Ruralpi     Fotoracconto/contrade val Tartano

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(06.02.11) Sostila: microcosmo ruralpino

Il paesino senza strada di Sostila in Valtellina è avvolto dalle retorica dei 'paesi fantasma'. In realtà non è 'morto'. Tra l'altro sono state avviate iniziative per il recupero della 'pera di Sostila' (sono state messe a dimora nel 2010 doverse piantine).  Vi è anche un allevamento di pecore e capre.  Le iniziative di rivificazione portate avanti dal Comune di Forcola, dall'Associazione Amici Val Fabiola e dai privati . C'è anche un altro lato della medaglia: la 'guerra' tra Sostila e Campo (ovvero tra i comuni di Forcola e Tartano) per l'acqua. leggi tutto

 

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(09.09.12) Pressione predatoria inaccettabile per alcuni allevatori 

A Limone Piemonte (Cuneo) un alpeggio gestito in modo esemplare è stato bersagliato da una raffica di attacchi di lupi con perdita di numerosi capi bovini, comprese vacche, manze gravide e un toro. Una situazione insostenibile che determina notevoli danni che solo in minima parte sono compensati dagli indennizzi. Giornate intere spese ad accompagnare il veterinario, a contattare il Soccorso alpino per il recupero delle carcasse a portare documenti negli uffici. E il giorno dopo... da capo.leggi tutto

 

(11.01.12) Giovani che fanno rivivere la montagna (val Susa, To)

La storia esemplare di Andrea e Silvia ne riassume anche altre. Ne parliamo in pieno inverno perché l'alpeggio - al di là della dimensione turistica - è un aspetto importante della vita in montagna, di cui ci si deve preoccupare tutto l'anno. Ci sono giovani con una passione enorme, ma pare che la società urbana pronta a commuoversi per le loro storie e per la bontà dei loro prodotti poi non riesca a fare a meno di mettere sempre nuovi bastoni tra le ruote leggi tutto

 

(21.10.11) Berbenno (So). Semi (bio) di futuro: chi semina raccoglie

In una Valtellina ancora dominata dalle vecchie visioni dell'agroalimentare industrializzato ha avuto un grande significato simbolico la semina di un campo di Pedemonte di Berbenno con una varietà di frumento tenero biodinamica. Merito dell'associazione More Maiorum forte del sostegno di tanta gente comune oltre che delle istituzioni locali. La semina ha visto la partecipazione attiva e consapevole di un centinaio di persone che si sono poi trattenute per il pranzo (vegetariano) e per ascoltare interventi sulla rinascente ruralità alpina e sull'agribiodiversità.

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(26.09.11) Carcoforo (Vc) Microcomuni vivono

I piccolissimi comuni spesso si dimostrano vitali. Carcoforo (79 abitanti) ha associazioni culturali, una libroteca, organizza convegni. La propria cultura materiale e immateriale è oggetto di attenta conservazione e c'è anche un alpeggio attivo con agriturismo e vendita diretta di autentici prodotti locali. Attraverso alcune impressioni fotografiche il volto di un paese che vive leggi tutto

 

(11.09.11) Alpe Madri (Dosso del Liro, Co)

La storia di una vipera che con un morso mortale alla fidata mula mette in crisi un alpeggio. Che deve scaricare a ferragosto. Sono questi 'eremiti' (o 'trogloditi') che tengono in piedi la montagna (senza ricevere adeguati sostegni).Testo e foto di Pierfranco Mastalli vai a vedere

 

(08.09.11) Tra alpi orobiche e marittime. Antiche strutture d'alpeggio a confronto

Le antiche strutture pastorali presentano forme che si ripetono in aree diverse e in tempi diversi. Le nostre conoscenze sono ancora frammentarie ma è già possile stabilire interessanti analogie. Come nel caso deicalécc delle Orobie occidentali e nelle capanne casearie degli alpeggi del monregalese sulle Alpi Marittime.

Ricostruire la storia concreta dei sistemi di alpeggio e di caseificazione e la loro evoluzione serve anche a far uscire l'alpeggio da una dimensione bucolica atemporale restituendogli l'importanza che merita. leggi tutto

 

(13.08.11) "Malga in festa" a Songavazzo (Bg)

Nonostante la pioggia e la nebbia e il cambiamento di programma (con pranzo in paese) la festa delle malghe di Songavazzo alla seconda edizione si conferma come un raro esempio di sagra dell'alpeggio di qualità. Cruciale l'aspetto di educazione al gusto attraverso degustazioni, illustrazioni dal vivo e spiegazioni su caseificazione e mondo dell'alpeggio. vai a vedere

 

(11.08.11) Plesio (Co). Festa di Sant'Amaa e alpe Nesdale

Anche quest'anno sono stato a Sant'Amaa e all'Alpe Nesdale (Plesio, Co). E' stato bello vedere il sindaco, il parroco, la gente del paese così interessati alla realtà dell'alpeggio rendere omaggio al lavoro degli alpigiani, ai frutti degli animali e dei pascoli. Un evento che dovrebbere essere di modello per le feste in alpeggio.vai a vedere

 

(04.08.11) All'Alpe Cavisciöla, tra 'integralisti' del Bitto storico e mucche O.B.

Un alpeggio della val Brembana dove si arriva solo a piedi, dove il latte si lavora in baite 'storiche'. È gestito da una giovane coppia unita dalla passione per l'alpeggio, lei casara 'fliglia d'arte', lui giovane ed orgoglioso caricatore d'alpe che ha fatto la gavetta,  fermo come una roccia sulle sue convinzioni. Propugnatore di una perfezionata arte del pascolamento e del ritorno alla Bruna alpina (O.B.). In alpe ci sono anche dei cascin("pastorelli") di 14 e 12 anni, l' per imparare. Sembra una storia abilmente costruita per mitizzare una realtà. Ma è vera. Un invito caloroso a  tutti a farsi una bella camminata e ad andare a conoscere Alfio e Sonia che vi accoglieranno come amici anche se non vi conoscono. vai a vedere

 

(15.07.11) Ritorno all'Alpe Madri (Dosso Liro,Co)

Mario Bassi ha potuto ritornare a caricare l'Alpe Madri dopo le incresciose vicende di speculazioni sugli alpeggi che gli avevano impedito di farlo lo scorso anno. Anche quest'anno Pierfranco Mastalli è andato a trovarlo. Ci ha raccontato come l'alpeggiatore abbia ripreso la vita di sempre nella suggestiva Valle del Dosso, montagna aspra e dirupata. vai a vedere

 

(22.06.11) All'alpeggio Case di Viso da Andrea Bezzi malghese-casaro-affinatore

Storia di una esercitazione-seminario in cui si sono affrontati tanti problemi e capite tante cose sulla realtà dell'alpeggio. Su tutte una: l'allevatore di montagna non può pensare solo a mungere ma deve usare le sue mani abili e tutte le sue capacità tecniche e comunicative. La grande lezione di Andrea Bezzi che da diversi anni segue un suo 'stile produttivo' che oggi viene ammirato. Andrea è pienamente soddisfatto del suo lavoro "il più bello del mondo". Se solo il Parco...

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(01.05.11) Bricherasio (To) Storie di giovani pastori. Videoracconto.

