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(27.01.15) Lo strachìn quàder esiste ancora? La domanda che ci eravamo posti oltre dieci anni fa avava ottenuto risposta positiva. Lo strachìn quàder della Valsassina l'archetipo degli stracchini lombardi era ancora vivo e vegeto. E nel 2015? Nell'attesa di conoscere la risposta riproponiamo lo studio eseguito nel 2003 e apparso sul numero di giugno 2004 di Caseus

 

Lo strachìn quàder

esiste ancora?

 

di MicheleCorti e Davide Frigeri

 

già pubblicato nella cessata rivista Caseus. Arte e cultura del formaggio, anno IX, n. 4 (2004) pp.6-12

In Lombardia, sino a XX secolo inoltrato, c’erano formaggi e ... stracchini. Il de Lalande, autore, alla fine del XVIII secolo, della prima guida turistica d’Italia, in un capitolo appositamente dedicato ai formaggi (Des fromages d’Italie) informa i lettori che

[le fromage] ilse divise en deux espèces, formaggio & stracchino; le premier est du lait écrêmé, caillé & condensé ecore par la pression; (...). Le second ou stracchino, est fait avec du lait où on laisse la crême; il n’est condensé que par son propre poids; il est gras, délicat & plus blanc que le formaggio. (...)(1).

Luigi Cattaneo, fratello del più celebre Carlo, nel suo trattato di tecnica casearia del 1837(2) ribadisce efficacemente il concetto della polarità casearia lombarda giocata tra “stracchini” e formaggi “di grana”: “Noi vediamo che quelle vacche che pervengono alla Lombardia dalla Svizzera, dal Tirolo e dalla Baviera, nei loro paesi nativi danno latte dal quale si ottengono i formaggi conosciuti sotto il nome di battelmatto, brienzo, ursera, pojne(3), ecc. mentre discese in Lombardia danno latte dal quale si ricavano stracchini d’ogni genere e formaggio di grana.” Vale la pena ricordare che l’importanza degli “stracchini” nella tradizione casearia lombarda è legata ai mandriani-casari transumanti e seminomadi che, dal XV secolo in poi, presero a fare la spola tra la montagna e la pianura e che trasfusero nella Bassa le conoscenze su come allevare e come caseificare. Lalande nella sua dissertazione aveva osservato che la produzione casearia italiana destinata al commercio e all’esportazione era, già nel XVIII secolo, concentrata nel milanese (dove i berganini svernavano) e, soprattutto, in Valsassina, dove grazie alle famose «grotte» di stagionatura si era sviluppato un commercio caseario che, già alla fine dell’800, si trasformò in una vera e propria industria(4). Le aziende che avevano mosso i primi passi in Valsassina crearono filiali oltremare e innescarono un ciclo industriale che portò alla produzione di massa di nuovi formaggi molli che consentirono l’affermazione dei principali marchi caseari italiani.

Nel frattempo che fine avevano fatto gli “stracchini”? Oltre ai nuovi prodotti “molli” destinati al consumo di massa le industrie non trascurarono il segmento di mercato “tipico” e, in tempi recenti, sorsero Consorzi e Dop per alcuni “stracchini”: Gorgonzola, Taleggio, Quartirolo. Per i bergamini e per gli allevatori-contadini delle valli orobiche, anche se altri parlavano di Gorgonzola e Taleggio continuavano, ad esserci solo “tondi” e “quadri”.

 

