Isola 2000
Vinadio
Impressioni di una transumanza franco-italiana
La transumanza transfrontaliera di una
famiglia di malgari della val Stura di Demonte che si
trasferiscono nella valle della Vésubie (un territorio diventato
francese dopo l'ultima guerra) sin dagli anni '70. Un affascinante
lungo cammino percorso a piedi, una ventata di tradizione (dai rudun alle varietà di formaggi) che
irrompe oltreconfine in un territorio molto segnato dalla
parchizzazione (il Mercantour è il famoso parco dove il lupo è apparso
improvvisamente nel 1992) e dalle località sciistiche senza legami con
gli insediamenti storici. Il
giorno stesso di questa transumanza,
sull'area si è abbattuto il ciclone Alex. I malgari non sanno come
potranno alpeggiare nel 2021 date le devastazioni che tutta la zona ha
subito e che rendono l'alpe irraggiungibile. Si appellano quindi a
tutte le autorità in grado di trovare delle soluzioni.
diPaolo
Olivero
La transumanza è uno
spiegamento notevole di uomini, bestie e mezzi […] una operazione
logistica complessa e un rituale ben collaudato, ma che può
riservare qualche imprevisto. […]Se siamo riusciti a far scendere
la mandria, se insieme ai nostri animali ce la siamo cavata, forse è
perché abbiamo avuto la mano di un santo sopra la testa.
(14/02/2021)
Venerdì 2 ottobre
2020, 20:30. Aisha,
Arizona,
Arnica, Baghera, Bambola, Bandiera, Bataia, Batida, Bianca,
Birichina, Bosquet, Briga, Cloe, Faruk, Frise, Galinetta, Galletta,
Gasata, Gea, Gessi, Ghironda, Lunette, Marsiglia, Swami, Ubaye,
Ugola, Unny, Vahine, Varaita, Venasca, Vervenne, Vesubie, Viky. Sono
i nomi di alcune vacche da latte (in parte ancora munte
a mano) che, dopo un lungo viaggio iniziato questa mattina
a Isola
2000, ora stanno riposando nella stalla di Andrea
Colombero (qui
un vecchio servizio di Pietro Vallome) e Barbara
Viale, una giovane coppia di malgari appena tornati con la
loro mandria a Maigre
di Moiola, 20 chilometri a sud-ovest di Cuneo, in bassa Valle
Stura, dove vivono insieme ai figli Nicola, Viola, Giada
e Sofia. Gli altri animali pascolano
liberamente nei terreni intorno alla fattoria. Qui, dal 2017, Andrea
e Barbara gestiscono l’Azienda
Agricola Fiori dei Monti, che è il logico proseguimento
delle aziende agricole delle loro due famiglie, storicamente allevatori
di bovini piemontesi e produttori di formaggi, fino ad
allora a Villafalletto (qui,
qui
e qui
alcuni materiali promozionali).
Andrea è un
mio
coetaneo. Lo conobbi
nel 2017,
ai tempi in cui stavo lavorando alla redazione dell’Atlante
dei Sapori delle Terre del Monviso e Valli Occitane (o valli
provenzali). Me lo segnalò Manuel
Odestri, appassionato cuoco e proprietario della Locanda
Fungo Reale di Valloriate. Manuel mi disse che Andrea è
una persona autentica, che il rapporto qualità-prezzo dei suoi
formaggi è spiazzante e che i clienti mandati dal suo albergo spesso
rimangono sbalorditi, chiedendogli se fosse lui a pagare qualcosa.
Ricordo che la storia di Andrea mi incuriosì fin da subito. Malgaro
da almeno quattro generazioni, dal 1975 la sua famiglia alpeggia in
Francia, dapprima sulle verdi alture di Isola,
in Val
de Chastillon, e poi alla Vacherie
du Collet di Mollières,
borgata d’oltralpe che fino al 1947 ha fatto parte del comune di
Valdieri,
mentre oggi è frazione di Valdeblore,
ma più vicina a Saint-Martin-Vésubie,
nei dintorni di Le
Boréon e all’interno del Parc
national du Mercantour: un posto
da lupi, insomma. Dopo aver lavorato cinque anni presso il Caseificio
La Bruna di Monterosso Grana, seguendo la sua passione e
animato dal desiderio di fare qualcosa di diverso, produce formaggi
vaccini artigianali, tutti rigorosamente a latte
crudo, oltre a burro
e yogurt. A eccezione del castelmaigre,
un formaggio reimpastato e dal gusto intenso simile al castelmagno,
che prende il nome dalla località dove ha sede l’azienda (in un
documento del 1852 il regio sindaco del comune di Vinadio, in vista
della tradizionale fiera di ottobre, rende noto al pubblico che «Gli
accorrenti potranno ove loro piaccia fare compra su detta Fiera a
prezzi discreti [...] di ottimi formaggi, tali da non cedere al
confronto con quelli di Castelmagno»), gli altri prodotti sono
venduti sia in Italia che in Francia, sebbene con denominazioni
diverse: moiolina (mollierina) naturale
o speziata,
nostrale
(tomme de montagne), saben
(fromage du collet), tajarè
(tomme piémontaise), toma
alpina (tomme de Mollières). Inoltre, è
attualmente allo studio un formaggio erborinato prodotto a partire da
muffe ricavate dal pane di segale (qui
una breve descrizione dei vari formaggi).
