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Orso e lupo


Le regioni alpine invocano il controllo del lupo. Svolta politica vera o propaganda?



La riunione inter-regionale a Trento del 29 gennaio 2019

di Michele Corti


In un clima politico segnato dall'attesa del risultato delle elezioni per il parlamento europeo, le regioni del Nord, pur senza manifestare una precisa strategia, hanno sottolineato una volontà comune di arrivare a un controllo del lupo. Non è il massimo, ma segna pur sempre una svolta rispetto alla situazione di due anni fa quando, a seguito dei cedimenti alle pressioni animaliste, tutte le regioni italiane, tranne Toscana e Bolzano, si erano genuflesse al tabù: "il lupo non si tocca".

(02.02.19) La riunione del 29 gennaio a Trento segna una svolta politica effettiva o è solo propaganda? Si avvicinano le elezioni europee e la classe politica si rende conto che l'avanzata populista non è arrestabile. Il voto populista è voto anti austerity ma anche contro l'accentramento di Bruxelles, contro la globalizzazione e, in particolare, contro le norme sovranazionali scritte da lobby espressione delle elite, in grado di legare le mani alle autonomie locali e agli stati stessi, contro la prepotenza degli "intelligenti" che impongono le loro visioni e i loro interessi alla gente semplice che lavora, che vuole continuare a vivere senza imposizioni dall'alto. I gilet jaune in Francia sono scesi in piazza contro le tasse ecologiche perché colpivano chi vive nelle zone rurali e non i ricchi parigini.
La reintroduzione del lupo è questione politica e sociale rilevante: significa ulteriore svuotamento della democrazia e ulteriore perdita di controllo delle popolazioni locali sul proprio territorio. A livello internazionale  ai vaghi discorsi sulla sulla conservazione dell'ambiente  in sintonia con le comunità insediate della fine degli anni '90, è subentrata, dopo la crisi del 2008, una "linea dura" nel movimento ambientalista-conservazionista mondiale che sostiene che l'ambiente e la biodiversità si conservano solo imponendo dall'alto le decisioni degli esperti, imponendo alla gente quello che i coinservazionisti ritengono giusto e solo se queste strategie di conservazione si pagano da sé, ovvero se alimentano un biocapitalismo finanziario che "fa fruttare" la natura (crediti di carbonio se non tagli il bosco e concedi ad altri di emettere, titoli e derivati di biodiversità se conservi tot tigri o lupi e consenti a chi li compra di distruggere altrove gli habitat per cementificare, grandi opere ecc.). La gestione della reintroduzione dei grandi carnivori sulle Alpi è figlia di questo conservazionismo che ritiene la proliferazione del lupo, dell'orso, dello sciacallo, della lince una necessità che non richiede discussioni o spiegazioni.


