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(08.07.10)Fotoracconto: Alpe Andossi (SO)

Sulla stessa alpe stili di alpeggio diversi (pare un viaggio nel tempo). E poi il conflitto tra i discendenti degli alpigiani (ora 'vacanzieri') e gli alpeggiatori ('vecchio' e 'nuovo' stile). Quello che conta è che il bosco è stato fermato anche se '... tanta erba non è mangiata e ad agosto è gialla' vai a vedere

 

(04.08.11) All'Alpe Cavisciöla, tra 'integralisti' del Bitto storico e mucche O.B.

Un alpeggio della val Brembana dove si arriva solo a piedi, dove il latte si lavora in baite 'storiche'. È gestito da una giovane coppia unita dalla passione per l'alpeggio, lei casara 'fliglia d'arte', lui giovane ed orgoglioso caricatore d'alpe che ha fatto la gavetta,  fermo come una roccia sulle sue convinzioni. Propugnatore di una perfezionata arte del pascolamento e del ritorno alla Bruna alpina (O.B.). In alpe ci sono anche dei cascin ("pastorelli") di 14 e 12 anni, l' per imparare. Sembra una storia abilmente costruita per mitizzare una realtà. Ma è vera. Un invito caloroso a  tutti a farsi una bella camminata e ad andare a conoscere Alfio e Sonia che vi accoglieranno come amici anche se non vi conoscono. vai a vedere

 

(04.07.11) Decolla l'azionariato popolare per il Bitto storico

Vi spiego perché e come diventare paladini del Bitto storico sottoscrivendo   azioni della società Valli del Bitto, una spa etica che rappresenta il braccio commerciale dei 'ribelli del Bitto'.  La politica è sorda a certi temi? Dimostriamo che la partecipazione attiva, consapevole, può cambiare le cose e che oggi ci sono altri strumenti (la democrazia del cibo e del coproduttore) per 'fare da noi' senza aspettare (che sia troppo tardi). Il Bitto storico ha superato indenne una serie di dure prove (l'ultima è raccontata nel post precedente).

Ora ha bisogno di consolidarsi e svilupparsi, acquistando più prodotto dai soci per poter selezionare il fior fiore destinato all'invecchiamento. Lo può fare con i capitali di tanti microazionisti. Perché è una causa etica. leggi tutto

 

(03.07.11) Se questo non è un ribaltone (ancora guerra del Bitto)

Il sindaco di Gerola alta  si era molto offeso per le accuse di aver venduto la causa dei 'ribelli del Bitto' per accordi sottobanco in Comunità Montana. Era successo a settembre in occasione della Sagra del Bitto. Però i verbali del consiglio di amministrazione della Valli del Bitto spa (braccio commerciale dei ribelli) testimoniano il tentativo del sindaco Acquistapace di operare un vero e proprio 'colpo di stato'. Nel tentativo di riportare i ribelli all'ovile del Consorzio ufficiale Ctcb e di imporre a liberi cittadini, liberi casari, liberi alpeggiatori il diktat della cupola imprenditorial-istituzionale valtellinese leggi tutto

 

(17.06.11) Venezia. Il Bitto storico a Venezia in Campo San Bartolomeo

Nell'ambito delle manifestazioni per il 25° di Slow Food il Bitto storico sarà presente domani 18 giugno  in Campo San Bartolomeo (vicino a Rialto).  Il Presidio Slow Food del Bitto storico sarà all'interno della stand della Condotta Siver e sarà possibile conoscerlo attraverso le degustazioni. Un'occasione importante per tornare a far conoscere ai veneziani un formaggio ben conosciuto ai tempi della Repubblica  Veneta tramite gli scambi via Bergamo che portavano dalla città orobica lo zafferano (allora utilizzato per la produzione del Bitto ) fino agli alpeggi del Bitto mediante la comoda Via Priùla. Essa - realizzata per collegare Venezia al centro Europa -  saliva ai 2.000 m del Passo di S.Marco e serviva anche per portare a valle il Bitto sino a Bergamo e, di qui, a Venezia. leggi tutto

 

(08.06.11) Bitto: formaggio orobico

La sottolineatura dell'origine e identità orobica del Bitto non sono una provocazione. Il Bitto storico rilancia i legami con la Val Brembana e con la bergamasca  non solo e non tanto in polemica con una Valtellina che ha voluto inventare un 'nuovo Bitto', ma per fedeltà alla sua storia. In vista della prossima edizione di Cheese (Bra, 16-19 settembre), che celebrerà l'unione dei formaggi 'principi delle Orobie', pubblichiamo alcuni materiali che testimoniano la realtà secolare di un Bitto che ha per molto tempo gravitato sul versante bergamasco prima dell'affermazione del ruolo di Morbegno come 'capitale del Bitto'. Un ruolo che, tra una Dop che ha snaturato il Bitto, e un Mostra del Bitto fallimentare, non ha saputo conservare.  leggi tutto

 

(30.05.11) Parte l'azionariato popolare a sostegno del Bitto storico

L'aumento di capitale verrà formalizzato a settembre ma già sin d'ora è possibile versare un anticipo per opzionare azioni della Società valli del Bitto, il braccio commerciale del Consorzio del Bitto storico. É possibile sottoscrivere anche una sola zione del valore di 150 €. Vi spiego perché farlo. Perché vale la pena fare un investimento etico in una causa cristallina in un prodotto che rappresenta un'economia morale, ecologica storico-identitaria. leggi tutto

 

(08.05.11) Il Bitto storico guarda avanti

L'assemblea della Valli del Bitto spa, braccio commerciale dei 'ribelli del Bitto' è stata contrassegnata dall'approvazione all'unanimità di un bilancio che segna il raggiungimento del pareggio, l'aumento del fatturato e che consente di pensare a nuovi 'sogni' per l'immediato futuro. leggi tutto

 

(14.02.11) Entra nel vivo la campagna di Slow Food a favore del Bitto storico

Iniziative in varie parti d'Italia organizzate dalle condotte di Slow Food e arrivano gli ordini al Gruppo d'acquisto nazionale. Per avere a casa vostra lo 'storico' re dei formaggi d'alpeggio compilate il modulo è inviatelo come indicato nello stesso.

