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Commenti/Crisi del latte

  

 

 

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(11.09.09) Di fronte al fiume di latte a basso costo che invade i mercati europei si riccorre all'ammasso di burro, latte in polvere e, forse, dei (soliti) formaggi.

 

Inascoltate le voci a favore della qualificazione e differenziazione dell'offerta. Prevalgono le vecchie soluzioni

 

di Michele Corti

 

Gli espertoni si dividono sulle  ragioni della crisi; c'è chi parla di crisi di domanda (legata alla crisi globale), chi di crescita strutturale dell'offerta. Di fatto c'è un nercato globale ed uno europeo che, al momento, sono saturi di latte e derivati. La Nuova Zelanda, un paese dai costi di produzione bassi, orientato all'esportazione è in crisi nera e sta seriamente (!?) pensando di usare il latte come ... biocombustibile.

 

In Europa il problema della crisi del latte non è certo legato solo alla congiuntura. Gli investimenti strutturali nel sistema agrozootecnico dei paesi dell'Est fanno - come previsto - il loro effetto e si cominciano anche a registrare  le conseguenze di un sistema che si sta adeguando alla totale liberalizzazione delle quote latte entro il 2015. E' certo che fenomeni di breve e medio periodo si stanno intrecciando e si sommano nel determinare una crisi profonda con qualche prospettiva di lieve recupero dei prezzi nel breve periodo ma senza illusioni per quello che succederà da qui a qualche anno.

 

Di fronte a tutto ciò la lobby lattiera europea cosa ha chiesto e ottenuto? Il ritorno alle politiche dei 'sostegni al mercato' ovvero degli ammassi, del ritiro dal mercato, sovvenzionato dalle casse europee, di montagne di burro e di latte in polvere. Questi sono, infatti, i  soliti prodotti richiesti dalla lobby alla cui testa ci sono Olanda e Danimarca appoggiate da Germania e Francia. Dal momento che l'opposizione italiana a questa vecchia linea, gravosissima per le finanze comunitarie, è restata isolata le lobby nostrane hanno ben pensato di spingere per la politica del 'aggiungi un posto a tavola'. E così Paolo de Castro, già ministro dell'Agricoltura di Prodi, già presidente di Nomisma, già presidente della finanziaria agroalimentare SISAG (socio forte di Granarolo azienda leader del latte pastorizzato) e - in veste di senatore - non dimenticato killer del latte crudo nell'autunno 2008, ha ben pensato di far approvare, nel suo nuovo ruolo di presidente della Commissione agricoltura dell'Europarlamento, una proposta rivolta alla  Commissione e al Consiglio per estendere al formaggio (ovviamente le 'grandi Dop' politicamente tutelate) i sostegni previsti per il burro e il latte in polvere. La proposta sarà esaminata la prossima settimana.

 

Soluzioni costose che possono essere efficaci solo di fronte agli aspetti congiunturali della crisi, ma che sono del tutto inadeguate a fronteggiare gli aspetti di medio periodo e l'impatto della abolizione delle quote latte. E' certo che dalle parti della Commissione ci si vorrebbe rimangiare la decisione sull'abolizione delle quote, ma ormai è difficile fare marcia indietro. Perciò serviranno altre misure. De Castro, da buon esponente degli interessi dell'industria lattiera, pensa comunque in termini di sostegno della domanda e non gli passa per l'anticamera del cervello di agire sul lato dell'offerta, qualificandola, legandola alla qualità del prodotto, riducendola. 'Dobbiamo stimolare il consumo, e forse alla fine dell'anno o la prossima primavera vedremo segni di miglioramento'.

