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(05.09.09)  Valle Camonica

 

Troppe normative, troppe competenze, troppi 'piani' e autorizzazioni. Come è difficile la gestione multifunzionale dello spazio silvopastorale

 

Da un incontro tecnico  in un alpeggio del demanio regionale lombardo emerge quanto sia difficile utilizzare il pascolo come mezzo di 'manutenzione ambientale'

 

Negli ultimi anni la produzione normativa in materia forestale in Lombardia è stata 'rigogliosa'. E' vero che alcune norme abrogano quelle vecchie, ma in pochi anni leggi, regolamenti, circolari sono stati prodotti a raffica e gli stessi addetti ai lavori fanno fatica a raccapezzarsi.

Le deleghe agli  'enti forestali' (provincie, comunità montane, enti gestori di aree protette), la possibilità di applicare le norme generali regionali  in modo (teoricamente) flessibile attraverso i  'piani di indirizzo forestale' sono tutte cose sulla carta positive. Si fatto, però, sono molti gli enti delegati con competenze in materia e molti gli enti gestori dello spazio silvopastorale. La normativa poi cambia (e anche i soggetti responsabili della sua attuazione e controllo) se il territorio è compreso entro i limiti della ormai estesa rete di Parchi, Riserve e siti Natura 2000 (SIC e ZPS).

Di fronte a tutto ciò vi è il  disorientamento dei soggetti chiamati concretamente a gestire la materia come  si è potuto verificare il giorno 3 alla Malga Rosello (sede del Centro faunistico della Provincia di Brescia) in occasione della giornata di Forestry Education organizzata da Ersaf (Ente regionale per i servizi agricoli e forestali) con il titolo:  'I miglioramenti ambientali a scopo faunistico; il recupero funzionale delle aree pascolive marginali'. 

Va premesso che lo scopo dell'iniziativa era quello di verificare le possibilità di una gestione del pascolo finalizzata anche a precisi obiettivi ambientali, in vista di un rapporto tra esigenze faunistiche, forestali, pastorali che vada al di là della mera 'convivenza'. Il sito dove si è svolta la Giornata è stato scelto in quanto ricade all'interno del grande comprensorio della Foresta Val Grigna del Demanio regionale (gestito da Ersaf). La pproprietà regionale comprende 22.000 ha distribuiti in 9 comuni della Valle Camonica e della Val Trompia. Numerose sono le malghe ancora caricate dove si producono  pregiati prodotti caseari. Il comprensorio ha anche un grande valore faunistico (presenza di Gallo cedrone) e sono in atto, o in procinto di essere attivati, diversi progetti per  valorizzarlo dal punto di vista turistico, storico-culturale, naturalistico; il tutto senza ovviamente dimenticare la centralità dell'attività pastorale che da millenni ha plasmato il paesaggio.

Nella fattispecie presso la Malga Rosello sono stati attivati degli interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici consistenti nell'effettuazione di operazione di taglio di Ontano alpino all'interno di dense formazioni arbustive. Di questo e altro si è discusso in occasione delll'incontro.

 

Tra gli addetti ai lavori c'è perplessità e pessimismo

Da parte delle decine di tecnici ed esperti convenuti  si è concordato che gli interventi di tipo meccanico ai fini del ripristino di formazioni vegetali più 'aperte' sono estremamente onerosi e possono essere attuati solo in combinazione con l'attività di pascolo (specie ai fini del mantenimento delle superfici 'pulite'). A questo proposito, però, le difficoltà non sono poche, sia di ordine economico che normativo e si scontrano con il ginepraio burocratico e la poca coerenza di certe norme.

Vediamone alcune considerazioni emerse nell'incontro tecnico a Malga Rosello:

1) i contributi previsti dal Piano di sviluppo rurale per il pascolo escludono le superfici boscate e cespugliate e questo disincentiva i pastori dal mantenere le aree marginali degli alpeggi promuovendo la graduale perdita di superfici per espansione dei cespuglieti e neoformazioni;

2) la Rete Natura 2000 ha posto sotto tutela tutta una serie di formazioni vegetali; ciò  in aggiunta alle previsioni normative precedenti (tipo rododendro  'pianta protetta') rendono impossibile intervenire con il taglio o il pascolo;

3) la legge forestale (L.R. 31/2008) all'art 51, comma 4 consente il pascolo in bosco con la finalità di 'prevenzione di incendi boschivi e di conservazione del paesaggio rurale' (l'idea che gli animali pascolino in bosco per alimentarsi - come avviene da millenni - è evidentemente considerata eresia) ma lo condiziona ai piani di indirizzo forestale e, in mancanza di essi, ad apposita autorizzazione dell'ente competente in materia forestale e, in ogni caso al rispetto delle norme forestali.