Ci sono giovani pastori che, a vent'anni, hanno già un bagaglio di conoscenze sulle pecore, sul formaggio, sui pascoli, sulle tradizioni pastorali degno dei padri, anzi dei nonni. Il mestiere del pastore è proprio speciale; non c'è spazio per i bamboccioni. E nemmeno per chi perde tempo a lamentarsi invece che rimboccarsi le maniche e affrontare - come si fa da sempre - i problemi. Fotoracconto e videointervista (sotto la pioggia) a Ivan Monnet, 26 anni, pastore professionista della Val Pellice (del 28 aprile) vai a vedere

 

(30.01.11) Capre ossolane e problemi della montagna (Vb)

Un  piccolo viaggio tra tre vallate e tre allevamenti caprini ci porta a contatto con tanti problemi: razze autoctone da salvare, alpeggi da valorizzare, l'inserimento dei giovani, il mantenimento di patrimoni di tradizioni, paesaggi, produzioni, testimonianze storiche. Difficile sopravvalutare l'utilità della capra per mantenere in vita la montagna dell'uomo. leggi tutto

 

(06.02.11) Sostila: microcosmo ruralpino

Il paesino senza strada di Sostila in Valtellina è avvolto dalle retorica dei 'paesi fantasma'. In realtà non è 'morto'. Tra l'altro sono state avviate iniziative per il recupero della 'pera di Sostila' (sono state messe a dimora nel 2010 doverse piantine).  Vi è anche un allevamento di pecore e capre.  Le iniziative di rivificazione portate avanti dal Comune di Forcola, dall'Associazione Amici Val Fabiola e dai privati . C'è anche un altro lato della medaglia: la 'guerra' tra Sostila e Campo (ovvero tra i comuni di Forcola e Tartano) per l'acqua. leggi tutto

 

(30.01.11) Capre ossolane e problemi della montagna (Vb)

Un  piccolo viaggio tra tre vallate e tre allevamenti caprini ci porta a contatto con tanti problemi: razze autoctone da salvare, alpeggi da valorizzare, l'inserimento dei giovani, il mantenimento di patrimoni di tradizioni, paesaggi, produzioni, testimonianze storiche. Difficile sopravvalutare l'utilità della capra per mantenere in vita la montagna dell'uomo. leggi tutto

 

(03.12.10) La Festa della torchiatura a Cerveno (BS) (evento del 7.11.10)

Da quando è stato restaurato nel 2008 l'immerso torchio a leva di Cerveno è protagonista di una sentita 'Festa dell'uva' che rappresenta una tappa importante delle nuove sentite celebrazioni del ciclo agrario in Valle Camonica.  Il torchio di Cerveno è parte integrante e cuore dell'Ecomuseo della Concarena e testimonia di un importante lavoro collettivo di restauro che esalta la cultura della lavorazione del ferro e del legno dell'homo faber camuno. È anche un emblema di come la valorizzazione delle radici della ruralità si intrecci al rilancio economico di tradizioni produttive agricole in circuiti 'integrati' turistico -agroalimentar -culturali (vedi la nuova cantina sociale di Losine).vai al fotoracconto

 

(11.10.10) Festa dei marghè a Magliano Alpi e Fiero dei des a Bellino (CN)

Le tradizioni si perdono? Non si direbbe. In Piemonte le feste dei margari e le fiere autunnali del bestiame aumentano di numero e di partecipazione. Sullo sfondo si agitano i problemi degli affitti degli alpeggi, del lupo, dei vitelli non pagati abbastanza, delle strutture spesso inadeguate a garantire condizioni di vita e di lavoro adeguate. Ma in questa manifestazioni la gente del posto si stringe ai pastur e ai marghè consapevole del valore della loro attività pastorale non soli per il mantenimento della montagna ma anche di altrettanto importanti strutture simboliche e identitarie della comunità locale.

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(27.09.10) Val Vigezzo (VB). I tesori degli alpeggi: Alpe Basso

All'Alpe Basso, in Val Loana, Bruno Zani alpeggia 80 capre e venti mucche e produce un formaggio particolare e molto pregevole mescolando latte caprino e vaccino (al 50% ca). La tecnica risente dell'influsso della cultura casearia della vicina Svizzera interpretata però in modo originale. Il risultato è rappresentato de forme del peso di 15 kg. La pasta presenza una marcata occhiatura ma la tecnica accutata e paziente di lavorazione è tale da consentire una maturazione piuttosto lunga senza difetti. Anche qui, però, i problemi non mancano; a parte la siccità di questa stagione è in forse la possibilità di utizzare l'alpeggio del comune, a quota più elevata, a causa della mancata esecuzione dei benedetti 'adeguamenti igienico-sanitari'. 

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(20.09.10) Alta Valle Camonica (BS) Rilancio per le malghe del Mortirolo?

Resoconto di una visita (14 c.m. ) ad un gruppo di malghe con forti elementi di criticità ma anche con gradissime potenzialità multifunzionali (per le valenze storiche, naturalistiche e turistiche).  Le amministrazioni paiono decise a puntare con convinzione sui loro alpeggi. Un fatto molto positivo.  

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(17.09.10) Gias Gardon (Valle Stura di Demonte, CN)

Un alpeggio chiave per la sopravvivenza della pecora Sambucana. Due ragazzini che vorrebbero fare i pastori. Il tutto condizionato da un futuro incerto per colpa della presenza stabile dei lupi. Che in Valle Stura di Demonte hanno già messo in grave difficoltà la pastorizia e rischiano di affossarla completamente 'bruciando' progetti, energie, passione, impegno

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(03.09.10) Alpe Graglio (CO) Descarga anticipata

Alpeggi comaschi tanto belli quanto poco valorizzati. Visita all'Alpe Graglio, una delle poche che nell'alto Lario occidentale sono regolarmente caricate con vacche da latte. Purtroppo le bizze del clima quest'anno hanno provocato la fine anticipata dell'alpeggio (testo e foto di Pierfranco Mastalli) vai a vedere

 

(01.09.10) Coumboscuro (CN) Colture e culture d'identità

Chi pensa che le culture e le lingue ancestrali siano espressione di chiusura, egoismo, sguardo fisso al passato farebbe bene a farsi un giro a Coumboscuro. Dove l'attaccamento alla cultura e ai valori tradizionali, la volontà consapevole e caparbia di preservarli, ha consentito ad una piccola comunità di restare a vivere in montagna, coltivando contatti con tante realtà culturali in giro per l'Europa (e non solo). Ha consentito  di coniugare la manualità (artigianato, agricoltura, cura del territorio) con le espressioni culturali e artistiche 'colte'. Un miracolo? Forse si. Ma  ripetibile. Con difficoltà, però, perché riannodare i fili spezzati e i valori della continuità e della comunità corrosi dall' individualismo è arduo. Servono  punti di riferimento molto saldi. E comportamenti personali coerenti. vai a vedere il fotoracconto

 

(27.08.10) Una vita ruralpina:  Ambrosini Dante da Dubino (SO)(classe 1919)

La prima stagione d'alpeggio a 6 anni ;poi una serie di stagioni a S.Sisto (Campodolcino) con le poche vacche di famiglia e le prime esperienze da giovanissimo sfrosaduur. Quindi la guerra con la prigionia. Immediato dopoguerra con il contrabbando spericolato e il lavoro dei boschi (più il primo). Poi in cantieri in Svizzera fino a un grave incidente sul lavoro. Ancora alpeggi negli anni '60. Poi commercio e trasporto bestiame (anca de sfroos föö de Livign); poi ancora alpeggi negli anni '80. Da 10 anni carica (da solo) l'Alpe del Piani a 2070 m e impara a fare il formaggio. 'Ma i vach e i cavaj  i uu semper tegnuu) 

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(22.08.10)  In Valle Camonica un ecomuseo delle malghe?

Un glorioso fabbricato d'alpeggio, emblema della produzione del formaggio Silter in Valgrigna è attualmente oggetto di attento restauro conservativo. Sarà il cuore dell'ecomuseo delle malghe, un cuore vivo, con la stagionatura del formaggio e i supporti didattici per i visitatori. Finalmente un intervento che valorizza il patrimonio storico-architettonico dell'alpeggio.

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(12.08.10)  Cuneo. Pastori o lupi? Quale la razza in via di estinzione?

Alla conferenza stampa a Monterosso Grana (CN) per la presentazione del progetto regionale a sostegno della pastorizia (vedi sotto) era presente anche un pastore-simbolo: Mario Durbano di Frise. Un pastore che negli ultimi anni ha subito una serie impressionante di attacchi da parte dei lupi (nonostante utilizzi i recinti elettrici)Nel pomeriggio, con Luca Battaglini e Marzia Verona, sono andato su in montagna a  trovare lui e il suo gregge. Montagne aspre, valloni 'da lupi'. Ma questa è la montagna di Mario, della gente di qui, che ha sempre vissuto qui, in equilibrio con l'ambiente. E che ora paga la scelta politica di favorire la reintroduzione del lupo, una scelta che ci auguriamo venga ora riequilibrata in nome del diritto della pastorizia e della cultura alpina a continuare a vivere.

