Nell'estate 2019, due giovani di Sondrio,
che stavano ancora scrivendo la tesi in economia del management, hanno
lanciato una start-up di e-commerce alimentare che ha avuto successo.
Pensata inzialmente con raggio provinciale, al massimo regionale, oggi Pascol.it consegna in tutta italia carne fresca
entro tre giorni. Il consumatore sceglie la razza (entro un ampia
gamma) e l'allevatore. Quest'ultimo riceve prezzi equi nettamente
superiori a quelli offerti dai commercianti. Come si inserisce questa
esperienza nel sistema agroalimentare valtellinese? Perché ha avuto
successo? Quali conseguenze positive per il sistema pascolivo?
di Michele
Corti
(23/01/2021)
L'iniziativa di due ventenni, Federico Romeri di
Albosagga e Nicolò Lenoci di Sondrio non ha forse avuto l'attenzione
che merita. Quindi ne parliamo volentieri oggi che è decollata e si sta
consolidando. Si pensa sempre che , anche in ambito agricolo e
alimentare servano sempre consistenti capitali. In questo caso sono
state più importanti le idee, un progetto, un modello imprenditoriale
ben preciso. Quanti nella conformista Valtellina, dove i modelli di
riferimento dell'agroalimentare sono le aziende industriali e la catena
di ipermercati Iperal, avrebbero scommesso su due giovani che, aperta
la partita Iva nel lugglio 2019, hanno iniziato - mentre scrivevano la
tesi - a sperimentare commercializzando la carne di un
unico bovino ripartita in pacchi da 10 kg? Va detto che Federico era
già in contatto con degli allevatori del suo paese perché la famiglia
acquistava la mezzena direttamente dai produttori. Si trattava di
rapporti personali da produttore a consumatore; per il resto i due
giovani erano del tutto estranei alla realtà agricola e agroalimentare
valtellinese. Una circostanza che li ha sottratti ai condizionamenti di
un sistema che avrebbe, se coinvolto, messo "il cappello sopra" al
progetto e lo avrebbe ricondotto nell'alveo "istituzionale"
facendogli perdere, spontaneità, e slancio. Al sistema non piace che
qualcuno prenda iniziative che emancipino produttori e consumatori
dalle filiere tradizionali, che si saltino consorzi, cooperative,
associazioni, organizzazioni professionali, camera di commercio.
Probabilmente la velocità di crescita ha impedito al sistema di mettere
in tempo i bastoni tra le ruote.
Infatti la crescita
della start-up è stata inarrestabile. Da un fornitore di Albosaggia
(Attilio Gusmeroli) si è passati a 30 fornitori, ancora per la maggior
parte valtellinesi ma in parte anche di altre provincie lombarde
(Bergamo, Lecco, Brescia, Mantova). Inizialmente hanno
venduto con il canale dei social (Facebook, Whatsapp, Instagram) poi
hanno attrezzato un sito di e-commerce che , nel 2020 è arrivato alla
versione "matura" che è online. Nel frattempo i due si sono
attrezzati con un furgone per le consegne in provincia che vengono
effettuate in un giorno ma che rappresentano una quota minima del giro
d'affari. La Valtellina non solo non ha aiutato la start-up ma l'ha
anche osteggiata. I soci investitori sono stati il loro professore, il
docente della Cattolica di Strategie di impresa Luigi Geppert, Olmo
Falco, un giovane "imprenditore seriale" di Biella che sostiene
start-up
e una biologa di Lecco.
Quello che doveva
essere un raggio di consegne locale e poi regionale si è allargato
all'Italia intera dove le ordinazioni arrivano in confezioni sottovuoto
mantenute reftigerate entro tre giorni. Dai pacchi di 10 kg Pascol è
passata a box da 3, 4 e 10 kg e oggi si possono ordinare singoli tagli,
carne per hamburger ecc. Nel paniere è entrata anche la bresaola
di carni a Km0 dello chef Masanti (il Cantinone di Madesimo), top di
gamma della qualificata produzione artigianale dell'alta Valchiavenna
(patria della bresaola, anche se poi è diventata un prodotto
industriale "tipico" IGP della Valtellina come spieghiamo
nell'approfondimento sotto). Senza conservanti, coloranti,
antiossidanti, zuccheri aggiunti, a lunga stagionatura di almeno tre
mesi. Il prezzo è nettamente inferiore a quello di altri canali
comemmerciali.
