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(21.10.11) Domenica scorsa si è svolto un rito dal sapore antico ma al tempo stesso attualissimo: la semina collettiva a mano del frumento. In un campo sorto su una ex discarica di inerti che diventerà Oasi biodiversa (rurale)

 

Seminare il futuro a Berbenno (Valtellina)

di Michele Corti

In una Valtellina ancora dominata dalle vecchie visioni dell'agroalimentare industrializzato ha avuto un grande significato simbolico la semina di un campo di Pedemonte di Berbenno con una varietà di frumento tenero di selezione biodinamica svizzera. Merito dell'associazione More Maiorum forte del sostegno di tanta gente comune che vuole riscoprire il legame con la madre terra

Il 16 ottobre 2011  a Pedemonte, frazione del Comune di Berbenno si sono gettati (letteralmente) i semi di un progetto che regala un po' di speranza per il futuro. Quello che si è compiuto a Berbenno ha un grande valore sociale e al tempo stesso ecologico: una vecchia discarica di inerti, aperta al tempo dell'alluvione della Valtellina,  da tempo abbandonata di oltre tre ettari si trasformerà  in orti, campi coltivati, punto vendita, aula didattica grazie al progetto dell’associazione no profit More Maiorum per l'agricoltura biodinamica  cui hanno assicurato il sostegno la Comunità Montana di Sondrio, il Comune di Berbenno, la Secam spa (società provinciale di servizi ecologici) e Fondazione Fojanini di Sondrio.

Più importante del sostegno delle istituzioni (sempre che reperiscano le risorse) è però la partecipazione della gente, delle scuole, dei giovani, degli anziani delle donne. Di tutte quelle persone che hanno ancora esperienza della vita rurale, dei saperi e delle abilità che consentivano, con mezzi e tecnologie molto semplici, di ricavare buona parte del fabbisogno alimentare a km 0. Il fatto stesso che ben 52 microproprietari abbiano concesso i loro terreni per la realizzaizone dell'oasi biodiversa è già di per sé una bella notizia. Solo uno ha negato la sua stretta striscia di terreno che purtroppo rompe l'oasi in due. Il segnale comunque è forte: non è vero che l'individualismo paralizzante è l'ostacolo contro cui cozzano inevitabilmente tutte le buone idee per rilanciare la ruralità e la montagna.

Per poter destinate l’area alle coltivazioni sono state effettuate accurate analisi. Il terreno si è rilevato idoneo, esente da inquinanti e dotato di uno strato vegetale piuttosto profondo (0,6 m). Tutti questi antefatti sono stati illustrati da Michele Mondora di More Maiorum ai partecipanti alla semina. Michele ha spiegato le ragioni della scelta della varietà  di frumento tenero Aszita fornita da una società sementiera svizzera (la Sativa di Rheinau) che produce con marchio Demeter.

L'obiettivo agrononomico della semina consiste, oltre che nell'ottenimento di un primo raccolto, nella preparazione del terreno in vista di ulteriori coltivazioni (in rotazione ovviamente).

Si è scelta una varietà non molto produttiva ma rustica e con buone caratteristiche di panificazione una qualità quest'ultima essenziale in vista della realizzazione di una filiera corta che si chiude con la produzione del pane casalingo.

 

Va precisato che il terreno è stato oggetto di un vero e proprio dissodamento. Vi erano fusti e radici di alberelli e di arbusti.

Michele ha invitato ha raccogliere i numerosi tuberi di Topinanbur portati in superficie con l'aratura. Quest'ultima è stata di necessità profonda, eseguita con una trattrice agricola di media potenza ma per il futuro si useranno tecniche molto diverse in coerenza con i principi dell'agricoltura naturale

Le modalità della semina e il suo significato nell'ambito del progetto di creazione di un’oasi biodiversa sono state illustrate da Francesco Mondora (sotto) che con la moglie Lucia sono stati i principali organizzatori della semina.   
 

Le modalità della semina e il suo significato nell'ambito del progetto di creazione di un’oasi biodiversa sono state illustrate da Francesco Mondora (sotto) che con la moglie Lucia sono stati i principali organizzatori della semina.   