Trasporto degli stracchini dall'Alpe Biandino a Introbio

I “tondi”, prodotto più sofisticato, erano legati ad un commercio a lungo raggio e ai cicli del mercato, compreso quello dell’esportazione che, nel XVIII e XIX secolo, aveva fatto conoscere questo “stracchino ad uso di Gorgonzola” in Inghilterra ed in Germania e poi anche nelle Americhe. Il bergamino affrontava la più impegnativa produzione degli stracchini erborinati solo se il mercato “tirava” altrimenti ripiegava sui meno impegnativi “quadri”. Nella tradizione zoocasearia lombarda il “quadro” era legato alle stagioni intermedie(5). In inverno le famiglie che rimanevano in montagna con il loro bestiame utilizzavano il poco latte che restava, una volta sfamati i vitelli, per il consumo fresco con la polenta. La semplicità di lavorazione, effettuata a partire da latte intero appena munto, rendeva la produzione di questo latticino idonea alle precarie condizioni di lavorazione della transumanza(6), ma anche delle stalle-fienile dei maggenghi, utilizzati prima e dopo l’alpeggio, prive di locali per la lavorazione del latte(7). Si deve anche osservare che la tecnologia dello stracchino si prestava bene ad utilizzare quel latte che, in conseguenza dei cambiamenti di alimentazione e dello stress legato alla transumanza e/o alla monticazione del bestiame, con maggiore difficoltà avrebbe potuto essere trasformato in (buon) formaggio. La produzione dei “quadri”, ottenuti anche da pochi litri di latte, proseguiva anche in estate nelle alpi pascolive più piccole, dove non si mungeva latte a sufficienza per produrre le forme dei “tondi”(8) o, anche altrove, dove i contadini non inviavano le loro poche vacche all’alpeggio, mantenendole presso i villaggi o i maggenghi privati.

Il transito dei bergamini da Introbio

La facilità della produzione dei “quadri” è certamente legata anche alla loro caratteristica forma. Messi in forma negli appositi stampi di legno a scomparti quadrati (cassetéra) venivano collocati nella zimbarda, una specie di cassettone posto al di sotto del pianale del carretto(9) e lo spurgo avveniva durante la marcia delle colonne transumanti. La forma quadrata facilitava anche il trasporto dalle alpi pascolive e dai maggenghi al fondovalle. Collocati in apposite cassette di legno squadrate i “quadri” venivano trasportati sulle spalle di robusti portatori o sul basto di muli e cavalli (vedi foto n.).

Il Cornalba nel suo “Trattato sul caseificio valsassinese”(10) osservava che: “ Questa lavorazione deve essere antichissima e deve corrispondere molto presumibilmente ai primi tentativi di trasformazione industriale del latte, in quanto gli stracchini rappresentano i primi prodotti che si ottengono dalla lavorazione del latte in seguito a manipolazioni assai semplici e limitate (...)”.

La Valsassina come accennato è solo una delle vallate prealpine lombarde, dal comasco al bresciano, dove la tradizione della produzione dello stracchino è radicata. E’ certamente impossibile stabilire una priorità temporale, o di altro tipo, di una valle rispetto all’altra; nonostante questo pare lecito riconoscere alla Valsassina e alla Val Taleggio (valli strettamente legate dalla storia(11) un legame particolare con questo prodotto che qui ha raggiunto perfezione e notorietà particolari in relazione a condizioni naturali e socioeconomiche (12).

A questo punto è lecito chiedersi se lo stracchino “archetipico” esista ancora e, se e in cosa assomigli o si differenzi dal prodotto “tipico” (a termini della normativa sulla Dop) o al generico prodotto industriale che si richiama alla tradizione tecnologica da esso rappresentato. Per rispondere a queste domande gli autori hanno intrapreso uno studio che è ancora in corso, ma che consente di esporre già alcuni risultati.

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Le caratteristiche del prodotto

Lo Strachín quáder della Valsassina è prodotto ancora oggi con le stesse modalità del passato. La maggior parte della produzione è ralizzata nel periodo estivo, da parte dei pochi allevatori valsassinesi che continuano a praticano l’alpeggio. Una produzione molto ridotta si effettua anche in inverno.

E’un formaggio ottenuto da latte intero crudo, lavorato due volte al giorno appena munto, senza aggiunta di innesti; appartiene alla categoria dei formaggi a pasta cruda e a crosta fiorita. La salatura viene effettuata manualmente a secco; la stagionatura varia da un minimo di trenta a un massimo di sessanta giorni. Di forma parallelepipeda quadrata, le sue dimensioni sono circa 4-5 cm di scalzo per 18-20 cm di lato e il peso da 1 a 1,5 kg. La maturazione è centripeta, procede cioè dalla crosta verso l’interno della forma. E’ quindi nel sottocrosta che i processi di proteolisi e lipolisi sono più spinti, determinando una liquescenza della pasta e una colorazione tendente al giallo paglierino, tanto maggiori quanto più è prolungata la stagionatura. Al centro, invece, la pasta resta più bianca, più consistente, talvolta gessata. Può essere presente occhiatura piccola e poco diffusa che distingue il prodotto ottenuto senza impiego di innesti.