Le regioni prevedono un'ondata populista


La politica annaspa perché le lobby sono forti e non obbedire loro è rischioso. Ma oggi le regioni alpine, dopo vari vergognosi sbandamenti, auspicano, sia pure confusamente e contradditoriamente (come si fa a dire che le direttive europee sono giuste?) un controllo del lupo. Lo fanno perché sanno che dopo il 29 maggio gli equilibri di governo cambieranno. Il M5S - con il suo giacobinismo - ne uscirà indebolito a vantaggio della Lega e le attuali posizioni del ministro-generale Costa (ex generale del vecchio CSF) che ammonisce le regioni a rispettare le competenze esclusive dello stato centrale, e prepara un Piano lupo senza abbattimenti (vai a vedere qui) dovranno cedere al realismo politico. Quello che manca a Costa che pensa con un milione di euro di "mitigare" il conflitto e di accontentare lupisti e allevatori quando, in Francia, solo per compensare il maggior lavoro dei pastori per mettere in atto le difese dal lupo, si spendono 8 milioni all'anno con un "parco lupi" 10 volte inferiore a quello italiano.  A meno di colpi di stato o di impensabili e impraticabili ribaltoni che porterebbero il M5S a governare con la sinistra, l'autonomia alle regioni andrà avanti. E' solo questione di mesi.
Posizionarsi anti-lupo può quindi convenire perché se in città non è certo il lupo a motivare il voto (tranne una minoranza trascurabile di fanatici ultrà animalisti) in montagna, invece, il tema può far spostare verso l'astensione o lo scarso impegno elettorale non pochi simpatizzanti leghisti.
Così, anche se dal vertice di Trento, necessario a Fugatti per consacrarsi quale esponente politico di riferimento sul tema lupi e orsi (non senza qualche merito accumulato nella passata legislatura provinciale), non è uscito gran che di concreto , esso è valso in termini propagandistici ad accreditare in modo un po' surrettizio una posizione intransigente e dura alle regioni: "Le regioni vogliono sparare ai lupi". 
Questi messaggi possono ottenere l'effetto di temporaneo tranquillante per le popolazioni di montagna senza peraltro allarmare troppo gli animal-ambientalisti che non ci mettono molto a capire che, per ora, si tratta solo di parole.  Una tattica tanto per lasciar passare a 'nuttata e poi riprendere il tran tran di prima, di ossequio alle direttive UE e delle lobby? Non è facile rispondere.
I dubbi restano. A conferma di una scarsa decisione nell'affrontare il problema, lo stesso Fugatti ha precisato, nei giorni successivi alla riunione inter-regionale, che "prelevare" i lupi può significare anche "dislocarli". Pronta è arrivata l'osservazione dei lupisti che hanno fatto (giustamente) rilevare come il lupo sia specie molto mobile, capace di spostarsi di 50 km a notte.



In più le Alpi vedono ovunque popolazioni più o meno dense di lupi. Dove vorrebbe mandarli Fugatti? Non avrebbe neppure senso una grande area recintata (a meno di affrontare spese faraoniche e di realizzarla di inaudite dimensioni) perché, di centri con lupi in cattività, ce ne sono a decine in Italia, anche in Trentino e chi proprio vuole vedere i lupi non ha che l'imbarazzo della sceltra tra i vari zoo all'aperto. Non serve dal punto di vista conservazionistico, né educativo, né di niente. Solo per "venire incontro" alla sensibilità animalista. La pur discutibile "prigione per orsi" della Provincia di Trento, contestada da Fugatti quando era il capogruppo leghista a palazzo Trento è più plausibile di un "giardino dei lupi". Perché? Perché l'orso è animale solitario dal carattere molto individuale. Chiudere in un recinto l'orso pericoloso può avere un senso (anche se lo condanna alla cattività è meno consona con il rispetto del benessere dell'animale che una fucilata), chiudere i lupi "discoli" no. Perché sono animali sociali, relativamente intercambiabili nel branco e il comportamento è più caratteristico del branco che del singolo (che ha una sua posizione sociale rigida). Con la sua proposta sulle catture, Fugatti ha solo dimostrato di non essere abbastanza deciso (il suo predecessore, Rossi, non si è sottratto alla responsabilità di sparare l'orsa pericolosa).
Dal punto di vista giuridico la cattura richiede, come lo sparo, l'attivazione delle deroga alla direttiva comunitaria e l'autorizzazione dell'ISPRA. Non è una strada più facile. La si può affrontare solo senza tentennamenti... e cambiando i burocrati. La conferma di Romano Masé e di Claudio Groff, responsabili, rispettivamente della forestale trentina e dell'ufficio grandi carnivori della PAT, entusiasti sostenitori del progetto Life Ursus, tanto contestato dal Fugatti oppositore, avvalora i timori di una deriva democristiana.  Molto "democristiana" appare la stessa proposta dei "dislocamenti".
Alla fine, tra politiche prudenti e sin ossequiose per le organizzazioni imprenditoriali (grande impresa), mantenimento dell'alleanza con Forza Italia e una distanza sempre più evidente con il salvinismo, il leghismo delle regioni (come istituzioni) del Nord ha un tasso di polulismo piuttosto basso, più basso di Salvini e, soprattutto, degli elettori. Ecco perché qualche proclama anti-lupo non guasta.