Sul campo dissodato e pronto alla semina sorgerà un'aula didattica. Il progetto dell'oasi biodiversa  riserva grande spazio alle attività educative. Spazio anche fisico ovvero orti e campicelli didattici destinati alle scuole. Vuole però essere anche un progetto produttivo: gli ortaggi, la frutta, i cereali saranno venduti in uno spazio vendita che, con gli incassi, garantirà l'autosostenibilità dell'oasi. Anche in questo caso il messaggio è chiaro: sarà un'oasi della biodiversità rurale, edule, costruttiva di legame sociale, foriera di trasmissione di saperi, di una cultura ecologica interiorizzata, basata su comportamenti pratici personali coerenti.

Francesco ha richiamato anche il significato sociale della semina occasione di riflessione sulle basi del legame che unisce gli individui in una comunità e alla terra. Con l'invito a vivere la semina anche come momento di meditazione denso di significati anche spirituali

Prima di passare alle indicazioni pratiche sull'esecuzione della semina prende la parola il sindaco Pierluigi Bongiolatti. Il sindaco, che si sente vicino alla realtà agricola anche in forza della sua attività di veterinario, constata compiaciuto la presenza di molti bimbi, una garanzia che la comunità locale avrà un futuro (lui ha contribuito egregiamente avendo sei figli). Richiama anche il valore del significato della semina, un significato che la società attuale ha offuscato portando la gente a dimenticare che solo chi semina raccoglie.

Ripresa la parola Francesco ricorda prima di distribuire il seme e illustrare le modalità operative della semina che la nostra società ha anche smarrito il significato del gettare a terra il seme dal momento che il gettare a terra, il gettare via è diventato l'equivalente della perdita di valore delle cose sotto l'incalzare del consumismo. Una perdita di valore, un gettare tante troppe cose che ha trasformato il grembo della madre terra (in senso metaforico e non) in una grande pattumiera. I persenti ascolato attenti (sotto).

A questo punto si passa alla semina vera e propria: il cappellino rosso realizzato per l'evento con la scritta 'Seminare il futuro' viene riempito di semi (va ricordato che l'evento si è svolto contemporaneamente in diverse aziende agricola bio in tutta Italia e che a tutti i partecipanti è stata distribuito oltre al cappellino anche una maglia).

Dopodiché si formano delle squadre che, sulla base delle indicazioni di Francesco, prendono posto ai limiti del campo.

Ogni seminatore è disposto a circa due m dal vicino in modo che le striscie seminate risultino uniformi. Alle spalle di ogni seminatore ne è pronto un altro che entrerà in azione appena il primo esaurisce il cappellino. In questo modo la striscia da un lato all'altro verrà seminata senza interruzioni. Per favorire una distribuzione uniforme le squadre partiranno da due lati opposti del campo.

In attesa del 'via' il coro "Voci bio Valtellina" (denominazione non ufficializzata) intona un inno sacro bachiano. Un tocco che conferisce la giusta serietà e sacralità a questo rito collettivo che si richiama abbastanza esplicitamente ai significati religiosi che rivestivano i riti agrari (aratura, semina, raccolto) nelle società contadine tradizionali.

Il tutto si svolge sotto la regia di Francesco che ha accuratamente pianificato l'azione.

Chi si aspetta che questi neorurali, questi contadini del nuovo millennio rappresentino una riedizione dei 'contadini alternativi' postsessantottini resterà deluso. C'è molta professionalità. Niente folklore, niente clima da 'figli dei fiori'.

Alla fine dell'operazione il campo, tranne qualche striscia marginale da ripassare risulta ben seminato.

Si passa quindi alla semina dei bimbi, più ludica, meno 'scientifica'. Ma piena di tanti significati. I genitori e gli altri partecipanti si dispongono intorno ai campo dei bambini tenendosi per mano. I significati di tutto cià appaiono nella loro immediatezza e profondità e mi astengo dal aggiungere altro. Ciascuno ci può arrivare da sé.

Questi bambini forse diventeranno grandi capendo che andare a raccogliere (si fa per dire) all'Iperal (la catena di GD che fa della Valtellina la valle con un rapporto record tra centri commerciali e popolazione) è un tragico inganno di cui si pagheranno le conseguenze. Capiranno che per raccogliere bisogna seminare. Saranno poche spighe che cresceranno in questo campo ma si saranno seminate tante idee buone.