La crosta è irregolare, rugosa, abbastanza spessa, con lievi solchi perpendicolari che formano tra loro un reticolo; è più o meno umida e consistente in funzione del grado di maturazione. Il colore è giallo paglierino, talvolta tendente al bianco o al grigio chiaro a seconda della tipologia di muffa sviluppatasi. Se subisce spugnatura (lavaggio con acqua e sale) la crosta tende al color rosa-salmone.

La differenza tra Strachín quáder e Strachín túnt consisteva nel diverso utilizzo della cagliata che per lo “Stracchino Gorgonzola” prevedeva l’unione di quella del giorno prima con una fresca, in modo che le due masse caseose non aderissero perfettamente fra loro e formassero piccole cavità d’aria in cui era possibile lo sviluppo delle tipiche muffe.

La tecnologia di caseificazione

Le tecniche di produzione dello Strachín quáder, un prodotto rimasto strettamente legato alle condizioni di lavorazione artigianale, sono abbastanza simili, soprattutto se si confrontano tra loro i produttori che operano in alpeggio. Si utilizza latte è appena munto (abbiamo riscontrato come l’aggiunta del caglio avvenga ad una temperatura media del latte di 32-34°C).

Tutti i produttori operano con latte crudo senza aggiunta di fermenti lattici; si utilizza sempre caglio liquido (titolo 1:10.000) utilizzato in quantità piuttosto variabili (da 20 ai 40 ml ogni 50 litri di latte). Le quantità di latte lavorato, nelle caratteristiche caldaie in rame a forma di campana rovesciata, non superiora mai i 100-150 kg. Il tempo di presa è di circa 15 minuti, quello di coagulazione di 40 minuti.

La rottura della cagliata rappresenta la fase più delicata di tutto il processo di caseificazione, grazie alla quale si può influenzare la velocità e l’entità dello spurgo e, di conseguenza, la maturazione e la consistenza del prodotto finito. Il metodo più tradizionale di rottura della cagliata prevede l’impiego della básla, una sorta di spannarola in rame, del diametro di 20-25 cm, con la quale, con lenti e sapienti movimenti, si effettua la rottura della massa caseosa lungo piani longitudinali. La cagliata è ridotta a pezzi della dimensione di una nocciola o poco più. La durata dell’intera operazione è di circa 10 minuti.

Successivamente la cagliata dopo essere stata lasciata in caldaia per pochi minuti viene estratta e riposta all’interno di panni di tela, in numero pari alle forme che si vogliono ottenere.

Questi panni contenenti lacagliata vengono riposti in secchi e, da questi, nuovamente in caldaia, eliminando progressivamente il siero ad ogni passaggio e operando una sosta sui generis; la cagliata durante questo processo permane nel siero per una durata complessiva di 10–15 minuti.

 

A questo punto la cagliata (ancora avvolta dai teli) viene posta nei caratteristici stampi forati a sezione quadrata in acciaio o in legno. La massa verrà rigirata dopo 2-3 ore a seconda della consistenza. Gli stampi posti sullo spersoio su un letto di cannucce naturali che, ancora secondo il metodo tradizionale, vengono raccolte in alpeggio, essiccate ed impiegate per agevolare lo sgrondo. Queste cannucce impartiscono alle facce dello Strachín quáder il caratteristico disegno.

Le forme, poste nello stampo, vi permarranno per 10 ore circa, per poi passare alla fase della stufatura durante la quale lo Strachín quáder continua il suo spurgo per un tempo variabile dalle 24 alle 48 ore. Al termine della fase di spurgo, quando lo stracchino ha prodotto una leggera patina biancastra, riconoscibile anche al tatto, si procede alla salatura, effettuata manualmente a secco su entrambi i lati e sullo scalzo (una volta alla settimana per quattro settimane). Le salature sono talvolta intervallate da spugnature con acqua e sale, con il fine di limitare l’eccessiva insorgenza di muffe.

