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Fiavè: inverno 2008/2009. Carri liquame spargono copiosamente il fluido inquinante sui campi coperti di neve in barba ad ogni norma ambientale e buon senso.

Fiavè: irrorazione di diserbanti su campi di mais a pochi passi dalla zona umida delle Palafitte

Fiavè: Enorme trincea di insilato di mais (w la qualità del latte trentino!) coperta da una distesa di copertoni usati. A fianco il fatidico carro-liquame.

 

 

(13.08.09)

 

Una incredibile campagna della Provincia Autonoma di Trento presenta gli allevatori come accattoni per indurre sensi di colpa nei consumatori e distogliere dalla politica provinciale le colpe della crisi zoocasearia. Di seguito i commenti di M. Corti e G. Pallante

 

Spregiudicata campagna pubblicitaria della Provincia Autonoma di Trento per indurre i trentini a comprare latticini trentini  di Michele Corti

 

Consumi locali: pubblicità ingannevole della PAT di Giuseppe Pallante

 


 

 

Spregiudicata campagna pubblicitaria della Provincia Autonoma di Trento per indurre i trentini a comprare latticini trentini 

 

di Michele Corti

 

Un allevatore con il cappello in mano (il messaggio suona: "aiutatemi mangiando latte, yogurt, burro e formaggio trentino o mollo"). Con questo poster che invita a non 'rimpiangere il latte versato' inizia la 'campagna d'autunno' finalizzata a indurre i trentini a comprare latticini trentini. Di stalle in Trentino, nel giro di qualche anno, ne sono state chiuse 2.000 e ormai ne rimangono 900. Altra musica in Sudtirolo dove la difesa della stalla di 10 mucche da latte è un imperativo etico-morale prima che politico. Oggi la realtà della globalizzazione ci dice che non ci sono 'vie di mezzo' e che realtà di piccole aziende può sopravvivere meglio di una 'a mezza strada'. Quindi la politica sudtirolese non è 'retorica conservatrice retrograda' (come potrebbero pensare i bacchettoni progressisti), ma una scelta necessaria, lungimirante.

 

A Trento, invece, la politica provinciale 'progressista' ha ben pensato di sostenere la stalla 'media-tendente-al-grande' con pretese di 'imprenditorialità'.  Le stalle di Fiavè con 200 Frisone testimoniano di questa follia. Una follia prima di tutto ecologica. Essa, però, però poco turba i politici, compresi i Verdi che da tempo sono al governo  (a Trento domina una maggioranza bianco-rosso-verde o, se preferite, rosa-verde in omaggio ai democrat compresa la variante dellaiana). L'establishment politico si picca di essere la prima della classe in 'sostenibilità', 'solidarietà', 'democrazia di base' e quant'altro un affettato politically correct imponga (purchè resti scritto sulla carta ...). Ma anche una follia socio-economica.

 

Le rigidità del 'Polo bianco' (qui si fa il latte fresco, qui il burro, là lo yogurt) L'unica cosa che fanno tutti, cioè i pochi grossi caseifici comprensoriali, è il  ... Grana padano. Con queste rigidità Latte Trento faceva latte bio... a lunga conservazione scoprendo che il consumatore non gradiva (ci voleva un Nobel del marketing per capirlo!). Le 'economie di scala' si sono rivelate una camicia di forza quando si è scoperto che inseguire la globalizzazione con prodotti di massa era impresa inane. Nella Padania le stalle da 500 Frisone son già quasi diventate uno standard e dall'estero arriva un latte a 19 cent. 'Ma il nostro è di qualità migliore!' sostengono piccati a Trento, prendendosela con il consumatore trentino che, pur di lucrare sul prezzo, è renitente agli appelli autarchici (ma non si dica così per favore!) lanciati dal Presidente Dellai sin dall'inizio del 2009.