 

(23.11.10) Bitto storico: un'accademia del gusto ma anche di politica contadina

Il  santuario del Bitto storico a Gerola Alta (SO) esprime in modo esemplare il 'principio contadino' e la 'resistenza' teorizzati da Jan Douwe Van der Ploeg. Il ruralista olandese vede nei contadini del III millennio la forza in grado di contrastare la globalizzazione dell'Impero (agroalimentare). Egli contrappone la visibilità di produttori- persone all'anonimato dei non-luoghi e dei produttori 'invisibili', la grande qualità contro la mediocrità. Rivaluta le  'umili' pratiche apparentemente 'arcaiche' ('retro-innovazioni') che mettono in crisi il sistema 'globale'. Nella storia della resistenza del Bitto storico c'è tutto questo. È un punto di riferimento europeo della 'resistenza contadina' al quale non bisogna far mancate lil sostegno. leggi tutto

 

(05.10.10) I gendarmi del Bitto non fermano l'Unione delleOrobie casearie

Il 25 settembre a Branzi in alta Val Brembana (BG) è stata sancita la nascita di un'inedita forma di valorizzazione delle produzioni casearie: l'Unione dei formaggi Orobici. Ora emerge un retroscena: ll Consorzio Casera e Bitto DOP due giorni prima inviava una lettera in cui si diffidava di commettere violazioni di lesa DOP e si annunciava che sarebbero stati inviati degli 'ispettori' a sorvegliare la Fiera. Cose fuori dal mondo. leggi tutto

 

(21.09.10) Gerola (SO). Il Bitto storico prepara la secessione dalla Valtellina

Ormai è sicuro, la 97a Mostra del Bitto (storico) si terrà a Branzi, in alta Valle Brembana (tèra de Berghem). Una decisione che era già nell'aria ma che è ora definitiva, dopo quanto avvenuto domenica  a Gerola alta in occasione della Sagra del Bitto. Alla vigilia della Sagra la stampa locale ha annunciato con grande enfasi la notizia di un 'accordo sul Bitto' promosso dai comuni di Gerola e di Albaredo (che fino a pochi mesi fa si lanciavano reciprocamente velenose accuse). I produttori non erano stati neppure interpellati e la loro reazione a queste manovre è stata netta: si sono rifiutati di ritirare i tradizionali premi per i casari. Sul palco c'erano politici e anmministatori e 2 casari 'traditori' di Albaredo. Una situazione imbarazzante per Sertori, il presidente della provincia. 'Ci scusiamo con il presidente Sertori, non ce l'avevamo certamente con lui'. Questa la diichiarazione che ci ha rilasciato oggi Paolo Ciapparelli , presidente del Consorzio Bitto storico, che conferma che sabato a Branzi darà ufficcialmente l'annuncio del trasloco della Mostra del Bitto (storico) a Branzi.

leggi l'intervista a Paolo Ciapparelli

 

(16.03.10) Opportunismo in Valtellina

Ieri Roberto (Formigoni) era  in Valtellina dove, tra l'altro, ha incontrato i produttori agricoli e i rappresentanti dei Consorzi di tutela. Teleunica ha mandato più volte in onda un servizio sull'evento 'sovrapponendo' al tema delle  DOP locali le immagini dellacasera di Gerola alta, quella del Bitto storico 'ribelle', uscito per protesta dalla DOP. Ma come? Se il Bitto ribelle 'usurpa' la DOP, e lo bastonate con le sanzioni da decine di migliaia di euro, poi con che faccia tosta lo usate per promuovere il Bitto ufficiale? Abbiamo quindi scritto alla emittente per dire che ....  leggi tutto

 

(14.03.10) Il Bitto storico a 'Fa la cosa giusta' (Fiera Milano City-Porta Scarampo)

Il Bitto storico è a Milano a 'Fa la cosa giusta', la fiera del consumo solidale e sostenibile. Vi aspettiamo oggi e domani (domattina dibattito sul consumo etico del latte - vedi a fianco). Intanto ieri si è tenuto il confronto tra il Consorzio Dop e l'Associazione dei produttori storici moderato con competenza e equilibrio da Alberto Lupini direttore di Italia a Tavola e c'è stato un annuncio importante leggi tutto

 

(26.02.10) Dalla Val Grana alle Valli del Bitto: reti per la libertà alpina

Il numero di dicembre 2009 del periodico 'Coumboscuro' (della minoranza provenzale alpina in Italia) ha riportato diversi nostri interventi sul Bitto storico sotto il titolo quanto mai significativo: 'Bitto, un formaggio di libertà per le Alpi'. Lingue ('minoritarie' o 'non riconosciute'), culture ed economie identitarie del cibo sono entrambe espressioni di una libertà da affermare e difendere. Segni della crescita di un movimento per la libertà alpina che intreccia le reti culturalpine con la rete ruralpina. 

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(11.01.10) Sarà DOP ma ... non è Bitto

In ossequio al disciplinare della DOP il Bitto DOP dovrebbe essere contrassegnato da una pasta con: 'presenza di occhiatura rada ad occhio di pernice'. Ma l'uso estensivo dei fermenti selezionati che 'addomesticano' la lavorazione porta spesso a questo risultato. Intanto il formaggio degli alpeggi delle Valli del Bitto, fatto come una volta si faceva il Bitto, ... non si può chiamare Bitto per non 'usurpare' questo qua. Che Bitto non è.

