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Capra Orobica: più formaggi

e meno estetismo

 

di Michele Corti

 

 

Unica razza caprina con un Libro Genealogico dell'Italia settentrionale l'Orobica vive, però, più di gloria e di passione (anche con qualche degenerazione estetizzante) che di una valorizzazione zootecnica e zoocasearia come merita. Senza un rilancio della sua vocazione di animale rustico ma lattifero, in grado di esprimere il meglio in alpeggio (ma senza trascurare di sfruttarne al meglio il latte anche in primavera) essa è destinata ad un inesorabile declino. Non pochi autentici caprai lamentano una perdita di robustezza. Quest'ultimo carattere, che identifica l'Orobica come razza poco slanciata ma dai buoni diametri trasversali, dotata di un robusto telaio (da montagna) è stato trascurato come conseguenza di orientamenti estetizzanti e di una scarsa attenzione alla politica di utilizzo dei becchi. Il rilancio dell'Orobica è però possibile. Nel contesto dei grandi riconoscimenti che sta ottenendo il Bitto storico, che dell'Orobica fa una bandiera, ma anche della progettualità dei FPO (formaggi principi delle Orobie). Di seguito alcune considerazioni che mettono in evidenza come la tradizione casearia delle Orobie occidentali, forse il più ricco comprensorio caseario al mondo, è basata anche sulla caseificazione del latte caprino, sia con la tecnica della coagulazione lattico-presamica che presamica. Questa tradizione è nata con la capra Orobica quando  Saanen e Camosciata delle Alpi erano allevate solo ... nel Bernese.

Il comprensorio delle Orobie occidentali presenta una ricchezza incomparabile di tradizioni casearie che si esprimono sia nella ā€œciviltà degli stracchiniā€ (con tutte le sue varianti che comprendono formaggi di diversa pezzatura, erborinati, a crosta lavata ecc.) che in quella, altrettanto significativa di grandi formaggi d'alpeggio a latte intero. All'interno di questa cultura casearia trovavano spazio - eccome -  anche i formaggi caprini e ovini e misti. L'eccellenza del Bitto storico è in qualche modo legata anche alla tradizione di utilizzo del latte caprino. Questo formaggio che non ha mai rinunciato a miscelare (in miura sino al 20%) caprino a quello vaccino, rifiutandosi di omologarsi ad un Bitto Dop senza latte di capra. Per di più il Bitto storico ha inserito nel proprio disciplinare la precisazione che il latte caprino deve provenire da capre della razza Orobica. Con questa affermazione rigorosa di legame territoriale e storico il Bitto ha contribuito in modo determinante alla conservazione della razza.

 

Queste sì che erano "Signore Orobiche". Gruppo di capre di Valgerola dell'allevatore Plinio Zugnoni di Pianteda (bassa Valtellina). Siamo nel 1988 e la foto (M. Corti) è stata scattata in occasione della campagna di rilievi biometrici sulla popolazione 'Orobica' finalizzati alla definizione dello standard di razza. Frutto di cure di allevamento appassionate e di attenta selezione morfologica queste bestie altere ed eleganti sembano voler smentire la qualifica di 'meticce' affibbiata in passato alle capre locali. La selezione condadina aveva portato ad ottenere questi pregevoli animali. Da quando è stata istituita la razza, si sono effettuati controlli, mostre, rassegne la razza, invece che migliorare, è peggiorata. Forse senza i riconoscimenti ufficiali, le mostre (che costano non poco denaro dei contribuenti spennati) la razza si sarebbe persa. Ma certo si sarebbe potuto fare di più. Si è in tempo per rilanciare (se si da spazio alle iniziative dei produttori e non a quelle delle troppe sovrastrutture che agiscono 'spora' il mondo agricolo).

Nelle Orobie, occidentali, però vi erano tradizioni ben attestate di produzione di formaggi caprini e ovini. Mentre la produzione di formaggi ovini è declinata nel corso del XIX secolo per poi scomparire durante il secolo scorso. Quella dei ā€œcapriniā€, dopo una lunga crisi che però non è mai coincisa con la loro scomparsa, ha conosciuto un significativo revival a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso.