Sbagliato chiedere il Piano lupo. Esso era un abile escamotage per avallare una politica ancora più lupista

Le regioni alpine non mostrano idee molto chiare neppure quando fanno riferimento al Piano Lupo. Se, come proclamano, hanno intenzione di tutelare le attività economiche della montagna (allevamento e turismo in primis), e la sicurezza degli abitanti, il Piano Lupo va smantellato da capo a fondo e reimpostato da zero.
Non ci voleva molto a capire che il Piano, scritto dall'Unione zoologica italiana, ovvero dal lupismo "centrista" mainstream di Boitani, in realtà era abilmente elaborato per far si che il prelievo restasse solo sulla carta mentre, sul piatto della bilancia pro lupo, si aggiungevano una serie di  misure di controllo del territorio (sino a prospettare l'istituzione di Autorità di gestione del lupo) e di vera e propria polizia. L'insistenza contro il bracconaggio è un vero e proprio alibi inaccettabile. In Italia non esiste il bracconaggio (caccia illegale per fini commerciali) ma l'autodifesa di allevatori, pastori (e solo in minor misura di cacciatori). Va ricordato che, non siamo concettualmente molto lontani, in Africa, al grido di "dagli al bracconiere" vengono sistematicamente uccisi e torturati, dalle guardie "ecologiche",  cacciatori- raccoglitori tribali che cacciano per sopravvivere (spesso con arco e armi rudimentalli). Ciò per salvaguardare la fauna  per il business dell'ecoturismo (comun que un disturbo) e della classica caccia grossa (i bianchi possono uccidere, in modo ovviamente sostenibile e benedetto dal WWF e dalle altre organizazioni quella fauna africana a rischio che viene difesa anche applicando la pena di morte senza processo a poveri disgraziati).



Il Piano lupo prevedeva oltre alla militarizzazione del territorio con la scusa del bracconaggio (lezione dei parchi neocolonialisti africani), sanzioni contro i pastori e allevatori che non si sarebbero attenuti alle prescrizioni dei lupisti in materia di pascolamento, imponeva greggi più piccole e più custodi (pagati da chi?) oltre, ovviamente ai cani da guardiania e alle recinzioni. Condizioni incompatibili con la realtà morfologica di numerose valli alpine, pensate apposta per costringere allevatori e pastori a gettare la spugna (qui i nostri commenti al Piano lupo).
Il fatto aberrante è che il Piano lupo è stato bocciato in sede di conferenza Stato-Regioni non perché contro i pastori, gli allevatori, gli abitanti della montagna e delle aree interne sempre più alle prese con la presenza del lupo, ma perché troppo "anti-lupo". Le organizzazioni animal-ambientaliste, infatti, non ragionando in termini strategici come Boitani e il partito del lupo centrista, ma solo in termini di vantaggi immediati procurati dalla propaganda demagogica, hanno visto una minaccia alla sola previsione teorica degli abbattimenti. 
Facendo leva su un pubblico poco informato e condizionato dai (loro) messaggi emotivi, incapace di cogliere il sottile gioco di Boitani, gli animal-ambientalisti hanno scatenato tutti i loro canali per creare un fuoco di sbarramento contro l'astuto Piano lupo. E ci sono riusciti. L'aspetto paradossale è che solo due componenti la conferenza non si sono piegate al ricatto della propaganda animal-ambientalista: la Provincia autonoma di Bolzano e la Regione Toscana. Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friulio VG, Provincia autonoma di Trento si sono schierate con il becerume animalista per pura vigliaccheria, per paura di perdere qualche voto. Non sono passati molti anni: succedeva esattamente due anni fa, nel febbraio 2017 (qui il nostro commento) le regioni, rimangiandosi la posizione precedente, bloccavano il nuovo Piano lupo (quello vecchio era scaduto nel 2015!!). In questo modo hanno assegnato agli animalisti un potere di veto (come accade con la legge sulla caccia che, vecchia di vent'anni, non si riesce a cambiare).
Ora vedremo come le Regioni reagiscono al Piano lupo targato Costa, un piano tutto all'insegna della "convivenza" (coatta).