Nel giugno 2010, a
Sondrio, è stato aperto un punto vendita in galleria Campello nel
centro cittadino. Pascol ha investito più sulle risorse umane e sul
rapporto con gli allevatori che sulle strutture. Hanno escluso la
gestione del magazzino. Sono gli stessi macellatori che confezionano il
giorno stesso della sezionatura (dopo adeguata frollatura). La
frollatura è un particolare chiave per mettere a disposizione del
consumatore carne di ottime qualità sensoriali, specie se si tratta di
carne di animali che hanno usufruito nella loro vita di un ciclo di
pascolo. Sul piano dei collaboratori la start-up è già arrivata a dieci
persone. mentre i veterinari che controllano gli allevamenti (e stilano
un punteggio di benessere animale) non lavorano a tempo pieno, lo
zootecnico della start-up lavora full-time per seguire gli allevamenti
offrendo una consulenza a tutto campo.
La regola più
importante riguarda il pascolo. Deve essere praticato per almeno 91
giorni all'anno. Molti degli allevatori, però, quelli che allevano in
modo estensivo animali da carne o incroci, mantengono al pascolo i loro
animali sei mesi l'anno. Vi è poi il tassativo divieto di Ogm.
Non solo tra la start-up e i produttori c'è un rapporto personale e
continuativo ma essa favorisce anche i contatti dei produttori tra
loro, un altro approccio "eretico" perche il Sistema vuole che i
produttori siano incapsulati nela loro realtà aziendale, divisi e
diffidenti tra loro (ovviamente per poterli sottomettere meglio). Pur
senza evolvere in una coop (no è questo lo spirito del modello) è
possibile prevedere che gli allevatori che conferiscono le carni a
Pascol potranno organizzarsi per acquisti collettivi di alimenti per il
bestiame e altri prodotti.
Alfio Sassella
all'alpe Cavisciöla in alta val Brembana con le sue solide vacche a
duplice attitudine OB
Quanto ai prezzi,
tenendo conto della qualità, sono assolutamente competitivi e
consentono di mettere a disposizione del consumatore carne buona a
prezzi accessibili. Questa, infatti, è stata la molla, la mission della
start-up alle originei. Ma anche sul lato del produttore le note sono
positive. Lo testimonia uno dei produttori che i lettori più assidui di
ruralpini conosceranno già in veste di "ribelle del bitto": Alfio
Sassella. Alfio ci ha detto che, rispetto ai commercianti la vacca fine
carriera di razza Bruna Originale gli viene pagata il doppio. Pare
incredibile ma la OB fine carriera vale, se conferita a Pascol.
come una macchina da latte all'inizio carriera di razza Brown Swiss
Prima di concludere
con qualche considerazione sulle opportunità che una silile filiera
corta mette a disposizione degli allevatori/alpeggiatori valtellinesi,
il lettore che non è assiduo di ruralpini può leggersi un
approfondimento sul Sistema agroalimentare valtellinese, un sistema
bloccato nella polarizzazione senza uscita tra modello egemone
industrial-istituzionale (guidato da alcune grandi aziende, dalla GdO e
dalle istituzioni) e alcune esperienze eroiche e testimoniali,
molto interessanti e affascinanti ma che stanno in piedi grazie a un
investimento spropositato di risorse umane. Pascol, che si è inserito
nel quadro in modo fulmineo e imprevedibile rappresenta forse un
modello di emancipazione del piccolo produttore senza lacrime e sangue
ma con immediati ed evidenti vantaggi economici. Va chiarito, in
aggiunta a tutto quello che abbiamo riferito, che Pascol si impegna a
ritirare tutta la produzione degli allevatori conferenti.
Il sistema agroalimentare
valtellineseProspettive
(premessa che i
lettori assidui di ruralpini possono saltare, a meno che non vogliano
farsi una rinfrescata)
Ruralpini
si è occupato tante volte di agroalimentare valtellinese, rimediando
anche diffide e querele (archiviate per diritto di informazione del
consumatore).
Ma valeva la pena fare i don Chichotte quando gli stessi operatori
dell'agroalimentare locale restavano "allineati e coperti" e totalmente
subalterni a un sistema dominato da grandi aziende che, dopo aver fatto
fortuna con prodotti simil-tipici hanno ceduto la proprietà a
multinazinali straniere? Emblematici sono i casi della bresaola
Rigamonti che, sin dagli anni '70, si accorse che si poteva produrre
bresaola con economiche cosce congelate di zebù sudamericano. Va
precisato che la carne zebuina ha caratteristiche biochimiche
nettamente diverse da qualla bovima: non frolla. Alla fine, però,
l'azienda Rigamonti è divenuta al 100% della JBS, la multinazionale
brasiliana della carne al centro di gravi scandali, anche in materia di
ferestazione dell'Amazzonia (vai
al nostro servizio su questi fatti).