Mentre la memoria della tradizione di formaggi caprini in tutta l'area (valli orobiche valtellinesi, Valsassina, val Brembana) è ancora viva presso testimoni viventi e i loro famigliari quella della produzione di formaggi ovini è affidata solo alle fonti scritte, che però sono preziose anche per le informazioni – sia pure scarne – che forniscono sulla produzione dei formaggi caprini. Giovanni Locatelli nei suoi Cenni ed osservazioni sulla Vallata di Taleggio, scritto nel 1823 (1), osservava: ā€œ[nelle] nostre vallate di Vallbrembana, Valtorta, Valsasina e Valleimagna [...] gli verranno mungere costantemente le pecore e formare gli indicati saporitissimi formaggini, e altrimenti mescendo con latte di Vacca, e fabbricandone le così dette preziose Bernardeā€. Il relatore per il circondario di Lecco (che comprendeva la Valsassina e parte della Brianza) della famosa Inchiesta agraria promossa dallo Jacini (negli anni ā€˜80 del XIX secolo) confermava l’importanza del commercio dei formaggini ottenuti sia da latte di pecora che di capra non mancando di rilevare come il prezzo superasse quello degli stracchini e formendo interessanti particolari sulla lavorazione e persino sull’imballaggio del prodotto destinato alla vendita e al trasporto (2).

Nel XIX secolo, con l’industrializzazione e l’urbanizzazione il formaggio, da prodotto di lusso e ā€˜condimento’, diventa un alimento quotidiano, sempre più diffuso presso strati sociali in via di allargamento. In forza di questi orientamenti commerciali, dopo il boom dei primi anni ā€˜80 del XIX secolo, le casere valsassinesi (per quanto aumentate di numero e di dimensioni) dovevano fare spazio non solo alla produzione di stracchini della valle stessa (e dalla limitrofa val Taleggio), ma anche alla produzione realizzata dai bergamini nella Bassa, raccolta dalle ditte casearie e inviata a stagionare nelle ā€˜grotte’ (più o meno naturali) valsassinesi. Come conseguenza di queste tendenze la produzione venne indirizzata anche in alpeggio sugli stracchini ā€˜tondi’: ā€œ[...] a Bajedo non si producevano più né caprini o pecorini"(3).

Cesare Cantù osservava come in Valsassina fosse attivo il commercio del formaggio (compreso quello caprino): ā€œI valligiani preparano nelle loro baite (cascine) le robiole e gli stracchini caprini di cui fanno grande esportazioneā€(4) .

Dall'insieme delle notizie ricavate da fonti scritte e orali si deduce che in passato vi fosse un'ampia varietà di formaggi caprini. Questa varietà si è andata riducendo in relazione alla prevalenza dell'allevamento bovino a partire dal XVI secolo. Dal neolitico al medioevo la produzione di latte ovicaprino sulle Alpi era altrettanto se non più importante di quella del latte vaccino. Gli ovini e, soprattutto, i caprini sono meno dipendenti dalle scorte di fieno invernali, utilizzano foraggi disparati e sono lasciati al pascolo per un periodo più lungo dei bovini. Non bisogna poi dimenticare che la pecora forniva oltre al latte e alla carne la lana che era il prodotto più prezioso. Con l'affermarsi della transumanza gli allevatori orobici furono in grado di ampliare considerevolmente la dimensione delle loro mandrie bovine dal momento che potevano scendere in inverno in pianura ed alimentarle con le abbondanti scorte di fieno delle cascine dove si installavano(5). La transumanza costringeva questi allevatori ad abbandonare (o a limitare fortemente) l'allevamento dlele capre dal momento che il loro trasferimento in pianura era ostracizzato dai Bandi contro le pecore e, soprattutto, le capre che vennero introdotti a partire dal XVI secolo. La transumanza delle capre dovette limitarsi o alla funzione 'ausiliaria' nei greggi ovini (dove la capra svolge il ruolo di balia per gli agnelli) o alla particolare transumanza (autorizzata dalle autorità) che portava i caprai ad installarsi nei pressi delle città per vendere ā€œdirettamente dalla tettaā€ il latte fresco di munta negli ospedali o a privati cittadini (che lo utilizzavano per bambini, anziani e ammalati)(6). In una litografia milanese dei primi anni del XIX secolo è ritratto un capraio con alcuni dei suoi animali in prossimità della Porta Orientale (attuale Porta Venezia). Le capre raffigurate sono inquivocabilmente di razza Orobica(7), ed è probabile che provenissero dall’alta val Brembana(8).

