|     (30.07.10) Era l'attività zoocasearia 
                        la principale 'industria' della maggior parte dei comuni 
                        della montagna lariana. Ora l'alpeggio può tornare ad avere 
                        significato non solo storico-culturale e paesistico 
                        ma anche economico   Gli 
                        alpeggi del Bregagno: un grande patrimonio  ignorato Ma dall'alpe 
                        Nesdale arriva un segnale di rilancio   Il 25 luglio in coincidenza 
                        con la tradizionale festa di Sant Amáa (sotto la Grona) 
                        si è svolta anche una cerimonia piena di significato in occasione 
                        dell'apertura della prima forma di formaggio all'alpe 
                        Nesdale. Il rilancio dell'alpe 
                        reso possibile da una pista di servizio che potrebbe 
                        collegare anche altri alpeggi.    foto  
                        e testo di Michele Corti    Il 
                        Signore fece salire il suo popolo sulle alture della 
                        terra e lo nutrì  (Dt 
                        32, 10c-14).      Dal 
                        Lagorai (Valsugana, TN) al Bregagno (Lario). Due comprensori 
                        di alpeggio molto diversi ma anche con problemi molto 
                        simili. Un confronto stimolante al massimo. Trasferirsi 
                        fisicamente da uno all'altro in una sola giornata, però, 
                        non solo è faticoso ma rischia di far risucchiare esperienze 
                        preziose, autentiche, in un vortice frenetico. Quella 
                        frenesia che toglie realtà e spessore alle nostre vite 
                        e contro la quale la vita d'alpeggio e l'accostarsi 
                        ad essa propugnamo come antidoto. La stagione d'alpeggio 
                        di esaurisce in 2-3 mesi ed è logico che il calendario 
                        degli eventi sia tambureggiante. Così quando l'amico 
                        Mario Colombo mi ha telefonato dieci giorni prima per 
                        dirmi che all'alpe Nesdale il 25 luglio ci sarebbe stato 
                        un evento importante: il taglio della prima forma dopo 
                        anni di abbandono, non ho saputo dire di no. Pur sapendo 
                        che per quel week-end avevo un impegno in Trentino.   
   Fortunatalente 
                        l'evento principale che ho descritto in:  Malga 
                        Montalon 
                        era 
                        'calendarizzato' per il sabato e il progranna della 
                        domenica era un po' 'satellite'. Non potevo non partecipare 
                        ad un evento su un aalp che conosco bene, il 
                        cui abbandono negli ultimi anni mi aveva molto rattristato 
                        (non ci sono più stato dal  2005, ma chiedevo notizie). 
                         Un 
                        alpe le cui foto 'di repertorio' (sopra)  mostro sempre 
                        a lezione come esempio di alpeggio 'di versante' che 
                        sorge su una 'piazza' (ripiano a lieve pendenza), e  dove 
                        i fabbricati si affacciano su una corte chiusa (foto  sotto), evoluzione di quello che era anticamente 
                        un semplice bárek (recinto di muriccia a secco).    Per approfondire:  Digressione 
                        1 - Un sistema di alpeggi un tempo 'forte' e che conserva 
                        grandi potenzialità       Ritorno 
                        a Nesdáa   A 
                        Nesdáa sono 
                        salito più volte, per lo più dalla Val Sanagra, salendo 
                        in auto sino all'Alpe Leveja. Da lì sono 300 m si salità, 
                        per lo più all'ombra del bosco, prima un tetro bosco 
                        artificiale deperente e rinsecchito, poi un bel bosco 
                        naturale con tanto di abete bianco, parte del bosco 
                        di Varöö che occupupa il versante a Nord 
                        della Grona. Volevo fare così anche domenica scorsa 
                        ma le code sul Lago (tra Moltrasio e Argegno) hanno 
                        molto rallentato un viaggio che dalla Valsugana 
                        a Como (via statale Briantea, di norma congestionata) 
                        era stato scorrevole. Così, 
                        per non rischiare di arrivare ad evento finito, ho accettato 
                        di farmi venire a prendere da un dipendente del comune 
                        con un Defender risceso, dopo altri 'servizi' di trasporto, 
                        alla sbarra che limita l'accesso alla 
                        pista forestale in località Monti di Gallio  a 1.100 m. Il fatto che la robusta sbarra 
                        fosse chiusa a chiave e che non abbia potuto salire 
                        con il mio mezzo (Jimny) nemmeno nel giorno della Festa 
                        smentisce le critiche ambiental-qualunquistiche contro 
                        la pista realizzata a servizio degli alpeggi (ci torneremo).   
   Il 
                        paesaggio dei muunt da dove parte la pista è 
                        quello della eloquente foto sopra: una neoformazione 
                        di betulle, felce acquiline e ginestre. Non si vede 
                        un filo d'erba. Ideale per prendere fuoco. Solo gli 
                        ambientalisti da salotto possono compiacersi di un simile 
                        paesaggio che non è per nulla 'naturale' ma frutto di 
                        un abbandono totale e repentino  delle attività di cura silvopastorale. 
                        In queste 'neoformazioni' non si riesce a camminare, 
                        la fauna è rarefatta. Dal punto di vista estetico sono 
                        penalizzate dalla precoce maturazione della felce acquilina 
                        (ad agosto già rugginosa) e dai cicli vitali della ginestra 
                        che, periodicamente, probabilmente anche a causa di 
                        malattie fungine, si presenta rinsecchita, coi fusti 
                        grigiastri e contorti in pienma stagione vegetativa.    
   Nonostante 
                        l'ora tarda (sono passate le 13 e 30) non posso rinunciare 
                        a qualche scatto all'Alpe Rescascía del comune di S.Siro. 
                         I fabbricati appaiono in buone condizioni (foto 
                        sopra). La casera (foto sotto) è costituita da un fabbricato 
                        indipendente su due livelli. Però il dipendente del 
                        comune di Plesio che mi fa da autista riferisce che 
                        'ci sono problemi con l'Asl per la messa a norma'. Chissà 
                        cosa vogliono?   