Quando il vento ha cominciato a girare

Successivamente al vergognoso allioneamento delle regioni (di ogni colore) vi sono stati dei riposizionamenti. La Regione Veneto ha cambiato idea dopo la terribile estate 2017 con le stragi senza fine di animali in malga e gli allevatori che assistevano impotenti alla mattanza. In realtà il lupo era presente sulla montagna venete, in Lessinia, già dal 2012. Ma solo quando sono state coinvolte altre realtà e provincie (Asiago, bellunese) la politica si è accorta. E si è accorta perché, come a Bolzano, in queste zone c'è una economia zoocasearia forte e piuttosto intensiva che impronta la vita locale. Fosse stata una realtà  solo pastorale il lupo poteva andare avanti  tranquillo.  In questo contesto socio-economico si sono mossi i sindaci e  la questione lupo con le "soluzioni" come i recinti da 1,4 m proposti da Wolf Alp e dalla Regione, sono stati oggetto di pubbliche discussioni (e contestazioni). Non solo, ma comuni e allevatori nel 2018 si sono autotassati per lanciare un contro-progetto (poi sfumato per l'entrata in scena della Coldiretti) affidato non già a un esperto lupista ma "antilupista".



In questo contesto, caratterizzato da moltissime predazioni subite ma anche da attivismo politico sia a livello di territori che di regione (quest'ultima in modo confuso), la posizione dell'animalista democristan-leghista Zaia è diventata  insostenibile e vari assessori leghisti hanno imposto il dietro-front, ovvero hanno rinnegato la precedente capitolazione alla demagogia animalista. Così, prima della scadenza, il Veneto - a proposito di propaganda -  si è (del tutto virtualmente perché i fondi ormai andavano utilizzati e rendicontati) "sfilato" da WolfAlp I e ha rinnegato la precedente rinnegazione del piano lupo. Doppio salto mortale politico carpiato. Chapeau.
Il Consiglio regionale ha anche provveduto a votare una legge per la gestione autonoma. A prescindere della natura politica dell'atto (stante l'assetto di competenze) va segnalata la dissociazione dal medesimo del "doge" che continua a non rinunciare al suo animalismo.
In Liguria e Friuli la posizione è cambiata a seguito del cambiamento di maggioranza politica (sconfitta centro-sinistra), in Lombardia la nuova giunta (di stesso colore di prima) si è allineata alla posizione delle altre regioni a guida Lega quando Fugatti (ottobre 2018) è diventato presidente della PAT (anche grazie all'uscita di scena di alcuni esponenti leghisti animal-ambientalisti).
 
Alla riunione del 29 a Trento la regione Piemonte non era presente. Ha, però inviato un documento di assenso. Altro capolavoro di cerchiobottismo. Un modo ambiguo per "coprire" il percorso poco limpido e poco onorevole di una regione che, prima tra tutte, aveva chiesto, sin dal 2009, al ministero dell'ambiente di poter procedere all'abbattimento selettivo dei lupi (dove più gravi erano gli attacchi predatori) e che poi si era schierata capofila delle regioni animaliste pro lupo.


Regione Piemonte: il capolavoro della vergogna. Una regione che smentisce sé stessa per inginocchiarsi all'animalismo e alla lobby (Parco Alpi marittime e dintorni)

Nel giro di pochi mesi l'assessore all'agricoltura (Taricco, del Pd), dopo aver inoltrato la richiesta di autorizzazione agli abbattimenti e sostenuto di essere personalmente favorevole alla caccia al lupo, doveva ripiegare (inizio 2010) a più miti consigli a fronte dei dinieghi romani e della stessa scarsa decisione nel sostenere le proprie ragioni contro le pretestuose argomentazioni ministeriali.