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(09.08.10)  Festa delle malghe (a Songavazzo, BG)

Pieno successo della Festa delle malghe di Songavazzo. Pienamente soddisfatto il malghese e gli organizzatori si pensa già alla prossima edizione ma anche ad organizzare eventi simili per il 2011. La Festa è stata predisposta per l'aspetto gastronomico  tenendo conto dei criteri che devono informare la sagra di qualità: solo prodotti di agricoltori e trasformatori locali, niente bicchieri e stoviglie di plastica a perdere.

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(30.07.10)  All'Alpe Nesdà (Plesio, CO) si festeggia la rinascita

Gli alpeggi del Bregagno, nei comuni di Garzeno, Pianello, Cremia, S.Siro, Plesio, Grandola e Cusino rappresentavano un grande comprensorio di alpeggi con pascoli alti fino a 2.000 m, affacciati sul lago di Como e di Lugano. Pochi sono ancora caricati ma l'apertura di una nuova pista forestale, che dai 'monti' di S.Siro porta all'Alpe Nesdà (passando per l'Alpe Rescascía), può aprire nuove prospettive. Domenica 25, con una bella cerimonia (che ha compreso anche la benedizione dei pascoli, degli animali e dei fabbricati) si è aperta la prima forma prodotta in alpe dopo anni di abbandono. Oltre agli strepitosi panorami questi alpeggi hanno anche un altro asso nella manica: i prodotti. Il formaggio che si produce (da secoli) è il Bitto, che qui, come nelle Valli omonime, viene prodotto con l'aggiunta del latte di capra. Insieme ad esso si produce una straordinariamascarpa che diventa poi zígher. leggi tutto

 

(26.07.10)  Lagorai significa malghe. No al Parco

Amamont (l'associazione transfrontaliera degli amici degli alpeggi e della montagna) è andata nel Lagorai. Nella malga più autentica della regione più autentica del Trentino. Da Oswald Tonner, malghese-simbolo dell'ecologia contadina contrapposta alle ideologie della wilderness. Un'occasione per sostenere la biodiversità dei pascoli e dei formaggi, per dire no alle 'bustine' di fermenti selezionati più o meno 'autoctoni', al degrado delle malghe storiche ridotte a pascoli di manze, ai progetti di trasformare le malghe abbandonate in 'palestre' per i giochi di sopravvivenza nella wilderness.

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(20.07.10)  Alpe Laguzzolo (S. Giacomo Filippo, SO)

All'Alpe Laguzzolo a 1.774 m in valle del Drogo si arriva solo a piedi partendo da poco più di 1.000 m. Ma una coppia di giovani neocaprai di Mese (entrambi con solide radici locali e rurali) sta organizzando al meglio l'alpeggio per le loro capre da latte.  Con due bambini piccoli ... e  i nonni, i parenti che aiutano. Sono stato domenica scorsa a trovarli e vi racconto la storia (dell'alpe, della famiglia, dell'escursione). leggi tutto

 

(15.07.10)  I furmagitt de cavra del Miro (a Sala Comacina)

Nel viaggio tra i formaggini di capra 'autoctoni dell'Insubria proponiamo un fotoracconto 'storico' (realizzato nel marzo 2001, sui muunt di Palese a 670 m). Protagonista Miro Puricelli, classe 1913, un 'monumento vivente' ruralpino e un archivio della memoria. Con ricetta per i formaggini ma anche quella (più preziosa e rara) per fare il caglio di capretto. vai a vedere

 

(13.07.10)  Rosanna e Rolando: neomontanari che fanno agricoltura nella Val Grande (VCO), spacciata per 'la più grande area wilderness d'Europa'

Continua il nostro viaggio tra i neomontanari (neocaprai per lo più), gente che 'ce la fatta' e ha messo in piedi aziende sostenibili e multifuzionali che non solo 'stanno in piedi' ma mantengono viva la montagna (e le alte colline). Andando a vivere in posti come la Valgrande dove una malintesa 'ideologia della wilderness' si compiace della desertificazione agricola.

C'è bisogno di gente come loro, fortemente motivati, che non si arrendono alle non poche difficoltà, alla burocrazia soprattutto. L'importante è che non restino esperienze isolate e che l'elemento locale si confronti con esse (anche attraverso le aggregazioni dei produttori) e ne tragga spunto per imprimere un nuovo orientamento all'attività agricola in montagna.

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(08.07.10)Fotoracconto: Alpe Andossi (SO)

Sulla stessa alpe stili di alpeggio diversi (pare un viaggio nel tempo). E poi il conflitto tra i discendenti degli alpigiani (ora 'vacanzieri') e gli alpeggiatori ('vecchio' e 'nuovo' stile). Quello che conta è che il bosco è stato fermato anche se '... tanta erba non è mangiata e ad agosto è gialla' vai a vedere

 

(21.06.10) Nevicate sugli alpeggi

Cronaca (fotografica) della giornata di domenica 20 giugno  all'Alpe Li Piani (Brusio, Val Poschiavo - Canton Grigioni).  Mentre fuori nevicava si è tenuta l'assemblea dell'associazione Amici Li Piani. Presente Robi Ronza, grande amico della montagna, cui è stata conferita la qualifica di 'socio onorario'.

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(17.06.10) Cantine (hilter) d'alpeggio. Monumenti minacciati (Songavazzo, BG)

Sono sopravvissute ai diktat dei veterinari-burocrati, ai danni dei progettisti che farebbero meglio a progettare villette e condomini (architetti, ingegneri, geometri). Sono le cantine di stagionatira degli alpeggi ancora miracolosamente in funzione; veri monumenti al sapere ambientale e tecnologico dei nostri vecchi. Vi mostriamo quella della Malga Valmezzana in alta Val Seriana, un alpeggio 'fortunato' in quanto gestito dal Consorzio Forestale Presolana e caricato da un giovane 'neomalghese' locale pieno di entusiasmo e passione.

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(12.06.10) Valstrona (VCO). Una valle da capre (che oggi possono tornare ad essere una risorsa)

Tipica valle insubrica aspra, incassata, rocciosa, dove l'economia per secoli si è basata sull'integrazione dell'agricoltura di sussistenza con l'emigrazione, l'artigianato del legno e le miniere. Agricoltura e zootecnia 'povere', (almeno secondo certi schemi che forse è ora di rivedere). Basata sulle capre, le castagne e l'orticoltura (in assenza di campi e di grandi pascoli da bovini). Un modello ecologico efficientissimo che consentiva un'elevata densità demografica . Oggi di caprai e di capre ne rimangono pochi ma di buona razza (entrambi). E la tradizione della trasformazione  del latte caprino nei tipici furmagit at crava si rinnova.

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(11.04.10) Storie di capre: 'Sbirulina: caprettina o cagnolina?' 

Forse qualcuno si ricorda del gatto coraggioso che si crede un cane pastore (storia di due caprai ...), adesso è la volta di Sbirulina, una caprettina nata prematura e allevata in casa con due 'genitori' umani e due affettuose cagnotte (una 'pastora' e una Rotweiller) come 'sorelle maggiori'. Sbirulina si comporta in tutto e per tutto come una cagnolina e ha anche la sua 'cuccia' (col fieno), ma preferisce - da 'vero' cane di casa - starsene sul divano. In realtà è una storia quasi 'normale' perché si sa che nella vita ruralpina di ieri c'era la ('cavra/crava de cà'), chiamata per nome, docile, che allattava i bambini e mangiava gli avanzi di cucina. Paolo, Silvia con le loro cagnotte, Sbirulina (e le altre capre) sono gli unici ad abitare tutto l'anno la frazione Ielmala a 658 m in Valle Anzasca leggi e guarda tutto

(10.04.10) Storie di alpeggi: 'Adesso non passa più neanche il mulo' 

Lorena Pirozzini e Moreno Zanetta di Calasca Castiglione (VCO) raccontano cosa significhi caricare un alpeggio dove si arriva (a fatica) solo a piedi e capita spesso di rifocillare gli escursionisti della GTA. Ma invece che un premio ...