   La 
                        sústra di Rescascía (foto 'di repertorio' sotto) è 
                        del tipo con la volta a sesto acuto. Le dimensioni del 
                        ricovero (e della 'malga' che vi trovava un 
                        tempo  ricetto) sono ragguardevoli. Già ai tempi della mia foto 
                        'di repertorio' (2002) la sústra era 'abitata' solo 
                        da un malinconico cavallo che se ne stava all'ombra 
                        del manufatto.  
 
     Lasciata 
                        l'alpe la mia 'guida' mi fa notare la vecchia mudata 
                         (una stazione 'alta') ormai del tutto diroccata 
                        (foto sotto). E' con grande rincrescimento che mi fa 
                        anche osservare il rinselvatichimento della vegetazione 'guardi che degrado, è pieno di 
                        droos' (rododendro). Come si vede la pendenza, 
                        però, non è certo proibitiva per il pascolo; in più 
                        'è pieno d'acqua'. Sono numerose le sorgenti come testimoniano 
                        anche le prese degli acquedotti. Una montatgna ricchissima 
                        di acqua. Ci sono bei fabbricati, ampi pascoli, ora 
                        una pista percorribile dai fuoristrada, un panorama 
                        mozzafiato sul lago e tanta acqua. Ma perché mai un alpeggio così deve 
                        restare abbandonato? C'è proprio qualcosa di distorto 
                        nei meccanismi (mercantili, burocratici, culturali). 
                             
   La 
                        pista sale con pendenza ababstanza regolare ma tale da precludere 
                        la percorrenza di normali automobili. Taglia il fianco 
                        della montagna senza tornanti (solo un curvone che ha 
                        dato fastidio ad un architetto svizzero) . Non ci sono 'opere d'arte', 
                        muri di contenimento, 'pugni nell'occhio'. L'orrenda 
                        cicatrice lamentata da suscettibili pseudo-ambientalisti 
                        si rimarginerà presto e resterà una 'strada bianca' 
                        ben inserita nel paesaggio. Il calibro della carreggiata 
                        'di 4,5' secondo i 'paladini dell'ambiente' è 
                        in realtà di poco superiore ai 3 m per il fisiologico 
                        restringimento dovuto al normale micro-smottamento della scarpata 
                        a monte (non ancora consolidata e reinerbitasi). Poi l'escavatore 
                        dovrà pure passare? O pensano queste anime belle che le strade le facciano 
                        ancora i 'badilanti'?  Quello che non è tollerabile è 
                        che si ignori che la viabilità agropastorale risponde 
                        ad una legge regionale ben precisa e da un obbligatorio 
                        regolamento comunale che non può prevedere 'scappatoie'. 
                        Per questi signori le piste di collegamento con gli 
                        alpeggi non vanno fatte perché 'poi le leggi vengono 
                        aggirate, non siamo come in Svizzera'.  Intanto, 
                        come dicevo, all'inizio della pista vi è una robusta 
                        sbarra. Vigilino su eventuali abusi i signori ambientalisti. 
                        Chiedano che si faccia rispettare la legge forestale 
                        che proibisce il transito delle moto sui pascoli e sulle 
                        piste forestali. Purtroppo poi la 'tolleranza' verso gli 
                        abusi (foto sotto), abusi che nulla hanno a che fare 
                        con il fisiologico utilizzo della vasp (viabilità agro-silvo-pastorale) 
                        presta il fianco a critiche qualunquistiche.   
   Se 
                        vuoi approfondire: Digressione 
                        2. La 'selvaggia Val Sanagra' e la 'sacrilega' pista 
                        di collegamento degli alpeggi      Clima 
                        di festa   Nel 
                        clima di festa a Sant Amáa (con la gente che ha piantato 
                        la tenda per vedere l'alba da qui ed essere già sul 
                        posto) le moto proprio stonavano. Ma procediamo con 
                        lo svolgimento della giornata.   
   Arrivati 
                        all'oratorio montano dedicato al santo martire (che, 
                        sia pure per poco, sorge in comune di Plesio) la festa 
                        era già finita e si stavano sparecchiando le  tavolate 
                        (foto sopra). Peccato. Però, io ero qui per il taglio 
                        della prima forma a Nesdale e quello è previsto per il momeriggio, c'è ancora tempo. Tanto che da Sant Amáa all'alpe 
                        decido di andarci a piedi con gli amici (c'è Mario 
                        Colombo e Francesco Curti già sindaco di Cusino che 
                        mi aveva fatto conoscere l'alpe Rozzo). Vi 
                        è ancora molta gente, però, radunata intorno al piccolo 
                        edificio sacro (foto sotto).     
   Due 
                        parole sul santo. Altrove è più conosciuto come Mamete/Mamette 
                        (nella vicina Val Solda e poi giù in Brianza e nel milanese), 
                        fuori Lombardia anche con molti altri nomi.  L'aspetto 
                        della chiesina ve lo mostro nella foto sotto ('di repertorio'). 
                        L'oratorio 
                        montano sorge a 1.617 m alla base del costone del Bregagno 
                        (che resta alle sue spalle) e guarda la 
                        cima rocciosa della Grona. Mamete, secondo l'agiografia, 
                        nacque nel III secolo a Cesarea di Cappadocia - attuale 
                        Turchia -  in una prigione dove la madre era stata 
                        rinchiusa e martirizzata (persecuzioni di Valeriano). 
                        Morta la madre si rifugiò sui monti e veniva allattato 
                        dalle bestie selvatiche (secondo altre versioni si lasciavano 
                        mungere); quindi fece il pastore e finì anch'egli martirizzato. 
