Ruralpini  resistenza rurale

In attesa di quella commemorazione che lui si merita e che il Covid (e la sua gestione) gli hanno sinora negato

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 Tino Ziliani

e l'Associazione pastori lombardi

(in memoria di un pastore)
   

  



di Michele Corti

(10.11.20) Tino Ziliani è mancato improvvisamente, all'età di 67 anni, il 24 febbraio di quest'anno. Eravamo all'inizio della "prima ondata" del contagio e le notizie allarmistiche (e contradditorie) circa lo svolgimento delle cerimonie funebri hanno tenuto lontano molti amici. Non pochi pastori avrebbero voluto venire a dargli un ultimo saluto, dal Trentino, dal Veneto, dal Piemonte ma i media riferivano che ai funerali potevano partecipare solo i parenti stretti. Non era così, non precisamente così (anche se poi, specie a Bergamo, ai funerali sono state sostituite veloci benedizioni in serie di file di bare).

Sentiti i pastori più vicini al Tino, si è concordato di attendere tempi migliori e di organizzare una commemorazione come lui merita e come gli amici, i tosatori, i pastori si aspettano. Ma i tempi migliori slittano, si allontanano invece che avvicinarsi e viviamo nell'incertezza su quello che avverrà nei prossimi mesi. Febbraio è vicino e il rischio che salti la possibilità di una commemorazione nel giorno dell'anniversario della morte è molto concreto. 

Quest'anno è saltato anche il Festival del pastoralismo di Bergamo (anche se abbiamo potuto organizzare la Transumanza dei bergamini da Bergamo a Gorgonzola, vedi qui) che poteva essere l'occasione per ricordarlo (visto che è stato grazie al suo contributo che il Festival è nato). Il Festival, se ad aprile la seconda ondata si sarà esaurita o, comunque, sarà possibile organizzare manifestazioni e sagre, ha intenzione di organizzare, con il comune di Spirano (località a 15 km a Sud di Bergamo), un evento tutto dedicato ai pastori e alle pecore. Un evento con dimostrazioni di tosatura e di lavoro dei cani pastore in memoria di Tino Ziliani. Anche questo appuntamento, però, non è certo. 

Così, in questa attesa, mi pare giusto anticipare qualche notizia biografica, qualche ricordo del Tino. Una volta raccolte le testimonianze indispensabili a ricostruire la sua figura (ora non ci si può muovere per le interviste "in presenza"), mi riprometto di presentare una vera e propria biografia. Le note che seguono si basano sui ricordi personali e con delle interviste telefoniche con il fratello Mario e con Claudio Filisetti, quest'ultimo per undici anni a fianco di Tino, nella squadra itinerante di tosatori professionisti e, opggi, continuatore della sua attività. 

Necessariamente è un racconto molto sbilanciato, dal momento che ho conosciuto Tino solo nel 1999, un racconto che si intreccia con la cronistoria dell'Associazione pastori lombardi (di qui il titolo) che ho seguito dall'inizio.

Senza Tino il mondo dei pastori sarebbe rimasto, anche per me, un fatto folkloristico. Senza Tino non ci sarebbe stato il Festival del pastoralismo e tante iniziative. La Lombardia non sarebbe stata inserita nel riconoscimento Unesco per la transumanza. E si potrebbe continuare. 

Tino era capace di coinvolgere. Molto disponibile e generoso spingeva anche gli altri (quelli recettivi, ovviamente) a operare in modo disinteressato. Persone così lasciano tanti amici e non credo che l'impegno che essi dividevano con lui andrà disperso. 



Claudio Filisetti durante le prime edizioni del Festival del pastoralismo. Siamo sugli spalti delle mura di Bergamo. Di poche parole, a differenza di Tino, 
ma come lui sempre disponibile. 
 

Danilo Agostini, un pastore sempre pronto a dare una mano a Tino.
Sotto Daniele Savoldelli, altro pastore tra quelli maggiormente amici diTino (da un fotogramma del film Fuori dal gregge, al volante Claudio)

Una famiglia di pastori transumanti

Era nato  il 29 luglio 1952 in una famiglia di pastori  di Pian camuno. Pastori transumanti erano gli avi, pastore il nonno e il papà Battista, classe 1901. La mamma, Margherita Laffranchini, classe 1913 proveniva, invece, da una famiglia di carbonai (un altro mestiere che implicava mesi di solitudine in montagna a preparare i poiàt, spesso nutrendosi di latte di capra).  

Pastore è il fratello Mario, di tre anni maggiore, pastori i cugini Giacinto e Francesco, pastori i cognati che hanno sposato le sorelle Alma, Marilena e Lina. Uno dei cognati si chiama Mario Ziliani, come il fratello, un altro è Domenico Imberti, di Parre (paese di pastori per eccellenza). I figli dei cognati proseguono l'attività paterna. 

Nel 1971, raggiunti i settant'anni papà Battista si ritirava . I figli, che avevano imparato il mestiere decidono di vendere le pecore mettere a frutto in Svizzera le conoscenze acquisite. E' Tino, il più giovane a recarsi per primo in Svizzera reclutato da un amico. Mario segue di lì a poco il fratello e, per qualche anno, lavorano insieme. Bisogna premettere che il pascolo vagante con i greggi ovini in Svizzera si pratica in inverno (da marzo ai primi di novembre non è consentito).

Tino da giovane: un Cleant Eastwood camuno?


Per capire la biografia di Tino Ziliani è necessario fare qualche riferimento alla transumanza bergamasco-camuna in Svizzera. Esperienza che Tino ha vissuto per quindi anni e che ha contribuito in modo determinante a confermare la sua identità di pastore, legato a una ben precisa tradizione. 

Transumanti in Svizzera (approfondimento)

 Essa,  per alcuni aspetti, ha ricalcato sino a pochi anni fa quella tradizionale, una transumanza molto impegnativa per il pastore fatta di tanta solitudine e di tanto freddo: una vera prova atta a dimostrare di essere "veri pastori". La transumanza, il pascolo vagante per meglio dire, sono consentiti in Svizzera solo dai primo di novembre a ai primi di marzo. Oltre alle autorizzazioni veterinarie servono anche quelle dei proprietari dei terreni e si deve seguire rigorosamente un percorso prefissato. Le norme attuali sul benessere impongono a un pastore di non tenere più di 400 pecore e di disporre di almeno due cani. In caso di gelo eccezionale la transumanza può essere interrotta.  Le pecore si alimentano dell'erba rimasta sotto la neve, ci si accampa nei boschi  con temperature parecchio sotto lo zero, utilizzando rami, pelli di pecora e il tabarro per coprirsi, a volte un po' di paglia (se disponibile) per farsi una "tana", un telo quando piove; si prepara la polenta con il tripè, sul fuoco. Nonostante i cambiamenti climatici il clima nel Mittenland svizzero in inverno resta rigido.