La stagionatura viene protratta da un minimo di trenta ad un massimo di sessanta giorni, anche se tra i produttori stessi, non si disdegna di consumare lo Strachín quáder già a due settimane di stagionatura, gustandone in questa fase della maturazione i sentori più delicati e lattei.

Infatti con il procedere della maturazione e grazie ai processi lipolitici, promossi dalla microflora lattica spontanea, che liberano acidi grassi volatili ed altri composti aromatici, il gusto ed il profumo si fanno più decisi e intensi, tipicamente aromatici e caratteristici; talvolta sono presenti punte di amarognolo e note di fieno e stalla, ricercate dagli estimatori come prova di genuinità e tipicità.

Il contesto agrozootecnico della produzione dello Strachin quader

Gli allevatori che producono Strachin quder e quelli che conferiscono il latte ai caseifici artigianamli della valle per la sua produzione, operano tuttora in un contesto zootecnico che mantiene molti aspetti tradizionali. Nel corso del nostro studio preliminare sulla filiera di produzione di questo prodotto abbiamo analizzato le caratteristiche di quattro aziende zootecniche legate alla produzione dello Strachín quáder. I risultati mettono in evidenze alcune circostanze di indubbio interesse. I foraggi con cui vengono alimentati i bovini (per il 70% di razza Bruna), provengono in larghissima misura da prati della valle, dagli alpeggi e dai maggenghi da cui si ricavano fieno, erba fresca e, in minimaquantità, fienosilo.

Tali foraggi di produzione locale costituisconola componente preponderante della razione alimentare dei bovini sia durante l’inverno che il periodo estivo trascorso in alpeggio. In alcune realtà si effettua ancora lo sfalcio manuale ed il trasporto manuale del foraggio verde utilizzando le caratteristiche gerle (al femminile per distinguerle dal gerlo ad intreccio fitto) lombarde di ampia capacità costituite a intreccio rado (13). Tali gerle, a testimonianza del nesso tra pratiche tradizionali zoocasearie e complessivi sistemi culturali, sono realizzate a mano dagli stessi agricoltori; anche la mungitura è effettuata talvolta a mano. E’ importante, alla luce dei dati emersi durante questo studio, evidenziare l’elevato indice di autosufficienza foraggera (pari a circa il 70%).

 

La 'birla' modalità di conservazione del foraggio ancora utilizzata nelle aziende oggetto dell'indagine

Per la formulazione della razione alimentare sono impiegati, in aggiunta ai foraggi, mangimi semplici a base di mais, in ragione di 3-5 kg/capo per giorno, o, in alcuni casi il solo panello di lino. Le condizioni di raccolta dei foraggi e le caratteristiche complessive della razione giustificano produttività media per capo piuttosto bassa (10-15 kg di latte per capo al giorno).

Una cascinetta d'alpeggio presso la Colmine di San Pietro tra la Valsassina e la Val Taleggio

E’ interessante rilevare come, in alcune realtà, molte operazioni siano eseguite ancora a mano (sfalcio, trasporti, pulizia della stalla, mungitura) e come, in generale, si riscontri un ridotto apporto di fattori tecnologici mentre l’uso di materie prime e di energia non rinnovabili appare decisamente contenuto. L’elevato grado di autoapprovvigionamento foraggero, i bassi carichi di bestiame, i ridotti consumi di energia, di prodotti chimici e di materie prime non rinnovabili indicano come le aziende in questione potrebbero rilevare, alla luce di analisi più approfondite, buoni indici disostenibilità ambientale.