                        Molto venerato nell'ambito della chiesa bizantina in 
                        occidente ha assunto un ruolo di santo 'specializzato', 
                        santo pastore, legato alla lattogenia, ai monti e protettore degli 
                        animali. Invocato dalle balie per avere latte ma anche 
                        dai pastori. Nelle leggende locali (ma simili a quelle 
                        di altre vallate) Mamete faceva parte dei 'santi eremiti' 
                        del Lario, personaggi spesso del tutto leggenari come S. Jorio 
                        (trasposizione di Jupiter che in precedenza era nume 
                        tutelare 
                        del passo). Un tempo i montanari pensavano realmente 
                        che fosse vissuto qui un eremita che insegnava il vangelo 
                        agli animali feroci e li faceva convivere con le sue 
                        pecore. Simile è la leggenda di San Glisente in Valle 
                        Camonica che ammansiva l'orso in procinto di divorare la 
                        pecora che gli forniva il latte.  Oggi i verdi si credono 
                        più potenti di questi santi eremiti e vorrebbero far 
                        convivere orsi lupi e linci con le pecore. Che presunzione! 
                         Notiamo che sia Glisente che Amáa hanno semplicemente 
                        fornito una patina di cristianizzazione ad antichissimi culti 
                        pastorali, alle divinità protettive che si sono succedute 
                        nelle varie epoche, a luoghi sacri che vedevano riunite 
                        le tribù di diverse vallate. Sant Amáa è sicuramente 
                        in posizione strategica presso l'omonima bocchetta che 
                        divide il crestone del Bregagno da quello della Grona 
                        e che mette in comunicazione la val Senagra con la costiera 
                        (S. Siro) e con la valletta di Plesio che scende a Menaggio. 
                        Qui passa anche la Linea Orobica che separa la roccia 
                        cristallina da quella calcarea ei si vedono 
                        di infilata da una parte il Lario con i suoi due rami 
                        (di Lecco e di Como), dall'altra il Ceresio (foto sotto). Ovvio 
                        che in questo sito ricco di 'energie' si saranno svolti 
                        riti sacri.   
   Il 
                        tratto che separa la chiesetta dall'Alpe Nesdáa è di 
                        poco superiore al chilometro e non c'è dislivello. Quindi 
                        la camminata è rilassante. Durante 
                        il percorso ci si imbatte in due fontane: una recente 
                        (riporto la foto del 2002), l'altra 'storica'. La prima 
                        presenta spigoli molto vivi e un ampia platea in calcestruzzo 
                        con opportuna pendenza per evitare il ristagno idrico. 
                         Ad occhio attento nella foto non sfugge il tracciato già 
                        allora esistente che collegava Sant Amáa con Nesdáa 
                        e che con i lavori terminati lo scorso anno è stato collegato 
                        finalmente 'a valle'.   
   La 
                        fontana 'storica' consiste invece in un imponente manufatto 
                        (foto sotto). Realizzata in lastre di pietra naturale 
                        che consente l'abbeverata contemporanea di 25 capi, 
                        ciascuno con la sua 'posta'. La lunghezza della fontana 
                        fornisce con immediata evidenza l'idea di quanto fossero numerose in 
                        passato le 'malghe' di bovini qui caricate.   
    Gli 
                        Atti della Commissione di Inchiesta sui pascoli alpini 
                        della Società Agraria di Lombardia, Vol. III, 
                        I pascoli alpini della provincia di Como, Milano, 
                        Premiata Tipografia Agraria, 1912 (p. 153) ci informano 
                        che esattamente un secolo fa all'Alpe Nesdale erano 
                        caricate 100 vacche lattifere più 120 bovini asciutti 
                        per un totale di 160 'paghe'. Vi erano anche 27 capre. 
                        Parlando con la gente del posto, forse enfatizzando 
                        un po', dicono che 'erano caricati fino a 300 capi'. 
                         Le 
                        coperture in lamiera sono nuove e a caratteri cubitali 
                        è stato scritto il nome dell'alpe che, in questo modo, 
                        si annuncia anche a chi non la conosce. Mi pare una 
                        buona idea, un modo orgoglioso di proclamare  
                        l'identità di un sito e la sua funzione. Nella foto sotto si vede 
                        l'insieme dei  fabbricati disposti intorno alla 
                        'corte' chiusa da un muro sul lato a valle. Non si può 
                        fare a meno di pensare ai modelli di cascina delle pianura 
                        anche se sappiamo che l'origine è diversa. Gli aalp, 
                        con i loro bárek preistorici, sono molto 
                        più antichi delle cascine a corte che derivano da tipologie 
                        medioevali (fortificate).   
   Non 
                        è facile riprendere la scritta con il panorama della 
                        Val Senagra e del Ceresio come vorrei , ciò per via 
                        del riflesso della copertura di lamiera. Mi devo accontentare 
                        della inquadratura della foto sotto dove, quantomeno, 
                        si vede la cima della Grona.   
   Dentro 
                        la 'corte' è già radunata una piccola folla. Gente venuta 
                        su quasi tutta a piedi, per lo più da Breglia (la frazione 
                        più in quota di Plesio) passando per il Rifugio Menaggio. 
                        Sono stati montati due gazebi: uno per la cerimonia, 
                        l'altro per la vendita del primo formaggio fresco (prodotto 
                        dopo anni di inattività dell'alpe) e del miele di rododendro 
                         (anche le api alpeggiano come le mucche).    
   La 
                        cerimonia religiosa è stata officiata da Don Daniele Crosta. Nella foto sotto  vediamo la preparazione per la benedizione.   