Il pastore Emilio Morandi dorme nella paglia

Sino a qualche anno fa non si usavano camper, nessuno era motorizzato.   
I pastori che praticano la transumanza invernale sull'altopiano svizzero non sono solo bergamaschi; ci sono anche ticinesi, portoghesi ma anche svizzeri che hanno "fatto la scuola" con i bergamaschi. 

Oggi, in generale, i pastori transumanti sono ben accolti dalla popolazione. Un tempo non era così. Il fascino dei pastori erano legato alle suggestioni letterarie e pittoriche romantiche che hanno influenzato per generazioni le classi elevate (al più, tramite qualche lettura scolastica quelle medie). Meno o nulla i contadini.  

La seguente citazioni ottocentesche dimostrano come si venne a formare un vero e proprio cliché romantico del pastore bergamasco. Che, allora, entrava in Szizzera con i propri animali per l'alpeggio estivo.  

I pastori, quasi tutti delle valli bergamasche Seriana e Brembana sono spesso dei tipi curiosi : portamento fiero, faccie tranquille, marcate, brune, barbe incolte, e capelli lunghi, neri cadenti inanellati sulle spalle. Sulla testa portano alteramente il bruno cappello puntuto alla Calabrese, e attorno al corpo avvolgono negligentemente un mantello bruno o bianco di lana. Sono di una razza audacissima ma onesta, di poche parole tranquilla; spesso assai bella. Vivono sui monti nella più grande semplicità e sobrietà; un pò di polenta con formaggio costituisce di solito il loro unico nutrimento, e i più giovani dormono di notte all'aria libera presso il loro gregge, talora cercando ricovero sotto le roccie. Di tanto in tanto alcuni scendono al piano nei villaggi per provvedere farina e sale...  W. Kaden, I bagni di St. Moritz : la stazione climatica per  eccellenza nella Alta Engadina, Top. Tanner, Samaden, 1887, p. 17.

I pastori bergamaschi vivono nel modo più frugale. Mattina e sera si accontentano di polenta cotta in acqua e di mais, poi un po 'di formaggio e di ricotta; non c'è ombra di pane o burro tra di loro e bevono solo acqua e siero di latte. Per tutto il giorno e metà della notte, nelle giornate più avverse, si prendono cura delle loro pecore e le prestano le cure più assidue e puntuali; ma sono come i loro greggi, il loro carattere è rude e selvaggio; il loro umore taciturno; non si sentono mai tra loro i canti così noti agli altri pastori. Devono combattere il gelo, la pioggia, la neve, le valanghe, gli smottamenti e contro i predatori. F. von Tschudi, Lectures agricoles dédiées à la jeunesse suisse, Lausanne, Chantrens, 1865, pp. 375

L'etnografo Arnold Niederer) si esprima nei seguenti termini a proposito dei pastori bergamaschi: […] questi bergamaschi non erano pastori assunti per la transumanza, ma gli stessi proprietari e allevatori di greggi quanto mai orgogliosi della loro condizione. A. Niederer, Economia e forme tradizionali di vita nelle Alpi, in P. Guichonnet, Storia e civiltà delle Alpi. Il destino umano, Jaca Book, Milano, 1987 pp. 9-105 (p. 15). 

Albert de Meuron ha dedicato diversi dipinti a olio al tema dei pastori bergamaschi (anni '60 dell'Ottocento)(sopra e sotto). Le sue immagini e le descrizioni letterarie si sono probabilmente inflenzate reciprocamente.


A metà Ottocento il numero di capi ovini bergamaschi che entrava in Svizzera per l'alpeggio era pari a 30-40 mila capi. Agli inizi del Novecento tutto è cambiato. Già prima della grande guerra, attraverso misure sanitarie e di altro genere, l'afflusso dei greggi bergamamaschi venne bloccato. I pastori, forti della loro esperienza e ritenuti i migliori pastori, vennero però assunti per portare in transumanza greggi svizzeri. 

Non più vincolato dal raggio di transumanza a piedi dalle valli, l'impiego dei pastori bergamasco-camuni si è esteso dai Grigioni ad altri cantoni, interessandone diversi, sia di lingua tedesca che francese. 

Ai pastori bergamaschi sono stati anche dedicati alcuni libri: a Emilio Morandi di Fiumenero, alta val Seriana, che per molti anni ha fatto il pastore nel Giura e prima nel Vaud e nei Grigioni  (A-M Prodon, Emilio le moutonnier du Noirmond, Morges, Editions Cabédita, 1990, I ed 1988); a Luigi Cominelli, di Parre (M. Imsand - ph-, B. Galland, Luigi le berger, Lausanne, Ed 24 Heurs, 1990). Quest'ultimo volume ha avuto più edizioni e le foto del libro sono state utilizzate per delle mostre (in Svizzera e in Italia).  

sopra: un'immagine del libro Luigi le berger. Sotto Luigi Cominelli


Libri e mostre testimoniano di un interesse indubbio per la figura, suggestiva, fascinosa, del pastore transumante ma valgono moltissimo le semplici, scarne parole che, nel 1995, il giornale locale della val Bregaglia (Grigioni meridionali) dedicava a Giacomo Bergamini, un pastore di Ardesio in alta val Seriana, in occasione dell'attribuzione al pastore di un riconoscimento (un orologio e un diploma della Società svizzera di economia alpestre). Bergamini  da trent'anni (proseguità ancora per cinque sino alla pensione), conduceva in estate le greggi delle corporazioni di proprietari ovini valligiani. Così si esprtesse l'articolista: La fama che la tradizione ci [tra]manda di questi validi custodi di pecore bergamaschi è ineccepibile.

Giacomo Bergamini

All'aura di romanticismo che accompagnava i pastori bergamaschi, faceva da contrappunto - sino a qualche decennio fa  -  la dura diffidenza del contadino (di tutte le latitudini) per il nomade. Nei piccoli villaggi il pastore poteva essere cacciato dagli empori di paese. I pastori bergamaschi (ma anche i ticinesi) venivano etichettati come cingali (zingari). Va però precisato che lo stesso epiteto era rivolto ai pastori anche in Lombardia e che i pastori  diprezzavano profondamente i contadini. 

Declinata la cultura rurale, poi anche quella industriale,  il mito del pastore transumante è ridiventato popolare in chiave di eroe ecologico. Di un personaggio "in sintonia con la natura". Una chiave un po' distorta perché è la sintonia con una cultura, antica ma capace di evolversi, che caratterizza il pastore. Dentro questa culttra c'è la sintonia con gli animali, il mondo vegetale, i fenomeni atmosferici, da conoscere in modo intimo, per poter sopravvivere. Del revival del mito pastorale in Svizzera (e altrove) è segno il film Hiver Nomad (lungometraggio "dal vero") di Manuel von Stürler  , Svizzera, 2012, 82'.

Il protagonista del film, Pascal, è svizzero ma ha imparato il mestiere, come egli stesso dichiara, dai bergamaschi. Basta vedre come  carica l'asino.


