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Cultura rurale viva

Michele Corti, 20 Agosto, 2021

Fare formaggi, fare cultura

Tra le valli prealpine, la Valsassina è quella che vanta la maggiore tradizione casearia. Dal 1880 al 1930 essa rappresentò anche, insieme alla vicina città di Lecco, un distretto caseario di rilevo nazionale. Nelle sue casere, gestite da importanti ditte come Galbani, Locatelli, Cademartori, erano stagionati grandi quantitativi di prodotto (soprattutto gorgonzola ma anche taleggio, prodotto lanciato a livello nazionale - con questo nome -  dalla Cademartori). I formaggi, in larga misura salivano, dalla pianura, dove la produzione era ancora largamente artigianale e realizzata dagli stessi bergamini (i transumanti delle vallate orobiche)  per essere affinati nelle "grotte", costruzioni che fruivano di correnti di aria fredda che escono direttamenti dai fianchi delle montagne. In Valsassina, oggi, a fianco di grosse ditte (la Mauri, che ha un secolo di vita, la Ciresa, la Gildo, la Carozzi) vi sono ancora piccole ditte come la Doniselli di Pasturo e la Selva di Introbio, presenti dalla fine dell'Ottocento ma che si sono sempre limitate alla stagionatura. Una ditta, fondata nel 1961, ma direttamente legata alla tradizione secolare dei bergamini (allevatori-casari), è la Invernizzi Daniele di Pasturo che opera la produzione con il solo latte degli allevatori della valle, lavora a crudo e, di recente, ha riaperto una "grotta" di stagionatura naturale.


Il nonno di Daniele Invernizzi era nato in transumanza, alle osterie delle Fornasette, sull'Adda, tappa fissa per i bergamini che dalla Valsassina scendevano verso l'area del Melegnanese, appena a Sud di Milano. Era la via che passava da Vimercate, Gorgonzola, Melzo (queste due ultime località fatidiche della storia dei bergamini e dell'industria casearia lombarda e italiana). Da Melzo si imboccava la via Cerca, uno "stradone" che risale alla prima metà dell'Ottocento e porta (tuttora) a Melegnamo. Gli Invernizzi transumarono sino al tempo di guerra, poi tornarono a stabilirsi definitivamente nella valle natia. Dopo il militare, Daniele, partendo dal nulla (con una 1100 alla quale aveva tolto i sedili per caricare i bidoni del latte) avviò la sia attività di piccolo commerciante-stagionatore, nel solco di altri che misero in piedi grosse ditte partendo così. Gradualmente la ditta è passata alla produzione, prima presso una piccola struttura a Cremeno, poi nella sede attuale di Pasturo, dotata di un moderno caseificio e ampie celle


Daniele Invernizzi, classe 1937, è ancora al lavoro nell'azienda da lui fondata, sessant'anni di attività ininterrotta, nella quale è stato affiancato dai tre figli

Nella ditta Eugenio e Francesco seguono al produzione, Gabriele la commercializzazione. In una ditta che è rimasta famigliare, commercializzazione significa gestire dalle strategie di marketing e dai contatti con l'Esselunga al giro delle consegne."Ieri ho fatto 900 km per il giro, nella nostra attività le consegne vanno seguite di persona, un impegno gravoso ma ho preso il più bel furgone Mercedes". 


Fermamente convito che il punto di forza dell'azienda consiste nel forte legame con la tradizione casearia della valle e con la caseificazione di latte a km 0, raccolto solo da aziende valsassinesi nelle vicinanze del caseificio, Gabriele Invernizzi ha costruito un'immagine ben precisa dell'azienda e dei suoi prodotti attraverso una comunicazione commerciale che, orma da anni, è fedele a sé stessa e coglie tutte le opportunità per valorizzare aspetti storici, toponimi, tradizioni della valle. Unendo cultura a imprenditoria. Fa bene perché chi lavora latte di montagna raccolto a km 0, lacora a crudo, usa anche le "grotte" naturali, ha un diritto legittimo di rifarsi alla tradizione. Tutti quei prodotti "all'antica", "del contadino", confezionati con carte rustiche, spaghi e altri orpelli, con tutte quelle pastorelle e barbuti pastori, ingannano il consumatore, sono una truffa legalizzata (su questo tema mi permetto di rimandare a una mia pubblicazione Allegre pastorelle, pascoli fioriti e barbuti casari. L’universo simbolico della comunicazione commerciale lattiero-casearia tra idillio e conflitto sociale).


