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Mentre la macchina dell'expo si mette faticosamente in marcia tra miriadi di bandi, concorsi e idee a tavolino  il Bitto "cala" a Milano e materializza legami territoriali dimenticati

(08.03.09) Una città e il suo cibo: matrici alimentari territoriali, geografie e vie del cibo (non c'è solo il km0!)

 

La "calata" del Bitto a Milano, prevista per la settimana dal 14 al 19 aprile, consente più di una riflessione che va a legarsi con i temi dell Expo 2015 e, più in generale, con le discussioni più che mai attuali su cibo e territorialità.

 

La Valtellina nell'immaginario turistico milanese è fatta si sci e pizzoccheri e, per i più sofisticati, di Bitto, sciatt ecc. Prevale l'immagine un po' folkloristica di un mondo di montagna "dietro casa" ma anche molto lontano.

Con l'autostrada (vista la penosa situazione della ss 38 che è ancora praticamente tale e quale quella realizzata in due anni in epoca asburgica, altri tempi!) si arriva prima a Courmayeur. E il turista "fast" del consumo sciistico (ma, spesso, anche enogastronomico) non sta a considerare legami culturali, storici ecc.

La Valtellina è montagna, il Bitto, la Fontina, il Bettelmatt (per chi lo conosce), ecc. ecc. sono formaggi di montagna e basta (ed è già tanto trovare chi li conosce). Folklore alpino di qui immaginario gastronomico di là. Del resto se il viaggio tra i formaggi ,invece di compiersi nei luoghi di produzione, lo si fa solo tra i banchi delle rivendite specializzate le cose vanno anche peggio. Di fronte a una offerta spesso conturbante di prodotti di ogni angolo d'Italia (ma da tempo anche di Francia e, da un po' di meno tempo, anche da altri paesi) la relazione tra cibo e territorialità, si stempera. Prevalgono altri aspetti: la curiosità, la moda. Oggi arriva tutto da ogni dove.

 

Per le generazioni che ci hanno preceduto era tutto diverso. Ciò non vuol dire che il formaggio - ma vale anche per altri prodotti - dovesse essere necessariamente a "km0". Poteva venire anche da lontano ma secondo precisi itinerari consolidati sulla base di elementi naturali e politici. La "lontananza" è un fatto relativo; non solo oggi con le autostrade, anche in passato quando esistevano le "autostrade d'acqua".

 

I Navigli facevano affluire a Milano "stracchini" (quadrati e tondi, ovvero "ad uso di Gorgonzola")  provenienti dalle zone verso il Ticino e l'Adda (ma anche del melegnanese e pavese) . Qui scendevano a svernare (dal XV secolo in poi) gli allevatori-casari transumanti della montagna: i "bergamini" valsassinesi, brembani e seriani. Numerose ditte di grossi stagionatori erano concentrate a Corsico (comune confinante con Milano sul Naviglio Grande) e nello stesso burgh di furmagiatt (attuale Corso S. Gottardo) a Porta Ticinese dove convergono Naviglio Grande e Naviglio Pavese. Ovviamente anche il Granone lodigiano, il pannerone, il mascarpone erano di casa in quanto prodotti da un contado dove, in larga misura, la proprietà fondiaria era detenuta dall'aristocrazia milanese (e fino in tempi non lontani parte del fitto era corrisposta in "regalie" in natura). A parte le tavole patrizie numerose ditte - oltre a quelle con sede in città e nelle immediate vicinanze - si occupavano di raccogliere (e stagionare) i latticini nell'area a Sud della città e di farveli affluire. Fin qui il territorio contiguo alla metropoli (una contiguità che arriva sino a Codogno nella bassa lodigiana, Melzo, Rivolta d'Adda, Magenta, tutti centri legati al commercio e alla stagionatura deli formaggi). Ma la geografia casearia milanese comprendeva anche i formaggi di capra della Valsassina  quelli dell'Ossola (unita a Milano sino alla metà del XVIII e anch'essa più vicina di quello che la distanza potrebbe far ritenere grazie alla via d'acqua del Verbano) e il Bitto, certamente.

 

Bisogna pensare che il Bitto, da Morbegno, attraverso il trasporto fluviale e lacustre arrivava facilmente a Como dove veniva stagionato. Il trasporto con i carri da Como a Milano rappresentava un viaggio relativamente breve, il più era fatto con i "comballi". Del resto il Bitto era un prodotto pregiato e adatto al trasporto (una volta sufficientemente stagionato). La Bassa Valtellina poi era in stretta relazione con il cuore della Lombardia. Lo era molto di più secoli fa che oggi e non solo per via della riduzione dell'importanza del Lario quale "autostrada commerciale" ma anche per motivi politici. In epoca rinascimentale Morbegno non era certo un centro periferico; basti pensare che, nel 1520 e seguenti, vi lavorò un artista come Gaudenzio Ferrari (il celebre pittore valsesiano che, oltre che a Varallo e Vercelli ,operò anche a Milano e in altri centri lombardi). A lui sono attribuite le policromie di quel capolavoro dell'arte lombarda che è l'ancona lignea del santuario dell'Assunta. Questo avveniva quando già da diversi anni la Valtellina era sotto il controllo delle Leghe Grigie. La crisi economica tra XVI e XVII secolo e il permanere del potere grigione operarono una periferizzazione della Valtellina e un allentamento del rapporto già stretto con il cuore pulsante della Lombardia. Ma il Bitto - che per altra via - raggiungeva anche Bergamo e la città dei dogi, continuò ad arrivare a Milano e a mantenere un legame tra la città e il suo retroterra alpino.

 

Si tratta di aspetti che oggi tornano ad essere significativi. La mappa del cibo, oggi sin troppo complicata,  richiede una decifrazione, dei riferimenti. La territorialità non è solo un fatto di chilometri ma anche di profondità temporale, di forza di legami e di "vie del cibo", percorsi preferenziali da decifrare per comprendere la "matrice casearia" e in generale alimentare di una città.

 

Il Bitto non ha aspettato che questi legami venissero "riscoperti". Venendo a Milano per difendere la sua tipicità minacciata dalla burocrazia ha di fatto imposto all'attenzione la sua storia e riattivato una corrispondenza tra due terminali: la metropoli "globale" e gli alpeggi dove il Bitto viene prodotto in modo per certi versi simile a quello dell'epoca in cui Gaudenzio Ferrari dipingeva a Monbegno. Anticipando alcuni temi dell'Expo.

 

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