Lo
stesso modello è stato attuato dall'azienda leader del pizzocchero
secco industriale: la Moro pasta (per il 20% della famiglia Moro per il
resto di una multinazionale australiana della pasta Remo Macaroni Group). I pizzoccheri
IGP "tipici" sono
prodotti a Chiavenna (dove il pizzocchero tipico del territorio è un
gnocchetto di farina bianca) con semolati di grano duro e un pizzico di
farina di grano saraceno (più costosa). Per rendere l'aspetto del
pizzocchero di grano duro simile a quello vero si aggiunge crusca di
grano saraceno. Così la tagliatella si colora di grigio e presenta i
tipici "frustolini" di crusca. La quantità di crusca nell'impasto è la
stessa, ma quella di farina di saraceno è il 20% (in luogo dell'80% +
20% di zarina di grano tenero) del pizzocchero fresco. Un prodotto di
scarto della lavorazione del decorticato, senza alcun valore (unica
utilità è l'imbottitura dei cuscini per la cervicale), indigeribile,
indecomponibile, che brucia male. Idea geniale che fa credere allo
sprovveduto consumatore di gustarsi un piatto di pizzoccheri
valtellinesi (vai
al nostro servizio sull'ingiusta attribuzione, politica ovviamente,
della IGP).
Potremmo
parlare anche dell'omologazione dei formaggi tipici valtellinesi, del
bitto dop senza latte di capra, con fermenti in bustina e prodotto con
generose integrazioni di mangimi al pascolo, del casera dop senza
sapore, prodotto con tecniche di coagulazione in continuo dal latte
delle grande aziende di frisone dei fondovalle pianeggianti della bassa
Valtellina e della bassa valle della Mera (Valchiavenna) con razioni
con insilato di mais.
A
questo polo industrializzato si sono accodati tanti piccoli e medi
artigiani agroalimentari che hanno preferito mettersi sulla scia e non
differenziarsi. Lo hanno fatto perché, constatando che le ditte
industriali godevano del favore delle istituzioni e della politica,
hanno ritenuto prudente non esporsi, non criticare, non assumere
iniziative autonome. Tutto ciò non ha certo favorito la qualità delle
produzioni e non ha aiutato i produttorti agricoli locali. Anche gli
operatori meno grand, infatti, quando possibile, ricorrono alla materia
prima estera (così per le confetture, i funghi e gli altri comparti
dell'agroalimentare). Di valtellinese, di "sapore di montagna" per
molti prodotti dell'agroalimentare della provincia di Sondrioci sono
solo le immagini e i claim per il marketing.
In
questo quadro chi si è tirato fuori ha dovuto sviluppare virtù
eroiche. I ribelli del bitto hanno iniziato la loro guerra
ventennale
contro lo stravolgimento delle regole di produzione tradizionali dentro
il Consorzio di tutela. Poi sono dovuti uscirne e hanno subito
l'ostracismo dlele istituzioni. Solo la caparbietà di alcuni
produttori storici (altri hanno disertato costretti dalle "pressioni"
del sistema) e la generosità di imprenditori e professionisti che hanno
finanziato la realizzazione di una struttura per la stagionatura e la
commercializzazione, hanno salvato - con tanti problemi aperti - il
bitto storico, oggi costretto a chiamarsi "storico ribelle". Abbiamo
parlato di queste vicende in decine di articoli. Chi fosse interessato
con il motore di ricerca interno cerchi "ribelli del bitto", "bitto
storico", "storico ribelle" (nella home page , nella colonna a destra
in alto).
Non
meno eroica e controcorrente è stata l'esperienza della comunità del
grano saraceno di Teglio. La battaglia per salvare l'unica varietà
autoctona italiana è risultata difficilissima. Tra l'altro si sono
messi di mezzo i neorurali e i tecnocrati universitari che, in nome di
astratte considerazioni sulle "prorietà nutraceutiche", puntavano ad
affiancare al grano saraceno il siberiano. Un'infestante combattuta da
secoli dai coltivatori di Teglio perché conferisce alla farina un gusto
amaro. Non volendo capire che il siberiano viene
ampiamente
coltivato in Cina dove ne ricavano anche, disponendo di consolidate
tecnologie ed economie di scala, prodotti farmaceutici e
nutraceutici. E questo quando la varietà locale di saraceno è stata
selezionata
per secoli per il buon aroma della farina. Negli ultimi tampi pare che
queste ed altre problematiche si siano appianate e che ci sia una
maggiore unità di intenti.
