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farina di estrazione (con esano) di soia, vero e proprio 'pilastro' dell'industria mangimistica

Coltivazione di soia in Argentina

Continua l'erosione del Chaco in Argentina

 

 

 

Il ricorso sempre più largo alla soia GM di origine sudamericana pone problemi etici molto seri agli utilizzatori europei (mangimisti, allevatori, consumatori)

 

Le nostre bistecche e i nostri latticini, prodotti con i mangimi, sono responsabili di impatti ambientali e sociali devastanti in Sud America

 

di Michele Corti

 

L'industria mangimistica europea è 'affamata' di soia; quella italiana in particolare ha un fabbisogno di 4 milioni di tonnellate. Dopo la crisi della 'vacca pazza' e il conseguente bando delle farine animali l'uso della soia è aumentato, con il risultato che all'Europa manca il ... 75% delle proteine per l'alimentazione animale. Questo deficit, incoraggiato storicamente dagli 'accordi sul libero comemrcio internazionale (sin dai tempi del GATT), deve venir colmato con l'importazione da oltreoceano. A parte la movimentazione di masse enormi di merci su lunghe distanza (con tutti i costi energetici relativi) questo squilibrio significa immissione negli agroecosistemi europei di enormi quantità di azoto dall'esterno, con conseguente eccessivo accumulo nel terreno agrario, lisciviazione ed inquinamento delle acque di falda -da nitrati-, emissioni in atmosfera ( 'piogge acide' - da ammoniaca - ed effetto serra - da biossido di azoto). Al 'deficit proteico' corrisponde la 'specializzazione' europea nella monocoltura cerealicola (mais, in primis) causa di un'altra serie di impatti ambientali negativi.

 

Ma le conseguenze più devastanti sull'ambiente (con effetti sullo stesso clima del pianeta l'esaurimento delle riserve di acqua dolce e dei serbatoi di biodiversità) si hanno in Sud America. Il 95% della soia che utilizziamo in Italia è di importazione e il 95% di quella di importazione viene da tre paesi: Argentina, Brasile e Paraguay. Quanto alla presenza di OGM mettiamoci pure il cuore in pace (si fa per dire). In Argentina la soia è al 100% GM, in Brasile al 70% (grazie alla resistenza anti-OGM dello stato del Parana). Nel sistema soia ciò determina un ruolo preponderante di una sola multinazionale: la Monsanto (pesticidi) che ha 'lanciato' la soia GM resistente all'erbicida Roundup (glifosate) da essa stessa prodotto. Se poi si considera il sistema di produzione, trasformazione, commercializzazione della soia si vede come esso sia dominato da un pugno di multinazionali con in testa la Cargill (USA) seguita da ADM (USA), Bunge (USA), Dreyfus (Francia), Maggi (Brasile). Maggi controlla il 20% delle superfici a soia del Mato Grosso e Blairo Maggi è stato per diversi anni (sino al 2008) Governatore dello stato.

Già questa concentrazione la dice lunga sul peso politico di un 'sistema mondiale soia' e sulla sua capacità di resistere alle pressioni contro i suoi aspetti di insostenibilità ambientale e sociale e di 'intossicare', o quantomeno condizionare pesantemente, gli ambiti di decisione politica ed economica (e 'frenare' alternative ecosocialmente sostenibili).

 

All'accusa di 'deforestare l'Amazzonia' gli attori del sistema soia rispondono sdegnati che la soia occupa terre già degradate dai rancheros (produzione estensiva di carne) e che grazie alla capacità azotofissatrice della coltura, essa migliora e salvaguarda i terreni.

In realtà anche se la coltivazione della soia intacca solo marginalmente la foresta amazzonica in modo diretto (in Paraguay e Brasile), essa è comunque responsabile della sua erosione a causa dello 'slittamento' dei rancheros. Questi ultimi non escono di scena, lasciano alla soia le terre già sfruttate e procedono a disboscare. Maggi (Lula permettendo) ha proseguito nella realizzazzione di tracciati stradali che penetrano profondamente nella foresta tropicale al fine di favorire l'estrazione di risorse e la trasfromazione agricola. Le forze politiche brasiliane non nascondono la volontà di voler continuare a deforestare e, ultimamente, hanno anche addotto motivazioni 'umanitarie' ('bisogna sfamare il pianeta'). In ogni caso nel Mato Grosso la soia avanza a spese della savana e all'interfaccia tra savana e foresta. Ma l'impatto della soia sui sistemi forestali è ancora più evidente in Argentina dove la coltura divora le foreste semitropicali delle Yungtas e, soprattutto, del Chaco (la seconda area forestale continentale e vero e proprio tesoro di biodiversità). Nel Mato Grosso, poi, la soia sta determinando l'utilizzo di acque attinte in profondità, a scapito della più grande riserva di acqua dolce del pianeta. Se è vero che la soia non è così 'ingorda' di acqua come il mais è anche vero che è molto suscettibile agli stress idrici. Se le stagioni decorrono regolarmente è possibile far coincidere fabbisogni idrici con la stagione delle piogge, ma se vi sono decorsi irregolari e se il clima cambia in peggio ... Quanto agli erbicidi non sono le poche le voci che indicano che con l'uso della soia GM le 'spruzzate' sono tutt'altro che diminuite.

In paesi dove la tutela dei lavoratori è precaria ciò significa danni non solo per l'ambiente ma anche per la salute degli addetti. Ciò non dovrebbe sorprendere in un contesto dove le fazendas non esitano a ricorrere al lavoro dei nuovi schiavi (migliaia di casi denunciati ogni anno) o di semi schiavi. Di certo gli schiavi hanno contribuito e contribuiscono al lavoro di trasformazione dei pascoli in piantagioni di soia. Quanto agli aspetti sociali inquietanti va poi ricordato che in Paraguay la soia avanza non solo a spese di pascoli e foresta, ma anche di terreni già coltivati a riso, mais e altri legumi nell'ambito di un'agricoltura contadina. I campesinos sono stati costretti a vendere (con quali mezzi è facile immaginare visto che da quelle parti se i potenti non ottengono quello che vogliono con le buone ....) e a trasferirsi nelle favelas cittadine. Un bel progresso sociale.

 

Torniamo a noi. Quando mangiamo una bistecca, una salamella, un petto di pollo o un pezzo di formaggio riflettiamo che c'è voluta una bella quantità di soia GM sudamericana per produrli. Esenti da questa ombra sono solo gli alimenti biologici e quelli dei contadini-allevatori (che usano solo fieno e alimenti tradizionali come crusca, 'pannello' di lino ed eventualmente un po' di mais ed orzo) o dei pastori (che usano il pascolo).

Un motivo etico in più per ridurre il consumo di prodotti animali e di operare una più accorta selezione del cibo che mangiamo. Non ci sono molti alibi morali per chi - più o meno consapevolmente - continua ad ingozzarsi di carne e altri prodotti animali a basso prezzo (a scapito della propria salute, oltretutto). La differenza del  'conto', ricordiamoci, la pagano i nostri fratelli meno fortunati e ... il pianeta.

 

pagine visitate dal 21.11.08

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