Tino aveva imparato a condurre le pecore facendo il pastore con il padre e il fratello maggiore Mario. Nel 1971 si era recato per la prima volta in Svizzera dove è rimasto ad esercitare la transumanza invernale sino al 1987. Per diversi anni i fratelli Ziliani hanno lavorato ancora insieme. In estate si spostavano sulle Alpi, dove Mario accudiva le vacche da latte (che dovevano essere anche munte). Tino seguiva le pecore da carne ma dava comunque una mano al fratello a mungere. Durante l'inverno (novembre-marzo) portavano in transumanza un gregge di agnelli da carne nel cantone di Zurigo. Si tratta di una transumanza ben diversa da quella tradizionale, che è esercitata con greggi di fattrici. Il pastore è solo, con i cani, gli asini, le pecore. 

Ai pastori, gli agnelli erano affidati da una grande società, con sede nei pressi dell'aereoporto di Zurigo-Kloten, che gestisce l'import di carne (in Svizzera limitato a contingenti); alla fine della transumanza i capi sono destinati al macello. Da aree intensamente urbanizzate dell'area metropolitana di Zurigo (dove vengono pascolati i sedimi aurortuali) ci si spostava verso aree più agricole (dove comunque le aree a pascolo erano limitate e inframezzate da aree da evitare). Era una lenta transumanza (10 km al giorno) che si dirigeva a Nord, per percorrere la valle del Reno e poi tornare a Zurigo.  I fratelli Ziliani nella loro attività di pastori in Svizzera, oltre a molte tecniche della transumanza bergamasco-camuna hanno anche mantenuto a lungo anche l'equipaggiamento personale del pastore realizzato con ruvido pannolana dal "sarto dei pastori", Rino Pasini di Gandino. 

Oltre al tabarro, al giaccone, al gilet anche i calzoni da loro utilizzati erano di ruvida lana bergamasca. Elementi irrinunciabili di una cultura che conferiva identità, che confermava, pur in contesti diversi da quelli tradizionali, il rimanere nel solco di una tradizione percepita come importante. Queste transumanze solitarie nei mesi invernali hanno rappresentato per Tino una sorta di prova iniziatica. Come il pastore Barbarossa del racconto Le serpents d'etoiles dello scrittore Jean Giono che, dopo quindici anni di transumanza (esattamente come Tino in Svizzera), specchiandosi nell'acqua della bacinella usata per lavarsi, non si riconosce più : da ragazzo sono diventato uomo, da uomo sono diventato pastore. Ed essere pastore è qualcosa che va oltre l'essere "semplicemente" uomo. Considerato quello che il pastore deve saper affrontare. Considerato che un pastore, conoscendo le difficoltà di un ambiente duro, a volte ostile, sapendo come aggirarle riesce a sopravvivere in situazioni dove non solo il cittadino di oggi (cresciuto sotto una protettiva campana di vetro  con ogni comfort) ma anche il contadino di ieri, sarebbero morti in pochi giorni. Non è solo l'ambiente fisico ad essere ostile. Il pastore deve affrontare anche le tante norme che limitano l'attività del pastore, l'ostilità, i pregiudizi, proteggendosi con una dura scorza ma anche attrezzandosi ad affrontare con grande flessibilità ogni situazione. 

Tino in Svizzera ha imparato  il mestiere di tosatore. Al macello.  L'alto valore della lana in Svizzera dove, a differenza dell'Italia e dei paesi della CE, erano stati mantenuti i dazi di importazione, faceva si che venisse tosata anche quella degli agnelli destinati ad essere sacrificati. 

Competizioni di tosatura a Bristol in Inghilterra

In Svizzera, Tino si era sposato con Teresa, una ragazza che abitava nella zona dell'aeroporto di Zurigo frequentata dal nostro pastore. Alla nascita della figlia Larissa, nel 1987, è tornato a casa con la famiglia, stabilendosi definitivamente a Pian camuno, e si è dedicato alla professione di tosatore. Lui ha abbandonato la transumanza, lei il lavoro e l'ambiente di origine anche se, con la moglie, Tino ha continuato a parlare tedesco e ha mantenuto anche alcuni elementi di mentalità e abitudini più tedesche che italiane (non è così difficile per un pastore bergamasco-camuno).

Mario ha continuato a fare il pastore in Svizzera: la transumanza in inverno e l'alpeggio d'estate con le vacche, brevi periodi a casa. I fratelli abitavano piani diversi della stessa grande casa moderna fuori paese (con annessi prati e piccoli ricoveri per tenere capre e pecore). 

Da tosatore Tino è stato, per qualche stagione, in Inghilterra, dove ha partecipato alle competizioni di tosatura a Bristol (dove i campioni riescono a tosare una pecora in meno di un minuto). Qualche volta è tornato  in Svizzera a tosare i greggi affidati al fratello. Tosatore di livello internazionale ha partecipato anche a delle competizioni internazionali in Austria. 

Tino, al centro in piedi, aziona il contapecore

Grazie alle conoscenze acquisite all'estero (ma non ha mai preso un aereo per paura del volo), Tino riuscì a mettere insieme una squadra internazionale composta da tosatori professionisti: sardi, francesi, spagnoli, neozelandesi. Alcuni dei membri della squadra di tosatura si spostavano da un paese all'altroe da un emisfero all'altro sfruttando la differenza delle stagioni di tosa.  Quando non era impegnato con la sua squadra a tosare i grandi greggi dei pastori transumanti, Tino si prestava anche a tosare dei piccoli greggi anche se il lavoro con la squadra lo teneva impegnato buona parte dell'anno, spostandosi tra le diverse regioni del Nord Italia e nelle due stagioni. L'attività di tosatura dei nostri greggi transumanti, infatti, a differenza di altre realtà pastorali, è distribuita su due campagne di tosa: quella autunnale e quella primaverile. Da tempo il pastore di pecore bergamasche (e affini) ha rinunciato a eseguire una sola tosa perché, anche se il costo dell'operazione supera largamente il valore della lana (sempre che si riesca a venderla), il saltare una tosa va troppo a detrimento del benessere della pecora e si può anche ripercuotere negativamente sulla produttività del gregge (agnelli svezzati per fattrice all'anno).  

Nel tempo Tino ha formato anche degli allievi "locali", come Claudio che, lasciata la fabbrica, che non gli piaceva, è diventato pastore e, da pastore, incoraggiato da Tino, è diventato tosatore rimanendo a fianco del "maestro" per undici anni, sempre disponibile, anche al di fuori del lavoro di tosatura,  a tutte quelle iniziative, spesso di puro volontariato, che Tino metteva in piedi o a cui partecipava. 

Grazie a una buona organizzazione, la squadra riusciva a tosare in un giorno (o due) tutti i capi di greggi anche di grandi dimensioni fornendo un servizio prezioso ai pastori a costi contenuti. Il ritmo di tosa di Tino era di 250-300 pecore al giorno, quello dei tosatori "ordinari" di 150-180. Per essere un capo in un'attività dove conta la pratica non puoi non essere anche il più bravo.

