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 Fotoracconti 
                          Valstrona 
                        (VB) 'A Forno c'erano 500 capre e a Luzzogno lo stesso' (Alpe Sass da Mur) La Storia di due caprai, di una scrofa innamorata e di un
gatto coraggioso (Alpe Balma)   Toni
Lavarini sul suo alpeggio in Valstrona (anni '80) Valle 
                        Anzasca (VB) Adesso 
                        non ci passa più nemmeno il mulo 
                        (Alpe del Lago)    La 
                        capretta che 'fa' il cagnolino (storia di un 'neo-insediamemento' 
                        agricolo)   Valle 
                        Seriana (BG) Motocross 
                        in montagna: sport o vandalismo? Un problema non solo 
                        bergamasco Val 
                        Lesina (SO) Una 
                        storia in controtendenza: qualche volta gli alpeggi 
                        rinascono 
                        (Alper Legnone)   (Aggiornamento 
                        Alpe Lenone) Val 
                        Gerola (SO) Come 
                            nasce la maschèrpa d'alpeggio 
                        delle Valli del Bitto    Val 
                        San Giacomo (SO)  L'Alpe Andossi (So): due 'stili d'alpeggio' agli antipodi 
                        (ma comunque il bosco è stato fermato)     
 Documenti   Prima 
                        c’erano gli uomini Dalla 
                        coltivazione intensiva della montagna all’abbandono 
                        dell’ambiente    Il 
                        caso di Colloro in Ossola nell ricerca scientifica dell‘ 
                        Università di Friburgo   In: 
                        Le Rive, 5, Anno XIV, 2000 Franz 
                        Höchtl, Bettina Burkart   
   
 032319735164  info@cortemerina.it |     (13.07.10)  Spesso è grazie ai neomontanari 
                        che si evita il 'deserto agricolo' nelle vallate alpine. 
                        Continua il nostro 'viaggio' per conoscere di persona 
                        chi ha lasciato da anni città e pianure. Non  per vivere 
                        in montagna ma di montagna attraverso la rimessa 
                        in valore delle risorse agrosilvopastorali   Nella 
                        Val Grande non c'è solo la 'wilderness': ci sono anche 
                        le capre e i formaggi di Rosanna e Rolando   foto e testo di Michele Corti    Il Parco Nazionale 
                        della Valgrande si promoziona come 'la più ampia 
                        area wilderness d'Europa'. Tanta enfasi, finalizzata 
                        a catturare l'immaginazione del turista metropolitano, 
                        è poi smentita dalle stesse informazioni fornite dal 
                        Parco che ammette come qualche decennio orsono questa 
                        era un'area ad elevata presenza antropica. C'erano i 
                        taglialegna, i carbonai ma, soprattutto, gli alpigiani 
                        che caricavano decine di alpeggi. Forse è proprio il 
                        carattere intensivo, minuto, diffuso della colonizzazione 
                        agropastorale della Val Grande che ha determinato l'implosione 
                        della tradizionale economia agricola. Il carattere 'insubrico' 
                        dell'area consentiva da una parte una forte densità 
                        di popolazione (grazie all'economia del taglio della 
                        legna e delle carbonella, all'allevamento ovicaprino, 
                        alla produzione di latticini, alla castanicoltura, 
                        alle colture orticole) ma la vicinanza con il fondovalle 
                        del Toce e delle riviere del Verbano ha determinato 
                        lo 'sversamento a valle' della popolazione attratta 
                        dall'economia turistica e da un'industrializzazione 
                        dai tratti 'selvaggi'. Mentre la prima fase ottocentesca 
                        era basata sul tessile, storicamente compatibile con 
                        la sopravvivenza dell'economia rurale (ed anzi elemento 
                        di dinamicizzazione grazie ai salari percepiti 
                        da alcuni membri delle numerose famiglie contadine), 
                        la seconda fase - nel novecento - è stata segnata dallo 
                        sviluppo di lavorazioni chimiche con un boom negli 
                        anni '50-'60'. La fabbrica della Rumianca (una 
                        delle 'fabbriche della morte), poi passata a Sir e Enichem, 
                        evoca cancro, grave inquinamento ambientale, bonifiche 
                        mai portate a termine. Qui si produceva anche DDT.  Il 
                        part-time agricolo (ancora praticato) ha in qualche 
                        modo ritardato il collasso della società rurale di queste 
                        aree. Ha però causatoo una caduta verticale della 
                        presenza di vere e proprie aziende  quando la politica 
                        agricola europea ha decisamente puntato sulle unità 'professionali' 
                        in grado  di conseguire, con le sole attività agricole, 
                        un reddito 'comparabile' con quello delle categorie 
                        extra-agricole (ma era ed è utopia, almeno in montagna). 
