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Il Monte Orfano (versante di Erbusco)

 

Costalunga: legatura delle viti da: M.Capra 'Per seminare guardavamo la luna'' Testimonianze di vita contadina e cultura materiale rurale nel Parco delle Colline di Brescia, Grafo, Brescia, 2008

 

Raccolta dei cavolfiori sulle pendici dei Ronchi  da: M.Capra 'Per seminare guardavamo la luna'' Testimonianze di vita contadina e cultura materiale rurale nel Parco delle Colline di Brescia, Grafo, Brescia, 2008

 


Appendice normativa

 

Le vigenti norme forestali della Regione Lombardia esprimono sul tema del pascolo di servizio una posizione ambigua. Da una parte il comma 4 dell'art. 51 della  Legge Regionale 5 dicembre 2008, N. n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale) riconosce il principio del pascolo di servizio. Lo fa, però, nell'ambito di un art. che riguarda l'alpicoltura come se la necessità di manutenzione territoriale non fosse sentita (a volte di più) negli ambiti di bassa montagna e di collina. In ogni caso il sopracitato comma recita:

 

I piani di indirizzo forestale di cui all'articolo 47 definiscono aree e modalità per l'utilizzo di mandrie e greggi per la ripulitura di boschi e di terreni incolti a scopo di prevenzione degli incendi boschivi e di conservazione del paesaggio rurale, secondo le modalità e nel rispetto dei limiti stabiliti dalle norme forestali regionali. In mancanza o alla scadenza dei piani di indirizzo forestale, l'autorizzazione all'utilizzo di mandrie e greggi per la ripulitura di boschi e di terreni incolti è  rilasciata dall'ente competente in materia forestale.

 

Si stabilisce il principio ma poi si assoggetta l'esercizio del pascolo di servizio antiincendio al rispetto dei limiti stabiliti dalle norme forestali regionali'. Nel dettaglio cosa dice il recentissimo regolamento applicativo della L.R. 31/2008? ( Regolamento regionale 19 gennaio 2010 - n. 1 Modifiche al regolamento regionale 20 luglio 2007, n. 5 «Norme forestali, in attuazione dell’articolo 11 della legge regionale 28 ottobre 2004, n. 27).

 

Art. 57 (Limiti al pascolo in bosco)

 

1. Fatto salvo l’art. 12, comma 4, della l.r. 27/2004, il pascolo di bovini, equini, suini e ovini a scopo di prevenzione dagli incendi boschivi e di conservazione del paesaggio rurale nei boschi è consentito:

a) nella fustaia a partire dallo stadio di perticaia, ossia con alberi di altezza media superiore a dieci metri;

b) nel ceduo e nel ceduo sotto fustaia, a partire da dieci anni dall’ultima ceduazione.

2. E` vietato il pascolo nei boschi in rinnovazione, nelle fustaie disetanee o irregolari, nei boschi di neoformazione sino allo stadio di perticaia e in quelli percorsi dal fuoco da meno di dieci anni; in detti soprassuoli è altresì vietato far transitare o comunque immettere animali al di fuori della viabilità presente.

3. La custodia del bestiame pascolante in bosco deve essere affidata a personale appositamente incaricato e attuata con opportuni mezzi di contenimento quali le recinzioni elettriche.

3-bis. Il pascolo delle capre all’interno dei boschi è vietato, salvo specifica previsione dei piani di indirizzo forestale o autorizzazione rilasciata dall’ente forestale ai sensi dell’articolo 51, comma 4, della l.r. 31/2008, comunque nel rispetto del divieto di cui al comma 2 del presente articolo.

 

 Osserviamo che la possibilità di intervento è molto limitata da queste norme salvo che l'ente delegato (provincie, parco regionale non autorizzi la trasformazione permanente o temporanea delle superfici classificate a bosco). In generale c'è un rimando da un testo all'altro in una circolarità che finisce per limitare quello che in apparenza parrebbe consentito. Perché non stabilire delle differenze tra la qualità dei soprassuoli non prevedendo il divieto in alcune tipologie forestali di scarso valore (come introdotto dal recentissimo regolamento della Regione Piemonte?). E perché non prevedere che con specifica autorizzazione, così come si consente 'eccezionalmente ' il pascolo delle capre, si possa anche autorizzare in determinate situazioni anche il pascolo nelle formazioni forestali oggetto di tutela?

Con tutte queste limitazioni non solo non è possibile 'fermare' il bosco ma è difficileattuare interventi straordinari od ordinari di pascolo di servizio a scopo anti-incendio. Prevenire gli incendi utilizzando il pascolo è quindi difficile. Peccato perché è la soluzione più efficace e meno costosa. E forse qui non c'è solo la 'fissazione' maniacale boscofila a spiegare le cose. Lottare contro gli incendi boschivi con gli elicotteri, i Canadair, i sofisticati sistemi di rilevamento a distanza, le squadre a terra dotate di con costose attrezzature, pompe, automezzi, tute (che ogni pochi anni vanno sostituite perché non più 'a norma'), produce un bel giro d'affari, favorisce interessi economici forti, molto più forti di quelli di quattro pastori con le loro pecore.