Fiero della sua identità di pastore (che non ha mai "dismesso")  lo era anche di quella professionale, più "moderna" (per via delle tosatrici elettriche e della sua internazionalità) di tosatore. Lo si vedeva da come esibiva con orgoglio i cimeli delle gare di tosatura all'estero. Non considerava, però, le due attività come separate. I tosatori, del resto, nascono pastori.

Un "pallino" per la cultura del pastore transumante


Tino era profondamente consapevole che il savoire faire pastorale non consistesse solo in qualcosa di acquisibile meccanicamente, sia pure mediante le modalità dell'imparar osservando e imparar facendo, ma presupponesse (quantomeno risultasse facilitato) dall'essere partecipi di una cultura (mentalità, tradizioni, codice di valori), una cultura che si discosta, non da poco, da quella "sedentaria" e che da senso all'agire del pastore. Un tutto che si trasmetteva in modo organico  da generazione in generazione e presupponeva, come del resto per altre attività del passato, una sorta di endogamia professionale. Così, pur compiacendosi della presenza di nuove leve provenienti da ambienti estranei al mondo dei pastori, Tino continuava a marcare, con un puntiglio che, a volte poteva parere eccessivo e discriminatorio, i "veri pastori" (con tre generazioni pastorali alle spalle) dagli altri. Per lui non contava neppure un "pedigree" di allevatore di montagna. La pecora è una cosa, la vacca, la capra un'altra. 

Ciò non impediva un atteggiamento profondamente empatico di Tino con gli animali in generale. Ha anche allevato per diversi anni delle capre, quelle che i "veri pastori" tendono a disprezzate (è, però, più un disprezzo esibito, per via di una specie di senso di colpa nei confronti del loro "vero amore", la pecora, che tenono di "tradire" se solo si abbandonano a qualche apprezzamento per la capra). 

L'atteggiamento di Tino nei confronti degli animali si esprimeva nel suo biasimo senza attenuanti per qualsiasi forma di maltrattamento (vedi quella cruenta del mulesing praticato in Australia sulle pecore merinos)  e, più di ogni presa di posizione e commento contava il fatto che le sue pecore non le uccideva. Ho preso in carico alla sua morte le pecore di Tino mi ha riferito Mario hanno 16-17 anni

Quando Tino tendeva a collocare nella categoria dei "non veri pastori" quelli senza una storia famigliare alle spalle non faceva ovviamente questione di genealogia fine a sé stessa ma sottolineava il valore di una cultura radicata nell'imprinting famigliare. Chi ritiene che le tecniche si apprendano leggendo i libri o seguendo dei corsi considera tutto ciò ridicolo. E si sbaglia. Il pastore che diventa tale per scelta personale, in forza dell'attrazione per gli aspetti romantici o "ecologici" dell'attività o, anche, della "passione" per gli animali (motivazioni forti ma legate a situazioni personali che possono evolversi nella traiettoria di vita delle persone), di fronte alle difficoltà o agli allettamenti economici (vedi "pascoli d'oro") forse non è capace di tenere la "barra dritta" come un pastore che  proviene da una cultura dell'onore pastorale, del valore dell'essere pastore. 

Tino non era insensibile alle storie (sono vere) di ragazzi che sono riusciti a farsi un gregge partendo da un agnellino (magari regalato da un pastore). Il suo era realismo, una sana antropologia; sapeva che ciò che ha radici profonde resiste alle avversità, ai cambiamenti. Che la dimensione individuale, la scelta, la passione, non sono tutto e che conta (o almeno contava) anche una dimensione che va oltre gli individui, vuoi una comunità di generazioni, vuoi una comunità di pratica. Nel venir meno della trasmissione inter-generazionale (la maggior parte dei pastori sono ancora di famiglia di pastori, però), assume importanza la comunità di pratica. Una comunità che, in forme nuove, i pastori cercano di mantenere. Una comunità di pratica è una comunità di cultura.

Da molti punti di vista pertanto, il Tino, con il suo "pallino" per la cultura pastorale, è stato un antesignano. Oggi,  più di ieri, anche nel contesto più ampio delle attività agricole e di allevamento, gli aspetti culturali, segnatamente l'identificazione con una cultura, con dei valori, un gruppo sociale di riferimento cui ci si stima di appartenere,  spiegano, spesso più dei dati economici, perché un sistema "si tenga" o vada in crisi, perché i giovani restino, se ne vadano, ritornino.  Basta guardarsi intorno. Ci sono tanti giovani che cercano si di ricavare un reddito dalla loro "passione" per porla su solide basi. L'economia al servizio della passione. Al contrario di quanto insegna la società di mercato: la passione al servizio dei soldi. Sono "arcaici" i giovani che la pensano così? Arcaici o meno (per come coltivano le relazioni paiono più aperti degli "economicisti") senza di loro, senza le motivazioni culturali, l'orgoglio di appartenere a un gruppo, a una cultura, a una tradizione non c'è futuro per l'agricoltura di montagna (e, se va avanti così anche per quella di pianura).  Del resto non era per "sentirsi emancipati", per aderire a nuovi valori che i contadini di qualche decennio fa acquistavano la trattrice di potenza del tutto sproporzionata alle loro esigenze agricole? La usavano per sfoggiarla con i vicini ma, fatti i conti, era antieconomica e accelerava la crisi della piccola azienda.  

 

Roberto Togni, scomparso nel 2015

Credo che, tra i fattori che hanno portato Tino a operare con grande impegno a favore del riconoscimento del valore della cultura pastorale, si debbano includere, oltre alla storia personale e famigliare, anche le sue esperienze all'estero, attraverso le quali ha potuto verificare come, in altri paesi, le attività e le culture pastorali vengano tenute in ben più alta considerazione che in Italia. Hanno però contato anche i contatti con personaggi del mondo accademico come Roberto Togni. 

Togni, nell'ambito delle sue attività in ambito museografico e museologico, si è occupato anche di etnografia agricola e, in particolare, pastorale. Nel 1991 aveva costituito il Musalp, gruppo internazionale di lavoro tra musei, museografi, museologi, studiosi e... personalità emblematiche e "profetiche". Come Jean Blanc di Digne, Francia, pastore contadino divenuto consulente del Ministero francese dell'ambiente per la creazione di nuove parchi e riserve (ve lo immaginate in Italia dove questi ruoli li ricoprono solo verdi da tavolino?). Tra le personalità emblematiche del Musalp vi era anche Mario Ziliani, il fratello di Tino, che aveva partecipato all'incontro nel settembre 1991 ("Sulle tracce della civiltà alpina") all'Ospizio del passo del Lucomagno in Svizzera. 