Così si trovò a dichiarare : in teoria si può sparare al lupo, ma in pratica no. Stana teoria del diritto, ma poi se lo fanno in Francia! L'assessore spiegava che era impossibile  intervenire per via della protezione assoluta di cui gode il lupo. Bugia clamorosa. Quando la maggioranza di sinistra venne sconfitta dal centro-destra, l'assessore leghista Sacchetto proseguì l'azione verso il ministero per ottenere di poter abbattere i lupi. Le risposte  furono sconcertanti: non è possibile perché non sappiamo quanti lupi ci sono in Italia e quanti sono  uccisi dai bracconieri [...] non è possibile perché urterebbe la sensibilità animalista del pubblico. Invece il destino di famiglie e di aziende che vivono in montaga di allevamento si può non solo "urtare" ma "disfare" a piacimento.  Non sono, ovviamente. le "motivazioni scientifiche" che ci si potrebbe aspettare dall'Ispra, ma andò così. E, anche in questo caso, la Regione Piemonte non fece opposizione a un diniego che non aveva fondamento. Come puà un Ispra, un comitato di esperti, un Ministero sostenere dopo anni e anni di progetti sul lupo di non conoscere la consistenza della specie? (su tutta questa vicenda vedi qui)
. Eravamo nel 2011. Sacchetto ebbe anche il merito di non rifinanziare il Progetto lupo e di avviare, invece, il Progetto ProPast che con limitate risorse cercò di andare nel senso opposto ai progetti lupisti: ascolto delle comunità coinvolte (in alcuni piccoli municipi ci dicevano che non si erano mai viste riunioni così affollate vedi qui), ascolto dei pastori, valutazione sul campo dell'impatto del lupo. Parecchie interviste a pastori realizzate in alpeggio con mezzi rudimentali e caricate su you tube sono state visualizzate decine di migliaia di volte 
(vedi un esempio). Moltissime persone hanno potuto ascoltare dal vivo, grazie a ProPast, come la storiella dei "miracolosi" cagnoni e recinti, sia una mistificazione, un abile mezzo dei lupisti per mettere in ginocchio i pastori (se non adotti non di indennizziamo gli animali sbranati, se adotti devi tribolare molto di più e pensi di mollare). Nel 2013 la giunta regionale di centro-destra, ormai in crisi, approvò la presentazione del famigerato progetto WolfAlp che è coinciso con l'esplosione del lupo nelle Alpi orientali (responsabili della malefatta Sacchetto, Casoni, Valmaggia).

Nel 2014 si insedia Chiamparino che, da uomo forte, legato ai poteri forti (specie bancari) avocò a sè la questione lupo "sollevandone" la responsabilità agli assessori all'agricoltura, aree protette e montagna. Il suo ragionamento era chiaro: chi ce lo fa fare di perdere consensi urbani per quattro sfigati che vivono in valli ormai spopolate: il lupo è politically correct e da bravi sinistri progressisti organici al capitalismo neoliberale ci conviene stare con gli ambientalisti da salotto.
Dopo la nomina dell'Appendino a sindaco di Torino, dopo la formazione, nel maggio 2018, del governo popolare e - soprattutto - dopo il mantenimento da parte di esso di un largo consenso (nonostante difficili prove), non sfugge più a nessuno che lo strato sociale privilegiato "liberal", connesso all'elite euroglobalista,  sia quanto mai esiguo e che - ciò che più conta -  abbia perso la capacità di manipolazione degli strati popolari e di esercitare - almeno temporaneamente - influenza egemonica (lo si nota dall'inefficacia del quotidiano fuoco di artiglieria mediatica dei giornaloni contro il governo popolare).  Così il ragionamento sul lupo che "rende" in termini di consenso elettorale forse non fila più molto. Il pensionato a 1000 e sotto, il disoccupato, la partita iva di necessità, il precario, in un contesto di radicalizzazione sociale e di totale scetticismo verso le elite e gli esperti intelligentoni, si identificheranno più facilmente con il piccolo allevatore di montagna piuttosto che con il tecnoburocrate dei parchi, il funzionario ben pagato delle Ong, il residuo ceto medio che consuma riviste naturaliste patinate e viaggi nei parchi.



Nel 2017 Chiamparino ha guidato lo schieramento delle regioni "cagasotto" (girone dantesco degli ignavi) che si sono rimangiate dalla sera alla mattina la precedente approvazione del progetto lupo. Come si vede la questione di schieramenti convenzionali c'entra poco (la Toscana, dove il Pd è saldamente - ancora per poco, però - al comando è invece l'alfiere del controllo dei lupi).
 