                           Nella 
                        Val Grande il collasso della vita rurale è stato precoce 
                        e 'verticale'   Nella Val Grande, 
                        però, lo spopolamento, per emigrazione, nel fondovalle 
                        o verso le città, era iniziato già parecchio prima della 
                        metà del XX secolo; un contributo tragico e decisivo 
                        al precoce abbandono e declino della valle fu 
                        però determinato dai rastrellamenti da parte delle 
                        SS nel corso dell'ultima guerra. Tali eventi bellici  
                        provocarono gravi distruzioni di fabbricati rurali (oltre 
                        che numerose vittime). Così è nato il mito distorto 
                        antistorico e antirurale della 'Val Grande = wilderness', 
                        con il corollario di cattivo gusto della compiacenza 
                        per la 'rivincita della natura', il 'ritorno della natura'. 
                        Quante sofferenze umane ignorate. Come abbiamo avuto 
                        modo di sottolineare spesso chi esulta per la 'natura' 
                        sta con l'aria condizionata, va a fare la spesa in macchina 
                        e si ingozza d carne tutti i giorni provocando  ogni 
                        giorno , con il suo stile di vita insostenibile, un 
                        grave danno alla 'natura' per cui tifa ('ideologicamente' 
                        di intende). In realtà il tifo di qusta gente è 
                        una forma trasposta del vecchio spirito antirurale (la 
                        'satira del villano'  ecc. ecc.).    Cicogna, porta 
                        del Parco (ma la sede è nella 'comoda' Vogogna, all'ombra 
                        del Castello)   Cicogna a 700 m nella 
                        Val Grande, in comune di Cossogno,  è un po' la 
                        'porta del Parco'. Qui termina la strada di 11 km (stretta 
                        ma asfaltata) che proviene da Rovegro; da qui in poi 
                        è 'wilderness' (secondo loro, ovviamente). Era abitata 
                        da centinaia di persone ma ora in inverno è quasi deserta. 
                        Qui era la sede del Parco prima che i suoi confini venissero 
                        'estroflessi' con una appendice ameboide  che scende a 
                        Vogogna sul fondovalle del Toce.  Vogogna era la vecchia 
                        capitale politica della bassa Ossola, con tanto di castello 
                        e rocca viscontei. Il Parco ha preferito trasferire 
                        uffici e sede nella Villa Biraghi Lossetti 
                        all'ombra del maniero. Di più parecchie iniziative 
                        del Parco si svolgono nel Castello che  ha contribuito 
                        a restaurare. Che i Parchi scelgano sedi comode e prestigiose 
                        (lontano dalla 'wilderness') non deve sorprendere; sono 
                        un po' come i vecchi signorotti feudali: dispongono 
                        di risorse, danno lavoro, mettono regole che condizionano 
                        la vita dei 'servi della gleba'. A Cicogna è rimasto 
                        un centro visitatori. Un altro piccolo paese nel Parco 
                        era Colloro sul quale l'Università di Friburgo ha eseguito 
                        un'interessante ricerca (vedi a fianco).   
 Il 
                        Castello visconteo di Vogogna (dal web)   A 
                        Cicogna c'è comunque un buon afflusso turistico ed è 
                        un fatto che i nostri amici, che adesso conosceremo, 
                        hanno tenuto presente quando dalla pianura si sono trasferiti 
                        a vivere qui.   La Corte Merina 
                        vive   La 
                        Corte Merina è un insediamento di rustici (usati come 
                        stalle e fienili) a 300 m dal 'centro' di Cicogna.    