Ricordiamoci che nel vigente regime burocratico ottenere autorizzazioni significa pagare un tecnico progessionista, produrre mappe, citare parcelle catastali ecc.

 

E cosa dicono le norme forestali?

Che il pascolo è consentito solo nelle fustaie mature con altezza media delle piante superiore a 10 metri e, nei cedui, solo dopo 10 anni dall'ultima ceduazione. Che è vietato nelle fustaie disetanee ed irregolari, che è vietato nei boschi percorsi dal fuoco da meno di 10 anni, che è vietato ... nei boschi di neoformazione sino allo stadio di perticaia (ovvero i 10 m di cui sopra).

Ma almeno nei cespuglieti si può pascolare? Macchè. Posto che se sono compresi nell'ambito della Rete Natura 2000 si ricade nei vincoli di cui sopra, è l'assurda definizione di 'bosco' della legge forestale a precludere anche questa possibilità. Che cosa dice, infatti, la 'definizione di bosco' (Art. 42 legge forestale regionale). A leggere tutto l'articolo viene da ridere. Praticamente dove c'è un fazzoletto di terra con quattro   cespugli è bosco e va tutelato come tale. Tanto è vero che per dire cosa non è bosco si arriva a sfiorare il ridicolo precisando che ('non sono bosco le coltivazioni di alberi di Natale).

Veniamo all'articolato. Sono considerati bosco: a) le formazioni vegetali, a qualsiasi stadio di sviluppo, di origine naturale o artificiale, nonché i terreni su cui esse sorgono, caratterizzate simultaneamente dalla presenza di vegetazione arborea o arbustiva, dalla copertura del suolo, esercitata dalla chioma della componente arborea o arbustiva, pari o superiore al venti per cento, nonché da superficie pari o superiore a 2.000 metri quadrati e larghezza non inferiore a 25 metri;

b) i rimboschimenti e gli imboschimenti; c) le aree già boscate prive di copertura arborea o arbustiva a causa di trasformazioni del bosco non autorizzate.   La colonizzazione spontanea di specie arboree o arbustive su terreni non boscati dà origine a bosco solo quando il processo è in atto da almeno cinque anni.

 

E'evidente che è una norma superprotezionista che eredita definizioni che andavano bene 60 anni fa quando i boschi erano stati decimati ma che ora è assurda dal momento che, come dovrebbero capire tutti, la montagna va difesa dall'avanzata del bosco. E' bosco anche un terreno che era pascolato sino a 5 anni prima e che ora è invaso per il 20% da cespuglietti (non da alberi, attenzione). Altre regioni almeno definiscono un minimo di sviluppo in altezza di questi arbusti. La legge lombarda no. E' radicalmente boschista, boscofila (nel disinteresse dei politici per simili quisquiglie non ritenute abbastanza 'politiche').  Sappiamo bene con quale velocità gli arbusti (rododendro, ontano vere, ginepro, rosa canina, rovo, lampone, ginestra ecc.) invadano prati e pascoli (specie a quote non elevate in condizioni climatiche insubriche). Se per pochi anni un pascolo non viene utilizzato diventa bosco e non si può più pascolare. Può succedere semplicemente perchè l'alpeggio 'salta' un contratto di affitto, perché una zona del pascolo non viene utilizzata, perché - con la compiacenza degli organi di controllo - i pascoli vengono affittati ad aziende della pianura che non mandano in alpeggio bestiame e pagano l'affitto solo per avere i contributi e ridurre il carico di Uba ... e il pascolo di incespuglia).

 

Le norme forestali dicono poi che il pascolo delle capre nel bosco è vietato. Considerato cosa si intende per bosco e considerato che la capra è l'animale più utile per 'pulire' le boscaglie e contenere l'avanzata delle neoformazioni di piante legnose

non si può non concludere che si vuole caparbiamente, ostinatamente restare fermi ai pregiudizi di secoli fa. Inoltre gli animali che pascolano nel bosco devono essere custoditi confinandoli con recinzioni elettriche (una previsione che non tiene conto che il pastore con i cani anche se non è costantemente presente sul posto può benissimo 'controllare' il gregge e che posare le recinzioni implica un notevole aggravio di manodopera).