 

Il consumatore è meno stupido di quanto di pensi, però. Sa che il latte trentino non è meglio di tanti altri latti. Buona parte del fieno utilizzato dalle grosse (e nmedie) stalle viene da centinaia di km di distanza (sarà di prima qualità? In ogni caso è fieno de-territorializzato). Intanto i pascoli e i prati. materia prima del marketing territorial-turistico, inselvatichiscono (l'altra faccia delle maxi-stalle e della valangate di liquame ad inquinar le fresche acque).

Poi, come tutte le macchine da latte, le mucche trentine 'vanno a mangime'.  In primis le Super-Brown, orgoglio di una Provincia che si permette il lusso di finanziare neintemeno un centro di ricerca per il 'miglioramento genetico' della razza Bruna. E nel mangime, dovrebbero saperlo in molti oramai, ci sono sottoprodotti di industrie alimentari 'globali' ottenuti con procedimenti chimici, ci sono additivi vari, tra cui gli anti-ossidanti sintetici (sospetti cancerogeni e che passano nel latte) e, a parte queste amenità,  abbondanza di mais e soia (i pilastri dell'agricoltura capitalista mondializzata) sotto varie specie e forme. Quanto sia difficile evitare la soia OGM è fatto noto.

 

Da un confronto con il latte austriaco (ma non solo) quello trentino uscirebbe male. E allora perché insistere con questa pietosa storia del 'latte di montagna'? Ma poi non avete voluto la bicicletta? Non avete creato il 'Polo Bianco' nelle logiche della concentrazione, del management, del marketing? Avete inseguito o no la logica del sistema alimentare industriale? Si! E allora dovreste sapere bene che la logica di tale sistema è che una commodity è una commodity, che il latte è latte. In un sistema dove la sempre maggiore scala produttiva porta la qualità ad allinearsi al ribasso e l'unica competitività si fa sulla quantità, sulla riduzione dei costi e sulla produttività, è il prezzo (sempre più basso) che conta. Oggi ci sono l'agricoltura artigianale e qualla industriale. Tertium non datur.

 

Ma poi quali formaggi producono Fiavè e Latte trento? In gran parte formaggi simili a quelli di altre regioni: Grana padano, Asiago, Fontal, Mozzarella, Scamorza, Stracchino + formaggi abbastanza 'standard' con improbabili 'nomi di fantasia'. Solo un inusitato impulso patriottico potrebbe indurre il consumatore a comprare lattiero-caseari trentini quando trova alternative di qualità confrontabile a minor prezzo. Quando un prodotto ha una 'faccia industriale', però, non c'è appello al 'local food' che tenga . E' solo se scatta la molla del connotato artigianale, del richiamo di un luogo preciso o di un produttore in carne ed ossa che 'ci mette la faccia' che si solletica la reazione 'localista', che si fanno scattare richiami variamente digradanti dall'emozionale al politico riflessivo. Un 'Polo bianco' è un freddo complesso industriale e non cambia molto sapere che il latte proviene dagli allevamenti trentini. Ci sono passaggi che lo rendono commodity (anche senza riflettere sulla provenienza globale di ciò che le mucche mangiano).

 

Ma nei palazzi della Provincia credono di poter continuare con la politica dei 'due forni' o, se preferite, del 'piede in due scarpe'. L'assessore Mellarini si agita per superare 'con l'aiuto di Zaia' (una volta tanto i leghisti veneti tornano buoni ...)  le difficoltà incontrate nel globalizzare Melinda (i russi 'fanno i difficili' sui residui di alcuni pesticidi che in Val di Non si usano regolarmente).

Intanto, nelle stesse ore, parla di 'pericolo di estinzione per la nostra zootecnia' e ci si appella alla coscienza territoriale dei consumatori trentini. Ed ecco che Trentino s.p.a. lancia una campagna pubblicitaria stile Toscani per suscitare il senso di colpa dei consumatori. Nella prima fase della campagna (avviata in questi giorni) un 'povero allevatore' con il cappello in mano è raffigurato come se fosse tormentato dal dilemma: mollo o non mollo? Se mollo - pare essere il messaggio - la colpa è tua che non compri Latte Trento e mozzarella Fiavè. Questo il messaggio subliminare escogitato da qualche guru del caso (Trentino s.p.a. non manca di risorse per il marketing territoriale).