Mario, all'alpe del Lucomagno, svolgeva la fase estiva del suo lavoro, operando qui, però, da "malgaro" e non da pastore di ovini. Presente a un momento conviviale del seminario, Mario fu poi invitato a una sessione in cui si sarebbe parlato di musei e di pastori in Romania. Qui Mario intervenne commentando le diapositive relative all'attività pastorale in Romania (ancora fortemente legata a modalità tradizionali). Da quell'incontro con Mario Ziliani nacque l'idea di un viaggio in Romania sui luoghi dei pastori e della transumanza, viaggio che ebbe effettivamente luogo nel 1992 con la partecipazione di Mario (che, però, a un certo punto dovette interromperlo per iniziare la sua transumanza a Zurigo).   Nel 1997, Togni pubblicò un opuscolo sull'attività di Musalp dedicandolo a Jean Blanc, Otto Winzenried (un contadino - artista - filosofo che per 25 anni ha vissuto in val Poschiavo, a Viano, esclusivamente dei frutti del suo lavoro agricolo), e a Mario Ziliani: Tre personalità che in modo diversamente autorevole ed esemplare hanno vissuto, e tuttora testimoniano, esperienze di vita sulle alpi, realizzando una saggezza e una professionalità da autodidatti di livello e di intensità eccezionali

Il rapporto tra Mario Ziliani e Togni ha portato anche alla conoscenza reciproca tra il professore valtellinese e Tino. Una conoscenza non senza conseguenze perché, attraverso l'interesse del professore veniva confermato il valore di quella cultura del pastore transumante alla quale Tino attribuiva così importanza.  

Attraverso l'attività di capo-tosatore, Tino era diventato un punto di riferimento per molti pastori. Convinto della necessità che i pastori dovessero in qualche modo relazionarsi con le istituzioni e diffondere un'immagine pubblica positiva della loro attività (in forza del suo valore di patrimonio culturale e dei servizi ambientali resi),  Tino, nel 2000, fondò l'Associazione pastori camuni che divenne poi, nel 2005, Associazione pastori lombardi e della quale  è stato presidente sino alla morte. 

Un aiuto al Tino, nel far partire l'Associazione, lo demmo io e il camuno (ma residente a Salò) dott. Angelo Bonù, tecnico dell'Associazione provinciale allevatori di Brescia per la sezione ovicaprini, un vero appassionato di zootecnia e cultura camuna cui si devono le prime iniziative per la conservazione della capra bionda dell'Adamello e il riconoscimento di diversi formaggi camuni (fatulì, motelì, stael). 

Di fresco costituita, l'Associazione organizzò un piccolo festival del pastoralismo camuno: Belati in piazza a Edolo (in nuce c'erano già quelle formule che poi saranno sviluppate con l'esperienza di Terre d'Alpe a Cuneo, nel 2013 e poi a Bergamo, dal 2014 in poi). 

Fiato ai baghèt. Il gruppo dei Samadur a Belati in piazza, li ritroveremo a Bergamo nel 2014 alla prima edizioen del Festival del pastoralismo

Belati in piazza, però, non ebbe repliche (si vede che i tempi non erano ancora maturi o che in valle non vi era un interesse abbastanza forte per questo aspetto fondamentale della storia e dell'identità locale). L'evento riuniva i temi della transumanza ovina,  della lana,  delle preparazioni a base di carne ovina (bergna, cuz, salsiccia di castrato di Breno), con quelli della rivalutazione della capra bionda dell'Adamello (che, peraltro, era la capra dei pastori transumanti camuni che l'hanno diffusa anche fuori della valle).

Nel 2001, l'associazione di Tino Ziliani, con i proventi di dimostrazioni di tosatura effettuate in occasione di vari eventi in valle e in provincia di Brescia, avviò una prova pilota di lavorazione della lana dei pastori, producendo - con le pezze di tessuto ottenuto - dei capi di abbigliamento pastorale tradizionale. 

Un progetto del tutto "autofinanziato", "autosostenibile" che la dice lunga sulla distanza siderale tra lo spirito dell'Associazione pastori camuni e quello di tante organizzazioni che utilizzano progetti fumosi per finanziarsi.  Le dimostrazioni di tosatura erano organizzate dal Tino che, oltre a prendere i contatti con le amministrazioni e i soggetti privati (per esempio l'Archeopark di Ausilio Priuli), si occupava dell'arrivo delle pecore e naturalmente... di tosare.  

Preliminarmente a questa esperienza, con l'aiuto di Tino, avevo eseguito (con un tesista) uno studio sulle caratteristiche qualitative della lana bergamasca che aveva fornito risultati incoraggianti e che contribuì a sviluppare le successive iniziative di valorizzazione della lana bergamasca.  A detta dei pastori essa era divenuta più fine di un tempo e si voleva verificarlo, con i numeri. In effetti, rispetto a dati risalenti al 1978, avevamo trovato come la produzione quantitativa, in soli venti anni, fosse scesa da 4,1 a 2,5 kg di lana sucida/pecora/anno mentre la finezza era notevolmente migliorata: da 43,3 μm (millesimi di millimetro) a 35,6 μm. Inoltre si era molto ridotta la quota di "giarra" (peli grossolami che non prendono la tintura) (Corti M., Perissinotto A., 2001, Caratteristiche quanti-qualitative della lana di pecore di razza Bergamasca. Atti 36° Simp. Int.di Zootecnia Prodotti di origine animale: qualità e valorizzazione del territorio, Ancona 27 Aprile 2001, pp. 63-68). 

Ai fini della lavorazione della lana si rivelò preziosa la collaborazione della filiera laniera della val Gandino. Tino conosceva molto bene Silvano Pasini, il titolare  del Lanificio Ariete  (scomparso il 29 ottobre scorso). Presso l'impianto di Gandino veniva lavata tutta la lana dei pastori e Tino, oltre a tosare, si preoccupava anche, almeno per una parte dei pastori, di fare da trait d'union con Pasini. Così Silvano Pasini si prestò gratuitamente a lavare quattro quintali di lana sucida tenendola separata (pur essendo una piccola quantità per il grande impianto di lavaggio "tipo Leviathan").  Con grande disponibilità, il lanificio Gusmini di Cene (dove, negli anni '90 era stato prodotti l'ultimo pannolana bergamasco) aveva poi provveduto, a prezzo politico (e superando alcune difficoltà tecniche)  a filare, tessere, tingere e operare il finissaggio. La sartoria Taglio Avion di Bonetti (Sovere) aveva poi provveduto a confezionare i capi. Il tessuto venne realizzato a "mezza saglia", come da tradizione del lanificio bergamasco, e tinto in nero e in marrone; in parte fu invece lasciato naturale (ecru). Un omaggio alla tradizione dell'abbigliamento dei pastori che, sino all'Ottocento utilizzavano capi (in particolare i tabarri) marroni, bianchi e verdi (per poi uniformarsi al nero solo a fine secolo). 

