Ruralpini  resistenza rurale

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Latte e formaggi
fanno bene
 

I latticini sono stati oggetto, da oltre mezzo secolo a questa parte, di campagne mediatiche che, sulla base di considerazioni salutistiche (successivamente non confermate e spesso ribaltate), ne sconsigliavano il consumo. Alla base di queste campagne vi erano interessi industriali desiderosi di far profitti promuovendo la margarina (con acidi grassi trans idrogenati, quelli sì dannosi) al posto del burro, il latte scremato al posto di quello intero, il latte delattosato, il burro denza colesterolo,  ecc.). Oggi le indagini mediche, non solo hanno assolto il formaggio (e, più recentemente, recentemente in buona misura anche il burro) dalla "imputazione" di rappresentare un fattore di rischio cardio-vascolare ma hanno evidenziato le proprietà antidiabetiche dei latticini. C'è però in atto una nuova campagna ideologica che, senza basi scientifiche, mira a promuovere, con il sostegno dei media, alimenti più redditizi per le multinazionali. Ma che non promuovono affatto la salute e sistemi agroambientali sostenibili. Vale la pena ricordare allora quanto hanno contribuito latte e latticini alla qualità della vita e alle salute delle generazioni passate 

 




di Michele Corti

(14.07.20)  Da decenni, da quando le malattie cardio-circolatorie erano divenute una delle voci più importanti di mortalità (sconfitte, almeno temporaneamente le malattie infettive), abbiamo assistito a pesanti campagne che imputavano ai latticini (e ai prodotti animali in genere), a causa del contenuto di acidi grassi saturi e colesterolo, un ruolo nel favorire vascolopatie e infarto.  Ne è passata di acqua sotto i ponti. Tanto è vero che la "nuova piramide alimentare" (elaborata dall'Istituto Nazionale della Nutrizione) ha portato verso il basso, ovvero nell'ambito degli alimenti del consumo quotidiano, il latte e derivati di cui si raccomanda l'assuzione di più porzioni durante la giornata.




Intanto si era scoperto che il colesterolo si divide in "buono" (HDL) e "cattivo" (LDL) ed lentamente è emerso che i latticini (specie formaggio e yoghurt) contengono tanti fattori, compresi anche varie categorie di grassi, con funzione protettiva. Il risultato del "revisionismo dietetico" è che, secondo gli orientamenti attualmente prevalenti, il consumo del formaggio non solo non aumenta il rischio cardio-circolatorio ma, anzi, lo diminuisce. Una recente meta-analisi (uno studio che analizza i risultati di numerose indagini) condotto su studi prospettici (in cui gruppi di invividui vengono seguiti prima che manifestino segni di malattia)(1), ha confermato una mole ormai numerosa di evidenze cliniche che evidenziano un ruolo protettivo del consumo di formaggio.  Quanto al burro , nel contesto di una generale  "assoluzione" degli acidi grassi saturi dalle peggiori accuse del passato, si è visto che, se il suo consumo  eleva il colesterolo LDL e totale rispetto all'olio di oliva, alza anche il colestrolo HDL "buono" tanto da bilanciare il rischio cardiovascolare (2).




L'offensiva industriale contro i prodotti a base di latte non è nuova. In passato la medicina ufficiale si è prestata a una vera e propria criminalizzazione dei grassi animali, oggi l'offensiva è condotta sulla base di motivi ideologici e modaioli. Le diete vegetariane sono sostenute da campagne dei media espressione dei grandi interessi economici-finanziari finalizzati a imporle sul piano della moda. Non era diverso negli anni '50-'60 quando la margarina, da oli vegetali idrogenati quindi nocivi, veniva fatta pagare di più del burro, avvantaggiandosi dell'immagine della modernità industriale trionfante, del benessere, dell'igienismo. La criminalizzazione del burro mise in crisi molte aziende di montagna che basavano più sulla vendita del burro che su quella del formaggio il loro reddito. Molte chiusero, altre dovettero consegnare il latte ai caseifici industriali.

A essere penalizzati dalle prime campagne pro margarina furono quindi i prodotti di montagna, quelli che, dal punto di vista salutistico, erano i migliori.  E lo sono ancora. Non ci stancheremo mai di ripetere che le indagini sulle relazioni tra i grassi alimentari contenuti nei latticini, la colesterolemia e il rischio di patologie cardio-vascolari si basano sul consumo di prodotti caseari industriali  ottenuti, spesso e volentieri, con razioni alimentari ricche di cereali e povere di foraggi freschi che modificano fortemente la composizione del latte rispetto all'alimentazione, naturale per gli erbivori, a base di erba fresca. E' ampiamente noto che il pascolo determina l'aumento di fattori benefici: i PUFA (acidi grassi poli-insaturi), il CLA (acido linoleico coniugato) (3). Quindi, sotto il profilo lipidico, il formaggio ottenuto da latte di animali al pascolo fa ancora meglio.