Va particolarmente fiero delle etichette che utilizzano la storia del Lasco, un personaggio di fantasia, il bandito della Valsassina, dalla doppia personalità, un po’ come dottor Jekyll e Mr. Hyde. Ambientato nello stesso periodo dei Promessi Sposi, il romanzo, uscito nel 1871; utilizza vasto materiale di leggende e storie locali e ricalca al tempo stesso l'opera più famosa. Lasco è il signore della rocca di Bajedo distrutta nel 1513 durante la rivolta contro i francesi. Nel XVII secolo era solo un cumulo di rovine ma per la fiction, c'era ancora. La fantasia di Antonio Balbiani fece di Lasco il signore della rocca, generoso con i sudditi di giorno, bandito assassino di notte. Lasco non ebbe la fortuna nazionale dell'opera del Manzoni ma, a livello locale e regionale, il successo fu inegabile. Vi furono varie edizioni e riedizioni, anche recenti e, sulla sua trama, venne costruita un'opera teatrale. Il personaggio è entrato fortemente nell'immaginario.

 


Tra i personaggi leggendari ai quali si ispirano i formaggi della Daniele Invernizzi vi è anche il guerriero Taino, un personaggio dei tempi barbarici. La "tomba di Taino" è un toponimo che individua un tratto della ripidissima valle solcata dal torrente Pioverna che scende con profondi canyon, dalla dolce Valsassina al Lago di Como. Come la tomba di Alarico - come non vedere un calco - scavata, secondo la leggenda, nel letto del fiume Basento, anche qui il torrente spumeggiante fu deviato per rendere introvabile la tomba con i grandi tesori che Taino aveva sottratto ai nemici. Altrove erano i draghi i custodi, qui la furia delle acque. L'immagine della ditta, però, si rifà anche a personaggi del tutto storici: i bergamini, che per secoli praticarono la transumanza tra la valle e la bassa pianura lombarda.


Mentre molte ditte si limitano a sfruttare le immagini di storie che non sono le loro, la Daniele Invernizzi, come abbiamo ricordato, affonda la sua storia nella transumanza. Ma Gabriele Invernizzi è anche un collezionista che preserva dalla distruzione molti cimeli della storia casearia della Valsassina e li utilizza per costruire un'immagine attenta, non da Mulino bianco, ma filologica . Le cassette della foto sotto, che servivano a trasportare, senza danneggiarli, gli stracchini quadri dall'alpeggio alle grotte di stagionatura in fodovalle, fanno parte della ricca collezione di Gabriele. "Per farmele dare da un collega ho dovuto farle ricostruire nuove con tanto di rivestimento interno in acciaio e dargliele in cambio".


Una bella collezione di Gabriele riguarda le matrici tipografiche in bronzo delle etichette dei formaggi di inizio secolo. Sulla scia di Egidio Galbani, le altre ditte si sono affidate ad abili disegnatori e incisori per realizzare le matrici in bronzo delle etichette.


Sono tante piccole opere d'arte, altro che i "creativi" di oggi. Un patrimonio prezioso, messo da parte con costanza. Oltre agli oggetti, Gabriele ha raccolto anche libri (come quello celebrativo del centenario della Locatelli.


I tanti oggetti raccolti da Gabriele Invernizzi meriterebbro un degno spazio espositivo. Alcuni sono esposti nel negozio della ditta, ma altri sono ammassati nei magazzini del caseificio. Come questa pesa centenaria che operava presso la grande casera di Maggio della Locatelli. La più imponente delle casere della Valsassina, dotata di laghetto per la produzione del ghiaccio e di una grande ghiacciaia


Oggi, la grande casera, vero esempio di archeologia industriale casearia, è ridotta in condizioni deplorevoli. Collocata a ridosso del versante della montagna esposto a Nord, era una "macchina del clima".  Un suo recupero mettrebbe a disposizione non solo grotte naturali di stagionatura ma anche un grande spazio museale, capace di operare come attrattore turistico e di raccontare una pagina esaltante, durata mezzo secolo, di decollo dell'industria casearia nazionale, una bella storia a cavallo tra industria e zootecnia (i prodotti stagionati nella grandi casere erano ottenuti freschi dai bergamini, sugli alpeggi della Valsassina e val Taleggio o nelle cascine della Bassa ove svernavano in inverno).


In attesa che le istituzioni e le grandi ditte casearie che tutt'oggi operano i Valsassina si decidano a recuperare le vecchie casere, Gabriele Invernizzi ha rimesso in funzione una vecchia "grotta" a Ballabio.  Per chi non lo sapesse, ricordiamo che le "grotte" valsassinesi non sono anfratti ma edifici in muratura addossati, con le loro "cantine", alla roccia della montagna.



Stagionano in questa grotta naturale, intitolata a San Lucio, dove, attraverso delle aperture, penetrano, le correnti d'aria fredda provenienti dalle viscere della montagna, sia gli stracchini quadri che i formaggi latteria. La differenza tra la cella e la grotta si vede (più che altro si sente in bocca) e, in un mercato satuto di "formaggi tipo latteria", prodotti in abbondanza sulle motagne lombarde e venete, quelli della grotta spuntano prezzi decisamente più soddisfacienti. Così Gabriele Invernizzi dimostra che la "retroinnovazione" non solo è possibile ma funziona. 



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