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(06.12.09) Polpetta avvelenata per Zaia sul tema scottante del Bitto

Roma: 'le modifiche al disciplinare della Dop Bitto, tese a una maggiore puntualizzazione sulle tecniche produttive artigianali del formaggio e a una fotografia corretta della zona di produzione, sono la dimostrazione dell'attenzione dell'Unione Europea verso le "tipicita"e la qualita' agroalimentare del nostro Paese'. E' il commento (riportato dall'ANSA) del ministro Zaia all'approvazione delle modifiche da parte della Commissione Europea al disciplinare di produzione della Dop 'Bitto'. Dal momento che sono in gioco i mangimi (prima non consentiti, ora si) l'uscita del Ministro (laureato in produzioni animali) rappresenta la 'polpetta avvelenata' di 'suggeritori' che tradiscono la volontà della burocrazia romana di voler 'sputtanare' il ministro veneto dimostrando che non conosce quello di cui parla o non è competente. Oltretutto Zaia è laurato a Padova dove ...  leggi tutto

 

(29.11.09) Decisi a difendere un diritto storico inalienabile

I sostenitori del Bitto storico - con in testa il Comune di Gerola e Slow Food - si sono   riuniti con i produttori al Centro del Bitto di Gerola il 28 novembre. Tutti sono decisi a far conoscere le ragioni di una produzione storica e del territorio che l'ha espressa e a farne valere i diritti. (allegati all'articolo anche la mozione del Consiglio Comunale di Gerola e la Dichiarazione del Consiglio dei Governatori di Slow Food).leggi tutto

 

(17.11.09) Van de Sfroos ha ignorato l'appello in favore del Bitto storico: qualche considerazione

I produttori del Bitto storico avevano chiesto a Davide Van de Sfroos di dire una parola durante i concerti di Morbegno del 13 e 14.  L'appello, che era stato rilanciato anche da Paolo Marchi sulle colonne del Il Giornale, è caduto nel vuoto. Davide di solito sensibile alle cause 'sociali' è stato frenato dai suoi manager che hanno evidentemente fatto valere considerazioni di realpolitik ovvero di 'sensibilità' per gli interessi politici degli sponsor istituzionali.  Il Bitto, si sa, è un argomento scottante.

Intanto i 'trogloditi' e 'ribelli' del Bitto stanno preparando una grande campagna di informazione e di mobilitazione a sostegno del loro leggendario formaggio. Primo appuntamento al Centro del Bitto di Gerola alta sabato 28.

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(15.11.09) Morbegno (So). Parte la campagna per il Bitto storico

In occasione del concerto di Van de Sfroos a Morbegno del 14 novembre ha preso il via (con volantinaggio, cartelli di protesta e la presenza di alcune capre Orobiche di Valgerola) la campagna di informazione e di iniziative culturali e politiche a difesa del Bitto storico che la burocrazia e una certa politica vorrebbero mettere 'fuorilegge'. Pastori, capre, volantini e cartelli di protesta. Intanto si prepara la costituzione di un ampio Comitato leggi tutto

 

(11.11.09) Ruralpini si appella a Van de Sfroos per il Bitto storico

Van de Sfroos, il nostro Davide, il cantore ruralpino (la cultura laghée è pastorale, altro che barchette!), l'artista che ha tenuto mitici concerti in alpeggio facendo arrancare i Tir con le scene su per le mulattiere, sarà giusto Venerdì a Morbegno. Dall'Auditorium S.Antonio partirà il nuovo tour 'Van de Sfroos show' con uno spettacolo che è anche teatrale oltre che musicale. Il tutto anche in nome di quella cultura e identità per la quali si battono i  'ribelli del Bitto' e tutti noi che li sosteniamo. Potevamo perdere l'occasione di chiedere a Davide una testimonianza pro Bitto storico dopo le odiose sanzioni ministeriali che lo hanno colpito? No ovviamente. Allora leggi il testo dell'appello e se conosci Davide o qualcuno che gli è vicino fai in modo che lo legga e ci aiuti

 

(02.11.09) Valtellina (So). Poliziotti del gusto per imporre la burocrazia del gusto. Il Bitto 'storico' è fuorilegge

Il giorno 21, giusto due giorni dopo la conclusione della mostra del Bitto 'ufficiale', funzionari del MIPAAF si sono presentati al 'Centro del Bitto' (presidio Slow Food ed Ecomuseo risconosciuto dalla regione) per notificare due sanzioni (per un max di 60.000 €) per violazioni delle norme sulla Dop. I produttori 'storici', come è noto, sono usciti dalla Dop per non confondere il prodotto nato nelle loro valli e che essi continuano a produrre in modo tradizionale con il Bitto Dop 'modernizzato' fatto 'per legge' in tutta la Provincia (Foto Cheese Time). leggi tutto

 

 

 

(26.08.11) In alta valle Spluga (So) i non molti neo-imprenditori che praticano ancora l’alpeggio hanno adottato acriticamente  le "innovazioni". E le latterie sociali alpestri che raccolgono il loro latte si sono messe a produrre “Bitto”(?)

 

Quando l'alpeggio diventa appendice dei sistemi zoocaseari industrializzati

testo e foto di Michele Corti

 

Un commento che nasce per caso. È vero che ho appena finito di scrivere il libro  "Ribelli del Bitto" per Slow Food editore ( sarà presentato a Cheese il 17 settembre) ma - lo crediate o no - lo spunto di questa riflessione è stato offerto dall'aver calpestato del mangime 'seminato' sul ponte della val Loga, sui pascoli di Montespluga. mentre facevo quattro passi. Poi ho dato un'occhiata in giro. Nulla di premeditato (le foto - a parte alcune di repertorio - sono fatte con il telefonino). Poi qualche giorno dopo sono tornato a fare foto migliori, ma il mangime era sparito (sarà stata sufficiente la pioggia?).