Quell’autunno
andai
a Moiola a
visitare la
sua azienda. Andrea mi spiegò la sua filosofia,
proprio mentre stava facendo
del formaggio con attrezzi
tradizionali davanti ai miei occhi: «Per far funzionare
le cose, bisogna conciliare sostenibilità ambientale ed economica.
L’obiettivo, come allevatore, è mantenere me e la mia famiglia
grazie a questo lavoro, ma anche rispettare gli animali, creare un
rapporto con loro, fare in modo che vivano il più a lungo possibile.
La filosofia alla base è molto diversa da quella
dell’iperproduzione, che punta al massimo guadagno sul breve
periodo e riduce ad appena due anni la vita delle mucche. C’è una
gran confusione a riguardo e i consumatori dovrebbero essere più
informati, in modo da poter scegliere con più consapevolezza».
Sull’insegna di legno è scritto «Le
bon fromage est simple », il buon formaggio è
semplice, ma dietro la sua umiltà c’è un approccio scientifico e
la consapevolezza di saper fare le cose per bene (su un altro
cartello leggiamo «Io
non so se le montagne hanno bisogno di me… ma io ho certamente
bisogno di loro!!»). Andrea, infatti, dopo il diploma in
agraria, ha studiato all’Istituto Lattiero Caseario di Moretta
(Agenform)
ed è stato allievo del professor Guido
Tallone(coordinatore,
tra l’altro, dell’Associazione
Produttori Formaggio Nostrale d’Alpe), che cita spesso
come suo riferimento. Incrociai Andrea anche alla Fiera
Fredda di Borgo San Dalmazzo, dove accanto alla pregiata
lumaca Helix
pomatia alpina e alle altre specialità gastronomiche
del territorio (come la trota
salmonata affumicata, i crousét
o la torta
fina di Vignolo) spiccava il suo bel banco di formaggi,
uno su tutti il
classico nostrale, tradizionalmente prodotto negli alpeggi
delle vallate cuneesi dai malgari, che quella sera è stato il mio
soggetto fotografico preferito. Gli dissi che sarei andato a trovarlo
a Mollières, ma nell’estate del 2018 mi imbarcai su una nave da
crociera battente bandiera italiana (con tanto di casaro
e mozzarella
fatta a bordo). Una volta concluso il mio contratto, tornai più
volte a visitare i miei luoghi del cuore nelle valli
di Cuneo. Passai anche da Andrea e in quella occasione
acquistai alcune piccole forme di castelmaigre, ideali per i regali
di Natale.
Nel 2019, tramite un consorzio
turistico locale, un gruppo di visitatori ha accompagnato Andrea
nella tradizionale transumanza da
Vinadio a Mollières. La scorsa estate, purtroppo, questa
bella iniziativa è stata sospesa per motivi organizzativi. Allora ad
agosto la mia compagna e io siamo andati a Mollières
per conto nostro, facendo una bella camminata
dall’ultimo parcheggio tre chilometri sopra Le
Boréon e passando per il Col
de Salèse. In alternativa, si può partire a piedi da
Isola 2000 (Col
Mercière), Valdeblore (Col
de Veillos, quindi Col
Ferrière o Col
du Barn) o Roure (Pont
de Paule). Al confine con l’Italia ci sono diversi
sentieri che arrivano da Valdieri: quello più diretto attraversa il Colle
di Fremamorta, il più panoramico passa dalla Bassa del
Druos, sopra i laghi
di Valscura (raggiungibili anche dal Vallone
di Riofreddo e dal Rifugio
Malinvern), infine segnaliamo il Passo
del Prefouns e il Colle
di Ciriegia. L’accesso in auto è regolamentato e un
cartello all’ingresso del parco del Mercantour minaccia una multa
di 1500 euro ai trasgressori. Poco dopo aver superato una piccola
torbiera dove spunta qualche erioforo,
passando accanto a una croce,
una freccia
di legno indica la Vacherie
du Collet: due graziosi chalet in pietra con gerani rossi
alle finestre, un’ampia stalla con caseificio e un panorama
selvaggio. Siamo arrivati proprio mentre una troupe stava
facendo delle riprese
per un video promozionale del comune
di Valdeblore (qui
la versione breve, quila versione lunga). Già
un
paio di anni fa era
venuta una giovane coppia di viaggiatori che ha
attraversato l’Europa a piedi, dal Portogallo alla Turchia, per
realizzare il progettoDeux
Pas Vers l’Autre (qui, qui
e qui
i video, qui
il blog, qui
e qui
le foto). Ecco cosa hanno scritto Marie
Couderc e Nil Hoppenot in seguito al loro incontro con Andrea
e la sua famiglia.