Finita la semina ci si dirige a piedi verso il centro sportivo (e 'Centro sagre'). Lungo la provinciale alziamo gli occhi in alto. Ci sono le belle terrazze vitate, ci sono anche gli ulivi (piantati dai Mondora sulle loro terrazze) che stanno ritornando a caratterizzare questo paesaggio alpino della valle dell'Adda che presenta qui ancora qualche influsso lacustre-mediterraneo (che scompare risalendo di pochi  km il corso del fiume). In basso cereali, ortaggi, viti e ulivi, più su le castagne, molto più su i pascoli d'alpeggio. Con grande fatica da questo territorio si poteva ricavare quasi tutto il necessario per vivere.

Sotto la tenda sono pronti i 'coperti'. Noto con piacere che i bicchieri sono di vetro e le posate di acciaio. Niente montagne di plastica a perdere. Nello spirito di vera sostenibilità della manifestazione si poteva usare materiale a perdere (sia pure carta)? No. Ci ha pensato il Gino Cattaneo il patron de la Brace, una colonna del Bitto storico che ai lettori di Ruralpini non può non essere nota, a fornire piatti, bicchieri e posate. Così si devono fare le sagre (come dice anche il Manifesto della sagra di qualità).  

Tutti i prodotti utilizzati per la preparazione del pranzo comunitario erano bio, in parte offerti da Ecocert, una grande catena di distribuzioni che è doveroso ringraziare per la concreta sponsorizzazione. Peccato che per quanto bio questi prodotti non fossero km 0. Per fortuna c'era il Bitto di Giancarlo Bongiolatti dell'alpe Prato Maslino e il vino di Marcel Zanolari di Bianzone (certificato biosuisse). Nel panorama valtellinese purtroppo i produttori bio sono ancora mosche bianche. Se ne lamentano anche i rivenditori bio come Clara Mazzoni dell'Airone Verde, storico negozio di prodotti bio in Via Garibaldi a Morbegno che ha contribuito attivamente all'organizzazione del 'pranzo dei seminatori'.

Anche se i produttori in grado di garantire forniture commerciali sono pochissimi il mondo del bio e dell'agricoltura naturale valtellinese mostra però segni di vitalità. Alla semina erano presenti oltre ai produttori citati altri personaggi interessanti. C'era Patrizio Mazzucchelli che è intervenuto nel dopopranzo nell'ambito delle conversazioni su ruralità e biodiversità. Patrizio a Teglio produce grano saraceno del Presidio Slow Food; c'era Nadia Liotti, una milanese che ha in poco tempo aperto un'azienda agrieducativa (Lunalpina) a 800 m al colle di Triangia (comune di Castione nei pressi di Sondrio) e sta convincendo i vecchi contadini del posto a lasciarle seminare a cereali i prati dell'altipiano (conosciuto un tempo come il 'granaio di Sondrio'). Tutta gente che con una laurea in tasca si onora di qualificarsi come 'rurale' e che cerca di trovare il più possibile spunti di continuità con il mondo contadino tradizionale attualizzandone i valori insipientemente derisi e dispersi dall'arrogante cultura industrialista, tecnoburocratica e tecnoscientifica. Il bello è che questi 'milanesi' (in enso estensivo) e laureati non sono più i pionieri un po' ingenui e a volte presuntuosi del passato; hanno i piedi per terra e appaiono in grado di integrarsi bene, rivitalizzandolo, in quel che rimane del tessuto rurale. Merito del gran rimescolamento di valori e di culture che porta gli 'urbani socialmente ed ecologicamente consapevoli' di oggi ad essere per certi versi più rurali (vedi i valori di sobrietà, riuso, manualità) di chi abita in campagna e in montagna ma che frequenta prevalentemente i 'non luoghi' della tarda modernità (sì sto pensando ancora all'Iperal). Merito, però, anche delle persone che nella loro individualità, con le loro storie, sensibilità, successi, delusioni, sono protagonisti di questa rinascente ruralità.

           

 

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