Negli ultimi anni l'attenzione sugli effetti benefici per la salute del consumo di formaggio si è spostata dai grassi e dalle alterazioni metabolismo lipidico al metabolismo glucidico. Numerosi studi hanno indicato come il consumo di latticini riduca il rischio di diabete di tipo 2 (4).

Se dal punto di vista nutrizionale le "imputazioni" contro il consumo di latte e latticini si sono spesso ribaltate in nuove acquisizioni circa le proprietà benefiche, le campagne anti-latte e latticini, oltre che  di contenuti scopertamente ideologici, si sono nutrite dell'argomento dell'intolleranza al lattosio e dell'allergia ad alcune frazioni proteiche del latte. Sul lattosio è stata montata una speculazione industriale creando linee lactose-free (oltre al già citato latte delattosato). Una strategia come un altra per differenziare il mercato e riuscire a imporre prezzi più alti di prodotti che non portano effettivi vantaggi. Anzi, possono portare dei danni al consumatore. L'intolleranza al lattosio solo in pochissimi casi porta a seri disturbi. Il lattosio non digerito nell'intestino viene utilizzato dal microbioma, il che può produrre gonfiore ma anche effetti probiotici). 


La mancata assunzione di lattosio con l'alimentazione inibisce la sintesi della lattasi (l'enzima che scinde il lattosio, uno zucchero composto da due molecole: glucosio e galattosio) e le consente la digestione e assorbimento. Chi non consuma prodotti con lattosio perde la capacità di produrre l'enzima nel proprio organismo e diventa intollerante.  Solo l'asservimento delle istituzioni pubbliche (che dovrebbero evitare frodi e danni alla salute dei consumatori) agli interessi industriali spiega perché si incentivi l'uso di latte delattosato anche per individui  non intolleranti  e perché si sia consentito di  equiparare il lattosio a un prodotto nocivo (quando il consumatore vede "lactose free" ovunque che conclusione deve trarne? Quanto alle allergie, fenomeno completamente diverso dall'intolleranza, si sa che, in anni recenti,  la loro diagnosi e la prescrizione di alimenti  specifici e cure ha rappresentato un colossale business. Nel 2015 le maggiori società scientifiche di allergologia e l'ordine dei medici hanno stilato un documento per mettere in guardia contro l'inattendibiltà dei test alla base di diagnosi che, nel caso del latte (ma vale anche per altri alimenti) , classificherebbero la gran parte della popolazione come allergica. Un gran numero di diagnosi di allergia infantile al latte è basato sui sintomi e, con accertamenti clinici approfonditi solo pochissime sono confermate.

Latte e latticini non sono presi di mira solo dal business degli "alimenti speciali" ma anche da quello, poderoso, della soia, legato a multinazionali che ne controllano la produzione e il commercio. Dietro la soia c'è il business del transgenico (la famigerata soia roundup ready della Monsanto - ora Bayer resistente al glifosato). Le multinazionali controllano l'intera catena: dalle sementi ai concimi chimici ai pesticidi. Nonostante le dimensioni dell'industria lattiero-casearia mondiale, la sua frammentazione fa si che essa rappresenti un soggetto debole rispetto al business globale in mano a pochissime mani.  La soia del mercato internazionale proviene per lo più per lo più dal Sudamerica, da terreni sottratti a foreste e ai contadini.




E se guardassimo alla storia e alla realtà della dieta dei contadini e dei pastori?

Molti aspetti della relazione tra cibo e salute, anche solo limitatamente al latte e ai formaggi, restano da scoprire. E' proprio vero che più si sa e più ci si rende conto di quanto poco si sa. Forse la medicina avrebbe fatto bene a non utilizzare un approccio riduzionistico (come nel caso degli acidi grassi saturi, troppo demonizzati) e a esaminare dati di tipo storico ed etnografico che mettono in evidenza come il consumo di latte e formaggi rendeva le popolazioni sane e vigorose.