   La 
                        cerimonia religiosa è consistita in una 'benedizione 
                        ai campi , ai prati ai pascoli' . E' prevista la lettura 
                        di un passo della scrittura e qualche parola per aiutare 
                        i presenti a comprendere il significato religioso del 
                         rito. Nel 'benedizionale del rito romano' 
                        promulgato da Giovanni Paolo II http://www.liturgia.maranatha.it/Benedizionale/p2/35page.htm leggiamo 
                        che tale forma di benedizione:   ' [...] si può usare nei momenti più significativi della vita della comunità rurale; così il lavoro dell'uomo viene santificato dalla preghiera e la benedizione del Signore accompagna l'alternarsi delle stagioni e le attività ad esse corrispondenti.' t Sotto Don 
                        Daniele  mentre menedice i pascoli (che 
                        si stendono sotto l'alpe); poi si è girato verso l'alto 
                        (dove pascolava la 'malga') e ha benedetto gli animali, 
                        infine si è voltato alla dua destra (dove c'è la casera 
                        con la cantina e i locali di abitazione) e ha benedetto 
                        i fabbricati. In questo rito non è difficile scorgere 
                        un elemento di continuità che rimanda a un passato recente 
                        e remoto in cui l'alpeggio era elemento fondante dell'economia 
                        locale ma anche un patrimonio 'sacro' (l'espressione 
                        l'ho sentita sulla bocca di alpigiani ,  e non in senso metaforico). Sacro, 
                        simbolico, identitario è sicuramente un patrimonio importante. 
                        Ancora oggi.   
 L'officiante ha scelto la lettura dei 'gigli del campo'. 
                        Tra quelle adatte per l'occasione a me pare molto bella 
                        quella tratta dal Deuteronomio: Il 
                        Signore fece salire il suo popolo sulle alture della 
                        terra e lo nutrì con i prodotti della campagna (Dt 
                        32, 10c-14).    Il 
                        Signore educò il suo popolo, ne ebbe cura, lo allevò, 
                        lo custodì come la pupilla del suo occhio. Come un'aquila 
                        che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, 
                        egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue 
                        ali. Il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui 
                        alcun dio straniero. Lo fece salire sulle alture 
                        della terra e lo nutrì con i prodotti della 
                        campagna, gli fece succhiare miele dalla rupe e olio 
                        dai ciottoli della roccia; crema di mucca e latte di 
                        pecora insieme con grasso di agnelli, arieti di Basan 
                        e capri, fior di farina di frumento e sangue di uva, 
                        che bevevi spumeggiante.   Trovo 
                        particolarmente appropriata l'idea di un popolo che 
                        il Signore fa salire sulle alture e lì trova nutrimento. 
                        Mi pare quanto mai appropriata in un'epoca in qui il 
                        nesso tra la terra e il nutrimento si è smarrito. La 
                        gente che, per nutrirsi, deve fare solo la fatica di 
                        riempire 
                        un carrello del supermercato, aprire una confezione 
                        e far andare il microonde pensa che il cibo venga dalle 
                        fabbriche, che la terra (e il mare) non siano più necessari. 
                        Per quanto manipolato il cibo richiedere sempre la terra. 
                        Terra, sottratta alle foreste pluviali o semi-tropicali, 
                        terra che perde la sua fertilità a causa dell'agricoltura 
                        intensiva che 'regge' ai rapporti mercantili del mercato 
                        globale ma a prezzo di gravi impatti ecologici. L'agricoltura 
                        intensiva eutrofizza, salinizza, sterilizza, avvelena, 
                        erode la terra fertile. Nel mentre quella estensiva, 
                        che non richiede energia fossile, che utilizza la luce 
                        solare, che non maltratta gli animali, che non usa pesticidi 
                        regredisce, è 'marginalizzata'. Solo i cretini possono 
                        gioire per la rivincita della natura' di fronte al 
                        paesaggio montano abbandonato. Il cibo che non si produce 
                        più qui è rimpiazzato da quello prodotto inquinando 
                        terra e acque, consumando la terra.      
   Nel mentre si svolge la cerimonia 
                        la piccola folla segue con attenzione (foto sopra). 
                        Dopo 
                        la cerimonia religiosa è seguita quella laica con gli 
                        interventi del sindaco Fabio Conti, e dell'assessore 
                        provinciale alla cultura Mario Colombo, di Ivan Albini (
                        il giovane caricatore dell'alpe) e del sottoscritto 
                        (in qualità di 'amico ed esperto degli alpeggi').  Mi 
                        è toccato, ma non c'era certo bisogno di farsi pregare, di 
                        sottolineare l'importanza culturale, identitaria, turistica, 
                        casearia, economica di questi alpeggi. Splendidi ma 
                        penalizzati dal 
                        fatto che il Lario vive di transfrontalierato e di turismo 
                        lacustre e ha dimenticato che per secoli muunt 
                        e aalp erano il fulcro di un'economia rurale che 
                        coinvolgeva la maggior parte dehli abitanti (integrata 
                        da viticoltura, commercio, emigrazione, trasporti e pesca). Sotto 
                        vediamo Fabio Conti  (a sinistra) giustamente soddisfatto ed orgoglioso per il 
                        rilancio dell'Alpe Nesdale da lui tenacemente perseguito, e 
                        Mario Colombo (a destra) che 
                        con la sua presenza e con il suo intervento ha sottolineato come gli alpeggi 
                        rappresentino beni storico-culturali da preservare e 
                        valorizzare .    
   E' 
                        venuto poi il momento clou dell'evento: il taglio della 
                        prima forma. A qualcuno la forma apparirà straordinariamente 
                        simile a quelle del Bitto. E ha ragione (un po' di pazienza 
                        e ci arriviamo). Fabio è assistito nell'operazione da 
                        Ivan Albini, 24 anni giovane titolare dell'azienda agricola 
                        a lui intestata e caricatore (va detto che IVan può 
                        contare sulla presenza e l'esperienza del padre Giovanni, 
                        che conosceremo tra poco).   
   Dalla 
                        dimensione e dal colore la forma qui sopra pare proprio 
                        una di Bitto. Somiglianza casuale? Assolutamente no. 
                        La già citata Inchiesta sui pascoli alpini della provincia 
                        di Como, edita nel 1912,  ci dice (p. 309) riferendosi 
                        alla Valle del Liro:    '[...] 