Una trovata 'geniale'. In un colpo solo allontanano dalla politica, per farle ricadere sul consumatore, le colpe della crisi del sistema zoocaseario trentino e si fa intendere agli allevatori che 'mamma provincia' si sta dando da fare.

 

Gli allevatori  - da tempo gratificati quali 'imprenditori agricoli nell'ambito dell'ideologia agroproduttivistica - non hanno gradito però; parecchi sono proprio incazzati. Non si identificano nella raffigurazione con il cappello in mano da questuanti (magari di quelle sovvenzioni che hanno consentito di costruire stalloni e acquistare maxi-trattori per poi trovarsi al punto di prima).

Che la politica non sia immune da colpe lo sanno o cominciano a capirlo. Di certo lo capisce benissimo quella sparuta pattuglia di allevatori biologici della Rendena (intesa sia come valle che come razza bovina) che si erano fatti convincere a passare al biologico (erano 28!). Il caseificio di Fiavè (Fiave-Pinzolo-Rovereto) ha annunciato di essere costretto a settembre a rinunciare a ritirare il latte bio in quanto tale. Significa che lo pagherà 30 cent. al litro come il latte 'convenzionale'.  Una 'minestra' immangiabile e quindi gli allevatori ... salteranno dalla finesta e, aiutati dai consumatori (GAS bio), stanno pensando di mettersi in proprio e abbandonare il sistema di 'mamma ccoperazione' (ma non sarà una matrigna 'autoreferenziale'?).

E pensare che a giugno, in una conferenza stampa sulla crisi del comparto bio (crisi nella crisi), il direttore unico di Latte Trento e Fiavè, Paoli, non trovava anch'egli di meglio che attribuire tutta la colpa della crisi del lattiero-caseario biologico ai consumatori trentini .  Proprio così. La colpa è tutta dei consumatori.

 


 

Consumi locali: pubblicità ingannevole della PAT

 

di Giupeppe Pallante

 

CSIZ (Centro Studi Interdisciplinari di Zooantropologia) Centro di Trento dell’Istituto Italiano di Bioetica  kkokp@tin.it

 

Nelle ultime settimane la Provincia Autonoma di Trento facendo seguito ad una campagna promozionale a livello nazionale lancia l'allarme sullo scarso consumo di latte "della nostra terra" e così accusa il consumatore locale di scarsa sensibilità verso i prodotti locali: compriamo latte trentino o piangeremo sul latte versato, recita il messaggio .

Ma è poi vero quanto detto nella campagna che si vorrebbe di sensibilizzazione al consumatore trentino?

È giusto accusare il consumatore di scarsa sensibilità e addebitargli in modo abbastanza palese la chiusura di oltre 2000 produttori di latte?

Proviamo a far parlare le cifre.

Negli ultimi tre anni il Trentino si è dotato di oltre 30 (trenta!!) distributori di latte crudo in quasi tutte le valli, commercializzato a distanze minime dal luogo di produzione con notevole vantaggio per gli allevatori che vedono giustamente raddoppiato il loro guadagno in flessione da oltre vent’anni, i consumatori per la qualità del prodotto acquistato e per il portafoglio  (dal 20 al 30 % in meno di pari prodotto acquistato in un supermercato) oltre alla difesa dell'ambiente in  quanto attualmente i punti di distribuzione più distanti non superano i dieci chilometri dal centro di produzione con il risultato di azzerare i costi elevatissimi dell’attuale trasporto su ruota.

