale dello Stelvio, dalle 
                        Riserve naturali del Pian di Spagna, Riserva naturale 
                        Val di Mello, più monumenti naturali e frattaglie sarà 
                        "area protetta" per l'80%.  Su quanto 
                        tutto questo sistema "protegga" gli ambienti 
                        "fragili" basti dire che mentre ad un contadino 
                        di montagna si fanno storie e si chiedono autorizzazioni 
                        per una recinzione o per spostare una badilata di terra 
                         nell'area umida del Pian di Spagna - dove ci sono 
                        grossi agricoltori - si continua a coltivare mais in 
                        modo intensivo (con quali impatti è facile immaginare) 
                        La 
                        creazione di nuove aree protette nelle Prealpi e nella 
                        dorsale Lepontina implica una parchizzazione altrettanto 
                        massiccia anche fuori della Valtellina, con la prospettiva 
                        di una montagna sempre più "istituzionalmente" 
                        parco divertimenti dei residenti nelle aree della conurbazione 
                        lombarda. Parchi per fare cosa?  
                          
                        La 
                        storia dei Parchi regionali è ormai decennale ed è abbastanza 
                        evidente che il loro ruolo di centro di spesa (spesso 
                        più dotati dei "poveri" enti locali che, così, da 
                        "padroni" diventano "servi") non 
                        ha coinciso con effettivi miglioramenti ambientali e, 
                        tanto meno, con lo sviluppo socioeconomico e culturale 
                        delle comunità rurali dei Parchi. Basta vedere come 
                        il Parco delle Orobie bergamasche si aggrappi all'orso 
                        (icona provvidenziale di una naturalità "rigenerata" 
                        grazie ad un deus ex machina) per capire come nella 
                        realtà, al di là di tante spese di automantenimento 
                        e di autogiustificazione, al di là di un po' di promozione 
                        e di qualche iniziativa educativa, I Parchi non abbiano 
                        fatto molto. E qui c'è veramente da mettere in discussione 
                        i canali privilegiati di finanziamento di cui godono 
                        i Parchi in un contesto di crisi della finanza 
                        locale. Non è esagerato affermare poi che Parchi e Riserve 
                        sono stati "digeriti" dagli amministratori 
                        locali con la prospettiva dei "finanziamenti verdi" 
                        senza rendersi conto che  questa spesa era largamente 
                        vincolata  nonché controllata da una "burocrazia 
                        verde" pronta a scavalcare gli amministratori onesti 
                        e a intavolare semmai scambi con quelli più legati agli 
                        interessi clientelari. Consenso "comprato" 
                        è il caso di dirlo. Basta pensare alle già citatate 
                        Orobie. 
                          
                        Di 
                        fronte all'allargamento del "sistema delle aree 
                        protetette" è lecito quindi porsi degli interrogativi. 
                        Chi paga per questi Parchi? Se ne fruiscono i cittadini 
                        della pianura perché gli enti locali della montagna 
                        (oltretutto di aree spesso in difficoltà)  dovrebbero 
                        cofinanziare con loro risorse? E poi con queli regole 
                        e sostegni per le attività tradizionali dei montanari 
                        - quelle sì veramente sostenibili e tali da manterene 
                        la biodiversità? 
                        Ad 
                        alcune domande la risposta possiamo già darcela. Dietro 
                        questa funzione sociale, ricreativa ed educativa (in 
                        linea di massima più che giusta) quali contenuti culturali 
                        vengono veicolati? Contenuti che rafforzano l'identità 
                        locale e le risorse dell'economia identitaria o che 
                        la disgregano e la marginalizzano ulteriormente? 
                          
                        Al 
                        di là della transazione di fondo che comporta lo scambio 
                        politico tra l'allargamento delle aree protette (e il 
                        mantenimento di un largo spazio gestionale alla lobby 
                        verde) in cambio di una opposizione blanda alla 
                        ulteriore cementificazione della "polpa" del 
                         territorio, le aree protette presuppongono anche 
                        un altra transazione pericolosa per gli interessi rurali: 
                        quella relativa alla veicolazione di una "cultura 
                        da national park dei poveri" improntata alla wilderness 
                        da luna park (vedi il già citato orso JJ5 che si vorrebbe 
                        teleguidare con il radiocollare) e, ciò che è più grave, a 
                        considerare le attività antropiche un "disturbo". 
                        Nei fatti gli operatori, gli esperti, i consulenti, 
                        le cooperative, le associazioni ambientaliste, i centri 
                        di educazione ambientale, le guardie ecologiche e 
                        tutta la "cerchia" che ruota intorno ai parchi 
                        si muovono in ottica "parchista" anche quando, 
                        sulla carta, si proclama di voler valorizzare le 
                        attività tradizionali; anche quando gli amministratori 
                        vorrebbero, in buona fede, seguire una linea più "rurale". 
                        Ai cittadini i vari operatori che collaborano con 
                        i Parchi non sanno veicolare la cultura del territorio 
                        perché spesso non  la conoscono per via di una 
                        formazione culturale e professionale che a dir poco 
                        privilegia altri aspetti. 
                          
                        Così 
                        i Parchi non possono essere un volano di sostegno 
                        e valorizzazione delle attività tradizionali (che comunque 
                        sono penalizzate da ulteriori vincoli). Così il cittadino 
                        non è indotto a cercare prodotti e servizi dei contadini 
                        e degli artigiani locali e al massimo si da lavoro a 
                        qualche agriturismo "accreditato". Cose da 
                        tenere forse in qualche considerazione quando si proclama 
                        di voler difendere e sostenere la montagna. 
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