 

Non importa che i consumi siano maturi, che il consumatore si ingozzi di 2 q.li di latte equivalente l'anno (per l'industria, si sa, è tutto businesses: troppo colesterolo? ti vendo il prodotto che te lo abbassa). Il fatto è che se per l'industria il potenziale danno alla salute di eccessivi consumi di latticini è una manna che produce altro PIL (cure mediche, farmaci, alimenti probiotici, nutraceutici, ecc.) per l'ambiente (e per l'economia delle generazioni future) le cose stanno diversamente. Agli eccessi di latte corrispondono foreste sudamericane spianate per coltivare soia (rigorosamente OGM), nitrati nelle acque, animali stressati stipati in universi concentrazionari, Mare del Nord (e, nel suo piccolo, l'Adriatico) eutrofizzato, piogge acide ed effetto serra da inquinamento atmosferico zootecnico ecc. ecc. Ma De Castro è inossidabile è aggiunge: 'Ritengo che iniziative già intraprese, come quella del programma europeo “latte nelle scuole”, vadano nella giusta direzione: tutte le azioni volte ad aumentare la domanda e il consumo sono importanti'. Il sostegno alla produzione  attraverso gli ammassi e gli aumenti artificiali del consumo premiano Consorzi, Caseifici e allevatori che non vogliono sentir parlare di autolimitare l'offerta e che insistono ad aumentare le produzioni (per 'difendere il reddito' i prioduttori lasciati a sè stessi di fronte alla diminuzione dei prezzi aumentano la produzione creando, in un circolo vizioso, una spirale di eccesso di offerta (che premia la grande distribuzione).

 

Molto più seriamente il ministro Zaia propone di ridurre l'offerta strutturale. La soluzione che ha proposto a luglio è però anch'essa vecchia e pericolosa. L'idea è di togliere di mezzo le aziende marginali, le piccole stalle. Già pesantemente falcidiate le piccole stalle (quelle con meno di 20 capi) non apportano che un modesto contributo alla produzione. Forse allora si pensa di incentivare la chiusura delle stesse media stalle e di puntare ad un panorama di soli maxi allevamenti. Si tratta di misure che possono avere conseguenze territoriali devastanti provocando la desertificazione zootecnica di intere aree del paese e concentrando tutta la produzione in pochi distrtti dove il carico ambientale della zootecnia intensiva è già oltre i limiti. Misure in aperto contrasto quindi con le linee di un'agricoltura sostenibile, che tende ad evitare le monocolture, l'eccessiva specializzazione, a promuovere il km zero e le filiere corte. Che riconosce il ruolo delle piccole aziende diversificate e non intensive.

 

Di fronte al miraggio del 'premio di uscita dalla produzione' le piccole aziende che, adeguatamente 'accompagnate', potrebbero cessare le consegne e (non dall'oggi al domani, però) passare alla vendita diretta si limiterebbero a chiudere le stalle e ad abbandonare qualsiasi attività zootecnica.

In montagna e in altri ambiti rurali oggi l'azienda con meno di 20 vacche può risultare più competitiva di quella più grande e specializzata gravata di pesanti costi e che spunta prezzi irrisori per il latte vendendolo alle 'centrali'.  Tutto un altro scenario dal passato dove per I 'piccoli' non esistevano prospettive.

 

Forse, più che promuovere la chiusura delle stalle si dovrebbe pensare a fornire incentivi per qualificare la produzione, smettendola di parlare di 'latte' in generale per cominciare a parlare di 'latti' in base ai sistemi di alimentazione, al livello produttivo delle lattifere (oltre che alle sue caratteristiche intrinseche). Per consentire di mantenere il reddito evitando di continuare a seguire la strada dell'aumento della produzione per vacca e del numero di vacche allevate, ma riducendo il livello produttivo e aumentando la qualità. Una soluzione che non può essere generalizzata e rapidamente adotatta ma che, almeno in alcune realtà territoriali, può dare dei risultati anche in tempi ragionevoli. Del resto la politica delle etichettature, della tracciabilità a difesa del 'latte nazionale' se non può appoggiarsi su reali elementi qualitativi è facilmente esposta alle accuse di 'ptrotezionismo' (come sta in effetti avvenendo).

 

Ricordiamoci che in un passato non remoto il vino viaggiava nelle navi cisterna ed era erogato sfuso con le pompe di benzina a prezzi vilissimi. Oggi si fanno (anche) vini di alta gamma dove una volta si produceva vino da taglio. Tra vino e latte molti ruoli si sono invertiti, ma nulla è per sempre, non ci sono vantaggi o svantaggi assoluti e i cambiamenti avvengono solo se c'è una strategia e la volontà di realizzarli (sempre che gli interessi costituiti a tutela dello staus quo e dei privilegi non abbiano la possibilità di imporsi sempre e comunque).

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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