Il declino della produzione di formaggi caprini va spiegato non solo con l'orientamento sempre più accentuato tra XVI e XIX secolo verso l'allevamento bovino ma anche dal ruolo specializzato (in ā€œGorzonzoleā€, ā€œQuartiroliā€ e ā€œRobioleā€) assunto dalle ditte della Valsassina a fine XIX secolo e - in Bergamasca - con la ā€œguerra alle capreā€ scatenata, all'inizio dello stesso secolo, rinnovando senza più scappatoie i bandi dei secoli precedenti ( rimasti, di fatto, isenza conseguenze). Mentre in alta Valsassina e in Valtellina si continuò ad adottare un principio di ā€œtolleranzaā€ (tanto è vero che sugli alpeggi le capre hanno continuato ad essere caricate per tutto il XIX e XX secolo), in provincia di Bergamo i fautori dell' ā€œeradicazioneā€ della capra ottennero risultati più duraturi. In val Brembana, di conseguenza, l'allevamento caprino ha subito una marginalizzazione che non si è riscontrata nei territori orobici attualmente compresi nelle provincie di Lecco e Sondrio. Come risultato la ripresa dell'allevamento caprino in val Brembana verificitatisi negli anni Ottanta del secolo scorso si è tradotta nell'affermazione di forme di allevamento super estensive che comportano l'asciutta precoce delle capre e il pascolo incustodito senza produzione estiva di latte. Accanto alle aziende super estensive sono sorte anche aziende intensive che allevano razze cosmopolite (Saanen e Camosciata). Esse sono presenti anche in Valsassina dove, però, numerosi allevamenti continuano anche ad inviare le capre in alpeggio (dove viene in prevalenza prodotta pasta di formaggio (lattico-presamico) e dove, nel periodo pre-alpeggio vi è anche una produzione a livello aziendale (autoconsumo) o presso caseifici che raccolgono il latte di furmagitt o fioroni (formaggini lattico presamici). Nei caseifici ha conosciuto una ripresa anche la produzione di piccoli stracchini (a forma quadrata) di puro latte vaccino. La tradizione della produzione di stracchini di capra era ed è presente anche in val Brembana (9) (qui erano chiamati roviöle anch'esse con forma quadrata) mentre in val Fabiolo (lo sbocco della val Tartano verso il fondovalle valtellinese) si ricorda la produzione di stracchini misti (capra e vacca) di forma cilindrica, con scalzo basso.

 

Gruppo di capre inequivocabilmente Orobiche che fa il suo ingresso a Milano da Porta Orientale, dove ora sorgano i 'Caselli di Porta Venezia', condotte da un capraio ambulante (che vendeva per le strade il latte appena munto sul posto). La stampa è del 1806. Negli stessi anni diversi documenti degli archivi di Milano e Bergamo testimoniano che  dall'alta Valle Brembana (Branzi e Carona) si recavano a Milano diversi caprai 

Maestro di Palazzo Lonati Verri (attuale Palazzo Sormani, sede della Biblioteca comunale centrale di Milano), riquadro della Sala del Grechetto con la raffigurazione di un becco Orobico (farinèl). Il pittore era attivo a Milano nel XVII secolo. Egli ha inteso raffigurare tipi di animali rappresentativi e quindi si deve concludere che la popolazione Orobica fosse già diffusa nel XVII secolo escludendo ipotesi di introduzioni recenti.