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Motocross in montagna: sport o vandalismo? Un problema non solo bergamasco

 

La Storia di due caprai, di una scrofa innamorata e di un gatto coraggioso

 

Una storia in controtendenza: qualche volta gli alpeggi rinascono

 

(Aggiornamento)

 

Come nasce la maschèrpa d'alpeggio delle Valli del Bitto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(23.08.14) Cuore delle Orobie, anima alpina della Lombardia, una valle non raggiunta dal turismo 'di massa' conserva decine di contrade, un tempo abitate tutto l'anno che, pur con fenomeni di degrado e interventi impropri, riescono ancora a suscitare ammirazione per come i nòss vècc organizzavano lo spazio

 

Val Tartano, anima orobica

 

testo e foto di Michele Corti

 

Settimana scorsa sono stato in val Tartano per illustrare il progetto Principi delle Orobie (i percorsi intervallivi e i prodotti turistici - guardando Expo e oltre - all'insegna dell'unità del massiccio e delle sue componenti divise tra Sondrio, bergamo e Lecco). I Principi si sono aggregati sul tema dei grandi formaggi che nascono sugli alpeggi delle Orobie occidentali ma non per fare 'promozione agroalimentare'. Lo scopo è la promozione del territorio, della sua cultura, delle sue tradizioni, di un immenso poco conosciuto, e ancor meno riconosciuto e valorizzato, patrimonio materiale e immateriale. A Tartano ci sono già iniziative in atto, di catalogazione del patrimonio, di turismo enogastronomico (grande successo ha l'Accademia della polenta), vi sono stati eventi sin in anticipo sui tempi ("L'urlo di pietra"). Il terreno è fertile per proioettare quanto già fatto e quanto si potrebbe fare in una dimensione orobica che acquisisca la meritata visibilità.

Il giorno successivo, con la guida di Fausto Gusmeroli, ho visitato alcune contrade (ce ne sono una quarantina). Una visita troppo rapida ma sufficiente per avere la percezione di un patrimonio prezioso in grado di emozionare il milanese (che non conosce questa valle meravigliosa, così vicina - non solo in termini di km)  ma anche l'americano e il cinese. Così metto in comune queste note, queste foto, queste riflessioni.

 

La val Tartano con le baite, ovvero le tante stalle-fienile (o solo fienile) isolate sui ripidi pendii e il rosario delle quaranta contrade, con le dimore rurali anch'esse costruite con la tecnica del blockbau, sconcerta chi è legato agli stereotipi della montagna 'latina' caratterizzata dagli insediamenti aggregati e dall'uso prevalentemente della pietra.

Qui siamo nell'hirtschland lombardo, nelle Orobie umide, forestali, pastorali dove puoi pensare di essere in Svizzera o in Sud-Tirolo. Territori ecologicamente e etnoculturalmente affini. Valli lontane dalle vie principali di comunicazione dove l'influsso della romanizzazione è stato molto limitato ed è forte il substrato celtico e significativo il superstrato longobardo germanico.  

Oggi Tartano, comune veramente montano (corrispondente ad una valle 'sospesa'), conta (2011) 192 abitanti mentre negli anni'50 del secolo scorso ne contava 1.200 e ben 2.000 nel periodo tra le gue guerre.  L'attuale comune  si è costituito nel 1816 quando quelli di Campo e di Tartano si fusero. In precedenza facevano parte del comune di Talamona (sul fondovalle valtellinese) che, nel 1726, si divise in Talamona, Campo e Tartano. In precedenza la val Corta insieme a Campo apparteneva a Talamona, la val Lunga ad Ardenno e la val di Lemma (diramazione della val Corta) costituiva il comune autonomo della Sciocada, (oggi l'insediamento è chiamata Zoccada/Sciucada ed è in rovina). Erano comunità del tutto autonome (1).

Sciocada  corrispondeva alla valle più interna della val Tartano ed era quello che manteneva i più stretti rapporti con il versante bergamasco tanto è vero che Zoccada, Foppolo e Cambrembo (le due ultime bergamasche) portavano insieme i propri morti al cimitero della chiesa dei SS. Giovanni e Antonio in Sparavera (oggi semplimenente Sant'Antonio). Citata dal vescovo Feliciano Ninguarda nella sua famosa relazione (2). Come in tanti altri paesi alpini le salme di chi moriva in inverno aspettavano (congelate) nei solai... che i passi tornassero agibili.

A un miglio e mezzo oltre Tartano c'è Sparavera con poche famiglie. Qui c'è un'altra chiesa dedicata a S. Antonio Abate, con il battistero in disuso così che bisogna asportarlo. Al di là di questa chiesa c'è il monte che divide la regione dal territorio di Bergamo.

 

Mappe dell'alta val Tartano (per la bassa valle vedi mappa in fotoracconto su Sostila). Mappe da  G. Bianchini, R. Bracchi Dizionario etimologico dei dialetti della Val Tartano, Grosio (So), 2003

 

Un'unica Tèra orobica

 

L'unità dei versanti orobici ha radici antiche. Le Orobie occidentali presentano un substrato celtico golasecchiano, emerso dai recenti rinvenimenti di parole in lingua celtica leponzia nell'area di incisioni rupestri del pascolo dell'Armentarga a 2.300 m nel comune di Carona (sul versante bergamasco)(3). Tale substrato differenzia la val Brembana e le valli orobiche occidentali valtellinesi (dove gli  insediamenti si sono sviluppati da alpeggio di pastori brembani e valsassinesi più a ovest nella valle del Bitto di Gerola) dalla cultura del Doss Trento (peraltro anch'essa celtica) che interessa la val Seriana e le valli più orientali e tende ad unirla all'Insubria. Ma il connotato culturale delle Orobie deriva anche dall'influsso longobardo legato alla colonizzazione delle alte valli da parte dei gruppi (fare, arimannie) di origine longobarda che si erano insediati nei secoli del dominio longobardo nella fascia pedemontana e di alta pianura bergamasca.

Ancora nel XIII sec. uomini della val Brembana dichiaravano, come emerge da documenti notarili dell'epoca, di seguire la legge longobarda e quindi si sentirsi ancora appartenenti a quella nazione (nel medioevo la nazione era un fatto personale e di discendenza, non territoriale)(4).

Il forte legame della val Tartano con la val Brembana e la bergamasca deriva anche da fatti orografici anche se non è sempre facile discernere tra influssi culturali e geografici che tendono ad interagire (5).

Il dato di fatto è che in passato era molto più agevole scollinare oltre i versanti attraveso passi piuttosto agevoli, seguire le creste che percorrere i fondovalle.

ll Tarteno minaccioso torrente, che da nome alla detta Valle, è il terribile flagello di questa Terra. ln della Valle è poi il Luogo, o Villaggio di Campo. lndi essa Valle in due altre si parte, l’una detta Biorca, e l'altra Zoccada, da l'una, e l’altra delle quali à Bergamaschi si da passaggio. Quivi fiorirono i Cammucci, i Fioccari, i Mazzoni ecc. (6)

Che i passi tra la val Tartano e l'alta val Brembana (Cambrembo e Foppolo) fossero agevoli e frequantati lo testimonia la presenza di edifici di culto. Dalla preistoria i passi sono sacralizzati e incisioni e manufatti dedicati alle divinità protettrici delle montagne e dei passi  stessi sono state rinvenute iscrizioni dedicate al dio Penninus (dal celtico pen = picco)nel santuario all'aperto celtogolasecchiano di Carona (pascoli dell'Armentardga a 2.300 m di quota (7). In tempi molto più recenti su entrambi i versanti del passo di Tartano furono edificate delle chiesette (oratori). Sul versante bergamasco quella di San Salvatore o San Sisto (8), su quello tartanese, quella - anch'essa - di San Salvatore di cui non esistono più neppure le fondamenta ma di sui è stato recentemente localizzato il sito (9).

L'Adda è stato per millenni un limes culturale, a Nord del fiume i retici, i Cèch, a Sud gli orobici, detti maròch. In passato i ponti erano pochissimi, il fiume dilagava liberamente nel fondovalle paludoso e gli attraversamenti erano possibili solo con traghetti. Il traghetto che consentiva di risalire dalla bassa Valtellina verso Sondrio si trovava a San Gregorio (vicino al paese di Sirta in comune di Forcola), oggi poche case intorno alla chiesa quattrocentesca; qui c'erano una torre e un'osteria e ci si portava sulla sponda destra dell'Adda.