Le cose hanno preso una piega diversa da quando il lupo ha iniziato a picchiare duro nella montagna veneta e a far presenza anche in Südtirol

Nelle valli del Piemonte sud-occidentale il lupo rappresenta il colpo di grazia che si innesta su un secolo di calo demografico, divenuto impetuoso tra gli anni '50 e '70 con la deportazione, non forzata ma quasi, di intere borgate alpine verso la pianura, verso il lavoro di fabbrica alla Fiat o alla Michelin (cfr le testimonianze raccolte da Nuto Revelli ne Il mondo dei vinti). Le visioni del sangue di animali domestici e selvatici sulla neve e sull'asfalto, gli ululati nella notte, i cani sbranati nelle cucce, aggiungono desolazione a desolazione. Se ci sono ancora energie morali e umane da giocare prevale la rabbia contro chi a Torino, in comodi uffici o salotto riscaldati in inverno e condizionati in estate "tifa" per il lupo, contro i burocrati ma anche le semplici guardeie dei parchi che corrono dietro ai lupi invece di lavorare. Rabbia. Ma non si sa cosa fare: portare gli animali sbranati in centro a Cuneo, appendere i lupi nelle piazze come in Toscana? Gli intelligenti, i benpensanti, i  nuovi parrucconi progressisti (laici ed ecclesiastici), che oggi si sentono un po' Marie Antoniette di fronte al popolo, esorcizzano e sprezzano questi sentimento laceranti come "rancore sociale". Dall'alto delle loro sicurezze, garanzie, comodi e privilegi ostentano disgusto per il populismo, mostano di avere in odio la maggior parte dei loro concittadini riservando il loro amore ai "migranti"... e ai lupi.
Oggi, però, il rischio è che in montagna se la rabbia non si convoglia in iniziativba politica, sia pure rudimentale, prevalga la voglia di arrendersi. Come vogliono "loro".


I Parchi da una parte negano che il lupo si sia diffuso per via degli "aiuti". Dall'altra rivendicano orgogliosamente il loro ruolo nella sua reintroduzione


La conformazione delle valli di Cuneo e di Torino non aiuta i montanari: paesi distanti, valli lunghe e con scarsi collegamenti intervallivi che rendono difficile anche solo organizzare qualcosa, parlarsi. Sono difficoltà logistiche che si sommano alle lunghe ore di lavoro nelle stalle, a mungere, a regolare gli animali, alle condizioni delle strade. Quando pensiamo che la controparte ha modo di tenersi facilmente in contatto in moltissime occasioni (eventi istituzionali, gruppi scientifici, gruppi di progetto) tutti pagati dal contribuente e tali da consentire anche un piacevole turismo , capiamo bene come anche oggi l'ingiustizia sociale assuma forme molto concrete, plastiche: due allevatori di due valli parallele che vogliono parlarsi tra di loro fanno più fatica di due lupisti di sue continenti diversi che si parlano e si incontrno. C'è una disparità di forze evidente.  Penso all'allevatore che deve abbandonare le riunioni e correre a casa a mungere, guidando nella nebbia, attento alle strade ghiacciate  e poi al lupista con i soggiorni in albergo e i viaggi pagati in aereo e tav per i loro continui convegni. Democrazia, giustizia sociale. Ma dove?



In questo contesto di difficoltà a contrastarne l'avanzata, il lupo negli anni '90 ha trovato terreno fertile in Piemonte. Dicevano che era la conseguenza "naturale" dello spopolamento, dell'abbandono, del ritorno del bosco. Le reintroduzioni di ungulati crearono un terreno ancora più fertile. Nonostante tutto il montanaro non si è lasciato convincere di una reintroduzione del tutto "spontanea" e vede il lupo come una imposizione, come l'ennesima espressione di una politica secolare di oppressione colonialista e centralista, come l'espressione di un gioco che non è certo win-win ("ci vinciamo tutti"), ma in cui chi è privilegiato guadagna e chi è subalterno perde e viene ulteriormente marginalizzato. Anche se non riesce a ribaltare l'egemonia ideologica del discorso lupista, la resistenza popolare montanara è comunque in grado di far filtrare attraverso le maglie dei media il suo grido di dolore, non pietistico ma lucidamente pessimistico e accusatorio, capace di incrinare l'idilliaco quadretto costruito dalla macchina di propaganda dei parchi (dietro la quale ci sono le organizzazioni internazionali, vere multinazionali del conservazionismo neoliberale).