I bergamì sono robusti, di carnagione fresca e vermiglia diceva il Volpi (5) e non pochi autori hanno insistito sulla floridezza dei montanari che, producendo latte e formaggi, avevano a disposizione quelle vitamine e proteine che mancavano alle misere popolazioni rurali della pianura padana che, nell'Ottocento, prima della ripresa a cavallo tra XIX e XX secolo, dopo una stagnazione secolare, toccarono il fondo della disponibilità pro capite di alimenti. Il che significava diete con 2000 kcal. Pur nella scarsità generale la differenza qualitativa (data da vitamine, proteine, aminoacidi essenziali, grassi essenziali) determinava uno stato di salute molto diverso. la montagna stava meglio perché aveva i latticini (e un po' di carne ovina o suina).



da: P. Malanima (6)


La montagna, in particolare, potè sfuggire alla terribile piaga della pellagra grazie alla disponibilità di proteine animali e, in generale, di una dieta più varia. Gli stessi cereali "minori" erano, rispetto al mais, nettamente più ricchi di proteine e aminoacidi essenziali. Da questo punto di vista , il contadino valtellinese,  ovvero della plaga più povera della  Lombardia ottocentesca poteva comunque disporre di un apporto alimentare migliore dei salariati agricoli della bassa Lombardia. La dieta del contadino  valtellinese fu descritta dal medico  Bartolomeo Besta, relatore per la provincia di Sondrio dell'Inchiesta Jacini che fu ricco ricco di dettagli (7).


L'adattamento al consumo di latte ha rappresentato per le popolazioni dell'Europa settentrionale ma anche per i pastori di aree asiatiche e africane un grande vantaggio. I popoli che hanno basato la loro dieta sul latte sono stati popoli guerrieri e conquistatori. Per il mondo greco-romano i bevitori di latte erano i "barbari", e sappiamo come è finita.  Nel mondo animale è comune l'adozione inter-specifica tra mammiferi basata sull'allattamento di specie diverse. Come si vede i messaggi delle campagne anti-latte sono totalmente distorti e persino ribaltati.


Anche del latte puro [oltre ai latticini] si fa un uso assai abbondante - osservava il Besta - e ciò giova moltissimo alla buona nutrizione e arriva a stimare in 400 g al giorno il consumo di un uomo sano e robusto .  Vediamo qual'era la dieta tipo del contadino valtellinese. Il pasto primcipale era quello tra le 7 e le 9 del mattino (dopo due ore di lavoro nei campi). Era uguale tutto l'anno. La polenta che, nell'area di coltivazione, era di grano saraceno, altrove di mais, era accompagnata o da latte (di vacca o di capra) o da una razione piuttosto parca di formaggio giovane e dolce. Il "parco" significava non eccedente i 100 grammi. Eravamo già fuori da certa dietetica caciofobica che consiglia di non superare poche decine di grammi. La dose di latte, come già indicato, era di 400 grammi. In termini di latte-equivalente il contadino maschio adulto valtellinese degli anni '70 dell'Ottocento consumava quindi circa 1,5 kg. Probabilmente la media della popolazione arrivava a poco più della metà di questo valore, comunque elevato se si considerano  i miseri 0,2 kg dell'italiano medio di cinquant'anni dopo (quando al Sud il consumo di latte e latticini era ancora bassissimo).
A mezzogiorno la "merenda" era rappresentata da pane di segale (o di mais) o da polenta fredda. Alcuni vi uniscono una piccola quantità di cacio o qualche pezzetto di salsiccia. Alla sera le minestre (di riso, di miglio, di panìco, di pasta di grano saraceno o di segale) era accompagnata da verdure, legumi e patate erano dei "pizzoccheri brodosi". Il tutto condito con lardo o strutto o burro e, spesso da latte di capra o di giovenca.




Negli alpeggi la disponibilità di latticini e sottoprodotti della lavorazione metteva a disposizione dei pastori una dieta ricca , specie dove non limitata dalla tirchieria di caricatori d'alpe (che mettevano a disposizione solo scarti di formaggio, latticello, ricotta fresca, latte). Dove la gestione era più generosa, l'alpeggiatore e i pastori seguivano una ricca dieta che sulla base delle teorie mediche del recente passato avrebbe dovuto tappare le arterie e far stramazzare d'infarto gli avidi lattofagi. Era una dieta a base di panna, latte, ricotta, formaggio. Così, all'inizio dell'Ottocento, nella ticinese val Leventina (8). Chi nutra ancora dubbi sui rischi cardiovascolari di una dieta a base di latticini può trarre materia di riflessione sul fatto che essa, come veniva riferito, giovasse meravigliosament e alla salute e robustezza de' montanari. Aggiungasi che il latte d'alpeggio era (ed è) più ricco di grasso. Se oggi consideriamo "latte intero" quello con il 3,2% di grasso (3,7% il latte alta qualità) si deve pensare che in alpeggio il tenore lipidico è intorno al 4,5%.