                        in alcune alpi [della valle del Liro] poi si fabbrica formaggio grasso tipo 
                        Bitto, mentre il latte di capra si unisce in parte a 
                        latte bovino, e in parte al siero, per ottenere una 
                        buona ricotta. Anche nella alpi della Valle Albano si 
                        fabbrica formaggio grasso del tipo Bitto, che trova 
                        buono smercio nel mercato di Dongo'.   Notiamo 
                        che nell'analoga 'Inchiesta sui pascoli alpini della 
                        Valtellina' si parla di formaggio Bitto solo con 
                        riferimento a quello egli alpeggi delle valli del Bitto, 
                        mentre per tutte le altre zone (comprese le valli adiacenti 
                        come la val Lesina e la val Tartano) si fa riferimento sempre 
                        e solo al 'tipo Bitto' identificando quindi il Bitto 
                        con un'origine geografica precisa. Il 'tipo Bitto' lariano 
                        era quindi prodotto con la stessa tecnica del Bitto 
                        prodotto negli alpeggi delle  valli orobiche occidentali valtellinesi 
                        (cui vanno aggiunti, sempre nelle Orobie quelli del lecchese 
                        adiacenti ad esse,  della val Brembana e, infine - sul 
                        versante retico valtellinese - la val Masino). L'area 
                        degli alpeggi del Bitto 'comasco' è in realtà contigua 
                        (separata solo dal lago) a  quella degli alpeggi 
                        lecchesi e valsassinesi dell'estrema propaggine occidentale 
                        delle Alpi Orobie. Una circostanza alla quale forse 
                        sinora non ha prestato attenzione nessuno.   
   Tornando 
                        alla nostra alpe Nesdale va precisato che l'Inchiesta 
                        riferiva che in val Sanagra si 
                        facesse 'tipo Bitto' ma il fatto che i caricatori degli 
                        alpeggi più estesi venissero 'da fuori', ovvero dalla 
                        limitrofa Valle Albano (nei cui alpeggi si produceva 
                        il 'tipo Bitto') fa ritenere che, molto probabilmente, 
                        anche qui si facesse 'tipo Bitto'. E' significativo 
                        che ancora oggi i caricatori attuali siano di Garzeno 
                        in Valle Albano.  Del resto posso testimoniare 
                        per esperienza diretta che sugli alpeggi della costiera 
                        del Bregagno (di Musso, Pianello e Cremia), purtroppo 
                        'dimenticati' dall'inchiesta di un secolo fa,  i 
                        caricatori di Garzeno e dei comuni rivieraschi (almeno 
                        sino a qualche fa), producevano formaggio grasso aggiungendo 
                        anche il 20 e più % di latte di capra.  Si 
                        deve ritenere che nella fitta 'corona' di alpeggi intorno 
                        al Bregagno, almeno nei più estesi e più di alta quota, il 
                        formaggio grasso 'tipo Bitto' rappresenti la vera produzione 
                        tradizionale. Da secoli. E' abbastanza curioso pertanto 
                        che nella maggior parte della provincia di Sondrio si 
                        faccia Bitto (da soli quindici anni ovvero, dopo, l'ottenimento 
                        della Dop) e che qui - dove si fa un prodotto molto simile 
                        al 'vero' Bitto - 
                        si debba  burocraticamente definire il prodotto  'Lariano 
                        grasso d'alpe'. Quest'ultima denominazione per nulla 
                        accattivante è, oltretutto, estesa a tutti gli 
                        alpeggi della provincia di Como e  non tiene in alcun 
                        modo in considerazione  il fatto che 
                        solo intorno al Bregagno, nel resto della Valle Albano 
                        e in alcuni alpeggi della valle del Liro (più a nord) 
                        fosse radicata questa prestigiosa tradizione produttiva. A testimonianza della 
                        stretta parentela tra il formaggio del Bregagno e il 
                        Bitto (quello 'storico') parlano anche gli attrezzi 
                        e le tecniche ancora oggi usate qui sul
                        Bregagno, tecniche e attrezzature che sono spesso 
                        più aderenti alla tradizione del 'Bitto storico' che 
                        quelle impiegate per il Bitto Dop standardizzato ed 
                        esteso a tutta la provincia di Sondrio. La forma della 
                        caldéra innanzitutto è la stessa (foto sopra). Poi 
                        non si può fare a meno di osservare che qui si usi la 
                        'lira' come un tempo (un attrezzo che richiede più tempo 
                        per la rottura della cagliata). Nella foto notiamo anche 
                        la rudèla (per tenere in agitazione il latte) 
                        e lo scalèt (telaio in legno appoggiato sopra 
                        la caldére dove appoggiare il cul (filtro per 
                        il latte). Anche lo scuèt (per la pulizia della 
                        caldaia è identico a quello delle valli del Bitto).   
   Identiche 
                        sono le temperature di 'cottura' della cagliata. Giovanni 
                        Albini mi spiega che oggi si lavora a 48-49°C ma che 
                        quando era Ballarona 'dove l'erba era più forte' 
                        si superavano i 50°C. L'Alpe Ballarona  si trova a quasi 1.800 m con pascoli, che arrivano  alla vetta del Bregagno. Oggi 
                        è diroccata.  Uguali sono i sistemi di pressatura 
                        (vedi foto sotto).   
   Una 
                        delle poche differenze tra Bregagno e Bitto è data dallo scalzo che qui è 
                        diritto (nel Bitto  è concavo). Una 'modernizzazione' 
                        che qui si è introdotta  (e che il Bitto storico, 
                        ma solo quello, ancor oggi 
                        rifiuta) è la salatura con salamoia. Richiede meno tempo 
                        ed è più pratica ma, a parte la penetrazione meno uniforme 
                        e graduale del sale, c'è un inconveniente che non possiamo 
                        non 
                        notare. Giovanni, come tutti i casari-malghesi di vecchio 
                        stampo si lamenta che 'l'ASL ha costretto a rovinare 
                        la cantina'. Si lamenta per l'intonaco cementizio impermebilizzante, 
                        per la ridotta circolazione dell'aria dovura alla chiusura 
                        degli sfiati indispensabili. Ma poi aumenta l'umidità 
                        con le saline (vedi foto sotto).    