La caratterizzazione e la valorizzazione dei formaggi di capra Orobica

Il Presidio Slow Food del Bitto storico ha svolto un ruolo decisivo per la conservazione della capra Orobica. La popolazione caprina Orobica, però, è diffusa molto al di là dell'area degli alpeggi del Bitto storico, sia in Valsassina che in val Brembana che nelle stesse valli orobiche valtellinesi dove la crisi degli alpeggi (per mancanza di accessibilità e di infrastrutture) ha fatto sì che regredisse il numero di alpi caricate con bovine da latte mentre sono aumentati quelli caricati da ovicaprini e bovini da carne. Il rafforzamanto del prestigio del Bitto storico e il consolidamento delle sue strutture di commercializzazione può consentire il recupero alla produzione di Bitto di alcuni alpeggi ma, in alcuni casi, cone in Val Lesina, il loro mantenimento e la loro valorizzazione possono essere garantite da una qualificata produzione di formaggi caprini anch'essi 'storici' (in relazione alla tecnologia casearia, alle tecniche di pascolo e all'utilizzo della capra autoctona Orobica). In questo modo si ottiene la salvaguardia dei valori ambientali e naturalisticii(10), quella di una razza caratterizzata da una significativa biodiversità(11) e di risorse pascolive e turistiche.

Nell'area valsassinese e brembana la valorizzazione della produzione di formaggi caprini ottenuti dal latte di capra orobica è finalizzata ad analoghi risultati. Nel caso della Valsassina in particolare non sono pochi gli alpeggi caricati esclusivamente con capre Orobiche (Artino, Alpe di Tremenico, Vesina, Giumello) mentre, attraverso la capra Oribica è possibile promuovere un sistema di piccole aziende zootecniche e di caseifici che si caratterizza per un forte legame territoriale e si pone come garante della conservazione di valori e patrimoni locali.

Il sistema basato sull'allevamento della capra Orobica necessita di elementi di differenziazione in grado di tradurre in un plus riconosciuto dal mercato i maggiori costi di produzione sostenuti rispetto da aziende con allevamento caprino intensivo e (per non parlare della grande industria casearia che, da qualche anno ha ripreso utilizzando latti non prodotti in loco la produzione di caprini allargandone progressivamente la gamma). La valorizzazione di formaggi di solo latte di capra Orobica può inoltre rappresentare un elemento di a favore del sistema turistico (e per riflesso anche all'intero sistema agroalimentare locale) tanto da ritenere che i vantaggi generati dul territorio siano superiori di quelli di cui potranno beneficiare le aziende impegnate nella trasformazione del latte di capra Orobica.

I risultati conseguiti da alcuni prodotti ottenuti esclusivamente con il latte di determinate razze, dimostrano che il patrimonio zootecnico di una razza a limitata diffusione può essere ampliato e consolidarsi in quanto il legame razza-prodotto trasmette al consumatore un messaggio chiaro e credibile di legame territoriale. Nel caso della capra Orobica tale legame risulterebbe ancora più forte poiché il suo sistema di allevamento è strettamente legato all'utilizzo dei pascoli e dell'alpeggio.

Nel caso dei prodotti di capra Orobica gli elementi su cui far leva per la valorizzazione sono costituiti da 1) una razza fortemente meritevole di conservazione; 2) l'alimentazione a base di pascolo e quindi una superiore qualità del latte salutistica e organolettica del latte e dei formaggi; 3) il lagame tra la razza e un'area che rappresenta in Italia quella con la più consolidata tradizione di produzione di formaggi caprini a coagulazione lattico-presamica (12). La capra Orobica, documentata nell'iconografia almeno a partire dal XVII secolo e la profondità storica della tradizione di trasformazione del latte caprino dell'area orobica occidentale rappresentano un binomio inscindibile.

Non si può poi fare a meno di rilevare come la presenza dei formaggi di capra Orobica nelle Orobie occidentali si inserisca nella innovativa esperienza dei ā€œFormaggi Principi delle Orobieā€. I sei ā€œPrincipiā€ comprendono formaggi di comprovata storicità: Bitto storico Presidio Slow Food, Agrì di Valtorta Presidio Slow Food, lo Stracchino all'antica delle Valli Orobiche Presidio Slow Food, il Formai de Mut Dop, lo Strachitunt Dop e il Branzi FTP (Formaggio tipico Branzi marchio depositato dagli anni Cinquanta) della Latteria di Branzi.

Tra questi formaggi vi è un solo prodotto misto caprino: il Bitto storico. Sulla base della premessa storica sopra riportata appare evidente come la tradizione casearia delle Orobie occidentali non possa presentarsi nella sua completezza in assenza di produzioni caprine.