Per questo le gens tendevano ad occupare un territorio da acqua ad acqua a differenza di quello che si è affermato qualche secolo fa con la definizione di 'sacri confini' sugli spartiacque. Esattamente il contrario di quanto l'uomo ha praticato per millenni. Le divisioni tra retici ed orobici si sono trasposte nel XIV-XV sec. nelle lotte che contrapposero in tante parti della Lombardia e d'Italia i Guelfi e i Ghibellini. Gli orobici 'valtellinesi' , come i camuni - di ancor più forte impronta longobarda -  erano (in generale) ghibellini, filoviscontei e filomilanesi, i retici guelfi (10).

 

Una storia di passato splendore

 

La storia della val Tartano è ricca. Anch'essa nei secoli del tardo medioevo ha conosciuto lo splendore dell'epoca d'oro delle Alpi (11). La ricchezza della valle derivava dall'attività estrattiva e di prima lavorazione del ferro (12).

Camillo Gusmeroli nella sua Storia di Tartano fa riferimento all'importanza dell'attività mineraria sottolineando come essa si svolgesse in stretta relazione con la località di Cambrembo sul versante bergamasco:

[...] nella valle dei Lupi - caposaldo tra l'Alpe Dordona, Porcile di Tartano, Dordonella di Colorina e Cadelle di Foopolo-si possono ancora osservare le cave abbandonate e di mulattiere, intagliate a tratti nella roccia e selciate nel terreno di natura molle, che si diramano per kilometri e kilometri: a sud-est per il valico di Tartano portavano a Cambrembo, località Forno in Provincia di Bergamo; a est-ovest, per Corteselle, Dordona, strada Altar, Bratta di Cuminello, Torc di Sant'Antonio in Sparavera, all'omonima località Forno in provincia di Sondrio (13).

È significativo che, sia alla testata della val Lunga di Tartano che al di là del passo di Porcile si trovino due località con lo stesso nome: 'Arale'. Il benessere acquisito con l'attività mineraria ( testimonia la presenza di dimore con caratteristiche signorili. Ve ne sono in diverse contrade tra cui Sciucada/Zoccada (ora in rovina) a 1415 nel ramo orientale della val Corta detto val di Lemma (vedi mappa). L'importanza delle attività economiche si rifletteva in qualla dell'attività amministrativa e giudiziaria: In località Tegge vi era la sede della pretura, in quella Rondelle del comune.  Un fatto certo è che le contrade verso il fondovalle, più vicine ai passi che collegavano con la bergamasca, avevano un ruolo prioritario (14). Tutt'oggi nella val Lunga (mappa sotto) vi è la contrada Dosso dei Principi (non indicata in carta ma prossima a Sant'Antonio) ad indicare la presenza di famiglie facoltose (anche se spesso i soprannomi altisonanti rappresentavano degli sfottò da parte delle contrade vicine).

Una serie di borgate

Dalle mappe si ricava come mentre alcune borgate costituivano dei piccoli villaggi (con tanto di chiesetta) altre erano costituite da pochissime dimore con grande probabilità derivate dall'insediamento di un singolo gruppo famigliare. Come altrove molte borgate prendono il nome dalle famiglie originarie, altre dalla morfologia del sito, altre dalla presenza di particolari strutture funzionali (es. Pila, ovvero la particolare struttura per svestire le cariossidi dell'orzo). La contrada più alta è Arale (1.485 m).

 

Arale (a destra) e Pra de Ules (a sinistra)

 

Ad Arale vi sono due rifugi: Beniamino e Il Pirata (foto sotto). Quest'ultimo rappresenta anche un buon esempio di recupero di una vecchia stalla con fienile. Al livello superiore vi è la sala da pranzo, a quello inferiore - dove era la stalla - un camerone.

 

Il rifugio Il Pirata alla contrada Arale

 

Arale era una contrada di bergamini. Non meraviglia, essendo quella a quota più alta. Nell'ambito delle valli e delle diverse località i transumanti erano infatti insediati sempre nei siti più elevati (15). Numerose testimonanze sull'importanza dei bergamini di Tartano nel quadro della transumanza bovina tra le Orobie e il Milanese sono contenute nei documenti notarili dei sec.XVI-XVIII studiati da Natale Arioli. Egli così sintetizza questa realtà:

Anche il comune di Tartano in Valtellina, che confina con il bergamasco, era terra di malghesi, la loro presenza si intreccia negli archivi della pianura con quella dei colleghi bergamaschi [...] Nella pianura dello Stato di Milano troviamo la presenza di parecchie figure di malghesi transumanti, alcune provenienti proprio da comuni come Mezzoldo, Piazzatorre, Carona, Valleve , Foppolo e Tartano (16).

Le famiglie di Tartano e dell'altra val Brembana, interconnesse nell'attività mineraria, rimasero legate anche nelle reti della transumanza che prevedeva una serie di relazioni commerciali e patrimoniali nell'ambito della tribù bergamina. Una tribù dove i vincoli di parentela e di 'tribù' contavano molto di più di quelli di villaggio e consentivano di allacciare relazioni entro uno spazio che andava dal Vercellese al Lodigiano, alla Valsassina. L'idea del montanaro 'chiuso nella sua valle' è totalmente lontana dalla realtà. Nelle carte studiate da Arioli emerge un gran numero di toponimi legati alla val Tartano: alpeggi ('monti') per lo più, ma anche contrade: Aralli/Aralle (Arale), Prati Oles (Pra de  Ules), Zochada (Zoccada, Sciucada). I cognomi di bergamini tartanesi citati sono Tirinzoni, della Quarta, Fondrini/Sfondrina (uno dei cognomi bergamini più diffuso nella Bassa milanese e lodigiana), Mainetti, Gusmaroli/Gusmarollo/Gusmarolo, Goglio (17).

 

Pastoralismo e industria estrattiva: un binomio che dura dalla preistoria

 

I nessi tra attività mineraria e allevamento erano già stretti in precedenza. Sappiamo che è dalla preistoria che i montanari , nell'ambito dei comprensori vocati all'estrazione mineraria, svolgevano il ruolo polivalente di minatori-pastori-guerrieri. Con la romanizzazione le cose in parte cambiarono (non per molto) dal momento che alle miniere venivano destinati i condannati a scontare i lavori forzati (damnatio ad metalla).

Nel tardo medioevo i montanari avavano in larga misura ripreso il controllo di entrambe le risorse, qualla pascoliva e qualla mineraria (salvo dove rimasero le proprietà allodiali di origine feudale). Il passaggio da un'attività all'altra non deve essere stato particolarmente difficile in quanto i nostri montanari erano piuttosto intraprendenti. Oltre a varie attività produttive e commerci (ferro e derivati, formaggi, legname) gestivano anche trasporti, osterie e... contrabbando.

Illuminante il personaggio di Antonio Pedrotelli dei Cattaneo di Valleve (un antenato di Carlo Cattaneo come messo in luce da recenti studi di Natale Arioli)(18).

Alla metà del XVI sec. Antonio Pedrotelli dei Cattaneo di Valleve era proprietario, con altri 4 soci, della miniera di ferro del monte Sasso di Carona, dalla quale ricavava un affitto 138 ‘cavalli’ di ghisa e - a indicazione dell’intersecarsi dell’economia mineraria con quella casearia - 15 pesi di formaggio. Grande dinamismo caratterizzò il figlio di Antonio, Pietro Pedrotello, che, oltre alle miniere, possedeva una caneva (osteria) allora molto frequentata perché i traffici da e per la Valtellina (non essendo stata ancora aperta la strada Priula, che sarà realizzata negli ultimi anni del XVI sec.) passavano per Valleve e la val Tartano. Dalla  Valtellina, attraverso il passo di Dordona, si introduceva anche vino di contrabbando (utilizzato anche dal Pedrotello) (19).