 

(13.03.10) Si diffonde (con grande fatica) il riconoscimento dell'utilità del pascolo di servizio quale strumento di manutenzione sostenibile del territorio

 

Sui colli bresciani arrivano le pecore 'multifunzionali'

 

Per mantenere i prati aridi, serbatoio di diversità ed elemento di qualità paesistica, e per conservare e ripristinare i boschi autoctoni (querceti, carpineti, querco-carpineti) sono al via alcuni progetti che puntano all'utilizzo integrato del pascolo di servizio e degli interventi selvicolturali

 

di Michele Corti

 

Due distinti progetti che prevedono l'impiego del pascolo di servizio con ovini per il ripristino, la conservazione e il miglioramento degli ambienti collinari sono attualmente in fase di avvio in provincia di Bresc.ia Entrambi i progetti prevedono l'impiego del pascolo di servizio con greggi ovini. Il primo è stato intrapreso dal Comune di Erbusco (noto per la presenza di alcune cantine di fama internazionale) e riguarda il versante rivolto a NE del Monte Orfano una collina con altezza massima 400 m, lunga 6 km e larga meno di un km ,ben visibile dall'autostrada MI-BS.

L'altro, più articolato, ha per oggetto la cerchia di colline che chiude a N l'area urbanizzata di Brescia e dei comuni limitrofi.

Questo progetto intitolato: 'Recupero e valorizzazione dei prati e dei boschi nel parco delle colline di Brescia' è promosso e gestito dal Parco delle Colline di Brescia; è cofinanziato dalla Fondazione Cariplo e si  avvale, attraverso apposita convenzione, della collaborazione scientifica del Dipsa-Unimi (Dipartimento di protezione dei sistemi agroalimentare ed urbano e valorizzazione della biodiversità). Il Parco delle Colline di Brescia, PLIS (Parco Locale di Interesse Sovraccomunale) è nato nel 2002 dall’accordo di 5 comuni dell’area bresciana (Brescia, Bovezzo, Collebeato, Cellatica e Rodengo Saiano) e ampliato nel 2008 con i comuni di Rezzato e Nuvolera, portando il Parco a raggiungere un’estensione di oltre 4.300 ettari (43 Km2) disposti da est a ovest lungo la fascia collinare e pedecollinare di transizione tra la pianura urbanizzata e le prealpi.

 

Prati aridi residuali sul crinale del M.te Peso( alt. 500 m, Colle Beato) Foto M.Corti)

 

Il progetto ha come obiettivo la ricostituzione e la conservazione degli habitat caratteristici delle colline del Parco, con particolare riferimento ai prati e boschi autoctoni, e si prefigge di individuare un modello di sviluppo conservativo e sostenibile delle aree periurbane pedecollinari valorizzando la  biodiversità. In passato le colline intorno a Brescia erano oggetto di intense attività agricole e zootecniche (erano decine le cascine con allevamento di bestiame da latte); erano pertanto diffusi i prati da sfalcio mentre le superfici più aride e sassose erano utilizzate con il pascolo. I terreni migliori e meglio esposti erano spesso terrazzati e coltivati a vigneto, mais, cavolfiori, piante da frutto . Una coltivazione molto importante dal punto di vista alimentare era rappresentata dalla 'selva' (marroni e castagne da frutto).

 

L'aspetto della cotica erbosa con infiltrazione di essenze legnose dei prati aridi della foto precedente, sullo sfondo le aree urbanizzate di Colle Beato e Brescia (Foto M.Corti)

 

La vicinanza della città stimolava una intensa utilizzazione dei boschi anche per la produzione di legname (da ardere e da paleria) ma queste necessità erano prevalentemente soddisfatte dai castagneti e, nel complesso, i boschi occupavano una superficie molto meno estesa di quella attuale. Da diversi decenni a questa parte il rapido e intenso sviluppo industriale dei comuni della cintura bresciana ha determinato l'abbandono delle attività agricole. Non più utilizzati per lo sfalcio o il pascolo i  prati e le praterie aride costituiscono ormai un habitat discontinuo e relegato a ristretti brandelli, che nel giro di pochi anni potrebbero scomparire del tutto a favore del bosco di sostituzione. L’avanzata del bosco sul prato uniforma e rende monotono l’ambiente, con perdita di habitat e biodiversità.  Paralleli fenomeni di degrado subiscono i boschi che vedono ostacolata la rinnovazione dalla crescita di poche specie arbustive (rovo, sambuco) e arboree (robinia). La robinia oltre alla forte capacità riproduttiva e, pur essendo stata introdotta da secoli dal Nord America, non soffre ancora di quei problemi di avversità parassitarie di cui, invece soffrono in modo grave le essenze autoctone (in particolare castagno e carpino). E 'conquista' facilmente e velocemente il campo.