Andrea
Colombero: La tradizione da noi
sono i grandi campanacci. Se volete dopo te lo mostro. Al momento della
transumanza, li mettiamo al collo delle mucche. Questi sono i
campanacci della festa. Perché è un giorno di festa per noi. Annuncia
l'arrivo della mandria. Raggruppiamo l'intera mandria, perché qui c'è
solo una
parte della mandria. Ci sono 254 animali suddivisi in 4 mandrie.
Riuniamo tutto qui, e dopo la mattinata partiamo, facciamo la prima
tappa a Isola 2000, la seconda tappa è prima di Vinadio e la terza
tappa è a casa, a Cuneo.
Quando vedi passare
una mandria, vedi questi campanacci che raccontano la storia della
mandria e della sua famiglia.
Per fare il formaggio
c'è un solo ingrediente, il latte. Quindi aggiungi il sale e
il caglio. Quindi dal latte, puoi fare qualsiasi formaggio: Roquefort
(formaggio blu), mozzarella ... provengono tutti da latte vaccino.
Nil
Hoppenot: Quando abbiamo
lasciato l'Alpha Park, abbiamo visitato qualcuno che ci ha aiutato
molto l'anno scorso, durante il viaggio di preparazione. Forse ti
ricordi di Andrea Colombero, gli abbiamo già fatto un'intervista; è un
margaro che
lavora tra l'Italia a Cuneo e la Francia, nel Parco Nazionale del
Mercantour. Andrea, ogni anno con la sua famiglia, fa la transumanza.
Tornando quest'anno abbiamo potuto passare più tempo con la famiglia e
conoscerli meglio, per capire come vivono tutto l'anno e dovreste
vedere la passione che hanno per le loro vacche, questo è qualcosa di
bello.
Marie
Couderc
: Siamo stati anche abbastanza
commossi a tornare, siamo stati accolti come
in famiglia. Grazie ancora Andrea, Barbara e ai bambini!
Il
Mercantour è stato il terzo e ultimo parco nazionale che abbiamo
visitato in Francia. Non potevamo andarcene senza aver fatto una visita
molto speciale. Quello che vedi è amore e passione, uno stile di vita
puro e bello, una famiglia italiana che vive in Francia per metà
dell'anno. La felicità è semplice e non ha confini.
A
proposito del Mercantour, ti ricordi di Andrea? Questo malgaro italiano
che ci ha accolto lo scorso anno e che abbiamo intervistato. Quest'anno
gli abbiamo fatto una visita a sorpresa alla fine della giornata
durante la mungitura. La Vacherie du Collet si trova alla periferia del
villaggio di Mollières, un villaggio che era ancora italiano prima
della seconda guerra mondiale. Andrea, la moglie Barbara, i loro
quattro figli, Federico che trascorre con loro la stagione estiva ei
loro 270 animali fanno due volte all'anno la transumanza tra Cuneo, in
Italia, e Mollières, mettendo questi grandi campanacci attorno alle
loro vacche. Che raccontano la storia di la famiglia e della mandria
che del resto fa parte della famiglia: "questa mucca, l'ho fatta
nascere io, di sua madre si occupava mio … e mio nonno di sua
nonna".
Evidentemente non
siamo i soli “scappati
di casa” a essere attratti da questo angolo alla fine
del mondo, che è un po’ terra di nessuno e un po’ paradiso a
detta di chi ci vive. Se la Vésubie,
già riserva di caccia di re Vittorio
Emanuele II, da sempre è conosciuta come la “Suisse
niçoise” (da non confondere con la “Nice
des Alpes”), un motivo ci sarà.
Ad accoglierci ci
sono Giada, Sofia e
Viola,
che ci vengono incontro per zittire i cani. Andrea non ha molto tempo
da dedicarci perché deve andare a controllare le vacche
al pascolo, lo fa tutti i santi giorni, per lui sono come
i suoi bambini. Abbiamo fatto una breve chiacchierata per farci
raccontare il loro stile
di vita quassù e lo incontreremo di nuovo sulla via del
ritorno a bordo della sua Defender, poco oltre la Vacherie du Collet.
Abbiamo comprato degli splendidi formaggi
d’alpeggio per la merenda e ci siamo fatti mettere da
parte alcune forme. Varcare la soglia angusta della grotta
di stagionatura è come entrare in un mondo d’altri
tempi, con una luce fioca, dove maturano capolavori dell’arte
casearia accanto a certi formaggi mal riusciti, ma che tuttavia i
francesi apprezzano molto: li hanno fatti con il “latte stanco”,
il latte del primo giorno di transumanza, più difficile da lavorare.