Così il j'accuse di Anna Arneodo che dalla sua contrada Marchion di Sacto Lucio di Combouscuro (a sua volta frazione di Monterosso Grana) dove abitano solo lei, i famigliari e le sue pecore - orgogliosamente ospitato da questo sito - ha bucato il web con 70 mila visualizzazioni e 19 mila condivisioni su facebook (vai a vedere), tanto da muovere inviati di Repubblica e il Corrierone a intervistare la pastora.

Tutt'altro panorama nelle Alpi orientali. Se la Regione Piemonte brillava per assenza alla riunione di Trento, il Südtirol brillava per presenza: vi erano il presidente
Arno Kompatscher, accompagnato dall’assessore provinciale ad Agricoltura, Foreste, Turismo e Protezione civile, Arnold Schuler, e Luigi Spagnolli, direttore Ufficio Caccia e Pesca.
Il Südtirol è all'opposto delle valli di Cuneo: c'è crescita demografica. Ma c'è anche in altre aree della montagna del Nord-est. Non c'è abbandono, la zootecnia, pur con i suoi problemi, resta attività importante che crea reddito. Si coltivano vigneti e frutteti ma anche i prati (a Bolzano, a differenza delle altre regioni - compreso ilò vicino Trentino -  da decenni prati e pascoli non regrediscono). Se il lupo è lka conseguenza dell'abbandono perché si diffonde nelle Alpi orientali, anche dove il turismo e l'agricoltura sono fiorenti? La popolazione la risposta se l'è data da sola: perché vogliono reintrodurli. Il vecchio Piano lupo si prefigeva come obiettivo l'espansione del lupo sulle Alpi. In modo più deciso si è posto l'obiettivo Wolf Alp. Perché si offendono tanto i lupisti se si dice che i lupi li hanno voluti? L'hanno sempre scritto sui loro documenti: va perseguita l'espansione del lupo su tutte le Alpi.  Nessuno crede che senza "aiuti" la colonizzazione delle Alpi (prima occidentali, poi orientali, sarebbe stata cosi' facile. I montanari, gli allevatorti, i sindaci dei paesi hanno preso le misure ai lupisti ai vari convegni e leggendo i vari documenti. Hanno capito che il lupista, il conservazionista, risponde alla morale e alla legge della natura. Si appella alla norma positiva solo quando è favorevole alla causa conservazionista (che poi, nella fattispecie alpina, è reintroduzionista),  altrimenti si sente superiore alla morale comune degli untermensch, la subumanità con la quale identifica la gente comune, i villici. Un modo di pensare frutto della fusione del  vecchio razzismo delle elite cittadine, che qualificavano apertamente il contadino quale specie di animale da lavoro, e del nuovo (nel senso di moderno) razzismo malthusiano e neodarwiniano, ideologie mai rinnegate dal milieu conservazionista. Raccontare bugie per fin di bene (per il bene del lupo e della biodiversità) è giustificato dal fine (lo hanno ammesso gli stessi lupisti confessando che le stime del lupo ridotto a 100 esemplari in tutta Italia erano pura menzogna). Commettere ingiustizie sociali contro gli
untermensch è meritorio per la morale della natura. Effettuare dei lanci illegali di lupi è meritorio per la superiore legge della natura. Basta che ci si copra bene tra adepti alla setta del lupo.   