Discorso non molto diverso è possibile fare con il formaggio. Oltre ai tradizionali Casolet della Val di Sole, Puzzone e Vezzena, tutti con certificazione dop e riconoscimenti di associazioni nazionali quali slow food che spuntano mediamente cifre superiori del 30%  alla base del prezzo del latte si aggiunge il costante successo dei formaggi di malga (dove è possibile produrlo!!!) O forse si dovrebbe dire dove la Provincia lo lascia produrre?

Il formaggio da acquistare in malga oggi è una pura rarità se non si è prenotato la forma per tempo  (ovvero prima della monticazione estiva) e quel poco che rimane a male appena soddisfa i consumatori occasionali di passaggio (se non si è acquistato da prima in valle…) .

Attraverso un processo di marketing ingannevole ancora una volta si fa di ogni erba un fascio accusando un generico consumatore (che invece si sta dimostrando sempre più attento alla qualità e accorto al borsellino) quanto forse più correttamente dovrebbero ritorcersi contro chi ha lanciato questo appello.

Chi in tutti questi anni ha sbagliato la politica agricola ispirandosi alla pianura padana (altro che “identità e tradizioni” come recita il messaggio) favorendo le grandi concentrazioni come i mega impianti (il polo bianco del latte)  del caseificio di Fiavé o lo sviluppo zootecnico di modelli con grosse concentrazioni di capi bovini in stalle di montagna; come mai non si è pensato ai “nostri pascoli  e alle nostre montagne” prima?

Ci si è dimenticato quali messaggi proponevano i vari consulenti pagati dalla Federazione Allevatori (produrre latte in più…riduzione dei costi…aggiornamento tecnico…genetica….)

Quando si è deciso di abbandonare la bovina tradizionale locale, grigia, bruna alpina o rendena, a discapito delle alte produzioni fornite dalla pezzata nera olandese o della brawn swiss americana?

Chi invece di difendere i piccoli caseifici di valle e le piccole produzioni aziendali  - da 1 a 5 capi bovini adulti recitava la scheda di profilassi sanitaria di una volta -  vero patrimonio del territorio, facili da gestire (anche part-time) , a basso costo  e rispettose dell'ambiente (sia per lo sfalcio dei terreni che veniva di norma effettuato che per lo smaltimento dei liquami) ha permesso lo sviluppo di aziende da 100 e passa capi? 

Chi invece di favorire la diversificazione si è ispirato a modelli di pianura con alimentazione essenzialmente composta  da concentrati e  fieno di pianura in quanto impossibile garantire foraggio in autosufficienza e gestione di liquami inquinanti che richiedono bioconvertitori?

Siamo sicuri che il latte che pensa di proporci la provincia abbia ancora un qualche cosa di trentino?

 Siamo sicuri che tutto ciò è ancora colpa del consumatore che non apprezza il prodotto locale?

Perché allora non si dice a chiare lettere “signori comprate i prodotti del caseificio Industriale di Fiavé che vi piacciano o no perché altrimenti non sappiamo più come fare e ci toccherà sempre pagare per mantenere in piedi il nostro fallimento agricolo?

A pensare male a volte… ma il dubbio che sorge spontaneo non è che una volta lanciato il sasso ovvero l’allarme per la scarsa sensibilità dei consumatori trentini poi ai politici diviene gioco forza foraggiare il carrozzone messo in piedi inopinatamente?

Del tipo: io vi ho avvisai, vi ho sensibilizzati…voi non mi avete dato retta…e quindi…mi tocca!

Si chiede troppo ai promotori di questo campagna di sensibilizzazione nel rivolgere il messaggio in positivo, dove magari si ringraziano i piccoli allevatori che ancora si impegnano su questo faticoso sentiero e i consumatori locali che ne apprezzano la qualità e nello stesso tempo la sinergia (che bel termine!) di entrambi nel valorizzare il territorio locale e difendere l’ambiente?

Possibile che si preferisce sparare indifferentemente addosso a tutto e tutti pur di non riconoscere almeno per una volta i propri errori?

 

 

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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