Andrea non fa fatica a vendere i suoi formaggi
ai mercati di Le
Boréon (nel parcheggio all’ingresso del parco) e Saint-Martin-Vésubie,
anche perché il prezzo è una giusta via di mezzo tra quello dei
concorrenti e ciò che basta per sopravvivere. Inoltre, in Francia i
giovani sono più attenti al formaggio, lo portano alle cene tra
amici, mentre da noi sono più orientati al vino.
Di quella gita a
Mollières conservo
un bel
ricordo e qualche decina di foto. Tra queste ce n’è una scattata a
un ritaglio di Nice-Matin
esposto nella bacheca del villaggio
(qui
lo stesso
articolo a firma di Maguy Belia pubblicato sul giornale del comune di
Isola).
Da giugno Andrea Colombero e Federico
Desogus
sono nel parco del Mercantour, alla vacherie del col de Salèse. Dopo
aver lasciato la loro azienda agricola di Moiola (Cuneo) per
trasferirsi, come
fanno da quattro generazioni, nel loro quartiere estivo con famiglia,
galline, cani ...
Le
tre razze Piemontesi, Abondance e Valdostana
compongono la mandria di 180 mucche, che “fino al 2000,
trascorrevano l'estate a Isola 2000”, ricorda Andrea, che sin da
piccola accompagnava il padre e lo zio Jacques Colombero nei dintorni
della
località o a Molières.
È un formaggio di qualità con animali al
pascolo
per tutta l'estate negli alpeggi che Andréa e Féderico propongono a
Moiola
in inverno e nel parco in estate. Proprio come lo zio alla vacherie di
Isola 2000 dove, ogni sera, l'allattamento dei vitelli è un'attrazione
molto apprezzata. Il prossimo anno, a giugno, viene fissato, questa
volta al Col de la Lombarde, l'appuntamento per la prossima traversata
franco-italiana.
L’articolo del
quotidiano locale
parla della
transumanza verso Isola 2000 (a giugno dal
Colle della Lombarda, a ottobre da
Mollières), dove vive Giacomino
“Jacques” Colombero della Vacherie
d’Isola 2000, già socio di Bernardino,
il compianto fratello e padre di Andrea. All’Alpe
Valanghe di Marmora (il paese da cui partì il nonno
Chiaffredo, che si spostò in pianura, quindi in alpeggio a Sant’Anna
di Vinadio e successivamente a Isola) e all’Alpe
Gardetta di Canosio, invece, troviamo rispettivamente Giulio
e Chiaffredo
Colombero, ovvero il padrino e un lontano cugino di Andrea, anch’essi
malgari. Quella dei Colombero, infatti, è una genealogia di
allevatori e casari seminomadi originari della Valle Maira (in una
intervista a Vanity
Fair, Roberta
Colombero, figlia di Giulio e cugina di Andrea, precisa
che «Margaro
significa allevatore nomade stagionale: d’estate si va in alpeggio,
per poi tornare all’allevamento in pianura nei mesi invernali»).
Scorrendo quelle immagini, e in seguito alla richiesta di Michele
Corti di scrivergli qualcosa per Ruralpini, chiedo ad Andrea se posso
partecipare alla transumanza autunnale. Lui risponde che se voglio
unirmi a loro non ci sono problemi, mi accolgono molto volentieri.
Nel ringraziarmi, non mi nasconde che gli fa piacere che uno come me,
che per scrivere l’Atlante dei sapori
avrà conosciuto
sicuramente molte aziende del settore, sia un entusiasta sostenitore
proprio della loro realtà. Riguardo alla mia esperienza di curatore
dell’Atlante, la mia risposta
è stata che ci sono alcune
storie a cui sono rimasto affezionato, soprattutto là dove ho
trovato una bella umanità (vedi anche il caso di Coumboscuro
in Valle
Grana). Trovo che la storia dei Colombero sia molto
interessante perché c’è una solida tradizione in un mestiere
singolare come quello del malgaro, portato avanti con amore e
passione da Andrea e dalla sua famiglia.
Quella da
Mollières a Vinadio è una transumanza atipica perché
porta la mandria da un confine all’altro e da una valle all’altra.
Si sale invece di scendere, bisogna raggiungere il Col
Mercière seguendo un sentiero, poi ci si ferma a Isola
2000 e quindi si torna in pianura attraversando il Colle
della Lombarda. Scendiamo venerdì 2 ottobre, partenza
all’alba da Isola 2000. Le vacche da latte sono qui già da sabato,
mentre le altre sono state raggruppate pian piano e sono salite
giovedì (un toro si era imboscato e ha richiesto due giorni di
ricerche). Barbara dice di portare qualcosa per coprirmi, perché
sono previste precipitazioni. Giovedì il meteo dà pioggia fin dal
mattino. Il ritrovo è alle 5:30 a Moiola. Percorriamo la vecchia
strada militare (la provinciale
337) fino a Vinadio, a quell’ora piuttosto trafficata da
tassi, volpi e altri curiosi animali selvatici. Salendo verso il
Colle della Lombarda troviamo nebbia e vento forte. Alle 6:30
arriviamo a Isola 2000, dove c’è Andrea ad attenderci. Fuori ci
sono 6 gradi, quindi ci copriamo bene dal freddo. Ancora al buio e
illuminati da una torcia, andiamo a recuperare le vacche che stanno
riposando nei prati lungo la strada sterrata per il Col Mercière. Il
suono delle grosse campane attaccate al collo degli animali rompe il
silenzio della notte e mentre ci spostiamo verso il punto di raccolta
scorgiamo le prime luci dell’alba.