Essi, però, sono controbilanciati da una bassa produttività (per capo e per addetto) che, nelle attuali condizioni economiche (il formaggio fresco viene ceduto agli stagionatori a 3 €/kg), non può che ripercuotersi negativamente sulla sostenibilità economica. Dal punto di vista sociologico, a conferma del “disaccoppiamento” che può presentarsi tra aspetti economici e socioculturali, le aziende in questione non appaiono, però, sotto alcun profilo “residuali”. Vi è, infatti una buona presenza di operatori professionali, buone opportunità di successione alla guida delle aziende, orgoglio e soddisfazione per il proprio lavoro. La valorizzazione dello Strachín quáder nell’ambito di una strategia di marketing territoriale, in grado di far leva sulla vocazione turistica della valle potrebbe, a nostro avviso, premiare, oltre alle caratteristiche legate alle condizioni artigianali di trasformazione di questo prodotto, anche quelle legate al sistema foraggero che caratterizza il sistema zootecnico tradizionale valsassinese. Tali caratteristiche, infatti,influiscono positivamente, oltre che sulla qualità del latte, anche su quella del paesaggio e dell’ambiente. Un aumento significativo del prezzo di trasformazione del latte potrebbe, a questo punto, garantendo una migliore redditività alle aziende, assicurare la continuità del sistema zootecnico e, con esso, quella di una tradizione casearia che rappresenta un pezzo importante di storia.

Lnelle piccole aziende zootecniche dove si produce artigianalmente lo Stracchino della Valsassina si usa ancora l'alimentazione verde. L'erba falciata a mano viene portata con le gerle vino alla stalla

La parola al consumatore

A coronamento dello studio sui parametri tecnologici dello Strachín quáder prodotto durante l’ alpeggio 2003, in occasione della Fiera della Zootecnia di Pasturo di settembre, è stata allestita una prova di assaggio rivolta ai consumatori, con la finalità di valutare la capacità di assaggiatori non esperti di distinguere lo Strachín quáder da uno stracchino prodotto industrialmente da una azienda locale e rappresentativo del tipo più comunemente diffuso presso i grandi canali di commercializzazione. La prova consisteva in un test triangolare; il consumatore doveva assaggiare “al buio” due formaggi uguali ed uno diverso e indicare quali campioni (contraddistinti dalla collocazione sul piatto) fossero uguali tra loro . I diversi formaggi erano disposti secondo diverse collocazioni, in modo da impedire l’influenza reciproca tra chi si sottoponeva al test.

Sono stati coinvolti circa 150 visitatori che hanno compilato una scheda composta da più pagine appositamente redatta per lo scopo, sulla quale hanno riportato oltre ai giudizi sui formaggi assaggiati l’indicazione dei descrittori ritenuti più adatti informazioni inerenti le abitudini alimentari legate al loro consumo di formaggio oltre che alcune caratteristiche demografiche..

Le schede correttamente compilate in ogni loro parte sono state 110 su 150. L’esame dei risultati ha mostrato come, nel 91,6% dei casi, il consumatore sia stato in grado di distinguere la produzione artigianale da quella industriale, mentre non vi si è riscontrata una differenza di apprezzamento complessivo. Ciò indica che, se alcune caratteristiche del prodotto artigianale sono particolarmente apprezzate da alcuni (aromaticità), altri sono più inclini a valutare positivamente le caratteristiche del prodotto industriale ordinario (dolcezza, tenerezza).

I vari indicatori organolettici che descrivono le due produzioni, così come sono stati percepiti dal campione sottoposto a prova di assaggio, definiscono due prodotti con caratteristiche ben differenziate (Vedi figura n.3 )

Note

 

1. J.J. de Lalande, Des fromages d’Italie in:Voyage en Italie contenant l'histoire et les anecdotes les plus singulières de l'Italie et sa description. Tome premiere, [Chapitre XXX], Genève, 1790, pp. 420-427. Vale la pena aggiungere la seguente osservazione di questop autore relativamente agli «stracchini»: «Ces fromages, qui se font aux environs de Milan, & sourtout dans la Valzasina [s.d.a.], & dans toutes le parties les plus orientales du Milanez, se vendent en grande quantité dans toute l’Italie & dans l’Allemagne».

2. L. Cattaneo, Il caseificio o La fabbricazione dei formaggi : memoria teorico-pratica, Milano : tip. di P. A. Molina, 1837., p.57.