 La 
                        vecchia I.G.M. 1:25.000 è ricchissima di toponimi che 
                        indicano una fittissima rete di insediamenti umani in 
                        gran parte riferibil alla trama della colonizzazione 
                        pastorale   Come 
                        si può vedere dalla Carta I.G.M. 1:25.000 (sempre la 
                        solita degli anni '30 perché in Italia ci vuole un secolo 
                        ad aggiornare la cartografia...) alla Merina vi erano 
                        diversi rustici. Rolando Gaiazzi, protagonista insieme 
                        alla moglie Rosanna della nostra storia,  ha iniziato 
                        a frequentare queste località dal 1989. Nel 1995 ha 
                        acquistato da un anziano del posto, il Giacomo Crivelli, una 
                        vecchia baita e ha iniziato la sua avventura. Rolando 
                        aveva un'attività avviata di florovivaismo in quel di 
                        Besnate (in provincia di Varese). Quello che l'ha (li 
                        ha) spinto/i è la voglia di vivere in montagna. Le capre 
                        sono state una conseguenza. Rolando ha capito che l'unico 
                        modo di fare agricoltura qui era allevare le capre. 
                        Del resto anche il vecchietto che gli ha venduto la 
                        baia aveva le capre. Sono valli da capre. E' una simbiosi 
                        (vallo a fare capire a certa gente ...).   
  Baite 
                        alla Merina (a sinistra quella dei Gaiazzi)   Rosanna 
                        e Rolando da quindici ann vivono qui, alla Merina. Non 
                        è una condizione da 'eremiti' sia chiaro. Però gli automezzi 
                        non arrivano 'sotto casa' e in inverno non è facile 
                        spostarsi con il ghiaccio lungo la strada che collega 
                        il fondovalle a Cocogna.  Dal 
                        parcheggio (alcuni slarghi a fianco dello sterrato che 
                        proviene da Cicogna)  c'è un sentierino da fare 
                        a piedi o con la motocarriola. Dall'edificio di recente 
                        ristrutturato ( rispettando stili e materiali locali) 
                        dove si trova l'abitazione e il 'locale vendita' per 
                        spostarsi alla stalla e al caseificio c'è un altra 'rampa' 
                        di sentiero (da fare a piedi).     L'azienda 
                        è annunciata sulla stradina sterrata da un cartello 
                        sobrio che riassume efficacemente prodotti e servizi 
                        offerti dall'azienda   
 Rosanna 
                        e Rolando affacciati alla balconata di casa. La loro 
                        serenità è frutto della consapevolezza di aver fatto 
                        'la scelta giusta'   
 Il 
                        bel fabbricato che serve da abitazione e da agriturismo 
                        (ristoro e locale per la vendita dei prodotti)   
 La 
                        stalla in legno in una ripresa dal basso che mette in 
                        evidenza la notevole inclinazione del terreno (e la 
                        difficoltà a costruire e a movimentare i materiali)   
 Una 
                        delle 'collaboratrici' dei Gaiazzi, una vispa capra 
                        di razza Verzaschese   
                                Le 
                                capre da latte dell'azienda sono 40: metà Camosciata, metà Verzaschese, ma si tende alla Verzaschese
(più 'rustica' e 'pascolatrice'). Per buona parte dell'anno l'alimentazione 
                                è basata in sul pascolo. In estate il gregge 
                                raggiunge da solo l'Alpe Pra (a 1.200-1.300 
                                m, vedi la vetusta cartografia I.G.M.) 
                                e rientra regolarmente 'alla base' per la mungitura. 
                                Rolando è dispiaciuto del fatto che fino a qualche 
                                anno fa poteva iniziare il pascolo ai primi 
                                di aprile. Le capre si dirigevano verso superfici 
                                nei pressi del paese, bene esposte, dove la 
                                ripresa vegetativa era precoce.  A 
                        causa delle solite 'lamentele' ha dovuto cambiare sistema. 