   Fa 
                        comunque piacere vedere la cantina, un po' piccola per 
                        la verità, già piena di forme.    
   In 
                        mezzo campeggia la 'forma del comune' con applicata 
                        una 'pelure' recante lo stemma di Plesio (sotto). Un 
                        po' di simbolismo ci sta proprio bene.   
   C''è una cosa sopra le altre che mi 
                        fa ritenere  questo 
                        formaggio  molto più 'Bitto' di tanti Bitto Dop (del 
                        consorzio): il 
                        latte di capra. Garzeno è paese di capre ancor più che 
                        di bovini e le capre non mancano mai negli alpeggi 
                        caricati dalla gente di Garzeno. E non è finita. Come 
                        il Bitto storico è legato alla capra Orobica, il Bitto 
                        'comasco', il nostro Bregagno, è legato alla capra Lariana. 
                        Giovanni Albini aggiunge: 'Mio figlio Ivan sta togliendo 
                        le Verzaschesi per tornare alle Lariane' (che vediamo 
                        nella foto sotto avvicinarsi ai fabbricati per farsi mungere).    
   Una 
                        differenza tra le tradizioni delle Valli del Bitto e 
                        quelle degli alpeggi del Bregnagno (ma la conoscevamo 
                        già) si riscontra nella preparzazione della mascarpa 
                        (mascherpa nelle valli del Bitto). Negli alpeggi 
                        del Bitto storico la mascherpa viene fatta spurgare 
                        in secchielli di doghe di legno traforati (garòt) vedi 
                        Come 
                            nasce la maschèrpa d'alpeggio 
                        delle Valli del Bitto  . 
                         Qui, invece, la si scola nei teli (foto sotto). Poi la 
                        si vende fresca a privati (compaesani per lo più) che si preparano 
                        a casa il zígher. Oggi anche a Garzeno (patria 
                        riconosciuta del zígher)  si tende, per 
                        farsi capire, ahi la 'globalizzazione regionale' a chiamarlo zincarlin. 
                        Una omologazione linguistica  da evitare. 
                          Sono infatti 
                        preparazioni abbastanza diverse. Il zígher è 
                        collocato in una marna (cassa di legno di larice) 
                        dove, coperto da uno strato continuo di pepe macinato 
                        grosso (per evitare la deposizione delle uova da parte 
                        dei mosconi), matura per dei mesi e può essere consumato 
                        anche la primavera successiva. Il zincarlin, 
                        invece, ha froma propria (di panettoncino).   
   Giovanni 
                        Albini (foto sotto) racconta un po' la sua storia molto 
                        legata e segnata dalla vita d'alpeggio. Non mi cita 
                        tutti gli alpeggi che ha caricato o dove è stato in 
                        precedenza da pastorello agli ordini del nonno e dello 
                        zio (devono essere stati tanti nella sua vita e forse 
                        nessuno più di lui oggi conosce gli alpeggi del Bregagno). 
                        Cita  Marnotto (nel comune di Garzeno, al di là 
                        della forcella tra il Bregagno e il M.te Marnotto che 
                        separa dalla val Sanagra dove ci troviamo). 'Questo 
                        è stato il primo alpeggio dove dice: ' sono stato 
                        da padrone, prima ero sotto il nonno e lo zio'. Si intuisce 
                        che la 'scuola di vita' per i nipotini-pastorelli fosse 
                        dura. Nella nostra conversazione poi entrano la già 
                        citata alpe Ballarona (ora solo ruderi), qui in alta 
                        val Sanagra, e l'alpe del Rozzo (in val Cavargna ma 
                        molto vicina) che è stata l'ultima caricata prima di 
                        venire qui a Nesdale.  Discorrendo dell'oggi, dell'azienda 
                        di famiglia (ora intestata al figlio), Giovanni è 
                        il primo ad ammettere di trovarsi in una condizione 
                        privilegiata ormai molto rara: 'siamo una famiglia grande 
                        e siamo in tanti a lavorare; mentre qualcuno è su in 
                        alpeggio gli altri restano a casa'. Grazie a questa 
                        disponibilità di manodopera famigliare gli Albini 
                        hanno 80 bovini più le capre, i maiali ecc., gestiscono 
                        bene la vendita dei prodotti, gli sfalci ecc.  In 
                        questo modo riescono anche a caricare l'alpe con il 
                        loro bestiame, senza dover dipendere  dal 
                        bestiame affidato dai, sempre più scarsi, piccoli allevatori. 
                         Un passo ulteriore sarebbe rappresentato dall'attività 
                        agrituristica. Qui a Nesdale vi è già disponibilità 
                        di alloggi (il progetto di ristrutturazione del comune 
                        ha previsto questa possibilità).    
   Strutture 
                        appositamente dedicate all'ospitalità vi sarebbero 
                        già (almeno sulla carta)  anche all'Alpe del Rozzo 
                        (Cusino) e all'Alpe Palù (Cremia). Senza grandi investimenti 
                        ma solo valorizzando l'esistente  (per il quale 
                        sono stati investiti fondi pubblici non trascurabili) 
                        gli alpeggi del Bregagno possono facilmente essere attrezzati 
                        per divenire un 'circuito' fruibile, sia per escursioni 
                        ad anello che per quelle collegate agli itinerari 
                        a lunga percorrenza della 'via lariana', delle 
                        'quattro valli', dell' 'alta via del Lario'. Ma anche 
                        per offrire 'vacanze in alpeggio' di qualche giorno 
                        o una settimana caratterizzate dalla 'partecipazione' 
                        alla vita d'alpeggio con risvolti didattici ed educativi 
                        (sia per ragazzi che per adulti). Aggiungasi il ruolo 
                        degli alpeggi, di alpeggi 'vivi' beninteso, come punti 
                        d'appoggio per l'equiturismo o il trekking con gli asini. 