 

Qualche giorno dopo ferragosto stavo passeggiando a Montespluga, località d’alpeggio a 1.900 sulla strada che sale al passo dello Spluga. Montespluga è dotata di ampi pascoli anche se, negli anni ’30 del secolo scorso, l’ampio “Pian de la cà”[1] venne invaso dalle acque del bacino idroelettrico.

 

Montespluga

 

Sul ponte di pietra della val Loga mi è capitato di calpestare del mangime “seminato” e lo ho fotografo con il telefonino. Poi, rientrando in “centro” passo davanti alla “Latteria agricola Montespluga” e vedo un grosso serbatoio “Frigo-Milk”. Alta foto e, inevitabilmente, non riesco a non pensare con disappunto che da questa Latteria, di proprietà del Consorzio d’alpeggio Montespluga - dove conferiscono parecchi soci – si fa “Bitto”. Un “Bitto”(?) prodotto con latte di svariati produttori che mungono a macchine (fin qui poco male) ma che - e questo comincia a non andare bene – lo pompato in grossi serbatoi montati sui pick-up e poi, arrivato a destinazione viene ripompato Viene un po’ di rabbia a pensare che il vero Bitto è stato multato dalla Repressione frodi per “abuso di denominazione protetta” perché – per protesta – i produttori storici erano usciti dalla Dop. Ma per tutelare cosa? Il “Bitto” come quello di Montespluga? Hai!

 

 

Nella foto sopra il mangime seminato sul ponte (sotto) della val Loga. Foto del 22 agosto

 

 

La val Loga vista dalla sponda opposta del bacino artificiale

 

Un'alpeggio un po' sui generis legato con un cordone ombelicale all'industria

 

Gli enti che si occupano di agricoltura usano spesso la retorica della “tradizione coniugata all’innovazione” [2]. Spesso una formula vuota abusata per giustificare ogni scempio. In realtà in alta Valle Spluga (Valchiavenna, provincia di Sondrio) la rottura con la tradizione è stata totale, certo più forte che altrove (almeno in provincia e in Lombardia) e l'alpeggio ha preso i contorni di una appendice un po' melanconica delle stalle con centinaia di Frisone alimentate a silomais (sotto) del Piano di Chiavenna. Un'appendice legata anche con uno stretto cordone ombelicale alla Latteria di Delebio (il "Polo bianco"della Valtellina e Valchiavenna). Eppure anche qui (dove pure c'era una grande tradizionedi ottimo burro e ottimo formaggio magro che si è buttata via), si è voluto fare Bitto Dop certificato dalla Unione Europea, per “fare i numeri”, per alimentare le “filiere lunghe”.

Qualcuno dirà: "ecco il solito ayatollah del gusto" (così, mi ha riferito un amico, sono etichettato in Valtellina e Valchiavenna dall'establishment). Un ayatollah che rompe le scatole e non capisce che senza 'innovazione' non c'è sostenibilità economica, non c'è reddito. Lui pensa solo alla 'poesia'. Dicono loro... Ma le cose stanno così o a qualcuno conviene farle apparire cosi?

 

Coltivazione di mais ceroso nel piano di Chiavenna

 

Il Gatto e la Volpe continuano a dire: "producete di più"

 

In realtà questi signori fanno finta - perché gli conviene - di non capire che quello che noi ruralisti sosteniamo (a dispetto di lorsignori industralisti, produttivisti) è che l'innovazione deve passare per una 'selezione dal basso' che consenta ai produttori agricoli di discernere ciò che è nel loro interesse da quello che rappresenta solo una trappola dell'agroindustria. Una ‘selezione’ dell’innovazione che consenta loro di mantenere il controllo sulle conoscenze e sulle filiere di approvvigionamento e di vendita. Che consenta anche di non buttare via il bambino con l'acqua sporca e di far proprie e ‘interiorizzare’ solo quelle innovazioni che possono innestarsi su sistemi socio-tecnici tradizionali (che hanno saputo nel tempo fare tesoro delle risorse e specificità locali, umane e ambientali). E poi chi ha detto che l'innovazione è solo tecnologica? La grande innovazione degli ultimi anni è stato scoprire che, con innovazioni commerciali, le tecniche di produzione, più che sostenibili, già ritenute obsolete (alla luce di parametri 'standard') tornavano nel mercato.

Il Gatto e la Volpe hanno sempre detto "producete tanto". Non suggeriscono certo di produrre i prodotti ciò che renda i produttori indipendenti e garantisca loro un reddito duraturo, al riparo - per quanto possibile - dalle incertezze di mercati in balia della globalizzazione. Il Gatto e la Volpe (manager, politici, tecnici, burocrati degli enti pubblici e provati) preferiscono dipingere chi contesta la 'modernizzazione' acritica e subalterna come qualcuno che per una sua stravaganza o chissà quali obliqui fini vuole far ripiombare i produttori agricoli nella miseria. Il Gatto e la Volpe inducono ad adottare stili produttivi che rendono i produttori non solo economicamente ma anche culturalmente e psicologicamente irrimediabilmente legati al sistema. Mica scemi.

In realtà ci si dimentica sempre, quando si parla dei progressi, che molte aziende e molti produttori non sono lì a dire la loro per il semplice motivo che li hanno fatti chiudere. È una storia vecchia: gli sfruttatori dei contadini si sono erti sempre a loro paterni e solleciti 'protettori' mettendoli in guardia contro i 'sobillatori'.

 

Il  dispositivo (poco) mobile di mungitura presso cui ho fotografato il mangime 'seminato'.  Sullo sfondo una parte delle tante (ex)cascine di Montespluga, oggi molto ingrandite rispetto a quelle del passato ed utilizzate anche da chi non ha più bestiame.

 

I sacchi di mangime all'interno del' 'dispositivo' si tratta di mangime 'finito', come quello seminato.