                        Approfittando di una temporanea riduzione numerica del 
                        gregge e di un quasi totale 'ricambio generazionale' 
                        è riuscito ad 'educare' le nuove leve caprine a 
                        portarsi su terreni siti dalla parte opposta rispetto 
                        all'abitato. Terreni più freddi, però. 'Perdo un mese 
                        di pascolo'. Un problema dove il fieno si fa fatica 
                        a farlo ed è scarso. A differenza di tanti caprai che 
                        si lamentano del fatto che al pascolo 'le capre sprecano 
                        più energia di quella che ricavano' (per giustificare 
                        l'ampio ricorso ai mangimi), Rolando non ha difficoltà 
                        a dirsi soddisfatto 'tornano sempre piene'. Così può, 
                        a giusto titolo, vantare la qualità dei suoi prodotti, 
                        ottenuti da alimentazione naturale.   
 Il 
                        piccolo caseificio ricavato da una delle vecchie baite. 
                        I Gaiazzi hanno da tempo presentato domanda per realizzrne 
                        uno più spazioso    I 
                        formaggi (in caseificio lavora prevalentemente Rosanna) 
                        sono tutti a latte crudo; per alcuni tipi si usano ancora 
                        fermenti industriali, per la toma si usa lattoinnesto 
                        autoprodotto. Il piccolo caseificio 'sforna': formaggella presamica (0,5-0,7 kg) in 
                        versione stagionata e 'primo sale', formaggini lattici da 0,1 kg
e 'toma' (forme da 5-6 kg). Attualmente viene utilizzata una cella perché la 
                        cantina naturale ha bisogno di essere sistemata. Gli 
                        spazi per il caseifuicio sono angusti. La Regione Piemonte 
                        ha accolto la domanda sul PSR per gli interventi fnalizzati 
                        all sviluppo dell'attività agrituristica ma no quelli 
                        per il caseificio. Rolando e Rosanna che sono agrituristi 
                        seri (per i quali l'attività turistica è una gradita 
                        e importante integrazione all'attività di allevamento 
                        ma non il 'core business') e avrebbero preferito che 
                        passasse la domanda per il nuovo caseificio. Però non 
                        si lamentano, anzi, sono soddisfatti dell'agricampeggio 
                        e delle visite dei turisti che acquistano prodotti e 
                        consumano 'taglieri' di formaggi e salumi aziendali. 
 Il 
                        'bersò' molto 'naturale' all'ombra del quale i turisti 
                        possono consumare gli spuntini   Lo 
                        stile di accoglienza turistica è molto appropriato. 
                        Niente pacchianate fuori contesto  ma nemmeno la 
                        smania del 'rustico-presepe' a tutti i costi. Semplicità 
                        e funzionalità e l'uso non affettato dei materiali e 
                        delle forme tradizionali. La comunicazione è curata 
                        ma semplice, friendly, sin dal cartello sulla strada. 
                        Con un pizzico di ironia (vedi il simpatico disegno 
                        con le capre che si accingono  all'aperitivo 'di 
                        benvenuto').  Insomma quello che si attende un 
                        turista che viene in questa valle per farsi delle camminate, 
                        per 'immergersi nella wilderness', ma che è poi ben 
                        disposto ad assaporare le atmosfere di un'ospitalità 
                        rurale non artefatta e che, senza 'rompere' è, a suo 
                        modo, esigente.   
 Piccoli 
                        particolari significativi di uno 'stile agrituristico' 
                        neorurale   
 Attraverso 
                        questa bacheca l'agriturismo diventa anche un punto 
                        informativo   
 Altri 
                        aspetti dell' 'stile di comunicazione' aziendale   Tutto 
                        rose e fiori? Ci mancherebbe! Rolando e Rosanna sono 
                        soddisfatti della loro scelta. 'Non abbiamo problemi 
                        di vendita e riusciamo a tenere prezzi più elevati di 
                        tanti nostri colleghi' (il confronto, però, è con una 
                        media del prezzo di vendita al consumatore finale che, 
                        a mio giudizio, è ancora piuttosto bassa e comunque 
                        molto al di sotto della limitrofa provincia di Varese). 