                         Tutte 
                        belle idee ma difficili da far quagiáa. Il ruolo 
                        delle amministrazioni (qui c'è un comune attento ma 
                        gli altri?), la necessità di formazione per gli alpeggiatori 
                        (ma non quella che li distoglie dalla tradizione in 
                        nome dell'igienismo industrialista), la disponibilità 
                        di supporti (promozione alle produzioni di eccellenza 
                        ma anche del turismo, comunicazione), le strutture fimalizzate 
                        a questo potenziamento ponderato e coordinato dell'attività 
                        di alpeggio (strade, acquedotti, autoproduzione di energia 
                        ... ma le risorse scarseggiano). Sono tutte cose che 
                        si fa fatica a raccordare tra loro. Si può però 
                        provare a mettere insieme una massa critica di 
                        'attori' locali che spingano in questa direzione. E 
                        vedere quale interesse ha suscitato il taglio della 
                        prima forma a Nesdáa è di buon auspicio. Intanto 
                        io mi aspetto che l'anno prossimo si possa degustare 
                        a Nesdáa il Bregagno dell'anno prima (e 
                        magari arrivare poi alle stagionature di 2-3 anni). 
                        Dopotutto non è Bitto? (sì c'è un po' di provocazione, 
                        ma non solo).   
   Digressione 
                        1 - Un sistema di alpeggi che in passato era 'forte' 
                        ma che conserva grandi potenzialità   A 
                        stimolare l'interesse per la partecipazione all'evento 
                        non è stato solo l'interesse per la sola Alpe  Nesdáa (suona molto meglio non tradotto) 
                        ma per l'intero 'sistema' di alpeggi che forma una corona 
                        intorno alla mole del monte Bregagno, una massa montuosa 
                        imponente che 'sorge' direttamente dal Lario e lo sovrasta. 
                        Non a caso tra tutte le montagna lariane quella che 
                        ha ricevuto l'oronimo con la radice celtica Brig 
                        (montagna, altura) è  questa. La montagna lariana 
                        per eccellenza si direbbe. Suggestiva non per la bellezza 
                        della cima ma proprio per quella massa che 
                        torreggia e che strapiomba lago con un'ampia costiera, 
                        punteggiata da una fittissima trama di antropizzazione 
                        costituita dai muunt (gli insediamenti temporanei 
                        privaverili-autunnali) e delle sottostanti frazioni 
                        che, a loro volta, sorgono sopra i centri rivieraschi. 
                        Il Bregagno non ha una vetta 'ardita' e non raggiunge 
                        grandi altitudini (supera di poco 2.100 m). Proprio 
                        in forza delle sue caratteristiche, però, il Bregagno 
                        è una montagna di pascoli che arrivano sino alla vetta 
                        (solo il versante S-SO presenta salti di roccia). Pascoli 
                        estesi e di alta quota (quindi con foraggio di migliore 
                        qualità) con gli alpeggi più alti a 1.800 m (Marnottino, 
                        Palù, Ballarona). E' senza dubbio il comprensorio alpivo 
                        più pregiato della montagna comasca, un comprensorio 
                        che interessa diversi comuni: Garzeno e Dongo in 
                        valle Albano, Musso, Pianello del Lario, Cremia e S. 
                        Siro sulla costiera del Bregagno, Plesio e Grandola 
                        in val Sanagra, Cusino in val Cavargna. Molti gli alpeggi 
                        e gli 'alpetti' che, anche in passato, erano spesso 
                        utilizzati quali stazioni (mudate) di un 
                        unico alpe: A Garzeno l'alpeggio più importante era 
                        Marnotto con le stazioni di Preguardata, Marnottino 
                        e Caden. Sempre a Garzeno troviamo la piccola alpe Paravina 
                        che, insieme a Quaglio, Ciroglia, Croce, Pontolo e Alcimme 
                        (tutte di proprietà del comune di Garzeno anche se su 
                        territorio di Dongo, Musso e Pianello) forma/formava 
                        un unico insieme. Vi sono/erano poi l'alpe Scirui 
                        (Pianello), Palù e Sumero (Cremia), Rescascía (S.Siro), 
                        Nesdale,  Ballarona, Varò, Varolino, Pisnera (Plesio), 
                        Erba, Leveja, Poltrini (Grandola e uniti),  Rozzo 
                        e Aigua (Cusino).  In 
                        linea d'aria vicinissimo ad importanti località a valle 
                        questo comprensorio è andato in crisi non solo per le 
                        difficoltà della zootecnia locale ma anche per la mancanza 
                        di collegamenti tra gli alpeggi e le località a valle 
                        spesso separate da notevoli dislivelli altimetrici. 
                        L'unico alpe raggiunto da una pista di servizio sino 
                        allo scorso anno era l'alpe del Rozzo. La notizia che 
                        Rescascía e Nesdale sono state collegate è di quelle 
                        che risvegliano di colpo un interesse sopito (è da tempo 
                        che penso a un progetto di valorizzazione di questo 
                        comprensorio, inserito anche in ipotesi progettuali 
                        per ora non arrivate in porto).   Digressione 
                        2. La 'selvaggia Val Sanagra' e la 'sacrilega' pista 
                        di collegamento degli alpeggi    L'alpeggio 
                        con i suoi pascoli è da millenni un paesaggio produttivo, 
                        un paesaggio culturale. Un modello di produzione ecologica. 
                        Non potendo nutrirsi delle erbe che crescono in montagna, 
                        non potendo coltivare quassù l'uomo neolotico ha imparato 
                        a imitare, con le proprie greggi e le proprie mandrie, 
                        le migrazioni stagionali degli erbivori selvatici. L'animale 
                        va custodito, abbeverato, ricoverato, protetto, va condotto 
                        a pascersi sulle praterie alpine. Ricambierà l'uomo 
                        con la crema e il latte (e i formaggi e le ricotte). 