I montanari (orobici ma non solo) devono smettere di piangersi addosso, di concepirsi come un popolo di pezzenti, di 'vinti'. Le cose stanno all'opposto. I montanari orobici impegnati nel pastoralismo, nei commerci, nelle attività minerarie erano discendenti di personaggi del calibro dei Cattaneo (capitanei ovvero vassalli maggiori del vescovo) e comunque uomini liberi anche se al fondo della piramide feudale. Uomini atti a portare le armi, a combattere per il loro clan. Una bella differenza dalla pianura dove i contadini erano caduti (o ricaduti) in servitù.

 

La soluzione della transumanza

 

Crisi dell'attività mineraria e sviluppo dell'alpicoltura sono ovviamente legati anche dall'intenso sfruttamento delle risorse forestali che la presenza dei forni fusori imponeva. Mano a mano che i boschi si diradavano e regredivano aumentava il pascolo. Sulla crisi pesarono, però, in modo ancor più decisivo la crescente concorrenza di altri distretti minerari più competitivi. Fatto sta che la crisi della siderurgia orobica durò secoli. L'ultimo forno fu spento in val Brembana, a Lenna, nel 1880.

Le famiglie tartanesi (e brembane) che erano legate all'attività estrattiva, con il calo di redditività delle miniere, furono spinte ad allevare sempre più bovini compensando con la vendita del formaggio (sugli alpeggi di Tartano si faceva Bitto/Branzi) e del bestiame da vita. Ma ilforaggio per mantenere l'aumentato patrimonio bovino (siamo tra XV e XVi secolo) non era certo reperibile nelle altre valli e così esse (o almeno le più intraprendenti) iniziarono a praticare la transumanza verso la pianura lombarda.

Dalla val Tartano, attraverso i passi di Porcile, Tartano e Lemma i transumanti (che venivano chiamati 'bergamini' in pianura, nome con il quale si autoidentificarono) scendevano lungo la val Brembana, attraversavano Bergamo e si dirigevano verso il ponte di Cassano, il porto (traghetto) di Vaprio per poi dirigersi verso Trucazzano, Melzo, Melegnano.

Poteva succedere che per motivi legati ad epidemie o guerre  (o per precoci nevicate sui passi) la discesa dalla val Brembana non fosse possibile. Allora ai bergamini di Tartano toccava percorrere la bassa Valtellina, la via del Viandante e risalire la Valsassina per scendere a Lecco. Nel 1643, a Pasturo - in Valsassina - nacque Angela Margherita Fondra, di Angelo e Margherita Terinzo (uno dei cognomi già visti in precedenza). “Erano di Tàrtano in Valtellina e si trovavano qui di passaggio, essendo mandriani”(20).

Tra il 1818 e il 1831 l'ing. Donegani realizzò per l'l.R. governo Lombardo Veneto la strada regia del Lago di Como e dello Spluga. Così i bergamini di Tartano poterono compiere un viaggio più lungo ma più comodo che consentiva loro di caricare gli attrezzi per la lavorazione del latte, gli effetti personali, i bambini, i vitelli di pochi giorni sul carèt a due ruote (con tanto di copertura 'stile Far West').

Dopo una sosta per il pascolo nei pressi di Talamona si caricava sul basto del mulo o sulle spalle il carico e si risaliva la ripida mulattiera per Tartano. Riferiva il Bianchini che:

A Talamona pagavano l’afftto al Comune per un terreno vicino alla contrada Serterio, sulla strada per la valle, dove faceva sosta. Naturalmente, il carro a due ruote non poteva proseguire oltre la sosta, essendo da qui la strada per la Val Tartano mulattiere: dovevano quindi caricare su muli o portare a spalla ciò che c’era sul carro. Diversi bergamini prima di condurre le mucche in alpeggio si fermavano per alcuni giorni nella contrada Araal perché qui possedevano prati, che furono poi - in seguito - acquistati da contadini del luogo. (21)

Alcuni bergamini di Arale (gli ultimi) detenevano diritti di pascolo in località Sarterio di Talamona che furono anch'essi ceduti (22).

La contrada appena a valle si rale è Pra de Ules dove troviamo questo portale (dedi foto sotto) di fattura medioevale molto interessante (foto sotto). Vi sono inserite (nell'arco e nei conci soprastanti) tre diverse croci: una croce graca è incisa nella chiave di volta, una croce egizia è definita dalla chiave stessa, da un concio soprastante molto appiattito e da uno di forma ovale forato appoggiato sopra quello piatto. Un'ultima croce (ramponata) è incisa in un concio collocato sopra i precedenti e sotto un'apertura. Tutti elementi che definiscono una dimora non certo rurale. La contrada "Prati Oles" è spesso citata in atti, rogati a Milano del XVII sec. che riguardano bergamini.

 

Portale e dettaglio di dimora a Pra di Ules

 

Affresco devozionale ottocentesco a Pra di Ules

 

Pra di Ules. Quanto resterà in piedi?

 

A Tartano, l'orgoglio locale - anche se, come avviene spesso, in forme un po' campanilistiche - è più forte che in altre valli e il patrimonio, materiale e immateriale, è oggetto di discussione e di iniziative. Iniziative non sempre sostenute dalle Istituzioni. Queste ultime continuano a focalizzarsi sugli interventi 'che rendono' (in termini di mazzette e ritorni politico-elettorali o personali o chi cerchia). Si preferiscono interventi materiali dove di sono di mezzo grossi sbancamenti, colate di cemento. Purtroppo la val Tartano dopo l'alluvione del 1987 (23) è stata oggetto anch'essa di pesanti interventi. Il Tartano è stato 'intubato' con briglie mastodontiche e si sono realizzate senza risparmio delle strade (sia in val Lunga che in val Corta) che hanno cancellato le bellissime mulattiere lastricate che univano le contrade tra loro e che si snodavano lungo il fondovalle. Prima della realizzazione della strada che in val Lunga collega le contradeesse erano servite da teleferiche e collegate alla mulattiera di fondovalle e tra loro da comode vie selciate. Tutto cancellato.

Iniziative

Rispetto ad altre valli, però, qualcosa si è fatto. Sia dal punto di vista della catalogazione che di quanche intervento di recupero edilizio. In occasione dell'Urlo di Pietra, una manifestazione sull'identità linguistica, architettonica, gastronomica che nel 1996 precorreva i tempi (in prima fila tra i promotori e organizzatori c'era il tartanese doc Fausto Gusmeroli), vennero realizzati dei cataloghi del patrimonio tra cui quello degli affreschi devozionali. Giorgio Spini, animatore del Comitato per la difesa della val Tartano (dalla captazioni e non solo) ha, tra l'altro, prodotto una mappa toponomastica molto ricca (edita dal Cai Valtellina). Tutto il patrimonio edilizio storico è stato in qualche modo censito (per iniziativa locale visto che da questo punto di vista la Regione Lombardia latita paurosamente).

Spini ha così espresso le motivazioni che spingono a Tartano a conservare il patrimonio della loro heimat:

Cultura [...] che, divenuta sentimento, si manifesta ora nel legame emotivo profondo ai luoghi, nell’ostinato radicamento dei contadini, nella affezionata memoria dei ricordi ed in una sorta di sottaciuto complesso di colpa collettivo, per non aver saputo difendere dal degrado tante fatiche. Senza lasciarsi tentare da giudizi arbitrari e nostalgie ingannevoli, vien da riflettere sulla profonda mutazione e dimenticanza intervenute nella montagna di oggi. Non sarebbe importante che quell’antico sentimento, nato per necessità di sopravvivenza, venisse recuperato in un rapporto con la montagna che la modernità ha emancipato e reso più libero? (24).