Quanto alla
vitivinicoltura essa non conosce quella polarità così netta come gli
altri settori. Almeno non nelle stesse forme. La cantina più grossa
(Nino Negri) raccoglie le uve di tanti piccoli produttori contribuendo
a conservare i vigneti, cantine storiche come Arturo Pellizzatti Perego
hanno tenuto duro sullo stile tradizionale, mantenendo le grandi botti
di legno (quando imperversavano le barriques). Pur in un contesto
eroico, assumono comunque un valore che avvicina a quelle del grando
saraceno di Teglio e del bitto ribelle, alcune esperienze di giovani
vignaioli che hanno raccolto la sfida di recuperare vecchi vigneti. Tra
queste segnaliamo quella di Jonatan Fendoni, un giovane impegnato
anche sul fronte del grano saraceno (sotto le sue etichette dai nomi
eloquenti).
Prospettive
Osserviamo
innanzitutto che, a differenza di tante altre realtà di e-commerce,
Pascol si basa su un rapporto organico con i produttori. Una condizione
resa possibile dall'aver puntato su un solo prodotto, la carne e dalla
concentrazione dei fornitori in Valtellina. Uno degli aspetti
interessanti del modello di e-commerce di Pascolo è che il consumatore
ha la possibilità di scegliere la razza e l'allevatore. L'esempio sotto
è quello delle prossime spedizioni. Saranno disponibili carni di
animali di quattro differenti produttori. Un modo per non mettere
il produttore sullo sfondo. Pascol opera così come piattaforma che
collega produttori e consumatori, il lato positivo e umano
dell'economia delle piattaforme che, con big tech sta portandoci in
tutt'altre direzioni. La conferma che l'economia digitale non è,
inevitabilmente, un destino di sorveglianza, controllo e manipolazione.
Il siccesso
dell'esperienza, ancora in crescita, di Pascol potrà stimolare analoghe
iniziative anche relativamente ad altri prodotti dell'agricoltura
valtellinese, gestite da Pascol o da altre start-up. Quindi
determinate, forse, profondi cambiamenti nella struttura e
nell'impianto istituzionale dell'agroalimentare valtellinese. Per
questo diciamo "aria fresca".
Dal punto di vista
dell'incentivazione al mantenimento dei sistemi di pascolo, il poter
disporre di un canale di vendita sicuro e remunerativo, che non opera
sulla base dei tradizionali schemi commerciali, molto penalizzanti per
i produttori,
Pascol
sta dando una grossa mano a che come Alfio Sassella con le
sue Ob (ma anche i Murada di Albosaggia con le loro pezzate
rosse) gesticono imprese agricole indirizzate prevalentemente
alla produzione di latte, all'alpeggio, alla trasformazione casearia.
Un fatto molto interessante dal punto di vista zootecnico è che la
giusta remunerazione della carne di pascolo sta incentivando allevatori
come Alfio a produrre torelli da ingrasso Ob. Nei miei ricordi
degli alpeggi della Valchiavenna degli anni '70-'80 ci sono
"fotografie" di gruppi di torelli numerosi. Era ancora in auge una
pratica che si era sviluppata nei primi decenni del secolo passato e
che contribuiva al reddito dell'alpeggio (insieme al burro). Venduto al
commerciante il torello non compenserebbe i costi del finissaggio
necessario nei mesi successivi all'alpeggio. Oggi questa
operazione torna economica perchè i canali come Pascol premiano
l'animale che ha pascolato un'intera stagione d'alpeggio. A sua volta
ciò è possibile perché il segmento più consapevole dei consumatori è
disposto ad attribuire a qesta carne un valore. Unendo la possibilità
di trarre un reddito integrativo non trascurabile dalla vendita delle
vacche a fine carriera e dai torelli, il sistema "dei trogloditi"
dell'alpeggio, come gli arroganti esponenti del Sistema definivano i
ribelli del bitto. Questi ultmimi erano convinti (una retroguardia che
era avanguardia) che i metodi tradizionali fossero quelli del futuro
(oggi li definiamo "retroinnovazioni"). Quanto alle razze da
carne se sono monticate su pascoli che non presentano più le condizioni
per poter mungere e trasformare il latte, possono anch'esse contribuire
validamente al mantenimento dei pascoli alpini. Andrebbero prese quelle
precauzioni (controlli frequenti dei capi, turnazione delle parcelle di
pascolo se pur ampie) in grado di evitare un pascolamento e uno
stazionamento eccessivo in alcuni settori a scapito di altri. Un buon
piano di pascolo, forse più difficile con animali da carne che da
latte) potrebbe rappresentare un ulteriore valore per Pascol e un
importante ambito di consulenza per lo zootecnico della start up.