 

Quanto alla possibilità degli 'enti forestali' di applicare deroghe e forme di 'flessibilità' ai piani di indirizzo si deve purtroppo osservare che nessuno ha osato sfidare il conformismo. La cultura 'forestalista' dei tecnici addetti ai piani (spesso estranei all'ambiente locale e quindi operanti molto a tavolino) è sempre quella e non ci si poteva aspettare molte novità. Politici e amministratori locali delegano agli 'esperti' e gli 'esperti' ragionano in modo settoriale applicando i criteri delle loro discipline consolidate (altro che multifunzionalità e ruralismo!).

 

Dalla 'tolleranza' al riconoscimento del ruolo di pubblico servizio del pascolo estensivo

Si dirà (ed è stato osservato anche all'incontro a Malga Rosello) che tutte queste prescrizioni e il sostanziale conformismo forestale nella realtà dei fatti non vengono fatti osservare e che c'è 'tolleranza'. A parte che non si capisce perché si debbano mantenere norme anacronistiche per poi disattenderle quello che non si vuole capire è che il pascolo nelle aree marginali è esercitato non solo per reperire risorse foraggere a basso costo e avvantaggiare gli allevatori/pastori, ma anche per 'tutelare il paesaggio e la biodiversità'. Ma mantenere gli animali in zone a forte pendenza, cespugliate, di difficile accesso implica un forte impegno da parte dei conduttori delle greggi/mandrie. Come è possibile che questo tipo di pascolo multifunzionale sia esercitato 'di sfroso'? Deve, al contrario, essere riconosciuto e prevedere una integrazione di reddito. Esso è, almeno in parte, 'pascolo di servizio' ovvero esercitato in modo produrre pubbliche utilità. E perché questo 'servizio pubblico' non dovrebbe essere riconosciuto e remunerato?

 

Se non si risolvono questi problemi continueremo a vedere buttare via i soldi in 'interventi ambientali' del tutto inutili. Mantenere le praterie aride ricche di biodiversità con i decespugliatori, tagliare le ceppaie di ontano o di altri arbisti con la motosega, entrare con le frese e le trince a 'pulire' i terreni inarbustiti non serve a nulla. L'animale è dal neolitico l'alleato naturale dell'uomo nel 'gestire' la vegetazione. Solo la supponenza della nostra epoca tecno-scientifica che crede di sostituire con i saperi 'esperti' , le tecnologie, l'uso concentrato e dissipatorio dell'energia la saggezza accumulata dall'uomo pastore-contadino può pensare di fermare i boschi con le macchine e non con gli animali e con il fuoco (proibitissimo in Lombardia, utilizzato legalmente in Svizzera ai nostri confini).

Se non c'è il morso dell'animale che bruca i ricacci le azioni di taglio meccanico sono inutili, le piante arbustive ricrescono più vigorose. E poi (come dice proprio oggi sulla stampa il Ministro Zaia a proposito delle greggi impiegate per 'manutenzione ambientale') gli animali solo 'operai a buon mercato'.

 

Nell'incontro di Malga Rosello si è anche detto che il pascolo estensivo, invece che essere ostacolato, dovrebbe essere incoraggiato al massimo in quanto forma altamente ecologica di produzione (sia pure in quantità limitate) di alimenti sani ottenuti senza usare combustibili fossili. Scarsamente efficiente dal punto di vista della economia di mercato delle commodities il sistema di pascolo estensivo, che non 'ruba alimenti' alla disponibilità delle popolazioni umane, è estremamente efficiente in termini energetici in quanto converte l'energia solare in carne e latte di alta qualità. Le deiezioni degli animali vengono sparse sul pascolo e riciclate dalla vegetazione evitando accumuli, perdite e lisciviazioni massive come nel caso della zootecnia intensiva che produce latte e carne a prezzo di un forte impego di cereali, ottenuti con grande dispendio di carburanti, acqua di irrigazione, concimi chimici e pesticidi.

 

Servirebbe una svolta culturale. Il pastoralismo è oggi una cenerentola, un figlio di nessuno. Il settore agricoltura ragiona sempre (erroneamente) in termini di efficienza aziendale e di mercato, quello foreste in termini di prevalente 'protezionismo'. Due logiche opposte che non si incontano. Il pastoralismo ne fa le spese.