Con alcune pezze di tessuto più pesante (800 g/mq) vennero confezionati alcuni tabarri (gabà) e altri indispensabili componenti del “corredo del pastore”: la giacca col carniere (dove riporre gli agnelli appena nati) e i calzoni. Questa produzione è stata riservata ad alcuni pastori come Mario Ziliani che praticavano il nomadismo durante l’inverno.   Con le pezze di tessuto di peso più ridotto (600 g/q) sono stati invece confezionati ì gilét (crozèt), e altre giacche destinate, nelle nostre intenzioni, non solo ai pastori ma anche a chi per l’uso all’aperto.  La “linea” era stata proposta con il marchio Pastori camuni regolarmente depositato presso la Camera di Commercio di Milano. Con il tessuto “naturale” furono realizzati, a titolo dimostrativo, alcuni accessori che possono essere confezionati in ambito casalingo: semplici gilét, cappelli, borse.  Tino era molto orgoglioso del risultato.  

Un pezzo importante di cultura materiale dei pastori era stato "rinfrescato". Molti pastori gli furono riconoscenti, consapevoli che gli articoli di abbigliamento realizzati con la lana fine (oggi, paradossalmente, molto più disponibile a bassi prezzi) si prestano meno bene all'uso pastorale (la lana fine tiene più caldo, ma questo può essere un difetto per chi lavora all'aperto, si inzuppa più facilmente, quindi protegge meno dall'acqua, è meno resistente e subisce prima l'usura).   


Al primo Festival del pastoralismo (Astino, Bergamo, 2014), Tino alle prese con la polenta. Indossa uno dei gilet di pannolana bergamasco che l'Associazione pastori camuni aveva fatto produrre a partire dalla lana dei pastori. Si vede bene il logo ormai storico: "Pastori camuni", poi passato ai "Pastori lombardi" e al "Festival del pastoralismo".

Tra le tante attività di Tino, va segnalato il suo impegno nel rilanciare la mostra ovina di Rovato. Per alcuni anni l'Associazione pastori lombardi organizzò, in occasione della mostra ovicaprima di Rovato, dei convegni, cui seguiva anche l'assemblea dell'Associazione e una cena dei pastori. Fu un'occasione per tentare di dare un carattere più strutturato all'Associazione stessa e, persino, di stringere contatti con degli embrioni di aggregazioni simili che stavano tentando di costituirsi anche in Veneto e in Piemonte. Nel 2010 a Rovato erano presenti Emilio Pastore per il Veneto e Marzia Verona per il Piemonte. Oggi il primo di dedica alla viticoltura, la seconda all'allevamento stanziale di capre in Val d'Aosta, indice della difficoltà per il pastoralismo transumante di trovare rappresentati organici. Da registrare al convegno di Rovato del 2010 anche la presenza dell'emiliano Dino Mazzini che, sull'Appennino, aveva perso tutte le pecore (mantenute nei recinti) per ripetuti attacchi dei lupi. Mazzini, a Rovato, anticipò il grido di dolore degli allevatori di fronte a un problema che, da allora, è divenuto sempre più drammatico. 

Le velleità di organizzazione inter-regionale dei pastori sfumarono ma anche i tentativi di strutturare la "Pastori lombardi" non ebbero molto seguito. L'azione dell'Associazione continuò a identificarsi con l'iniziativa personale del suo presidente, sostenuto attivamente da una cerchia di pastori a lui legati da rapporti di parentela o amicizia personale. Vi era poi un buon numero di pastori che appoggiavano e approvavano le iniziative di Tino, senza però contribuire in forma attiva. Una minoranza poi dissentiva per vari e forse opposti motivi: alcuni ritenevano che il pastore debba continuare nella tradizionale tattica di restare "sotto traccia", aggirare gli ostacoli (normativi, burocratici, economici), altri, alcuni "neo-pastori" contestavano, pur riconoscendogli impegno generoso e disinteressato, che Tino si occupasse troppo di aspetti culturali mentre sarebbe stato opportuno impegnarsi in azioni economiche concrete, sollecitando sostegni pubblici per la valorizzazione della carne. Tenere insieme le diverse anime del pur ristretto mondo dei pastori non era facile. Tino è riuscito a farlo nella misura possibile nei limiti oggettivi di un'associazione che si identificava troppo con il suo presidente. Ogni tentativo di strutturarla maggiormente, specie se essa avesse assunto un connotato economico, avrebbe comportato delle lacerazioni insanabili, oltre a scontrarsi con lo spirito antiburocratico e individualista dei pastori. Tutto ciò, però, comporta, per i pastori, il pagare lo scotto della delega ad altri attori o quello dell'assenza in quelle sedi in cui si prendono decisioni che li interessano (e dove sono presenti molti altri portatori di altri interessi o sedicenti tali).     


Alla mostra di Rovato

In realtà, nei confronti delle istituzioni, l'Associazione pastori lombardi ha sviluppato alcune forme di interlocuzione importanti. Al convegno di Rovato era presente il dott. Alberto Lugoboni, dirigente della struttura Sviluppo della montagna e dell'utilizzo sostenibile dei terreni agricoli.  Ne sono derivate delle iniziative quali l'apertura di "tavoli" con gli enti che più di altri condizionano, con le loro regole, l'attività dei pastori: i parchi fluviali. La monocoltura maidicola se, da una parte, consente ai pastori di utilizzare le stoppie da ottobre in poi, ad aprile, con le semine in contemporanea, trasforma buona parte della pianura in un terreno off limits. Al pastore non resta che spostarsi sulle aste dei fiumi, in attesa della monticazione. Il Parco del Serio è stato quello che per primo ha manifestato delle aperture nei confronti dei pastori. Disponibilità a ridefinire regole per il pascolo, il transito, lo stazionamento è stata espressa, attraverso più incontri con i pastori anche dal Parco Adda Sud.

In tema di parchi va segnalato il progetto, svolto tra il 2010 e il 2013 nell'ambito del PLIS colline di Brescia, un progetto di pastorizia in contesto urbano, finalizzato a interventi di ripristino e manutenzione di superfici erbacee (nella foto aerea sono cerchiate in rosso le aree interessate al pascolo nell'ambito del monte Maddalena e dei colli Campiani. Merita ricordare l'impegno del dott. Benedetto Rebecchi, dirigente del comune con responsabilità del Parco e della dott.ssa Anna Mazzoleni. L'aspetto interessante è che l'intervento ha previsto l'intervento controllato di greggi (o parti di greggi) transumanti che transitano regolarmente in zona durante il loro cammino di risalita verso la val Trompia (e oltre). Al progetto l'Associazione pastori lombardi ha partecipato in modo attivo quale interlocutore del comune di Brescia. 

Pecore in azione sul Monte Maddalena

A latere del progetto, il 23 marzo 2010, presso Lo Scultore - Civica trattoria bresciana (in via Carlo Cattaneo 24, in pieno centro storico di Brescia) venne organizzato un "menù del castrato bresciano", presenti il pastori Ivan Sandrini, Michele e Danilo Agostini (questi ultimi anche in qualità di macellatori). L'idea era quella di presentare il castrato bergamasco-camuno-bresciano (la flessibilità di denominazione è d'obbligo) quale carne ottenuta al pascolo a km zero.  