Andrea e Federico
hanno radunato le
loro bestie
in un recinto provvisorio, in una zona pianeggiante nei pressi di un
laghetto artificiale e degli impianti di risalita. Federico
Desogus (qui
un vecchio servizio di Ruralpini) è un giovane malgaro che da
qualche anno lavora insieme
ad Andrea e Barbara alla Vacherie du Collet. La nonna e la madre sono
originarie di Roaschia,
paese di grandi pastori transumanti (per uno studio antropologico al
riguardo, vedi le opere di Marco
Aime). In autunno Federico scende a Staffarda
di Revello, in Valle Po, presso l’Azienda
Agricola La Bergeria, dove sorge un’antica abbazia
cistercense e si può ammirare lo splendido panorama dell’arco
alpino con al centro il Monviso.
Oltre agli altri formaggi, è specializzato nella produzione di burro,
mozzarella
(sul mercato francese è venduta come mozzarelle
de montagne) e yogurt
(qui
maggiori informazioni).
In tutto ci sono
circa 180 bovini,
principalmente di razza Piemontese,
Abondance
(il pallino di Andrea) e Valdostana
(la preferita di Federico), ma anche Montbéliarde,
Pezzata
Rossa e Pustertaler,
un asino e un cavallo. Più della metà appartengono ad Andrea e i
restanti a Federico. Tori e vitelli vengono caricati su un trattore a
rimorchio e trasportati nella stalla a Moiola. Andrea e Barbara
incoronano due vacche con ghirlande di fiori gialli e blu (avevo
visto qualcosa di simile in Aubrac,
dove l’ufficio del turismo locale promuove la festa
della transumanza di primavera). Federico, invece, ha
avvolto un fazzoletto
nero intorno alla testa di una Valdostana, conferendole un aspetto
quasi corsaro. Queste decorazioni, insieme agli elementi ornamentali
dei rudun,
i tradizionali campanacci
artistici dal forte valore
simbolico, danno un tocco di colore alla mandria. Una
mucca di nome Trota, per esempio, indossa un collare che celebra i 40
anni di Andrea, donatogli in segno di amicizia da
Federico. Oltre ad annunciare l’arrivo della mandria, questi
campanacci raccontano la storia della famiglia e sono
legati a un ricordo specifico, come la nascita di un bambino:
ciascuno dei figli di Andrea e Barbara, infatti, ha un campanaccio
personalizzato. I campanacci sono un pezzo da parata che
le vacche indossano due volte all’anno per la transumanza, di cui
rappresentano indubbiamente un elemento chiave, mentre il resto del
tempo vengono esposti
con orgoglio presso le abitazioni dei malgari.
Nel frattempo sono
arrivati una
ventina di
amici e parenti. Dopo la colazione, allestita nel bagagliaio del
fuoristrada di Barbara, ci si mette in cammino (come racconta Marzia
Verona, «Quel giorno bisogna “far bella figura” con
chi è venuto ad aiutare, quindi è fondamentale che ci sia cibo in
abbondanza per tutti. […] i cofani dei fuoristrada diventano tavole
improvvisate su cui viene stesa una tovaglia. Compaiono
contenitori con cibo freddo, salumi di tutti i tipi (rigorosamente
fatti in casa), pane, talvolta anche una pentola avvolta negli
asciugamani, da cui spunta un arrosto o un bollito, ancora tiepido.
Ciascuno si serve a piacimento, taglia porzioni con il coltello a
serramanico che tutti hanno in tasca, si serve da bere, vino, acqua o
bibite» e «un caffè fumante versato dai thermos»). Sono le 8:30 e
ha iniziato a piovere già da un pezzo. I malgari guidano le vacche
fuori dal recinto, dirigendosi verso l’abitato di Isola 2000. In
coda alla mandria i bravi cani da pastore controllano
instancabilmente che nessun animale o uomo venga lasciato indietro.
Alcune auto al seguito della carovana trasportano attrezzi e
provviste. La lunga colonna di bestie sale per 3 chilometri lungo i
tornanti verso il Colle della Lombarda, sotto un cielo grigio e
nuvoloso.