 


CASTEL DEL MONTE (AQ) (04.08.09)

 

I pastori lanciano il premio “Caino” a chi danneggia maggiormente la pastorizia tradizionale – un riconoscimento che rischia di avere fin troppi candidati proprio nella regione della migliore tradizione pastorale 

Si è aperta ieri la 50ma edizione della Rassegna degli ovini di Campo Imperatore, patrocinata da numerose istituzioni ed enti. Domani al dibattito sulle prospettive della pastorizia un’anteprima del Presidente dell’Associazione Regionale Produttori Ovicaprini d’Abruzzo (ARPO), Nunzio Marcelli, si candida a movimentare le acque.

“Innanzitutto chiederemo di cambiare il nome alla Rassegna, esordisce tra il provocatorio e il faceto Nunzio Marcelli, “perché non ci rassegneremo mai, nonostante lavorare in questo settore per i piccoli produttori tradizionali che hanno a cuore la bontà dei prodotti e la qualità del territorio diventi sempre più difficile, con il 90% per cento delle aziende chiuse e una perdita in termini non solo di economia ed occupazione, ma anche di biodiversità, territorio, produzioni tradizionali che tutto il mondo ci invidia”.

Il Presidente ARPO ha però in serbo più di un gioco di parole:  proprio in occasione del cinquantenario infatti darà l’annuncio ufficiale dell’istituzione del Premio CAINO. Sulla falsa riga dei più noti Tapiri, anche i pastori hanno deciso di rendere pubblico annualmente chi si sarà “distinto” per il danno e il contributo alla scomparsa di questo settore. “Il premio”, illustra in anteprima Marcelli, “è intitolato a Caino, il personaggio biblico che ben rappresenta la più drammatica ostilità nei confronti della pastorizia,  e comprenderà diverse sezioni, per non dimenticare nessuno: le istituzioni ed amministrazioni pubbliche coi loro funzionari e dirigenti, i responsabili politici ai diversi livelli, le organizzazioni sindacali e di categoria, le associazioni più o meno ambientaliste o dichiarantesi tali, e anche gli imprenditori privati”.

La giuria sarà composta da rappresentanti dei pastori e tecnici del settore, da giornalisti, da gastronomi impegnati nel settore della promozione dei prodotti tradizionali del territorio, da studiosi di sociologia rurale e da altre personalità del mondo accademico riconosciute a livello internazionale. Diversi anche gli elementi di valutazione, che andranno dalla scomparsa della rete tratturale, monumento di storia economica e di valorizzazione ambientale e turistica del territorio, alle paradossali delibere ed atti amministrativi delle istituzioni, ai costi di affitto di terreni e pascoli, ai verbali e sanzioni comminate alle attività pastorali, fino all’appropriazione indebita del nome e delle caratteristiche dei prodotti della pastorizia abruzzese, utilizzati senza scrupoli e sottratti alla loro effettiva provenienza.

Il vincitore si vedrà assegnato un Attestato ufficiale nel quale risulterà, oltre alla qualifica di “Caino”, anche la quantità di territorio che a sua causa sarà definitivamente sottratto all’attività di pastorizia e quindi soggetto a maggiore rischio incendio e idrogeologico. “Abbiamo una responsabilità nei confronti delle generazioni future”, conclude Marcelli, “ed è giusto che chi contribuisce a distruggere quanto ha ricevuto da millenni di attività pastorali su questo territorio abbia una faccia, un nome e un cognome, che ne resti traccia, e che si assuma le sue responsabilità”.

Una promessa che forse non farà dormire sonni tranquilli anche a qualcuno tra i presenti a Castel del Monte, dove l’ARPO insieme all’annuncio del premio inizierà a raccogliere le prime segnalazioni di “candidatura”.

Più ambita la sezione che i pastori intendono dedicare a chi si sarà speso per il sostegno alla pastorizia tradizionale, che come da copione prenderà il nome dal pastore biblico Abele, e che annualmente segnalerà gli interventi positivi per la continuità dei prodotti pastorali tradizionali e per il riconoscimento del ruolo agro ambientale di queste attività.


BRENO (BS) (20.06.09)

iL PASTORALISMO ALPINO VUOLE FAR VALERE I PROPRI DIRITTI. iL 2009 è L'ANNO DELLE FIBRE NATURALI E I PASTORI DESIDERANO ATTIRARE L'ATTENZIONE SUL PROBLEMA DELLA LANA (CHE HA UN "PREZZO NEGATIVO")

 

A Breno, capoluogo storico della Valle Camonica, si è svolta il 17 giugno scorso una riunione per fare il punto sulle prospettive di valorizzazione della lana delle pecore alpine.