C'è molto di vero in questo ma forse oggi dobbiamo diffidare anche di una nostalgia ingannevole nella modernità. Abbiamo visto che i montanari orobici non erano affatto pezzenti al limite della sopravvivenza. Tra la fine del medioevo e l'inizo dell'età moderna sulle Orobie, come su tutte le Alpi, c'era benessere, le comunità erano prospere, vi erano dei nobili, vi erano traffici. La modernità - che risale a cinque secoli fa e non agli anni '60 del secolo scorso-  è stata il contrario della libertà. I comuni di Tartano, come del resto della montagna lombarda si autogovernavano, eleggevano i funzionari, i poliziotti, i giudici (a Tartano come abbiamo visto c'era una pretura). Solo per i delitti di sangue intervenivano i rappresentanti dei poteri lontani, del Principe. Per ottenere la fedeltà di comunità fiere e bellicose le autorità lontane di Milano e Venezia concedevano larghissima autononia e altrettanto larghe esenzioni fiscali. Anche i Signori Grigioni non calcavano la mano più di tanto. Sono state le tasse, cresciute vertiginosamente con la fine dell'ancient régime a schiacciare la montagna, la mancanza di autonomia che portava a sottomettere l'intereresse locale alla nascente borghesia, una classe rapace ma al tempo stesso capace di quell'ipocrisia e capacità manipolatoria che rappresenta tutt'oggi la cifra della società non ancora uscita dalla modernità.

L'economia di sussistenza, che nella percezione comune è ancora la caratterizzante "il passato" è frutto innegabilmente anche della crescita demografica tra XVIII e XIX sec. e dell'eccessiva parcellizzazione fondiaria. I nostri antenati in precedenza erano molto più liberi. Potevano scegliere se transumare o meno, se restare in pianura, se dedicarsi al commercio dei formaggi o del bestiame. Anche in pianura erano sostenuti da reti parentali e valligiane che li rendevano forti nelle relazione con la gente del piano.

La modernità pare aver portato libertà perché ha dissolto i legami che raccordavano la persona con una più ampia comunità (di villaggio, di pratiche).Oggi dopo anni di crisi una salutare riflessione è necessaria perché i vantaggi della modernità tendono a venir meno e ad essere sovrastati dagli svantaggi (l'individuo 'isolato' con il venir meno dei servizi sociali e del reddito rimpiange le reti di solidarietà organica, non quelle della solidarietà pesolsa di stato o del business delle onlus).

Se negli anni '60 televisione, automobile, elettrodomestici, mezzi meccanici di ogni tipo hanno sollevato da quelle che erano pesanti fatiche fische e aperto nuovi orizzonti va anche considerato che, andando indietro nei secoli, il lavoro fisico era suddiviso tra molte più persone mentre i montanari, con l'emigrazione stagionale qualificata (oltre che mandriani-casari erano anche, commercianti, maestri di scuola e artisti 'transumanti'), avevano molte occasioni di relazioni in un raggio che arrivava spesso oltralpe. Le fatiche disumane, gli uomini-mulo, sono un frutto della modernità. In forza della pressione fiscale, dell'esproprio delle risorse della montagna (che continua ancor oggi, basti pensare all'acqua), della crescita demografica, il montanaro per (soprav)vivere ha dovuto - tra XVI e XIX sec. - moltiplicare lo sforzo lavorativo per ottenere la stessa quota di beni di sussistenza.

Un fattolegato da una parte alla necessità di utilizzare risorse sempre più marginali, dall'altra ad un innegabile sfruttamento da parte dei poteri esterni. Non ci si deve dimenticare che, sino al XVI sec., sugli alpeggi si suonava, di danzava, si facevano sport 'alpestri' (25). Poi è arrivata la modernità, anche con il volto di una chiesa post-tridentina funzionale ad un progetto di rigida disciplina e controllo sociali. Ma anche questa religiosità, così diversa da quella medioevale, è moderna.

 

Una valle in bilico

 

La val Tartano oggi - come riflesso di tutti questi intrecci storici (e culturali) - è una valle in bilico. Da una parte c'è, palpabile, la tensione a conservare e rifunzionalizzare il patrimonio, dall'altra le perduranti spinte alla sua distruzione. Nella conservazione di una valle, di una singola contrada c'è un elemento che dipende da volontà individuali e dall'altra un quadro collettivo, di regole (spesso scritte a Milano, Roma e Bruxelles) ma anche di interventi, iniziative e inerzie dei soggetti locali. Pesa su tutto la sfiducia, il senso di sproporzione tra le forze umane rimaste e le cose da fare. Ma se si considerano le cose da un altro punto di vista, ovvero delle enormi potenzialità di una montagna vera, bella, accessibile come la val Tartano, se si ha la voglia di credere in queste potenzialità, nella forza delle idee, nella forza delle reti di cooperazione tra tanti soggetti animati da comune buona volontà, tutta la prospettiva cambia e c'è spazio per l'ottimismo (della volontà e dell'intelligenza).

 

Tipiche dimore in Contrada le Tegge

 

Dosso dei Pricipi: la via coperta

 

Gli interventi di recupero sono legati alla buona volontà, alle disponibilità (economiche e di conoscenze), alla sensibilità dei singoli. Se intere contrade non vengono banalizzate ad ammassi informi di volumi edilizi il merito è di quello che rimane di spirito di cooperazione montanaro, dei freni a quell' individualismo, narcisismo, esibizionismo che la modenità ha scatenato. Alla Contrada dei Principi è possibile assaporare l'atmosfera di intimità, funzionalità, ordine delle contrade del passato.

 

Affresco in Contrada Dosso dei Principi

 

Fontana coperta in Contrada Dosso dei Principi

 

Un segno di una sensibilità che non guarda solo al proprio orticello, al confine della propria parcella catastale è dato dal recupero della fontana di contrada (sopra). Però al Dosso dei Principi abbiamo notato anche un'altra cosa interessante: una "Piccola biblioteca di contrada aperta a grandi e piccini". Anche talenti diversi posso contribuire a mantenere in vita e dare senso (e un suo rinnovato connotato specifico) a una contrada. Servono le mani ma anche chi mette a disposizione qualcosa per gli altri di altro tipo. Dei libri perché no? Quello che conta è che la gente (qui presente solo in estate per lo più) non si chiuda nel guscio.

Da guadagnare c'è una qualità della vita fatta di quelle relazioni che la realtà urbana (condominio o villetta con giardino cinta da cancellate) hanno disseccato. Fatta di quello che la televisione e internet non danno.

 

Un passaggio a Dosso dei Principi

 

Portoncino a Dosso Principi

 

Non tutto è attento e rispettoso neppure qui. Il portoncino della foto sopra è 'affogato' da un brutto intonaco cementizio. Si possono sempre biasimare i proprietari? No di certo. Servono artigiani competenti e disponibili per applicare le tecniche del 'raso pietra', della malta naturale. Basterebbe che le 'Istituzioni' (ma si meritano ancora quesa denominazione?) invece di alimentare le caste e le clientele autoreferenziali  utilizzassero un po' delle (ancora tante, troppe) risorse estorte ai contribuenti per attivare laboratori, scuole, apprendistato, esperienze di cultura della manualità e di autoimprenditorialità. È eversivo dire queste cose o è buon senso, senso del bene comune?

 

L'alluvione e le strade

 

L'alluvione del 1987, che ha fatto 19 morti in val Tartano (forse anche per una cultura edilizia che non rispetta quei limiti, quei criteri di prudenza del passato) non ha indotto salutari ripensamenti sul modello di infrastrutturazione della montagna. Anzi. Il Tartano, come visto è stato imbrigliato con ciclopici manufatti 'tradizionali' e la realizzazione di nuove strade è avvenuta a spese delle bellissime (restano solo le foto e i ricordi) mulattiere lastricate, vere opere d'arte,  che costituivano la sapiente rete di collegamento delle contrade.  Purtroppo pare che delle lezioni del passato si continui a non fare tesoro. Invece che investire nel patrimonio si vuole continare a investire in strade di dubbia o nulla utilità. Sono previsti ridondanti collegamenti tra gli alpeggi ignorando che solo pochissimi sono utilizzati e che la crisi degli alpeggi non si risolve con le strade.

Gli stessi che vogliono le strade. A cominciare dal Parco che li ha inseriti nel proprio piano "così da facilitare i finanziamenti europei" e che poi si rifà una verginità a buon mercato con gli orsi. Chi vuole le strade "per gli alpeggi" sono gli stessi che  hanno spinto e spingono per una zootecnia intensiva con vacche da 90 q.li per lattazione che l'alpeggio non lo possono vedere se non in cartolina (basti dire che Raschetti, presidente del Parco, è di professione venditore di mangimi...). Invece che spendere per strade inutili (tranne per i soliti impresari e politicanti) ci sarebbero tante iniziative per valorizzare il patrimonio unico della val Tartano che rappresenta un enorme potenziale per quel turismo rurale e culturale che la Valtellina ha sinora snobbato (per inseguire le lobby immobilaristiche che premono per l'industria della neve artificale). Trattando le Orobie, vocate per un turismo soft che non muove speculazioni, clientelismo, corruzione, da cenerentola.  È ora di cambiare.