A Brescia, però, un'ampia area a Sud-Ovest della città, il tristemente noto "sito Caffaro", è interdetta alle attività di coltivazione e al pascolo per l'inquinamento da Pcb ("parente" delle diossina). Anche l'asta del Mella, corridoio ancora ai nostri giorni per 3-4 mila pecore transumanti, rientra in parte nell'area off-limits. Negli anni, però, vi sono stati casi di pastori multati per essere passati per l'area vietata. Situazioni che certo non si accordano con la promozione di un prodotto, la carne ovina da allevamento transumante che viene, giustamente, presentata come "da erba", grass-fed se volessero usare il solito inglesismo.  Così il comune di Brescia e l'Associazione pastori lombardi hanno lavorato a un protocollo che impegna i pastori a seguire percorsi alternativi e, il comune, ad agevolare il transito dei greggi lungo le direttrici concordate. Il protocollo è stato sottoscritto da Tino e dall'assessore all'ambiente Gianluigi Fondra il 12 dicembre 2015 (sotto).  

La cerimonia si svolse a palazzo Martinengo nel contesto del convegno organizzato per presentare i risultati del progetto di utilizzo del pascolo ovino per la manutenzione delle aree del Parco delle colline di Brescia. Come in altre circostanze, l'Associazione pastori camuni, alla quale si è affiancato dal 2014 il Festival del pastoralismo di Bergamo (sui cui avremo modo di tornate tra poco), non hanno mai ceduto al folklorismo fine a sé stesso. Anche se la spettacolarizzazione è la leva emotiva per ottenere l'attenzione su contenuti cognitivi.

Il passaggio di un drappello di pecore (in numero un po' troppo simbolico in realtà) avvenuto nello stesso giorno, aveva si un connotato "natalizio", evocando lontani natali in cui le strade cittadine (avveniva anche a Milano) erano percorse da "zampognari" coperti da pelli di pecora, ma coincideva con iniziative concrete, volte ad assicurare la continuità della transumanza a Brescia, e sulle quali si intendeva attirare l'attenzione della cittadinanza.  

 

Restando in ambito bresciano, alla prima dimostrazione delle potenzialità gastromiche della carne di pecora bergamasca, ne seguì una seconda, il 9 aprile 2011, alla Trattoria La Madia di Brione (Franciacorta) dello chef-patron Michele Valotti. Parteciparono, tra gli altri, il gastronomo Riccardo Lagorio, Carlos McAdden (blog Made in Brescia). Venne anche la Rai (Sergio Carrara).

 

Castrato alla piastra (cena alla Madia). La succulenza si avverte già in fotografia 


Tino, Danilo Agostini (autore e fornitore della carne), Claudio Filisetti 
alla cena del castrato alla Madia

 

Tino durante l'intervento alla "cena del castrato" alla Madia . Qui indulge nel ricorso alla mimica un po' istrionesca  con la quale era uso accompagnare i suoi discorsi

Le iniziative gastronomiche bresciane dell'Associazione pastori lombardi ebbero come corrispettibo bergamasco una memorabile "Cena del castrato", organizzata qualche giorno prima di quella franciacortina, il 17 marzo 2011, presso il ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo (chef-patron Mario Cornali). Alla cena collaborò anche, per la scelta dei vini, Daniele Visconti della Trattoria Visconti di Ambivere. A differenza della cena della Madia (aperta al pubblico), quella al Collina era limitata alla stampa e ai pastori e ad addetti ai lavori. C'erano Elio Ghisalberti (rubrica gastronomica dell'Eco) e Alberto Lupini (direttore de L'Italia a Tavola) ma anche Alberto Lugoboni (il già incontrato dirigente della regione). Per i pastori, oltre a Tino, gli immancabili Danilo Agostini, Claudio Filisetti e Daniele Savoldelli.  

Le iniziative gastronomiche per la valorizzazione della carne ovina bergamasca della primavera 2011 ebbero seguito con la settimana del castrato, organizzata da Slow Food nel novembre successivo. 

Da allora all'Osteria GiGianca di Bergamo, ma anche agli altri locali sinora citati come sede del primo lancio della primavera nel 2011,  questa carne è, in alcuni menu stagionali, sempre presente.  negli anni si sono affiancati anche altri locali: Guelfo Nigher di Riva di Solto (Bg), al Resù di Lozzio e al Sapì di Esine (Valcamonica). L'elenco non è peraltro completo.

Oltre alle iniziative assunte direttamente, l'Associazione ha svolto un ruolo importante mettendo in contatto fotografi e registi interessati a documentare il mondo del pastoralismo transumante lombardo. Cristina Meneguzzo, Michela Barzanò e Emanuela Cucca con "Fuori dal gregge" (Italia, 2012, 42') hanno realizzato un film-inchiesta che ha consentito ai pastori di raccontarsi e non di essere raccontati da punti di vista, se non arbitrari, quantomeno soggettivi. Tra la primavera 2010 e quella successiva, le autrici hanno seguito una quindicina di pastori nei loro spostamenti invernali e in alpeggio.

Non solo c'è stata una fase preliminare di contatti con i pastori (fase nella quale Tino ha svolto, come in altri casi il ruolo di mediatore) ma, nel procedere al montaggio del film si è osservata una procedura partecipata con il coinvolgimento dei pastori. Alcuni di loro si sono prestati a visionare il materiale e hanno indicato quegli aspetti che non ritenevano opportuno inserire. 

Tino, con Cristina Meneguzzo durante la proiezione a Parre


 Non è facile per un pastore osservare tutte quelle regole pensate per ben altre condizioni e non è difficile trovarsi "fuori regola". Non è neppure facile, se non si conoscono le situazioni, capire che certe pratiche sono eseguite per il benessere dell'animale e non per farlo soffrire. Il film era stato realizzato per un bando del Registro delle eredità immateriali della Lombardia (REIL) e i materiali prodotti sono stati acquisiti dall'Archivio di etnografia e storia sociale (AESS - Lombardia). In questo modo la transumanza è stata inserita nel patrimonio immateriale. In questo contesto Tino Ziliani è stato identificato come il referente di questa realtà facilitando, attravertso i contatti instauratisi con la direzione generale della cultura della regione (dott.ssa Agostina Lavagnino) che hanno consentito l'inserimento della Lombardia tra le regioni interessate al riconoscimento Unesco della transumanza quale patrimonio immateriale dell'umanità (2019).

Nel settembre 2013 la Wool week, a cura del Woomark (quello che una volta era il marchio internazionale pura lana vergine) è stata organizzata a Milano. Gli organizzatori si sono rivolti a Tino che ha fatto arrivare una trentina di pecore dalla Brianza e ha curato i vari aspetti del loro stazionamento (veterinario ecc.)  tra il Duomo e la Rinascente. Peccato che gli animalisti hanno impedito la dimostrazione di tosatura. Nella loro ignoranza non sanno che la tosa è praticata per il benessere dell'animale e che la lana, a differenza dei peli ordinari dei mammiferi che, periodicamente (muta), o gradualmente, si rinnovano, continua a crescere.