 

Avvicinandoci notiamo anche di che tipo di mangime si tratta: GIM, Gruppo Italiano Mangimi. Mangime per bovini da latte. le foto provano che a Montespluga si utilizza mangime per l'integrazione delle vacche da latte e siccome il latte va alla Latteria di Montespluga che fa "Bitto" le consclusioni sono facili da trarre.

 

 

 

Era realmente una realtà di miseria

 

"Volete tornate alla miseria" è l'anatema lanciato dal Gatto e la Volpe. Forse, però, verso la miseria ci si sta  sta tornando seguendo le  prediche dei loro 'principali': sulla inevitabilità della globalizzazione, della crescita del Pil, sulla necessità di introdurre sempre più tecnologia, specializzazione, il super-produttivismo. Sulla necessità di inseguire i gusti del consumatore (così inseguendoli spingi l'asticella sempre più giù e poi ti tocca rincorrerli ancora al ribasso in un circolo vizioso senza fine). Quelli che accusano l’autore di questi “graffiti” (e chi la pensa allo stesso modo) di "volere la miseria" forse – almeno nel caso dei rampanti neo-imprenditori nati negli anni ’70 - non l'hanno mai conosciuta,  nati in un epoca i cui anche in montagna ai bagaj (bambini) davano gli omogenizzati e poi il latte "del cartone" UHT perché "più igienico" (succede ancora che il “contadino” che munge il suo latte apra i frigo e mostri il latte con il cartone acquistato all’Iper).

La realtà dell'alpeggio dell'alta valle Spluga (detta anche val S. Giacomo dalla prima chiesa battesimale della valle ) la conosco da tantissimo tempo, da prima che il  "grande cambiamento" degli anni '60-'70 (sociale, economico e antropologico) fosse concluso. Nonostante trasmettessero una sensazione di profonda miseria, (palpabile nel modo di vestire, nella sporcizia), la passione per gli alpeggi mi è nata - molto precocemente - proprio qui. A cavallo tra gli anni '60 e '70 erano ancora caricati alpeggi che oggi sarebbe impensabile utilizzare: senza un pianello, con piccole chiazze erbose tra le rocce, abbarbicati alla montagna. In pochi posti come la valle Spluga gli alpeggi sono stati abbandonati. Ma anche gli alpeggi comodi dell’alta valle, con  zone di prato falciabile, con pendenze modeste come quelli di Andossi, Teggiate e Montespluga non erano ‘facili’. La loro colonizzazione era superintensiva, ci si rubava l’erba (le ‘vaccate’). Quando da ragazzo rientravo dal passo Spluga da gite in Svizzera con i genitori mi veniva il magone a vedere le catapecchie che segnavano il rientro in Italia. Allo Spluga il confronto è netto perché di là ci sono Walsergermanofoni con le case di legno linde, grandi, con i prati pettinati.

Qui, in alta valle Spluga, non esistono gli alpeggi 'unitari'  e nemmeno gli 'alpeggi a villaggio' (per le tipologie di alpeggio mi permetto di rinviare a alla “storia degli alpeggi) nella sezione alpeggi del mio sito www.ruralpini.it). La miriade di cascine della gente che dal Piano di Chiavenna, di Spagna, di Colico saliva ad alpeggiare era addensata in piccoli nuclei in mezzo al pascolo e in prossimità dei prati da sfalcio (il fatto che siamo a 1.700-1.900 m non deve far pensare che non si praticasse la fienagione). La quota di pascolo comune (appartenente ai Consorzi che rappresentano una proprietà indivisa composta da quote di diritto di pascolo)  e di prato di ciascuna famiglia era modesta. Serviva per l'alimentazione di un numero ridottissimo di vaccherelle, giusto quel tanto per garantire un'economia di sussistenza anche attraverso la vendita del burro e - se avanzava dall'esigenze di autoconsumo -  anche di un po' di formaggio magro. Una di queste piccole cascine, non manomessa nella tipologia tradizionale in quanto abbandonata, è illustrata nella foto sotto.

 

 

 

Oggi i pochi neo-imprenditori zootecnici che caricano il bestiame (la maggior parte delle baite sono utilizzate dai discendenti dei vecchi alpigiani per trascorrervi le vacanze) sono tra i più modernisti della provincia di Sondrio se non della Lombardia. Sottolineo neo-imprenditori perché la loro traiettoria di modernizzazione è stata compiuta a tappe forzate, favorita dal fatto che la miriade di ex-famiglie contadine attraverso il frontalierato, il posto fisso privilegiato nell’Enel ecc. hanno preso altre strade. Altrove, dove l'alpeggio era un fatto imprenditoriale da secoli (guarda caso le aree storiche del Bitto), il cambiamento è stato più graduale, la frenesia modernista è stata calibrata, negoziata. Qui c'è stato un crollo verticale e i tanti micro-alpeggiatori hanno lasciato un vuoto solo in parte colmato (basta vedere quanti prati degli Andossi non sono né segati né mangiati, per non parlare di begli alpeggi abbandonati o sotto caricati come in val Febbraro). A fianco dei nuovi 'grossi' che si sono buttati a capofitto nella modernizzazione, nella meccanizzazione sopravvivono dei tradizionalisti, anziani con poche vacche che non mollerebbero mai perché per loro l’alpeggio è un modo di vivere, è la vita. Però il 'sistema' nel complesso ha perso colpi come dimostrano i prati-pascoli degli Andossi nè segati nè mangiati.

 

Prati pascoli non utilizzati come si può ben notare dalle poche chiazze verdi. La parcellizzazione fondiaria della parte 'segatizia', fatta di tantissime parcelle di piccole dimensioni (a differenza dei centinaia di ettari indivisi di pascolo) impedisce lo sfruttamento di queste superfici facilmente raggiungibili dalla strada e a modesta pendenza

 

Certo è più facile aumentare esponenzialmente i volumi di latte prodotto e i cavalli delle trattrici che sedimentare, 'digerire' una nuova cultura di produzione agricola e zootecnica. Certi esempi di 'edilizia zootecnica' la dicono lunga sulla 'doppia velocità' con la quale procedono i processi culturali e quelli tecno-economici.