                        Così la montagna apparentemente inospitale nutre l'uomo. 
                        Chi gioisce dell'abbandono della montagna, della 'rivincita 
                        della natura' è un vero cretino perché la produzione 
                        realizzata qui in montagna senza pesticidi, nel rispetto 
                        dell'etologia e del benessere degli animali, fornendo 
                        prodotti sani è rimpiazzata da produzioni industriali, 
                        ottenute con mangimi prodotti con soia transgenica 
                        seminata dove era la pampa e la savana e cereali 
                        (coltivati con largo uso di concimi chimici e pesticidi 
                        e sottratti all'alimentazione umana). Il pensiero torna 
                        alla pista contestata dagli ambientalisti da salotto 
                        che rivendicano i diritti della wilderness (anche in 
                        nome del PLIS Val 'Sanagra' che porta con sè, come tutte 
                        le 'aree protette',  l'idolatria di una natura 
                        selvaggia immaginata). Ma lo sanno quanti alpeggi c'erano 
                        nella Val Sanagra che si stende sotto di noi? C'era 
                        l'alpe Erba, l'alpe Leveja, l'alpe Pisnera, l'alpe Bellarona, 
                        l'alpe Varò, l'alpe Varolino, l'alpe Poltrini d'Erba 
                        e Poltrini di Leveja. Oltre a Nesdale è attiva solo 
                        l'alpe Erba con un'attività agrituristica. Le altre 
                        sono state cancellate dai rimboschimenti artificiali 
                        con l'abete rosso. Leveja e Pisnera sono state completamente 
                        rimboschite.   
    Ora gli alpini che gestiscono come rifugio 
                        l'alpe Leveja hanno ottenuto di tagliare qualche pianta 
                        tanto per dare un po' di luce e avere un po' di panorama. 
                        Ma alle spalle dei fabbricati, e da qui a Pisnera è 
                        tutto un disgustoso rimboschimento artificiale. Visto 
                        dall'alto è verde ma da 'dentro' è un paesaggio spettrale, 
                        senza un filo d'erba (per l'assenza di luce e la fortissima 
                        acidità dello strato di aghi indecomposti), uno pseudo-bosco 
                        (senza rinnovamento naturale non si può parlare di bosco) 
                        che potrà riprendere a vivere solo grazie alla morte 
                        degli alberi (già tutti secchi tranne le cime che prendono 
                        luce). Speriamo che il bostrico dia una mano.  Ma 
                        torniamo alle piste contestate. Gli alpeggi del Bregagno 
                        sono andati in crisi per vari motivi ma forse quello 
                        decisivo è stato rappresentato dalla difficoltà di accesso 
                        e dei trasporti.  Da 
                        questo punto di vista il prolungamento della pista da 
                        Rescascía a Sumero (con Palù) rappresenterebbe un grosso 
                        impulso alla rivitalizzazione del comprensorio. Un malinteso 
                        ambientalismo frena questi interventi e ha anche ha 
                        anche impedito (per la presenza del PLIS Val Sanagra 
                        oltre che per  'sgarbi' tra amministrazioni comunali) 
                        che la pista che ora arriva a Nesdale fosse prolungata 
                        attraverso l'alta val Sanagra sino a Rozzo (come previsto). 
                         L'opera, 
                        oltre che rappresentare un più comodo collegamento anche 
                        per Rozzo, e mettere in collegamento gli alpeggi tra 
                        loro consentirebbe anche (utilizzando con facilità il 
                        carro di mungitura mobile) di valorizzare meglio e recuperare 
                        parte dei pascoli della stessa alpe Nesdale (oltre che 
                        di Rozzo).  Fa 
                        specie che ci si appelli al rispetto della montagna 
                        praticato in Svizzera o in Trentino dove tutti gli alpeggi 
                        (almeno dove è tecnicamente possibili) dispongono di 
                        viabilità di accesso. Nessuno chiede di costruire strade 
                        dove esistono ostacoli naturali tali da determinare 
                        costi di realizzazione e impati ambientali ingiustificati. 
                        Nè si chiede di costruire piste per raggiungere alpetti 
                        di pochi ettari, senza strutture edilizie, acqua ecc. 
                        Ma se l'alpeggio ha requisiti di vitalità:   Il 
                        collegamento con gli alpeggi deve essere assicurato 
                        ovunque possibile mediante la realizzazione di piste 
                        con limitata ampiezza di carreggiata, transitabili da 
                        mezzi agricoli e autovetture a trazione integrale e 
                        il transito limitato al servizio dell’alpeggio e di 
                        mezzi di servizio.   La 
                        preposizione sopra riportata è contenuta nel Codice 
                        dell'alpeggio proposto da Amamont (associazione 
                        amici degli alpeggi e della montagna) associazione che 
                        annovera tra i propri soci ed esponenti alpeggiatori 
                        che tutt'oggi utilizzano il cavallo, l'asino, il 
                        mulo, la propria schiena per i trasporti da e per 
                        gli alpeggi.    
 La 
                        vecchia teleferica al servizio dell'Alpe Nesdale. Oggi 
                        le norme di sicurezza impongono costosi interventi e 
                        manutenzioni   Teleferiche, 
                        quadrupedi, elicotteri sono necessari quando non è possibile 
                        ragionevolmente realizzare un tracciato stradale. Ma 
                        dove, come negli alpeggi del Bregagno con un'unica opera 
                        è possibile raggiungere facilmente più alpeggi 
                        di ampia estensione l'opposizione risponde solo ad una 
                        ideologia che dimentica che la millenni questo è un 
                        paesaggio coltivato che i pascoli sono un paesaggio 
                        rurale non wilderness e che una 'strada bianca' percorsa 
                        solo da mezzi agricoli e di servizio  si inserisce 
                        armonicamente in questo paesaggio (del tutto fuori luogo 
                        è l'evocazione di strade asfaltate e turbe 
                        motorizzateda parte dei  'paladini dell'ambiente').       |