Andrea si avvicina
dicendomi che su
questo
versante l’aria è più calda e mi spiega la differenza tra monticazione
e
demonticazione: se a San
Giovanni le vacche scalpitano per salire sui pascoli di
alta quota, a San
Michele esse sono più malinconiche perché sanno che
ritornano a valle. La transumanza è una festa, anche se per Andrea
rappresenta un giorno di grande responsabilità. Per chi fa il suo
lavoro, resta comunque un momento carico di significato
e di emozioni e l’atmosfera solenne deriva dal ritrovarsi con tanti
conoscenti venuti a dare una mano. Con Andrea parliamo di alpeggi
gestiti in modo esemplare, che valorizzano il mestiere del malgaro,
il buon latte alpino e gli eccellenti formaggi che qui vengono
prodotti, e di alpeggi in stato di semiabbandono, dove accanto alla
tradizionale distinzione tra vacche da latte e vacche da carne si
affianca una terza categoria: le “vacche da PAC”
(la politica agricola comune), ossia speculazioni
per mungere contributi europei e truffe
che umiliano la montagna. Andrea è soddisfatto dei risultati della
stagione estiva e i clienti francesi sembrano riconoscere il suo
lavoro. Anche lo zio Jacques ha un bel giro di affari, grazie al negozio
di formaggi aperto tutto l’anno presso la stazione
sciistica di Isola
2000 e alla vendita di specialità gastronomiche italiane
(nel periodo natalizio i suoi vassoi
di raclette vanno a
ruba).
Oltrepassato il Colle
della Lombarda, posto a 2350 metri al confine tra Francia
e Italia, un grande cartello sopra la nostra testa indica che siamo
in provincia
di Cuneo. Il paesaggio è quello dell’alta montagna, con
una strada stretta e priva di protezioni che si snoda tra ripidi
pendii, pietraie, prati e resti di costruzioni militari. Guardate in
prospettiva nel loro lento incedere sotto la pioggia e la grandine,
le vacche formano una singolare architettura di cosce e dorsi
possenti. Avvicinandosi alla mandria lo scampanio
incessante dei diversi rudun
ti pervade fino a diventare quasi ipnotico: Andrea dice che «è
un suono antico, che ci tocca nel profondo, che conosciamo fin da
quando siamo bambini». Lungo il tragitto sono previste
alcune soste per rifocillare le bestie e far defluire le auto in
coda. La prima è ai laghi
d’Orgials, la seconda è nei pressi del santuario
di Sant’Anna
di Vinadio e la terza è al Baraccone,
che è anche il punto di partenza della transumanza
estiva (qui
un video dell’ATL
del Cuneese, qui
un breve reportage). Un automobilista incuriosito ci chiede cosa
stessimo facendo e si complimenta per il lavoro svolto. Nonostante la
transumanza blocchi momentaneamente il traffico, di solito gli
spettatori esterni rimangono affascinati dallo spettacolo
inaspettato. In molti chiedono di poter scattare una foto o un selfie
e a tal proposito Aurelio,
un anziano allevatore di Villafalletto, mi parla di quella volta che
incontrarono delle modelle in viaggio verso Monaco, le quali vollero
fare un servizio fotografico abbracciate
alle mucche: è la magia della natura.
Per chi come me non
fa questo
mestiere (anche
se chi scrive da piccolo si divertiva ad aizzare i tori dello zio,
premiato allevatore di bovini piemontesi di sottorazza
Albese della coscia da più generazioni), partecipare a
una transumanza vuol dire diventare malgaro per un giorno. L’idillio
della vita in montagna improvvisamente si scontra con la necessità
di rendersi utili, anche semplicemente aiutando a contenere la
mandria lungo il cammino. Proprio mentre stavo guardando dall’alto
le mucche incolonnate in fila indiana lungo la serpentina di
tornanti, da una delle auto al seguito arriva un grido di
esortazione: «Possje!». È Stefano,
il padre di Barbara, che mi invita a spingere le bestie più lente,
incitandole con la voce e con ampi movimenti di braccia e bastone.
Alcune vacche, infatti, approfittano dell’ultimo giorno di libertà
per andare a brucare l’erba al bordo della strada, staccandosi in
tal modo dal resto del gruppo. Al Baraccone ci fermiamo per un pasto
veloce al riparo dalla pioggia. Viste le condizioni avverse, Andrea
teme che non assisterò mai più a una transumanza. Anche gli altri
partecipanti non ricordano una giornata così uggiosa. In realtà mi
sono subito abituato al maltempo, nonostante il mio abbigliamento non
fosse professionale come quello dei malgari, che oltre a impugnare il
tipico bastone
da mandriano indossano spesse cerate e scarponi
impermeabili.