 

 

Povero Bitto!

 

Il contesto dell'alta valle Spluga con questi presupposti zoocaseari, fondiari, antropologici era l'ideale per il trapianto del 'nuovo Bitto' che venne “insegnato” da “casari pellegrini” reclutati nelle valli del Bitto e inviati dalle istituzioni a diffondere la lieta novella: facimus Bittum. Così le latterie dei consorzi d'alpeggio, quella di Teggiate e quella di Montespuga  si sono messe a fare Bitto a manetta. "Produciamo più noi che tutti gli alpeggi del Bitto 'purista' e ribelle delle valli del Bitto".

 

La latteria di Montespluga

 

La latteria di Teggiate

 

Lo spaccio della latteria di Teggiate. all'insegna il consumatore si aspetterebbe che i 'formaggi tipici' sono prodotti dalla latteria stessa, così come il burro. In realtà qui si fa solo "Bitto" (e ricotta)

 

È questa un'argomentazione che viene fatta valere spesso per chiudere le bocca ai difensori del Bitto, quello storico, l’unico autentico che rappresenta una come perla del caseificio alpino. Qui in alta valle Spluga, come abbiamo visto, erano abituati ad un alpeggio di sopravvivenza, ma inevitabilmente intriso di individualismo; certi valori è comprensibile che facciano fatica a comprenderli. Fanno fatica a capire che una denominazione coincide con un capitale di qualità e reputazione sedimentato nel tempo. Fanno prima a capire “i numeri”, la meccanica un po’ semplificata del fatto produttivo ridotto ideologicamente e strumentalmente (dal Gatto e la Volpe) a puro fatto tecnico. Ai neo-imprenditori, tutti gasati per le innovazioni (e senza tradizione imprenditoriale consolidata), interessa(va) il fatto che “chiamandolo Bitto”,  grazie al riconoscimento burocratico del marchio del consorzio e la benedizione dell'Unione Europea, si potesse spuntare qualche euro in più al kg. La forza di un marchietto (e di una ruffiana etichetta rossa che ammicca ai calecc della Valgerola, che qui sono ovviamente mai esistiti). Spingendo l'accelleratore della produzione,  consentendo di usare mangimi e fermenti e di fare quello che fanno a Teggiate e Montespluga la qualità del Bitto è calata. Certo c’è una forbice notevole di prezzo (da 8 a 16 € per il prodotto fresco a fine alpeggio), ma la produzione “di massa” di alcuni alpeggi (pensiamo anche alla val di Lei, sempre in Valchiavenna) ha spinto in giù il prezzo medio e limato anche le eccellenze (la moneta cattiva scaccia quella buona anche se il falsario, intanto, ci guadagna).

L’esito delle strategie alla “fatene tanto, ci vogliono i numeri” hanno portato a una certa disaffezione negli ultimi anni per il Bitto, la soluzione che avrebbe dovuto sostenere l’alpeggio in tutta la provincia.  Anche in valle Spluga si sta ritornando a rispolverare (spesso strumentalmente) vecchie denominazioni (la "Magnocca" si può confondere con il Cheddar) o , in qualche alpeggio, sottoposto ai controlli, a fare formaggio grasso senza pretesa di chiamarlo Bitto (così puoi ‘andare giù’ col mangime senza nessun limite).

 

 

 

Ma come si fa concretamente il "Bitto" qui?

  

Innanzitutto va detto che qui mangimi e Frisona si utilizzano da un pezzo; il mangime ben prima del 2006, quando è stato autorizzato ufficialmente dal Ministero (che aveva approvato le modifiche del disciplinare di produzione). La Frisona è tanta perché nel fondovalle le stalle e l'alimentazione sono di tipopadano. Niente di male - si fa per dire - perché il disciplinare del Bitto (che, tra quelli delle Dop, tocca i vertici dell'ipocrisia semantica) dice che si possono utilizzare le 'razze tradizionali'. E la Frisona e i suoi incroci sono 'tradizionali'. Capito?

 

A Montespluga prevale la Frisona con mandrie compattamente bianco e nero. Stazionano preferibilmente nella parte bassa della val Loga, quella prospiciente il lago.  Queste della foto si sono spostate con largo anticipo per la mungitura. Sono lì ferme ad aspsttare il mangime. Alcune, più ìavide' pascolano ancora un po' senza grande foga. Ci penserà il mangime a riempirele

 

 

La vacca sotto è stata la prima a staccarsi dalla madria e a dirigersi verso la zona di attesa di mungitura. Incedeva con fare incerto e barcollante come quando vedi le macchine da latte nelle fabbriche del latte. Qui non ci sono pavimenti scivolosi, grigliati, batturi di cemento. Eppure la locomozione è compromessa...

 

 

 

Il mangime, dicevamo, qui si usa da un pezzo. C'è la strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga che ci pensa a far arrivare comodi i camion (giusto qualche tornante).

Quando facciamo riferimento - quale esempio negativo - al 'Bitto di Montespluga', però, intendiamo anche altre cose. Primo il trattamento del latte, poi la miscelazione di quello di una dozzina di produttori, poi una lavorazione che - dati i volumi - non può che distaccarsi dalle manualità tradizionali. Quanto alla manipolazione tutti mungono a macchina (fin qui niente di male); il problema però è che, per agevolare la manipolazione delle consistenti quantità di latte (sono mucche piuttosto 'spinte' anche in alpeggio), si è adottato da parte di tutti i produttori il sistema del pompaggio in un grosso serbatoio montato sui pick-up.

