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[Nuova Riserva naturale in Valtellina]

 


L'istituzione della Riserva è stata legata al problema delle captazioni idroelettriche . Un precedente pericoloso.

Almeno in apparenza l'istituzione della Riserva della val di Mello (in Valmasino, valle del versante retico valtellinese) parrebbe godere di ampio consenso. Le forze politiche locali e regionali sono state unite nel sostenerla e il Consiglio Regionale l'ha approvata all'unanimità il 27 gennaio. Solo i cacciatori - rimasti isolati - hanno sollevato obiezioni in quanto, nella nuova Riserva (ben 4.600 ha!), la caccia è stata esclusa. Una bella vittoria per i nemici dell'attività venatoria che, viste fallire miseramente tutte le azioni referendarie per l'abolizione della caccia, hanno compreso che la via per ottenere lo scopo è quella dell'estensione a macchia di leopardo di una rete sempre più fitta di aree "protette" tanto da costituire una rete sempre più fitta in cui doppiette, sovrapposti e carabine siano rigorosamente esclusi. Questa strategia è affiancata ed integrata da quella della promozione attiva del ritorno dei grandi predatori: orso, lupo, lince che, in una visione molto viziata dall'ideologia della wilderness, ripristinerebbero - come per incanto - mitici "equilibri naturali". Non importa se, tolti di mezzo cacciatori, contadini, pastori, boscaioli (varietà della specie "nociva" homo alpinus) resteranno  altri e ben maggiori "disturbi antropici". I verdi non potrebbero portare avanti i loro programmi senza l'appoggio di quegli interessi che plaudono all'orso, ma vogliono le superstrade, la neve artificiale, la cementificazione . Ma gli interssi dell'industria idroelettrica, turistica, dei trasporti sono forti ed è meglio fare finta che la "natura incontaminata" sia contaminata da uno schioppo, da un contadino.

L'argomento della caccia (su cui torneremo tra breve) può aver mobilitato a favore della Riserva una parte dei cittadini (nel senso di "milanesi") che frequentano la valle, qualche alpinista, la sparuta pattuglia degli ambientalisti, ma non è stato quello decisivo.

A spingere per la Riserva, e a farvi aderire il comune di Valmasino, sono state due prospettive. La prima è quella solita: il business un po' drogato dei "finanzimenti verdi". E' palese che facciano gola i canali specifici di finanziamento (europeo, regionale) per le "aree protette" e l'"occhio di riguardo" con cui viene valutato qualsiasi progetto presentato dagli enti "verdi" (Parchi, Riserve ecc). Questi privilegi (di cui non godono certo le iniziative a contenuto verde-contadino) si traducono in un copioso indotto di "studi", "piani", "consulenze", "azioni divulgative e promozionali", "interventi naturalistici", "pubblicazioni", "DVD"). Alcune di queste spese aiuteranno la conoscenza, il rispetto e la "protezione della natura", ma siamo certi che rappresentino gli interventi più utili per far vivere la montagna? In ogni caso fanno girare soldi e creano , consolidano, allargano il consenso per la wilderness

La seconda ragione che ha spinto a favore della Riserva è rappresentata da un fattore che, nel caso specifico, può aver giocato un ruolo determinante: la prospettiva che, con l'istituzione della Riserva stessa, si allontanasse lo spettro dello sfruttamento idroelettrico intensivo. Quest' ultimo, con le sue captazioni, avrebbe messo a repentaglio più di un valore naturalistico e paesaggistico, in una valle incontestabilmente splendida dove cascate, rapide, pozze creano ambienti di grande bellezza.

Giusto salvare una "perla" come la val di Mello ma, se per evitare lo sfruttamento idroelettrico sistematico si deve fare appello alle "Riserve" e alla sussistenza di particolari condizioni di pregio naturalistico bla bla ... va a finire che le valli "normali", di serie B possono essere impunemente abbandonate al loro destino.