VITTO  DELL'ALPEGGIATORE  LEVENTINESE


Colazione: Polenta cotta nella crema di latte (bevanda: latte);

Spuntino: Ricotta fresca con pane

Merenda: Pane e formaggio/ricotta stagionata (bevanda: latte)

Cena: Ricotta fresca con pane/minestra di riso con latte



di seguito il brano integrale:

Nella sua semplicità si distingue per la buona qualità e per l'abbondanza. Alla mattina di buon'ora, dopo munte le sue bestie, si ciba d'una polenta cotta nella pura crema o fior di latte, dalla quale cola un butirro puro come l'oro, ed emana una fragranza del tutto sui generis. Una tal polenta (volg. Levent. polenta storna) riesce di malagevole digestione ai non avvezzi ma su quelle alpine pasture è ben presto smaltita. Si beve insieme del buon latte. In seguito il pastore e il capraio conducono le loro bestie sul pascolo ad esse destinato, e il caciaio manipola il latte. A un' ora che viene indicata da l'appetito e da sole, ogni uomo è di ritorno nell cascine, ed è apprestato nel buon latte mascarpa fresca, cioè fatta allora allora (volg. zuffa) che si mangia con del pane. Tutti sono ben presto là dove li chiamano le proprie molto ben distribuite occupazioni. Allorché si avvicina l'ora di chiamar le bestie a raccolta, merendano con pane e cacio o con ricotta seccata al fumo ed al sole, e con latte. La sera finalmente, terminata ogni bisognevole opera e recitata la comune preghiera, cenano con zuffa ancora pane, e a quando a quando vi è un eccellente riso col latte. Un tal vitto, se la stagione non era eccessivamente malvagia, giova meravigliosament e alla salute e robustezza de' montanari. Anche  su' monti  o  maggenghi  della stessa valle  il vitto  suol  essere buono, ma si fa molto men uso di fior di latte, e d'ordinario al latte puro n'è sostituito o dello spannato o del misto col siero. Sulle pasture delle altre parti del Cantone il vitto non e né scarso né cattivo, ma è generalmente riputato inferiore a quello da noi descritto.



 Note


(1) G. Chen, Y. Wang, X. Tong et al. Cheese consumption and risk of cardiovascular disease: a meta-analysis of prospective studies, in "Eur J Nutr", 56 (2017): 2565–2575 .

(2) S. Engel, T. Tholstrup, Butter increased total and LDL cholesterol compared with olive oil but resulted in higher HDL cholesterol compared with a habitual diet in "The American journal of clinical nutrition", 102, 2 (2015): 309-315.

(3) Per una review recente sul tema:  A. Elgersma, A. (2015). Grazing increases the unsaturated fatty acid concentration of milk from grass‐fed cows: A review of the contributing factors, challenges and future perspectives, in "European Journal of Lipid Science and Technology", 117, 9, (2015): 1345-1369.

(4) A. Díaz-López, M. Bulló, M.A. Martínez-González, D. Corella, D., R. Estruch, M. Fitó ... & N. Babio, Dairy product consumption and risk of type 2 diabetes in an elderly Spanish Mediterranean population at high cardiovascular risk in "European journal of nutrition", 55, 1 (2016): 349-360; L. M. O’Connor, M. A. Lentjes, R. N. Luben, K. T. Khaw, N. J. Wareham & N. G. Forouhi, Dietary dairy product intake and incident type 2 diabetes: a prospective study using dietary data from a 7-day food diary in "Diabetologia", 57, 5 (2014): 909-917;  D. Aune, T. Norat, P. Romundstad, P., & L. J. Vatten,  Dairy products and the risk of type 2 diabetes: a systematic review and dose-response meta-analysis of cohort studies in "The American journal of clinical nutrition", 98 4 (2013): 1066-1083.

(5) L. Volpi,  I bergamì. Note folkloristiche, in "Rivista di Bergamo", giugno (1930): 261-266

(6) P. Malanima, L'economia italiana. Dalla crescita medievale alla crescita contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 115

(7) B. Besta, Le classi agricole della provincia di Sondio, in Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola , Atti, vol. VI, f. II.  Roma, Forzani, 1883, pp. 230-231.

(8) G. Tassoni (a cura di) Arte e tradizioni popolari. le inchieste napoleoniche sui costumi e le tradizioni del Regno Italico, 1973, Bellinzona, la Vesconta, p. 518.










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