L’ultimo tratto l’ho
fatto al volante
di un pick-up carico di
attrezzi da casaro, in compagnia
di un
simpatico cane di piccola taglia che si è nascosto silenziosamente
nel retro. Il tempo di lasciare asciugare brevemente i panni all’aria
calda, ed è di nuovo ora di uscire alla pioggia per prendere parte
al momento culminante della transumanza. Verso le 15:30, dopo sette
ore di cammino e 25 chilometri, arriviamo a Pratolungo
di Vinadio, nei pressi dello stabilimento dell’Acqua
Sant’Anna. Il suono dei campanacci richiama tutti fuori
dalle case. L’intera mandria è nuovamente riunita all’interno di
una recinzione temporanea. Qui, nell’arco di quattro ore, gli
animali sono divisi in piccoli gruppi e caricati a bordo di quattro autotreni,
un autocarro e un trattore a rimorchio. La presenza dell’uomo è
fondamentale per far salire le bestie sui mezzi ed evitare che
fuggano in strada o si ficchino altrove: servono molte braccia,
qualche leggero colpo di bastone e all’occorrenza una bella spinta.
I cani da pastore sono i suoi fedeli alleati quando si tratta di
ristabilire l’ordine. In questo contesto osserviamo i tristi
muggiti che le vacche nel recinto sembrano rivolgere a quelle in
partenza e i richiami
dei malgari per attirare a sé le mucche scappate via,
ognuna chiamata con il suo nome.
Malgrado il
temporale, la transumanza
si è
conclusa nel migliore dei modi, con un caffè e una fetta di torta
fatta in casa. I camion riportano a valle gli animali, stanchi dopo
la lunga marcia. Una ventina di bovini sono diretti a Cervasca,
mentre gli altri vanno a Moiola e a Staffarda, rispettivamente nelle
stalle di Stefano, Andrea e Federico. La transumanza
è uno spiegamento notevole di uomini, bestie e mezzi (per dirla con Michele
Corti, nella sua accezione di pastoralismo:
«una
simbiosi tra uomo, animali, piante; uno scambio complementare tra
montagna, città e pianura»), una operazione logistica
complessa e un rituale ben collaudato, ma che può riservare qualche
imprevisto. Quella sera, infatti, poche ore dopo il nostro passaggio,
è stata chiusa la provinciale
255 per il Colle della Lombarda in seguito ai danni
provocati dalle intense
piogge che hanno interessato l’area (ricordiamo che non
lontano da noi, sopra Limone Piemonte e nella zona del Tenda, sono
caduti in poche ore quantitativi che solitamente si verificano in sei
mesi). Se siamo
riusciti a far scendere la mandria, se insieme ai nostri
animali ce la siamo cavata, forse è perché abbiamo avuto la mano di
un santo sopra la testa.
Due settimane dopo,
Andrea mi invia
delle foto
dalla Francia per mostrarmi «Quello che rimane a Mollières
dopo il passaggio della tempesta
Alex», dove i
sentieri sono diventati fiumi e gli alpeggi trasformati in pietraie.
Volendo citare una sua riflessione
di qualche mese fa, è il caso di dire che la montagna che tanto lo
fa star bene a volte può rivelarsi durissima. Nei suoi messaggi,
Andrea mi dice che «Le strutture non hanno subito danni, i pascoli
invece saranno molto complicati perché ogni corso d’acqua è
praticamente inattraversabile, non tanto per la quantità di acqua ma
semplicemente perché gli alvei si sono abbassati di un metro o più
e le sponde oggi sono degli ammassi di blocchi di pietre». Gli
chiedo se prima di giugno sarà tutto a posto. «Questa è una bella
domanda, non so rispondere perché l’entità del danno
a Mollières
è ingente, però è stata devastata tutta la Val Vésubie, il lavoro
di ripristino è immenso, non so cosa riusciranno a fare». Risulta
impossibile adattarsi a questo scenario e pare che Mollières non sia
più accessibile. «Pensando anche di fare sacrifici, facendo finta
che non abbiamo bisogno di fare mercati, ad oggi mi resta molto
difficile immaginare di lavorare in mezzo ad una tale devastazione.
L’unico modo per accedervi ad oggi è a
piedi o in
elicottero». A proposito di
misure di sostegno prese dal
governo e altre forme assistenziali, «Lo stato francese giustamente
ha dichiarato per quelle zone lo stato di calamità naturale e sta
stanziando fondi per la ricostruzione, al momento non sono a
conoscenza di fondi di sostegno per i singoli». In merito
all’ipotesi di altri alpeggi, per esempio a Isola 2000, «Ad oggi
non ho alternative anche perché devo ancora elaborare il “lutto”
del pensiero di abbandonare quei luoghi a me cari. Isola no, ormai il
pascolo è troppo limitato». La realtà non è certo incoraggiante,
ma forse c’è ancora qualche speranza per Mollières. «Sinceramente
io non fatico a vedere un futuro per Mollières e per tutta la
Vésubie, è il presente che è difficile da pensare. Impensabile
secondo me ripristinare un danno di queste dimensioni in pochi mesi e
per di più con l’inverno alle porte». Pensiamo a come poter
migliorare questa situazione e a forme di solidarietà tra malgari,
se sussistono. «Alpeggi alternativi per una stagione la vedo dura
perché tutti i bandi d’asta sono ormai quinquennali, solidarietà
dipende in che forma, pensare di “ospitare” qualcuno per una
stagione credo sia quasi impossibile».