Gli ecologisti alpini (non quelli da salotto) da tempo denunciano come il nuovo sfruttamento della montagna ha per oggetto principalmente le risorse idriche. L'acqua è il petrolio del XXI secolo. Il sistema industriale (compresa l'agricoltura industrializzata) spreca enormi riserve idriche (comprese quelle accumulatesi in epoche geologiche). Non solo esaurisce le scorte di acqua potabile con gli usi smodati, ma anche inquinandole (basti pensare ai pesticidi!). Sorgente di energia rinnovabile o preziosa riserva per gli utilizzi agricoli e civili l'acqua sta per essere privatizzata e monopolizzata. Non ci si può limitare ad opporsi allo sfruttamento sistematico (che comporta corsi d'acqua a secco o, al più, con un "flusso minimo vitale" a stento tutelato dalla legge), alla monopolizzazione di una risorsa strategica, alla colonizzazione della montagna solo quando c'è di mezzo una "perla", un "monumento naturale", solo quando cè di mezzo una natura in technicolor da consumare quale fondale per i turisti (le famose alpi-playground, ovvero parco giochi e palestra sportiva per i cittadini).

 

Un'altra nota stonata

Suona un po' stonato anche che la Riserva riguardi per la metà un territorio di proprietà del Demanio regionale, gestito dall'ERSAF (Ente per i servizi all'agricoltura e foreste). In una fase di disimpegno dell'Ente dalla montagna (fortunatamente compensata dall'attivismo dell'IREALP) tutto questo fervore ambientalista dell' Ente può essere interpretato come un modo per "cavalcare l'onda" del "protezionismo ambientale" per portare ossigeno finanziario alle proprie casse. E' però discutibile che questo ente giustifichi il proprio automantenimento con attività di promozione e comunicazione (sempre più in chiave di wilderness) delle "bellezze ambientali" delle proprietà ad esso affidate in gestione, invece di fornire "servizi agricoli e forestali" a vantaggio del settore e del territorio, come da propria mission.

 

L'e "colpe" dei cacciatori.

La Riserva della Valmasino è stata istituita nelle intenzioni di molti per proteggere la "natura incontaminata" (che barba!) dallo sfruttamento idroelettrico e ... dalla caccia. Ora, prescindendo da altre considerazioni, la caccia è l'attività più antica esercitata dall'uomo alpino, che ha continuato ad esercitarla anche quando divenne pastore e agricolture. Nella società rurale tradizionale alpina la caccia ha rappresentata una importante integrazione proteica di una dieta povera di carni e non sempre ricca neppure di latticini. La caccia al camoscio è una delle attività tradizionali e trattarla in questo modo è profondamente ingiusto. detto questo, però, non si può non rimarcare come la posizione dei cacciatori, costretti sulla difensiva e poi isolati sia da attribuire almeno in parte alla miopia politica dei cacciatori.

A parte le divisioni croniche che contrappongono le diverse "specializzazioni" ma che spesso vedono su posizioni molto diverse i cacciatori di un comprensorio alpino di caccia rispetto a quelli di un altro, va detto chiaramente che sono ben poche le iniziative per contrastare con  azioni strategiche di pari respiro i disegni delle minoranze ambientaliste.

Oltre alla mancanza di respiro strategico e di coordinamento (che si traduce in un debole contrasto della proliferazione delle "aree protette" e della diffusione dei grandi predatori) manca ai cacciatori valtellinesi (come del resto alla maggior parte di quelli lombardi ed italiani), il senso di quella "alleanza per la campagna/montagna" che, in altri paesi, fa si che i cacciatori rappresentino una componente forte del fronte ruralista. Poi, però, a favore della caccia alla volpe, si è mobilitata mezza Inghilterra, consapevole che questa era una battaglia-simbolo della campagna contro l'imposizione da parte del mondo urbano delle sue visioni . Nulla di questo da noi dove, proprio in val di Mello, due anni fa i cacciatori sono stati in prima fila per "tenere fuori" un gregge di pecore. La mentalità di molti cacciatori non è diversa da quella degli ambientalisti; vogliono disporre di una "riserva di caccia" escludendo o limitando gli altri usi tradizionali. Per non essere sconfitti i cacciatori dovrebbero essere coerentemente e costantemente in prima fila nelle azioni contro la cementificazione, lo sfruttamento idroelettrcio invasivo e dovrebbero sostenere le ragioni di contadini e pastori. Per non rischiare di trovarsi isolati e sconfitti come in val di Mello

 

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