'Integrato' da alcuni formaggi caprini della storica capra Orobica il ā€œTagliere dei Principi delle Orobieā€ può presentarsi con una gamma a chilomentro zero di irripetibile e inimitabile estensione che consentirebbe di proporsi sia in forma di ā€œGran Tagliereā€ al completo sia in forma di ā€œTaglieri a temaā€ offrendo alla ristorazione delle Orobie occidentali (in cui vanno compresi i rifugi alpini) una risorsa importante (anche in considerazione del ruolo dei formaggi caprini nelle preparazioni gastronomiche in ragione della loro versatilità).

Note

 

1. G. Locatelli Cenni ed osservazioni sulla Vallata di Taleggio Libri quattro in un sol volume (manoscritto del 1823 ed. a cura di A. Arrigoni), s.l, 2007, pp. 64-65

2.  Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola ā€œIl Circondario di Leccoā€ in Atti, Vol. VI, Roma, 1883, p. 335.

3. A. Borghi, I paesi della Grigna: episodi dello sviluppo di Pasturo, Pasturo (Lc), 1995, p. 384.

4.  C. Cantù, ā€œProvincia di Comoā€, in C. Cantù et al., Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, ossia Storia delle città, dei borghi, comuni, castelli, ecc. fino ai tempi moderni, Vol. 3, Milano, 1858, p.987.Id. p. 990.  

5. M. Corti La civiltà dei bergamini : un'eredità misconosciuta : la tribù lombarda dei malghesi tra la montagna e la pianura dal quattordicesimo al ventesimo secolo, S.Omobono Terme, 2014.
6. M. Corti, ā€œRisorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema alimentare: il ruolo della capra nelle comunità alpine della Lombardia e delle aree limitrofe in età moderna e contemporaneaā€, in SM Annali di S. Michele, 19 (2006):235-340.

7. Un becco di razza Orobica (di varietà di colore del mantello
farinèll) è raffigurato in un riquadro della Sala del Grechetto di Palazzo Sormani (già Lonati Verri)a Milano. L'autore è il misterioso Maestro di Palazzo Lonati Verri attivo nella metropoli lombarda nella seconda metà del secolo XVII.

8. Sulla documentazione relativa ai caprai di Carona e Branzi che scendevano a Milano algi inizi del XIX secolo vedi M. Corti, op. cit., 2006 e M.Corti. G.Bruni, G.Oldrati La capra in provincia di Bergamo, Bergamo, 1997, pp. 16.

9.  Va sempre tenuto in considerazione che l'area delle Orobie occidentali è caratterizzata da una cultura casearia comune che si traduceva anche in una circolazione di prodotti e di semi-lavorati come avveniva per la stagionatura degli stracchini della val taleggio nelle casere della Valsassina e per la vendita degli Agrì di Valtorta (portati a spalla dalle donne attraverso i Piani di Bobbio) in Valsassina. Si aggiunga che la partecipazione alla transumanza verso la pianura lombarda di alcune valli orobiche valtellinesi (Tartano) si è tradotta nella presenza anche in questa parte della Valtellina della tradizione degli stracchini.

10. Lashabitat Modelli di gestione silvopastorali orientati al miglioramento e conservazione di un ambiente idoneo alla presenza dei tetronidi. Progetto Interreg IIA Italia-Svizzera 2000-2006. Il progetto ha avuto per oggetto la val Lesina, la più occidentale delle valli orobiche valtellinesi e il ruolo del pascolo caprino

11. ā€œResults from Orobica are not correlated with geographical distances and may reflect undocumented migrations and gene flows and identify an original genetic resourceā€ [I risultati relativo all' Orobica non sono correlati con le distanze geografiche e possono riflettere migrazioni non documentate e flussi genici e individuare una risorsa genetica originale] P. Ajmone‐Marsa, R. Negrini, P. Crepaldi, E. Milanesi, C. Gorni, A. Valentini, M. Cicogna ā€œAssessing genetic diversity in Italian goat populations using AFLP® markersā€, in Animal Genetics, 32, 5 (2001):281-288.

12. Presente anche in una più ampia area insubrica comprendente l'alta Brianza, la parte collinare della provincia di Varese, alcune zone del Canton Ticino.

 

 

 

 

 

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