Indipendentemente dal modo con il quale il lupo è arrivato il danno che può fare nelle Alpi orientali ancora caratterizzate da significative presenze zootecniche, è enorme. In più va segnalato che in Südtirol la struttura del maso fa si che i gruppi di animali sui pascoli alti siano piuttosto piccoli (a differenza del sistema della malga del resto delle Alpi che ha origine collettiva). Molti allevamenti di bovini e di ovini sono gestiti anche in estate su base famigliare e non sempre è possibile assicurare un controllo continuativo.  In un contesto in cui la presenza diffusa dei masi regge, la zootecnia è forte, l'organizzazione contadina (Bauernbund) tutela - a differenza della Coldiretti - anche i piccoli, e si fa ascoltare dalla politica, la politica non è mai stata (almeno a parole) ambigua sul lupo (e sull'orso) e ha sempre dichiarato attraverso il partito di maggioranza (SVP) di essere contraria a queste presenze.
Insieme ad altre regioni di lingua tedesca delle Alpi orientali, la PA di Bolzano  sostiene una politica di "zonizzazione" con regioni alpine libere da lupi. Un sogno? No se il Parlamento europeo viene ribaltato e con esso il potere delle lobby eurocratiche.  Insieme alla Toscana, Bolzano ha sempre sostenuto - in attesa di un cambio del quadro di riferimento normativo europeo - l'esigenza applicazione delle deroghe che consentono, come in altri paesi, di sparare al lupo. Ma è stato solo negli ultimi anni, con la formazione di branchi anche delle valli altoatesine e con le proteste rganizzate che ne sono seguite, che la politica bolzanina si è attivata. Arnold Schuler è stato confermato assessore grazie al lancio di una petizione no lupi (vai a vedere) ma, da viticoltore, non ha mai mostrato un forte impegno sul tema, tanto è vero che molti allevatori (forse sbagliando) o anche perché poco coinvolti da Schuler , non hanno sostenuto la petizione, convinti che fosse solo uno strumento delle conferma politica dell'assessore. Anche a Bolzano quindi non è tutto oro quello che luccica. Spagnolli (ufficio caccia) e il servizio forestale provinciale sono di orientamento lupista e Schuler sinora non si è impegnato più di tanto a contrastarli. Anche in Südtirol ai proclami che servono a "tenere buoni" i contadini e i montanari non sempre  seguono azioni politiche efficaci. Chi ha le idee più chiare è l'eurodeputato Herbert Dorfmann di Bressanone che da tempo sollecita azioni congiunte a lòivello europeo per rivedere la Direttiva habitat con il suo dogma obsoleto della "protezione assoluta" del  lupo.



A Trento vi erano anche gli assessori all'agricoltura Pan del Veneto, Zannier del Friuli e Rolfi della Lombardia. La val d'Aosta ha invece mandato l'assessopre all'ambiente (Chatrian) e la Liguria la dirigente delle Aree protette. Come si vede anche le regioni a guida centro-destra non marciano in sintonia. Non può non essere valutato positivamente che tre regioni abbiano inviato gli assessori all'agricoltura (tutti e tre leghisti). Un bel passo avanti da quando anche la giunta Maroni riteneva che orsi e lupi fossero "competenza dei Parchi, dell'ambiente". E' sicuramente un passo avanti che il lupo venga riconosciuto come problema per il mondo agricolo e che la "voce in capitolo" non sia solo quella dei naturalisti. Rispetto a quando in Veneto la linea la dettava l'animalista Zaia o in Lombardia i vari Belotti e Terzi, leghisti dichiaratamente orsisti, le cose sono cambiate, in meglio. Ma non è il caso di farsi illusioni. Se dalla parte del partito del lupo vi sono strutture organizzate con collegamenti istituzionali e internazionali, con ampie risorse umane e finanziarie, dalla parte del partito della montagna c'è un interesse diffuso senza rappresentanza, strategia. La politica ne terrà conto solo fin quando uno spettro si aggira per l'Europa (il populismo), che alle caste fa un po' paura. Per il resto,  se il partito che si oppone alla colonizzazion e massiccia e capillare delle Alpi da parte dei grandi carnivori, non saprà organizzarsi e affiderà sempre deleghe in biancop a una politica di cui non ci si può fidare (neppure quando targata Lega o SVP) non c'è molto da sperare. Prima o poi le Alpi, senza una efficace resistenza ruralpopulista saranno il grande parco in mano al conservazionismo capitalista neoliberale.



 


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La lobby lupista censura le notizie "scomode"
(04.07.18) Negli ultimigiorni notizie importanti provenienti dalla Polonia e dalla Francia, imbarazzanti per il partito del lupo, sono state  ignorate dai media italiani. E c'è il precedente della morte di Celia Hollyworth la donna inglese sbranata dai lupi in Grecia. Quando un giornale nazionale ne parlò...   leggi  tutto



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