Successivamente, un giornale
locale ha dato voce ai suoi
pensieri, pubblicando un post
su Facebook in cui Andrea racconta il
ritorno nella “sua” valle
di Mollières tristemente sfigurata dalla violenza dell’acqua, “quasi come dopo un
terremoto”. Ci
auguriamo vivamente che il suo
appello giunga a chi di montagna si interessa, a partire dalle
autorità e dalle istituzioni che hanno realmente a cuore il loro
territorio e le persone che lo presidiano. A tal proposito, Andrea
sostiene che la loro attività a Mollières faccia da collante per la
piccola comunità che vive lì in estate: la sera alle cinque le
famiglie escono di casa con i bambini e si ritrovano dal ponte dove
mungono, che in mancanza di un bar o di un pubblico esercizio diventa
un importante punto di aggregazione per gli abitanti del villaggio.
In passato Mollières era un paese di pastori e i Colombero, in
quanto malgari, non erano ben visti dalla gente del posto. La
generazione di coetanei francesi cresciuti insieme ad Andrea, invece,
ora forma una sola comunità con la sua famiglia: se prima i genitori
erano considerati stranieri, oggi i figli si sono ben integrati.
Ma che
sapore hanno
i formaggi
d’alpeggio
prodotti in un parco nazionale francese da un malgaro di quarta
generazione, che valorizza la biodiversità dei fiori
dei monti grazie all’uso di
latte crudo (a detta
dei francesi «il
formaggio più genuino», «uno
dei migliori formaggi al mondo»
e addirittura «il
miglior formaggio che abbiamo mai provato»)? Se siete
curiosi di scoprirlo e volete supportare Andrea e Barbara, andate a
visitare la loro azienda in Frazione Maigre 1 a Moiola (sede estiva:
Vacherie du Collet, Vallon de Mollières, Valdeblore, Francia),
prendete un pezzo di formaggio e fatevi raccontare cosa fanno. Per
maggiori informazioni, per fissare un appuntamento e per l’acquisto
di prodotti (anche con consegna a domicilio grazie alla macelleria Bruna
di Gaiola e alla rete di produttori della Valle Stura Montagnam, qui
e qui
più dettagli), potete contattarli ai numeri
+39 3454107533, +39
3491216397 o all’indirizzo e-mail
fiorideimonticolombero@gmail.com.
Inoltre, li trovate su Facebook
e Instagram.
Transumanza
franco-italiana. 1° giorno:
Vacherie du Collet
(A)-Isola 2000 (B) passando per il Col Mercière; 2° giorno: Isola
2000 (B)-Vinadio (C)-Moiola (D) passando per il Colle della Lombarda,
nei pressi del santuario di Sant’Anna di Vinadio e al Baraccone (il
tratto da Vinadio a Moiola è in autotreno). La transumanza estiva
ripercorre al contrario lo stesso itinerario (con partenza a piedi
dal Baraccone).
Un grazie ad Aldo,
Andrea, Aurelio,
Barbara,
Federico, Franca, Martino, Nicola, Stefano e a tutti coloro che hanno
partecipato a questa transumanza transfrontaliera per avermi fatto
vivere questa bella transumanza transfrontaliera, con la speranza
di poter tornare presto a Mollières.
(10.10.20) La
transumanza dei bergamini, l'evento che - dopo 60 anni ha riportato una
mandria a percorre a piedi le strade della pianura lombarda, ha fermato
per due mesi Ruralpini. L'impegno per organizzare in tempi strettissimi
una manifestazione complessa non concedeva spazio per altre attività.
Ma ne è valsa la pena. Abbiano trovato calda accoglienza attraversando
13 comuni e suscitato entusiasmo. Nessun spirito nostalgico ma uno
spirito attualissimo di festa popolare itinerante e la
convinzione che per affrontare il futuro serve sapere da dove si viene
(21.05.20)
Lecco sfida Madrid e Marsiglia. Sabato 23 maggio, in mattinata,
passeranno dal centro di Lecco 3200 pecore dei pastori Galbusera,
dinastia (alla quinta generazione) di pastori brianzoli doc. Sono
diretti ai pascoli della Valsassina. E' la prima volta che i tre greggi
dei Galbusera effettuano la transumanza insieme. Uno spettacolo da non
perdere. Ma sapevate che a Lecco c'è la Via delle Pecore e che ...
(04.02.20)Alberto Delpero, dall'alta val di
Sole, dove è protagonista di una vicenda appassionata di "resistenza
scolastica", interviene sul tema del riconoscimento da parte
dell'Unesco della transumanza. Contestando il "mercato politico" Unesco
e l'ipocrisia di una "santificazione" di una realtà che, nei fatti,
viene ostacolata in ogni modo, dalla burocrazia, dalla politica, dal
mercato.