Le pecore alla Rinascente di Milano

Tino era disponibile a dare dimostrazione di tosatura ovunque si organizzasse qualcosa sul tema della lana. Sotto (a sn) è impegnato a tosare a Malonno, nella sua Valcamonica, in occasione di una festa della lana organizzata nel settembre 2015 a Malonno dall'associazione Coda di lana che organizza anche la raccolta della lana sucida dai piccoli allevatori ovini locali, si occupa di smistarla e di mandarla a lavare (attività purtroppo interrotta con la chiusura del Lanificio Ariete di Gandino nel 2018. A dx Tino con le fondatrici di Coda di lana all'alpe Rosello di sopra insieme al pastore Giacomo Lombardi con la moglie.


 Sono innumerevoli le riunioni in tema di lana e dei suoi problemi alle quali Tino ha partecipato. La sua presenza era sempre sollecitata perché era lui che aveva il polso della situazione da parte dell'offerta, almeno per quanto riguarda i pastori transumanti (lombardi ma non solo). Era lui la persona di riferimento (di lana ne ha maneggiata a montagne in vita sua), per capire a quali condizioni è possibile ottenere una lana di qualità (relativamente all'incidenza delle impurità: residui vegetali, sabbia, terra, sterco) ecc.  

La cena del 14 dicembre 2016 a Gandino (Tino è al centro del tavolo in fondo)


Così alla prima riunione informale degli "addetti ai lavori" della filiera lana di Gandino, riunita per una cena a base di capra con peperoni e polenta (ricetta di Nereto -Teramo - adattata, e non poteva essere diversamente nel borgo che per primo nella bergamasca  ha conosciuto la coltivazione del mais). Di quella riunione (ne suguirono altre più formali che portarono al lancio del marchio Lana Valgandino), Tino era stato avvisato all'ultimo momento (mea culpa), ma - sapendo che era un'occasione importante - aveva preso la macchina ed era venuto. Una circostanza che ben si accorda con quanto riferito dal fratello Mario: quando lo chiamavano per qualcosa che riteneva importante piantava l' tutto e partiva, magari stava falciando il prato, lasciava lì la falciatrice nel prato per tre giorni.

La cena di Gandino appena ricordata era una cena "post- festival", seguiva cioè l'edizione 2016, la terza, del Festival del pastoralismo di Bergamo. Il Festival non sarebbe decollato senza il sostegno dell'Associazione pastori lombardi. L'apporto di Tino, Danilo Agostini, Daniele Savoldelli, Claudio Filisetti fu essenziale.



Non solo perché Danilo portò le sue pecore ma anche perché i pastori sostennero diverse spese (trasporti, fornitura di carne di pecora e altri alimenti). Grazie a loro furono risolti i problemi di spostamento del gregge in città (era la prima volta) e venne allestita una memorabile "merenda con i pastori".   



Tino gira la polenta, Claudio prepara la bergna (fresca). In piedi Gabriele Rinaldi dell'Orto botanico. Il fotografo è Marco Mazoleni, al suo fianco Silvia Tropea, allora presidente degli Amici dell'Orto botanico, l'associazione che si era presa l'onere di organizzare il Festival (l'associazione Festival del pastoralismo si formò subito dopo)

Grazie a loro furono risolti i problemi di spostamento del gregge in città (era la prima volta) e venne allestita una memorabile "merenda con i pastori". Dal 2016, superato il collaudo, il gregge che da vita alla mini transumanza delle mura e dei colli di Bergamo è quello di Marco Cominelli, pastore di Parre, "titolare" delle aree di pascolo urbane (sotto in secondo piano, in primo Clausio, il braccio destro di Tino... che - di solito sorridente - pare qui invece uscito da un dipinto dei pastori ottocenteschi). 

Tino e i "suoi" pastori hanno partecipato anche nel 2015, sia per accompagnare il gregge che per allestire il buffet (non più "al campo" perché nel frattempo il campo era stato sottoposto a coltivazione) (sotto). Anche alle edizioni successivi l'apporto e la presenza di Tino non è mai venuta meno. Tino e i suoi amici erano soddisfatti che il Festival avesse iniziato a marciare da solo. Si sono sempre accontentati di ringraziamenti e di vedere un piccolo logo suli manifesti. Erano soddisfatti che il Festival, riprendendo anche nel logo, il "marchio" dei Pastori lombardi (già camuni) perseguisse il programma di riconoscimento del valore culturale (ma amche ambientale e gastronomico) del pastoralismo transumante. Tino faceva finta di brontolare un po' quando vedeva che le vacche e le capre avevano ampio spazio nel Festival. Capiva che tutto l'allevamento estensivo, di montagna rappresenta un settore debole, alle prese con la burocrazia, le speculazioni ... i grandi predatori. 

 


In anni recenti si era giustamente preoccupato, senza dimenticare la regolazione del pascolo e del transito dei greggi nei parchi, la destinazione della lana (specie dopo la chiusura dell'impianto del Lanificio Ariete di Gandino), dei grandi predatori.  Su questo tema, oltre ad intervenire senza peli sulla lingua e senza timori reverenziali di urtare la "sensibilità ambientalista"  dell'establishment a numerosi convegni, presentazioni di film (vedi "compagno orso") a livello locale e regionale, teneva contatti con altri paesi (conoscendo diverse lingue) e si era recato anche a un incontro a Innsbruck. Va ricordato che Tino si teneva aggiornato sui temi dell'attività pastorale in Europa attraverso riviste che si faceva spedire dall'estero. Il suo interesse per la dimensione locale non escludeva affatto una visione più ampia della realtà.

Preoccupato dei problemi pratici dei pastori, non certo per sollecitare favori per sé o per i suoi amici, teneva assidui con personalità politiche.  Rimaneva però fortemente interessato, coerente con la sua storia personale, al valore culturale della pastoralismo transumante di cui non mancava mai di marcare il carattere distintivo. E' stato per il suo interessamento che la Lombardia è stata inserita nel riconoscimento Unesco per la transumanza. 

Grazie all'attività di affiancamento sul campo e di fraterno incoraggiamento, Tino ha trasmesso la sua competenza di tosatore a dei giovani (o ex giovani) che ne stanno continuando l'attività. Primo tra tutti Claudio Filisetti.  Ci auguriamo che anche la sua attività di portavoce della categoria sappia trovare, seppure in forme diverse (Tino era un personaggio unico), continuatori. L'attività di tosatore portava Tino anche in Piemonte, Emilia, Trentino, Veneto, Friuli. In tutto il Nord Italia era conosciuto e stimato, non solo per la sua professionalità ma anche per le doti umane di disponibilità, generosità, di serietà (alla quale accompagnava però affabilità e ironia).