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[Cesiomaggiore]

 


“I nostri meleti porteranno sviluppo”. Così si difende il presidente della Coldiretti di Trento Gabriele Calliari, uno dei tre agricoltori della val di Non che hanno acquistato terreni in territorio di Cesiomaggiore (BL) nella zona fra Calliol e Tussui, un territorio "pulito" dove da tempo viene praticata l’agricoltura biologica (e si può fare una mela veramente "linda"). Calliari è comproprietario e presidente della "Feltrina" (la società costituita per gestire l'espansione "coloniale"). Va osservato per inciso che l'aver chiamato la società con il nome del territorio "colonizzato" è stato da Calliari accampato come un merito di "volontà di integrazione nel territorio". Una impudenza che gli ha procurato ancora più critiche da parte dei feltrini.

 Qualcuno (in Veneto) pensa anche che il personaggio farebbe bene a tacere in qualità di rappresentante di una grande organizzazione agricola (che non dovrebbe avere a cuore solo le mele) ma nessuno (o quasi) solleva la questione in Trentino, dove si sa, il conflitto di interesse è di casa e nessuno si prende nemmeno la pena di farlo osservare.

 

Ma perchè è stata messa in piedi l'operazione "Feltrina"?  Una delle ragioni va ricercate nel  costo sempre più elevato dei terreni in val di Non, dove la monomelindacoltura ha già occupato tutti gli spazi possibili per la coltivazione del melo. In val di Non il prezzo dei terreni va da 16 a 34 euro il metro quadro mentre a Cesiomaggiore è pari a solo 5 euro. L'effetto della "colonizzazione" trentina è stato, però, di alzare notevolmente il valore dei terreni mettendo in difficoltà gli agricoltori locali e contribuendo a far crescere mugugni e opposizione.

Ma, a parte il costo della terra, la monocoltura "alla Melinda" sbarca nel Veneto anche per altre ragioni. Essa dichiara  di voler conquistare i mercati "emergenti" diventando un business planetario. Alla faccia del kmO. Ovviamente la val di Non non basta più per questo disegno; tanto più che "in patria" la coltivazione intensiva delle mele incontra crescenti opposizioni anche da parte della  stessa popolazione nonesa, specie nell'alta valle, a Romeno, Cavareno, Sarnonico, Fondo, Ronzone, Malosco, Don, Amblar, Spormaggiore, Sfruz, Smarano e Tres. C'è in ballo la salute (i comitati locali nonesi hanno fatto eseguire a loro spese numerose analisi che mettono in luce la presenza di residui di pesticidi anche nelle abitazioni, nei campi giochi, nei prati) ma anche il desiderio di preservare il paesaggio e gli ultimi prati rimasti. Non si vuole la totale scomparsa della zootecnia e non si vuole compromettere il turismo. Per tutte queste ragioni alcuni produttori hanno deciso di espandersi in Veneto.  

Ma qui l'opposizione ai "colonialisti" è dura; mentre l'amministrazione comunale (con il sindaco De Bastiani) continua a difendere la scelta di fare "ponti d'oro" ai "piantatori" trentini, Il comitato Chimica Free e quello di Prà Gras, nato a Fonzaso, chiudono le porte a Calliari e ai suoi colleghi.

Ai comitati spontanei e a tanti cittadini che in tanti (1200 firme) hanno sottoscritto la petizione contro l'insediamento della melicoltura intensiva non vanno giù le "lezioni" di "sviluppo" e "sostenibilità" di Calliari specie quando cita il "rigido protocollo (di utilizzo dei pesticidi") impiegato in Val di Non.

Il Feltrino e la Val di Non non sono su due pianeti diversi. Tanto più che oggi c'è Internet. I  comitati dei due territori si sono scambiati informazioni e dalle parti di Cesiomaggiore è andata aumentando la consapevolezza circa le conseguenze - in termini di rischi per l'integrità dell'ambiente e per la salute dei cittadini -  dell'importazione di un modello di agricoltura intensiva. I comitati stanno pensando a come sviluppare un'azione efficace e coordinata anche con altre realtà che in Trentino, in Veneto e nel resto d'Italia si stanno confrontando con le conseguenze delle monocolture. Melinda no grazie! (lo slogan con cui a Cesiomaggiore contestano il trapianto del modello noneso a casa loro) potrebbe diventare una campagna per coinvolgere anche i consumatori di altre provincie e regioni e far capire ai produttori trentini che - in caso di rifiuto a operare nel feltrino secondo i principi dell'agricoltura biologica - il caso potrrebbe montare a livello nazionale con un conseguente danno d'immagine e commerciale. Un boomerang insomma.

 

 



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