3 ricotte

4. Queste particolari conformazioni geologiche garantivano durante tutto l’anno condizioni di temperatura ed umidità pressoché costanti e ideali per la maturazione degli stracchini tanto da raccogliere per la stagionatura anche le produzioni effettuate in pianura e nelle adiacenti valli bergamasche.

5. I bergamini, però, pur disponendo di qualche decina di lattifere continuavano a produrre i “quadri” (e solo secondariamente, i “tondi”) anche in inverno presso le stalle (con annessi caseifici “casoni” dove svernavano acquistando il fieno e, con esso, l’uso di stalla, abitazione e casone) a dimostrazione di quanto fosse radicata presso questi allevatori transumanti la tradizione tecnologica dello Strachín quáder che, come tale, non può essere ricondotta solo ad aspetti contingenti di stagionalità e caratteristiche del latte.

6. Si caseificava all’aperto, sotto gli alberi, ai bordi delle strade o, in caso di maltempo, sotto una tenda.

7 “Stracchino – sorta di formaggio grasso e bianco che si fabbrica in Lombardia nell’autunno e nella primavera. Lo stracchino assume nome e qualità diverse secondo il territorio e la stagione in cui viene fabbricato e la quantità di caglio e del sale amministrato”. L. Cattaneo, op. cit., p. 283.

8. Riferendosi alla Valsassina il Serpieri nella sua relazione Indagine sui pascoli alpini della provincia di Como “In questa zona si lavora in generale stracchino di Gorgonzola, che si porta poi a maturare nelle rinomate casere di stagionamento della Valsassina. Solo le alpi più piccole, come ad esempio Mezzacca e Daggio, lavorano formaggio quartirolo”, Società Agraria di Lombardia, Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini, Vol III, “I pascoli alpini della provincia di Como ”, Milano, Premiata Tipografia Agraria, 1912, p. 20.

9.  I carrettieri lo usavano per mantenere una scorta di fieno per il cavallo.

10. G. Cornalba, Il caseificio della Valsassina, appendice a: Società Agraria di Lombardia, Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini, Vol III, “I pascoli alpini della provincia di Como ”, Milano, Premiata Tipografia Agraria, 1912, pp. 349-370.

11 Non solo Morterone, dove nel 1837 nacque Carlo Invernizzi, fondatore dell’omonima azienda casearia (P. Pensa,, L’Adda, il nostro fiume, Vol. II, c.b.r.s. editrice, Lecco, 1990, p. 496), è amministrativamente legato alla Valsassina pur essendo collocato geograficamente in Valtaleggio, ma dei due comuni della Valtaleggio uno, Vedeseta, era parte dello Stato di Milano, l’altro pur appartenendo alla Repubblica Veneta, era compreso anch’esso nell’ Arcidiocesi ambrosiana.

12 Il Cornalba, confermando le osservazioni del Lalande osservava all’ inizio del XX secolo: “L’industria del caseificio ha raggiunto nella Valsassina un grado di perfezione e di sviluppo quali in nessun altra delle valli Prealpine. Essa vi ab antico e si estriseca e si estrinseca attualmente nelle forme più svariate (...). Anzi possiamo dire che la Valsassina ha creato tipi di lavorazione che sono usciti poi dai suoi confini e si è formata un’industria locale con caratteristiche proprie, assai interessante dal punto di vista economico e tecnico.” e ancora: “L’industria del latte nella Valsassina si esplica quasi esclusivamente d’estate e sulle Alpi (...)dato che in inverno quasi tutte le mandrie scendono in pianura a svernare, come succede del resto anche nelle valli adiacenti, ed il latte del poco bestiame rimasto serve ad usi famigliari. D’estate invece le alpi si caricano di abbondante bestiame lattifero e la trasformazione del latte dà vita ad un industria molto varia nelle sue estrinsecazioni, assai redditiva e che costituisce il principale cespite di ricchezza della valle”. G. Cornalba, ibidem, p.349.

13 P. Scheuermeier, Il lavoro dei contadini. Cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera italiana e retoromanza, Vol.II, Milano, Longanesi, 1980, pp. 101-103.

 

 

 

 

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