 

Oltre ai rappresentanti della provincia di Brescia (l'ncontro è stato promosso dal Dr. Emilio Visconti delle sede di Breno) e della Comunità Montana di Vallecamonica vi erano rappresentanti della Valle d'Aosta (Associazione regionale allevatori), del Friuli (Ersa), del Trentino (Settore agricoltura della Provincia Autonoma), dell'Università e del Politecnico di Milano, del comune di Rovato (che organizza due volte l'anno la Fiera della pastorizia) nonché dei pastori/tosatori e della "filiera lana" con alcune sue componenti sia sul lato artigianale che della piccola industria.

 

Sono stati richiamati i vari progetti locali che, un po' in tutte le regioni coinvolte, hanno visto interessanti sperimentazioni dell'uso per l'abbigliamento delle lane "nostrane". Le esperienze pilota sin qui realizzate, però, si scontrano con alcuni "colli di bottiglia" che riguardano la raccolta della lana (con i relativi problemi logistici e di costo) e la lavatura. E' stato richiamato come il problema della bassa remunerazione della lana (che non copre il costo della tosa) è anche legato alla dispersione dell'offerta e alla bassa qualità della mataria prima (lana sucida). I pastori - dati i prezzi infimi loro riconosciuti - non si preoccupano di curare la qualità (pulizia) della lana e la sua prima selezione in sede di tosa.  

Operare un coordinamento con centri di raccolta regionali e con la realizzazione di accordi collettivi con le industrie del lavaggio potrebbe risolvere parte dei problemi. La valorizzazione "a valle", infatti, presenta meno difficoltà perché operando su piccole filiere artigianali è possibile trovare gli utilizzi adatti per i diversi tipi di lana.  Oltre alle filiere artigianali (lana cotta, feltro, produzione di abbigliamento "tipico" con panno) va espolorato anche il nuovo campo della bioedilizia (lana per isolamento).

 

Al di là del problema lana (che è comunque uno tra i più cruciali), i pastori e gli enti che si dimostrano sensibili alle loro istanze hanno indidivuato altri terreni sui quali un coordinamento pastorale alpino potrebbe conseguire dei risultati concreti. I punti individuati sono i seguenti:

 

1) Formazione dei tosatori (e secondariamente degli stessi pastori). Ci sono giovani attratti dal mondo della pastorizia - specie in una fase di crisi non solo economica - ma non trovano i canali formativi e informativi adeguati. Da questo punto di vista è stato stabilito di elaborare delle proposte di "scuola tosatori" da tenersi in provincia di Brescia;

 

2) Codice della pastorizia. I pastori devono confrontarsi con la difficoltà di reperire dei pascoli, una difficoltà che stride con il gran numero di superfici abbandonate. Purtroppo valgono ancora dei pregiudizi contro i pastori e le pecore che fanno si che si preferisca sottocaricare i pascoli piuttosto che affittarli ai pastori. Un aspetto del "codice" e dei diritti dei pastori riguarda anche il diritto di passaggio con le greggi lungo i percorsi storici della transumanza, in modo che sia garantito - almeno lungo gli itinerari principali tra la pianura e le valli più interessate alla transumanza - un passaggio al sicuro da urbanizzazione e divieti di transito.

 

3) Centri di raccolta lana e soluzioni per il lavaggio. Vanno formulate delle proposte che consentano di realizzare queste iniziative a costi autosostenibili.

 

In aggiunta a questi temi si è lanciata la proposta di un giornalino della pastorizia con l'auspicio di svolgere opera di informazione nell'ambito di un mondo molto frammentato e disperso sul territorio di diverse regioni. Sempre ai fini del collegamento verrà valutata dal rappresentante della Provincia di Trento la possibilità di utilizzare la piattaforma internet realizzata nell'ambito dell'ormai concluso Programma Alpinet Gheep (www.alpinetgheep.org)

 

per contatti fare pure riferimento a questo sito.

 

TORINO (07.04.09)

LA REGIONE PIEMONTE IMPEGNATA A FORMARE 20 TECNICI PASTORALI

 

Dopo il primo gruppo di lavoro che ha operato nel 2008 in Valle Stura di Demonte, il 2010 accoglierà i candidati in Valle Maira (Alpe Tibert) ed il 2011 li vedrà impegnati in Val Chisone (Alpe Selleries).