                        Ma... qualche problema con la burocrazia c'è anche qui. 
                        Mica è un paradiso fuori dal mondo! Rolando 
                        si è limitato a citare un episodio che gli ha lasciato 
                        l'amaro in bocca ed è riferito allo scorso inverno. 
                        'Avevo ammucchiato i rovi tagliati e ho acceso il fuoco, 
                        le previsioni davano neve e, ad ogni buon conto, eravamo 
                        lì in due con le pale e con tre secchi d'acqua; dagli 
                        alberi e dal bosco eramo discosti'. Il CFS mi ha fatto 
                        un verbale da 100€. Non è per i 100€ che mi da fastidio 
                        ma perché avava voglia di sfilarmeli i 100€, gli l'ho 
                        anche detto'.  Si 
                        sa che con le assurde norme vigenti se qualcuno vuol 
                        far tribolare un allevatore di capre non ha che da rifarsi 
                        ai vecchi ma mai abrogati regolamenti. Tornando ai rovi 
                        Rolando si accalora un po' riferendo che 'la guardia 
                        mi ha detto che avrei dovuto tagliarli e bruciarli nella 
                        stufa o ... portarli alla discarica di Verbania'. Ma 
                        come si fa a tagliuzzare un mucchio di rovi spinosi? 
                        E se non si brucia, poi sotto ricacciano'. Quanto 
                        al Parco 'l'aiuto c'é dal punto di vista promozionale, non vi è dubbio che la nostra 
attività viene pubblicizzata e sostenuta, ma dal punto di vista agricolo, gli 
investimenti e le iniziative di sostegno sono molto carenti...' si limita a 
                        dire Rolando, ma poi aggiunge 'hanno speso una barca 
                        di soldi per ristrutturare l'Alpe Straoglio ma 
                        non hanno nessuno che la carica'. Nel sito del Parco 
                        si legge che in tutta l'area vi è solo un 'branco' 
                        di bovini - c'è scritto così -  senza custodia. 
                        'Mi hanno chiesto se volevo andare io; non c'è nessuno 
                        disponibile'. E conclude: 'Ma perché prima fanno progetti 
                        e spendono un sacco di soldi e poi vanno a vedere se 
                        c'è qualcuno che possa gestire le strutture?' Perché 
                        i soldi degli altri non si usano mai oculatamente. 
                        Specie da parte di enti come i Parchi che, nel loro 
                        perimetro, hanno una sorta di giurisdizione territoriale 
                        che li pone 'al di sopra'. Come i vecchi signorotti 
                        feudali, per l'appunto. E che godono di finanziamenti 
                        sicuri (la potente lobby ha fatto fare subito retromarcia 
                        anche all'arcigno Tremonti alle prese con gli inevitabili 
                        tagli). E a chi vive della montagna (ma anche i 
                        contribuenti-sudditi)  è riservato il ruolo di 
                        'servi della gleba'. Usque tandem?.
 Finita 
                        la discussione 'politica' con Rolando (sempre pacata, 
                        peraltro) viene il momento del commiato. Rosanna sta 
                        per salire al caseificio e, sia pur riluttante, accetta 
                        di farsi fotografare con una bella gerla in spalla. 
                        Nella gerla un bidone di plastica. Gerla e Internet 
                         (per avere il collegamento hanno dovuto utilizzare 
                        EOLO) per Rolando e Rosanna non sono oggetti di due 
                        dimensioni diverse e incompatibili, serve l'uno, serve 
                        l'altra. Senza farsi troppi problemi 'semantici'. E' 
                        un mondo ruralpino del XXI secolo che sta trovando un 
                        suo nuovo equilibrio (almeno lo speriamo). Chissà cosa 
                        dirà la piccola che si vede nella foto dietro la 
                        mamma e i cagnotti ? (c'è anche una sorellina più grande in 
                        età scolare)   
 Rosanna 
                        sale al caseificio con la gerla   |       |