In questi boschi di sostituzione poveri di specie arboree ed arbustive la densa copertura impedisce la penetrazione della luce e questo limita a pochissime specie la flora erbacea. Va da sé che in ambienti così monotoni si riduce anche il numero di specie di insetti e di vertebrati.

 

Aspetto di vecchi pascoli arborati (Collina di S.Anna, Brescia, alt. 180 m)  (Foto M.Corti)

 

Prospettive di intervento

 

Negli ultimi anni il Parco ha eseguito importanti interventi di recupero di castagneti procedendo al taglio della robinia e alla ripiantumazione con essenze autoctone di pregio. Si tratta di interventi con costi elevati anche se giustificati, al di là degli obbiettivi naturalistici,  dall'importanza ricreativa oltre e paesistica di ambienti oggetto di intensa frequentazione ricreativa in ragione della vicinanza ad una importante area urbana. Il progetto del Parco si prefigge pertanto di coinvolgere alcuni pastori transumanti (che transitano tradizionalmente in zona diretti verso le alte valli) e gli allevatori stanziali in modo da utilizzare il pascolo di servizio sia per il mantenimento dei prati aridi residui che per impedire - con il pascolo ripetuto dei ricacci radicali - il reinsediamento del robinieto sulle superfici oggetto di taglio. Ci si prefigge anche di valutare l'impiego dei greggi in alternativa o in parziale sostituzione dei tagli quale mezzo di pulizia di sottoboschi degradati.

 

Gli interventi di pulizia meccanici non sono sono costosi ma non sono risolutivi perché il taglio stimola il ricaccio di piante vigorose come i rovi (Bovezzo) (Foto M. Corti)

 

Su alcune delle superfici recuperate verranno eseguite delle piantumazioni mentre su altre si impianteranno dei prati in modo da mettere a disposizione delle attività zootecniche e pastorali delle risorse 'durevoli'.  Quanto alle aziende zootecniche sono senza dubbio quelle caprine a candidarsi a svolgere un ruolo chiave in questa azione di recupero e mantenimento di alcuni ambienti collinari. No solo perché la capra si presta egregiamente, in forza della sua predilezione per le essenze arbustive e alla sua agilità e facilità si spostamento, a svolgere l'azione di pulizia del sottobosco con sambuco, rovo ed altri arbusti, ma anche perché le aziende caprine ben si inseriscono in un contesto urbanizzato dove non esistono ampie superfici di coltivazioni foraggere ma vi sono buone possibilità di commercializzazione attraverso le filiere corte dei prodotti taersfornmati artigianalmente in azienda. Aziende di 30-50 capre con trasformazione aziendale e vendita diretta e con accesso a risorse foraggere 'alternative' costituiscono una tipologia ideale per le aree pedemontane di bassa collina.  

 

L'importanza della partecipazione dei vari soggetti portatori di interessi e dell'associazionismo

 

Nel contesto territoriale del Parco è senz'altro fondamentale il coinvolgimento dei portatori di interesse diretti (i proprietari dei terreni, pubblici e privati, gli agricoltori e gli allevatori) cui affidare da subito alcune delle azioni progettuali in vista di una conservazione autosostenbile dei miglioramenti conseguiti. E' però importante anche il coinvolgimento dell'associazionismo. Il volontariato svolge già un ruolo importante in alcune realtà specifiche ai fini del mantenimento di alcune superfici, sentieri, percorsi didattici ecc. e può affiancare ed integrare le azioni del Parco, dei proprietari, degli allevatori. In prospettiva è anche pensabile, al di là degli interventi di manutenzone, il coinvolgimento del volontariato e delle coop sociali in iniziative di ripristino di coltivazioni nel quadro di forma di agricoltura civica e 'community supported'.

Alcuni privati hanno già intrapreso il rilancio agricolo nell'ambito delle Colline con reimpianti di vigneti e nuovi impianti di oliveti sfruttando i terreni meglio esposti (non va dimenticato che nell'ambito del Parco delle colline ricadono le DOC Franciacorta e Botticino e a IGT Ronchi di Brescia).  Una piccola rinascita agricola che recuperando il lascito di una civiltà rurale troppo rapidamente sommersa dai processi di modernizzazione e urbanizzazione guarda al futuro mettendosi in sintonia con i movimenti di urban agriculture che da un capo all'altro del pianeta si propongono come una soluzione al problema di 'nutrire il pianeta' ma anche di rendere più vivibili, dal punto di vista della qualità ambientale e delle iniziative di coesione sociale, le aree urbane vecchie e nuove.

 

Scampoli di paesaggio rurale a policoltura (castagno da frutto, cavolfiori e vigneto (Rodengo Saiano, alt. m 300 ca) (Foto M.Corti)


 

 

 

 

 

 

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