L'obiettivo è quello di formare operatori in grado di redigere i Piani Pastorali Aziendali. Il piano di gestione di un alpeggio è lo strumento professionale che definisce i criteri e il percorso tecnico da seguire per la corretta utilizzazione, la conservazione e il miglioramento delle unità produttive d’alpe.  Esso è basato sull’analisi della situazione attuale, prevede l’effettuazione di rilievi sul terreno per il riconoscimento dei tipi pastorali esistenti e contiene le proposte di gestione dell’alpeggio. Si prevede che esso potrà essere utilizzato anche ai fini amministrativi nell’ambito della concessione dei contributi previsti dal Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013.

Sicuramente è positivo l'interesse nei confronti della montagna e della gestione corretta del suo ambiente, affinchè non si verifichino o ripetano situazione di sovraccarico/sottocarico, ugualmente dannose per il territorio pastorale alpino.

L'auspicio è che i tecnici che porteranno a termine questi percorsi formativi lo facciano con una mentalità aperta nei confronti degli operatori del settore (margari e pastori) e che si confrontino costantemente con chi ha una conoscenza derivata da anni, generazioni di pratica. Il piano pastorale aziendale dovrebbe essere costruito insieme all'utilizzatore dei pascoli e non divenire l'ennesimo strumento restrittivo imposto dall'alto.

Qui il bando 2009 http://www.regione.piemonte.it/montagna/bandi/bando_ppa.htm

 

 

TORINO (07.04.09)

TORNA IL PREMIO PER IL PASCOLO GESTITO. SODDISFAZIONE MA ANCHE QUALCHE PERPLESSITA' PER I PUNTEGGI E PER IL "FATTORE LUPO" (articolo di MARZIA VERONA)

 

Istituito nel 2007, interrotto nel 2008 (per mancanza di fondi?), per la stagione 2009 torna in Piemonte il "Premio di Pascolo Gestito". Questo finanziamento è stato pensato a sostegno degli allevatori di ovicaprini che devono sostenere spese aggiuntive a causa della presenza dei grandi predatori (nello specifico, il lupo) sul territorio montano regionale.

Iniziativa lodevole e gradita agli allevatori, che però in alcuni casi contestano la mancata assegnazione del premio in seguito alla domanda presentata nel 2007. Quest'anno, sul sito della Regione Piemonte

 

http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2009/11/attach/dgr_11041_040_16032009_a1.pdf

 

è consultabile l'intera  documentazione a riguardo, compresi i parametri che permetteranno al personale che si occuperà della verifica della domanda di attribuire un punteggio ad ogni allevatore.

Avrà diritto al premio solo chi raggiungerà il valore minimo di 25 e, proporzionalmente al punteggio, verrà attribuita una somma che non potrà superare i 5.000 euro. Gli allevatori però si domandano perchè il punteggio debba, ad esempio, essere ridotto se, a fianco dell'allevamento ovino, la famiglia abbia anche capi bovini: se il reddito è unico (soli ovicaprini) viene attribuito un punteggio di 4, se è affiancato all'allevamento bovino, il punteggio è 1. "Le vacche le chiudo nei fili e va qualcuno della famiglia a controllarle una volta al giorno, mentre io sto tutto il giorno con il gregge, a causa del lupo. Siamo in tanti, solo con le pecore non si vivrebbe, ma il disagio c'è lo stesso", afferma un pastore la cui famiglia possiede anche una mandria di vacche piemontesi.

Perchè un gregge da carne non riceve punti, mentre uno da latte ha valore 2? Più equi i punteggi attribuiti alle presenza continua e costante del conduttore (13), mentre discutibili sono quelli sul personale impiegato: 11 punti per una persona ogni 500 capi, 6 se il rapporto è di 1/800. Si presume poi che il personale stipendiato sia inadatto alla custodia, dal momento che la sua sola presenza vale 2 punti (nel caso in cui il conduttore non sia presente in alpeggio).

Si pretende inoltre un cane da guardiania almeno ogni 300 capi, per avere il punteggio pieno di 11, si scende a 5 punti se c'è meno di un cane ogni 300 ovicaprini.  In ultimo, che dire se vengono attribuiti 5 punti nel caso in cui, a fine stagione, non si siano registrati attacchi? Qualora invece il gregge sia stato colpito e/o vi siano state vittime, il valore sarà più basso, fino a zero per un numero di attacchi superiore a tre.

Specifichiamo che il punteggio della tipologia di allevamento viene sommato a quello delle modalità di protezione e moltiplicato per un coefficiente legato alla posizione dell'alpeggio (in area dove i predatori sono stabili, oppure ove sono presenti temporaneamente). Certo, non ci fosse il lupo, sarebbe tutto più semplice...

 

 

 

 


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