 

 

Poi il latte fa il suo viaggetto e viene ripompato in latteria. Roba da far inorridire i vecchi casari (ma anche i tecnici di vecchia scuola) che predicavano l'importanza, per la produzione del Bitto, di evitare al latte 'strapazzi'. Poi speriamo che non sia refrigerato nel grosso Frigo-Milk qui sotto.

 

 

"Chi vi obbliga a fare Bitto?"

 

Di certo sapendo che la qualità del formaggio (a prescindere dall'abilità e scrupolosità del casaro) dipende solo in minima parte dal tuo latte - che è solo una frazione di quello lavorato - non c'è certo quell'attenzione che - nella produzione del vero Bitto - parte dall'erba, da un attento regime di pascolo, dalle attenzioni agli animali e al latte una volta munto. Chi te lo fa fare?

In queste condizioni si può produrre un prodotto tra il mediocre e il discreto (come ha sentenziato Paolo Marchi) ma non Bitto che, per definizione, è il frutto di una lavorazione che presuppone latte caseificato immediatamente. "Perché insistete a fare Bitto se poi vi lamentate anche che non ve lo pagano bene?". È quello che continuano a dire i produttori storici ai loro colleghi. Però quelli da quell'orecchio non ci sentono.

 

 

Non c'è in assoluto - anche a 1.900 m - niente di così perverso nel consegnare il latte ad un unico caseificio che mescola il latte di più produttori. In Svizzera molto spesso fanno questo e anche di peggio: termizzano anche il latte d'alpeggio, pompano le cagliate e altre 'diavolerie'. Niente di perverso, ripeto. La perversione è nel fare un formaggio in qual modo lì e chiamarlo Bitto o qualcosa di nobile che non andrebbe oltraggiato.

In questo contesto industrializzato che si usino mangimi e fermenti è ovvio e, a questo punto, quasi  indifferente. Con la precisazione che il nuovo disciplinare del Bitto ammette mais, soia ecc., ma non mangime finito come quello che io ho visto seminato per strada vicino ad una postazione di mungitura. Però io non sono un "detective del gusto" e non mi interessa indagare più di tanto. C'è il Csqa che certifica. No?

 

 

Strani flussi materiali e virtuali di scarti, prodotti finiti, semilavorati: l'alpeggio come reparto esterno dell'industria

 

In tutto questo, però, non c'è (solo) la polemica contro gli espropriatori delle denominazioni sancite dalla storia e dalla tradizione. È chiaro che chi non difende una propria tradizione ma sfrutta una royalties fa così. Sfrutta la royalties di cui è stato miracolato dalla politica. Finché la va… Sbaglia di grosso, invece, chi ha lasciato (e lascia) che un patrimonio caseario nobile venga sputtanato: la Regione Lombardia, il Ministero, la Commissione Europea.

In questa sede mi preme però evidenziare le conseguenze 'sistemiche' (meno immediate) dell’esproprio di una tipicità adattata ad un modernismo acritico.

Dicevo all'inizio che l'alpeggio (brutto) che si fa in alta valle Sluga è l'appendice delle stalle simil-padane del fondovalle e della Latteria di Delebio, sempre più vicina a diventare il "Polo bianco" della provincia (facendo finta di non conoscere le ‘magnifiche sorti’ del Polo Bianco trentino).

Le vacche sono ad alta produzione e l'alpeggio va adattato alle loro esigenze di macchine da latte (si torna al mangime finito sparso per strada), ma non c'è solo quello.

Molti produttori che in inverno conferiscono il latte a Delebio salgono ancora in estate a Montespluga e Teggiate e conferiscono a queste latterie sociali d'alpeggio parecchio latte. Esso sono così  diventate succursali - reparto esternalizzato - del grande caseificio industriale. In che cosa consiste questo rapporto? In uno 'scambio' incrociato strettissimo. Intanto acquisto di Bitto da parte di Delebio  (dove se ne fa tanto bisogna ricorrere ai grossi canali e Delebio porta il Bitto nella GDO). Poi, però, negli spacci delle latterie alpestri si vedono formaggi prodotti a Delebio (a 55 km di distanza) e burro.

 

Formaggi tipici, burro

 

I turisti, attirati dal cartello "Formaggi tipici, burro" esposto davanti alla Latteria di Teggiate (Carden),  si aspettano forse che sia d'alpeggio. Nessuno tenta di ingannarli, intendiamioci. Appena ho chiesto  "avete il burro?" una ragazzina mi risponde subito, pronta e decisa: "sì ma solo quallo pastorizzato", anche sui 'formaggi tipici' esposti nel banco frigo mi previene: "qui si fa solo Bitto, tutti quelli che vede sono pastorizzati". Non dice "industriali" (non pretendiamo troppo) ma non dice nemmeno che sono fatti molto distante in una grande latteria industriale. Poi c'è un particolare poco simpatico.  Tutti i formaggi della Latteria di Delebio esposti in vendita sono senza etichette. Quelle belle confezioni e etichette ammicanti e ruffiane da Mulino bianco non sono state apposte e i vari formaggi, "Piattone", "Matusc", "Magnocca" ecc. ecc. hanno assunto un aspetto molto 'nostrano' coperti da una muffa grigia d'ordinanza che è probabilmente il frutto di un 'passaggio' nella cantina del caseificio qui in montagna. Nulla tranne la carta del burro (che non si può togliere) ci dice che siamo in una depandance della Latteria di Delebio. Però quando i pezzi di formaggio e mascherpa acquistati sono impeccabilmente incartati da mani professionali e non 'alpigiane' con la carta della latteria di Delebio e vi viene apposto lo scontrino casa 'madre' ci rendiamo conto che qui funziona proprio come un reparto staccato, con personale e gestione del Polo industriale. Quindi in una logica di divisione del lavoro che, come in fondovalle, spinge l'alpigiano a pensare a mungere e basta. Che a gestire la latteria e la commercializzazione ci pensa, anche qui, mamma latteria industriale. Potrebbe anche essere una soluzione. Non per produrre Bitto, però.