 

 

Dalla val Lunga alla val Corta

 

Il tempo volava e dopo una rapida visita ad un'altra contrada della val Lunga ci siamo spostati in val Corta. Sotto siamo alla biforcazione tra la val di Lemma e Budria e i fabbricati che si intravedono solo le case di Sciucada.

 

Imbocco val di Lemma (si intravede Sciucada)

 

La contrada, meritevole di visita, che ho potuto vedere per ultima è Bagini, l'ultima tra quelle abitate un tempo anche in inverno salendo per la val Budria. Bagini è un ottimo esempio di 'se si vuole si può'. Un esempio di passione puntigliosa per un recupero attento, rispettoso. Bastano pochi particolari per capire che chi tiene viva la contrada non solo è motivato da intelligente passione ma ha anche 'mani sapienti' che ancora sanno lavorare il legno e la pietra come i vecchi. Canali di gronda scavati nei tronchi, niente calcestruzzo. Non tutte le proprietà sono stare empre recuperate con una qualità dell'intervento elevata. Ma l'insieme è di qualità. L'aspetto della contrada è stato rispettato.

 

Piccoli capolavori di sapienza manuale. Notare le forcelle che reggono i tondi appoggiati a fungere da parapetto (il manufatto a destra è una budulera, per la conservazione del latte)

 

La 'piazzetta di Bagini

 

Bagini è viva, è stupenda perché è autentica, perché è ruralpina. I prati sono sfalciati a mano (pendenze da record). E ci sono anche le patate

 

Questa legna è sistemata con una precisione svizzera

 

La solidità del blockbau. A onor del vero questa tecnica è diffusa anche in Valchiavenna, alta Valtellina, alta Valcamonica. Un tempo era estesa a una larga parte della montagna lombarda (come le scandole per copertura)

 

La bellezza dell'insieme della contrada. Per fortuna la Lombardia è anche e ancora questo e non solo il degrado delle informi periferie conurbanizzate. Ma qualcuno si preoccupa di farlo sapere ai milanesi che pensano che queste cose ci sono solo in Svizzera, Trentino-Sudtirol, Valle d'Aosta?

 

Sull'altro versante della valle questi splendide baite (della Cerabèla)."Erano del mio nonno" mi racconta Fausto, con giusto orgoglio, rammaricandosi che la famiglia abbia svenduto le proprieta rurali.

 

All'inizio della val Corta ecco un altro splendido esempio di architettura

ruralpina della val Tartano.

 

Con queste belle immagini finisce il racconto. Si deve tornare a Milano. Ma ci sarà una prossima puntata

 

 

Note

 

(1)  G. R. Orsini, Storia di Morbegno, Sondrio, 1959, p.60

(2) F. Ninguarda, Atti della visita pastorale diocesana (1589-1593), ordinati e annotati dal sac. dott. Santo Monti, Como, 1892

(3) S.Casini, A.Fossati, F.Motta "Incisioni protostoriche e iscrizioni leponzie su roccia allesorgenti del Brembo (Val Camisana di Carona, Bergamo).Note preliminari" In Notizie Archeologiche Bergomensi, 16, (2008):75-101

 

(4) M.Corti La civiltà dei bergamini , S.Omobono Terme, 2014, p.185

 

(5) M.Corti Ribelli del bitto, Bra, 2011, pp.132 ssg.

 

(6) F. S. Quadrio, Dissertazioni storico-critiche intorno alla Rezia di qua delle Alpi, oggi detta Valtellina al Santissimo Padre Benedetto XIV P.0.M. dedicate, Nella stamperia palatina, Milano, 1755, p.466

 

(7) S.Casini, A.Fossati, F.Motta, Incisioni protostoriche...

 

(8) G. Molinari "Le 'Antiche Chiesette-Oratori' e la parte alta della 'Via Mercatorum' di Gianni Molinari In Quaderni Brembani, 6 (2008):69-71

 

(9) Fausto Gusmeroli, comunicazione personale. Negli ultimi anni sono state rinvenute anche incisioni rupestri e coppelle.

 

(10) M.Corti Ribelli del bitto ..., Id.

 

(11) P. Guichonnet Storia e civiltà delle Alpi. Destino storico, Milano, 1986, pp. 195 ssg.

 

(12) C. Gusmeroli Storia di Tartano, s.l., 1985

 

(13) Id.

(14) D. Benetti P.H. Stahl, Le radici di una valle alpina: antropologia storica e sociale della Val Tartano, Sondrio, 1995, p.15.

(15) M.Corti La civiltà dei bergamini ..., pp.178 ssg.

 

(16) Arioli N. “I malghesi  dell’alta Valle Brembana, e di alcune  aree con nanti, nelle fonti d’archivio tra  ne ‘500 e  ne ‘700”, in M. Corti, Studi sulla transumanza alpina (in corso di pubblicazione).

 

(17) Id. Riporto alcuni stralci di documenti significativi citati da Arioli: «Tommaso della Quarta figlio di Giorgio abitante nel luogo di Valle Tartano, comune di Talamona giurisdizione di Morbegno vende a Gio.Maria Piatti detto Berera figlio di Giovannino abitanti nel luogo di Mirabello, Parco vecchio di Pavia, [i Berera erano malghesi di Foppolo] nominativamente di quella quantità ... integra del monte chiamato Lema, posto nel luogo di Val Tartano, di vacche sei, il quale monte confina a mattina il Porcile [Alpe Porcile] a mezzogiorno Costa di Tartano e i volgarmente detti Rai et Cavizzola, a sera i monti Budrio et Vendulpiano et dall’altra parte il monte detto Zuccada [...] per il prezzo di lire tremila trecento ventisei moneta di Valtellina. Detto venditore ha locato detto monte, per anni nove cominciando dalle Calende di ottobre, ad Andrea Magenes detto il Barbì del luogo di Cambrembo Valle Brambana  diocesi di Bergamo [...]» «Giacomo Tirinzoni figlio di Antonio abitante in località Aralli [territorio di Tartano]comune di Talamona, Valtellina, fece e fa vendita a Domenico Tirinzoni figlio di Bernardino abitante ai Prati Oles [territorio di Tartano ) comune di Talamona Valle Tellina, nominativamente degli infrascritti beni : una pezza di prato con dentro una casa fabbricata di legname coperta di piode per tener  fieno e bestiami in detto luogo di Oles […]; un’altra pezza di terra prativa con  attorno incolto con dentro una casa parimenti fabbricata di legnami dirupata coperta pure di piode dove si dice al Ronco […]; per il prezzo di lire cinque cento in moneta di Valle Tellina. Testimoni sono Angelino Fondrini figlio di Gaspare abitante alla Zochada comune di Talamona , Gaspare Santi figlio di Vanino abitante a Foppolo Valle Brembana bergamasca e Domenico Goglio figlio di Giovan Pietro abitante ad Averara in Valle Brembana».

 

 

(18) N. Arioli Le radici di Carlo Cattaneo: storia di una famiglia da Valleve alla Bassa Milanese,  Corponove, Bergamo,  2012, pp.11-14

 

(19) Id.

 

(20) A. Orlandi  Le famiglie della Valsassina: repertorio con brevissime illustrazioni, Cortenova (Lc), 2005, p. 157.

 

(21) G. Bianchini, R. Bracchi Dizionario etimologico dei dialetti della Val Tartano, Grosio (So), 2003, pp. 80-81

 

(22) C.Gusmeroli, Storia...

 

(23) Che costò 12 morti di cui alcuni forse sarebbero stati evitati se si edificasse con quella cautela e quel rispetto che caratterizzavano la cultura edificatoria tradizionale

 

(24) G.Spini, l'Gazetin, aprile 2013

 

(25) G.Arrigoni Documenti inediti risguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe, Milano, 1857,  pp.37-38

 

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