 

 

Ma torniamo al burro che era il vanto della produzione di qui, Quei panetti di burro pastorizzato incartati e impilati in armadio frigo come al supermercato  per gli anziani alpeggiatori sopravissuti rappersentano un insulto feroce. Non se ne capacitano, si incazzano. Riporto quanto scritto lo scorso anno [3] quando riferivo di un colloquio con un'anziana che gestisce ancora un po' di mucche da latte sugli Andossi.

 

... L'alpeggiatrice non risparmia critiche nemmeno ai caseifici 'sociali' d'alpeggio che operano in zona (Latteria di Teggiate e Latteria di Montespluga) raccogliendo la maggior parte del latte delle Alpi Andossi e Montespluga. 'Ma come si fa in alpeggio ad avere da vendere il burro della Latteria di Delebio?' La Latteria di Delebio per chi non lo sapesse è il più grande caseificio della provincia di Sondrio - paradigma valtellinese del caseificio industriale - e la 'scandalosa' mancanza di burro si deve al fatto che entrambe le latterie sono dedite, da quando c'è la Dop, alla produzione di 'formaggio grasso' (la signora, ho fatto attenzione, non dice mai 'Bitto' perché da alpeggiatrice all'antica, pur essendo molto giovanile,  considera il 'Bitto' solo quello prodotto della Valgerola).

 

Il cordone ombelicale tra il caseificio industriale e le latterie sociali alpestri (di fatto reparti della grande latteria industriale) è talmente stretto che a storia il siero prodotto a Montespluga e Teggiate  'viaggerebbe' sino alla latteria di Delebio (a 55 km, di cui 30 di montagna, ma chi ci crede ?). La cronaca che segue è tratta dal quotidiano locale La Provincia di Sondrio [4].

 

Smaltire il siero derivante dalla produzione del formaggio in alta Valle Spluga. Tema decisamente delicato quello posto dalle latterie e dai produttori di formaggio di Monte Spluga e degli alpeggi del territorio del comune di Madesimo all’amministrazione comunale. La zona è una delle più importanti per quanto riguarda il settore caseario in valle, ma è anche, per ovvi motivi, una delle più problematiche. [… ] Il rischio, insomma, è che visti i costi non proprio limitati del trasporto dello stesso verso il fondovalle, e in particolare verso Delebio, a qualcuno venga voglia di fare il furbo e scaricarlo nel lago o nei torrenti. «Il problema esiste - spiega il sindaco Masanti - e l’intervento per la realizzazione di un mini-depuratore da parte della latteria di Montespluga non sembra sufficiente a risolverlo. Si tratta di quantitativi di siero non indifferenti, che i produttori sono costretti a spostare con un aggravio di costi notevole. Il rischio che a qualcuno venga in mente di smaltirlo in modo non appropriato oggettivamente c’è». Per rendersi conto della portata del fenomeno basta considerare che circa il 90% del latte utilizzato per la produzione del formaggio diventa siero. Questo ha un costo di smaltimento di circa 6 euro al metro cubo, senza considerare il trasporto. [… ] L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di realizzare un depuratore ad hoc di misura adeguata per le necessità della zona: «Si tratta di un intervento stimabile in alcune decine di migliaia di euro - spiega Masanti - che oggettivamente il comune di Madesimo non può affrontare da solo. Il problema, inoltre, non è strettamente locale, specifico del territorio di Madesimo. Praticamente tutti gli alpigiani della zona provengono da altri comuni, specialmente dal fondovalle. E’ un problema che crediamo comprensoriale e, per questo, speriamo che la Comunità Montana dimostri sensibilità nel volerlo affrontare assieme».

 

Il problema non è stato risolto ovviamente. Mentre negli alpeggi 'veri' a filiera corta oltre che a cercare di produrre ricotta si stanno facendo tornare i maiali, e il siero viene loro riservato trasformandosi in ottime carni e grasso, qui la voglia di lavorare quantità di latte 'da pianura' impedisce qualsiasi soluzione di riciclo. Sono le rigidità dei sistemi industrializzati in contesti difficilmente piegabili alla logica industriale, che fanno emergere la pochezza della rozza cultura delle 'economie di scala'. Una logica, e una prassi, che creano costi dove non c’erano, rifiuti dove c’erano risorse. Una logica, però, che continua a  trionfare perché conviene a chi ha potere. Dal mio punto di vista tutto dipende da quel rapporto distorto con la modernizzazione,a sua volta legato a un passaggio brusco dall'economia di sopravvivenza alle sirene della 'imprenditorialità agricola' (subalterna – beninteso - agli interessi industriali, commerciali e politici delle èlites locali e non).

Note

[1] La “cà” era la “Casa della Montagna” che in secoli passati, quando il passo era uno dei più importanti delle Alpi, accoglieva i viaggiatori e serviva da stazione di cambio (sorgeva dove oggi c’è l’albergo Vittoria) torna su

[2] Vedi:  Regione Lombardia - Direzione Generale AgricolturaBitto e Valtellina Casera Dop: Tipicità ed innovazione, Quaderni della ricerca N.132 - Giugno 2011. A cura di: - Consorzio Tutela Valtellina Casera e Bitto - CNR-ISPA Sezione di Milano - CRA-FLC Settore lattiero-caseario di Lodi  - Fondazioni Fojanini di Studi Superiori di Sondrio. torna su

[4] Siero da smaltire, un bel problema. La Provincia di Sondrio, 28 Settembre 2009. (http://www.laprovinciadisondrio.it/stories/Cronaca/168209/) torna su

 

 

 

           

 

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