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Valorizzazione carni ovine bergamasche

  Michele Corti 03/05/2021
bergna

La "cucina pastorale"


La carne di pecora gigante bergamasca


Il castrato bergamasco


Il castrato bergamasco è un prodotto unico, che ha goduto di notevole fama a cavallo tra Ottocento e Novecento, non solo in Italia ma anche all’estero. I soliti esterofili. In passato la razza Bergamasca era nota proprio per la produzione di castrati che venivano venduti ad incettatori francesi.

Il Rota (G Rota, La pecora bergamasca e l’industria armentizia, Udine 1910) scriveva: "I principali alberghi di Parigi segnano nei loro menus come piatto raccomandabilissimo la vivanda o meglio Les cotolettes de mouton bergamasque". La stessa cosa si può leggere in test di zootecnia francesi della fine dell'800. Si riferiva che il castrato bergamasco era molto apprezzato e che che le cotolettes de mouton bergamasque si trovavano nei migliori ristoranti. Questa tradizione venne meno con il declino delle esportazioni verso la Francia a seguito dell’introduzione di dazi di confine che costringevano al passaggio attraverso la Svizzera tanto che Mario Coeta (M. Coeta,La pecora bergamasca, 1921, Tesi di laurea.) sosteneva che "prima della guerra si esportavano anche in Francia".

In realtà una corrente di esportazione non è cessata neppure in seguito. La famosa Guida Gastronomica del TCI (1931), riferisce che:
L’allevamento del bestiame è fiorentissimo in tutta la provincia [di Bergamo], ricca come essa è di magnifici pascoli, specialmente montani; abbondano quindi le ottime carni da macello bovine ed ovine, fra le quali hanno molta rinomanza quelle della pecora gigante bergamasca che figurano altresì nei menus dei grandi ristoranti svizzeri e francesi (gigot [cosciotto] de mouton bergamascque)(Touring Club Italiano, Guida Gastronomica d’Italia, Milano, 1931).
Legato a condizioni socioeconomiche che si sono modificate nel tempo, il castrato, carne tradizionalmente apprezzata nel mondo rurale (che l’ha abbandonata con l’arrivo della “modernità”,  per uniformarsi culturalmente alla predilezione cittadina per lo smunto vitello), ebbe un boom tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento (sia per la crescita della domanda interna che estera).

Già a fine Ottocento, la diffusione dell’industria tessile, e l’aumento delle importazioni di lana fine dall’estero, incisero negativamente sulla richiesta di lana nostrana. I pastori, già oltre un secolo fa – pur restando importante il valore della lana (oggi azzerato), dovettero puntare maggiormente sulla carne trovando riscontro in un mercato di consumo che, dopo una fase di grande restrizione dei consumi popolari tra Sette e Ottocento, si stava allargando. La pecora gigante bergamasca vide così consolidata la sua importanza e si allargò l’area del suo allevamento a spese di razze con minor attitudine alla produzione di carne (un fenomeno che, qualche decennio fa, ha portato alla "bergamaschizzazione" del patrimonio ovino del Veneto, Trentino-Südtirol, Friuli e alla forte influenza bergamasca in alcune regioni appenniniche. 

Ancora in tempi  recenti, la parrese Anna Carissoni (Pastori. Studi, documenti, testimonianze sulla pastorizia bergamasca, Edizioni Villadiseriane, Villa di Serio, Bg, 1985, p. 115) riferisce di aver trovato in un ristorante parigino quel piatto. La richiesta di castrati bergamaschi, che nella seconda metà del Novecento si era spostata verso il Sud Italia, già da qualche decennio si è concentrata in Romagna (Lugo) e nella vicina Argenta (provincia di Ferrara).

Oggi in Romagna esiste un marchio di qualità regionale dell'Agnellone e Castrato Romagnolo (ma il castrato è tradizionalmente di razza bergamasca che ha mantenuto un mercato storico di sbocco a Lugo). Una tradizione che nasce dalla cessione di agnelli (come corrispettivo per la pastura) da parte dei pastori bergamaschi che frequentavano le pianure emiliane (quante famiglie con cognome Bergamini tra Modena e Ferrara!). Gli agnelli che venivano castrati e ingrassati in loco. Non a caso l'Artusi, fiorentino di adozione ma originario di Forlimpopoli, inserì tre ricette di castrato nel suo famoso testo di cucina. In realtà anche in Lombardia la tradizione del castrato non sì è mai estinta. Un consumo marginale di castrato si è mantenuto specie in alcune zone più interessate alla presenza della pastorizia transumante e alcuni tra i ristoratori più attenti alla “filologia gastronomica” non l'hanno mai dimenticato e oggi l’hanno riscoperto (tra la bergamasca e la val Camonica).

La grande qualità dei castrati bergamaschi è stata messa in evidenza sin dagli anni '40 dal Salerno (A. Salerno, La pecora bergamasca e la sua attitudine alla produzione di carne, Allevamenti, 1947, -1-, 15; -2- 37-38; -3- 66-67). Nei castrati di prima (con peso vivo alla macellazione di 63,0) l'autore citato riscontrava rese del 45,0 %. con un buon rapporto tra carne ed osso (80% carne, 20% osso) e un altrettanto buon rapporto tra 1°, 2° e 3° taglio (rispettivamente 43, 29 e 28%). In realtà i pesi alla macellazione sono superiori (70-80 kg) e la resa supera il 50% secondo i pastori, (50% secondo il già citato Coeta, che indica una resa allo spolpo dei quarti pari al 74-76%).



Agnelloni e castrati: entrambe eccellenze


Va chiarito che anche l'agnellone bergamasco è anch'esso un ovino "maxi" raggiungendo e superando i 50 kg di peso vivo. Non è un prodotto storico, ma è anch’esso di qualità eccellente. In passato la produzione dell'agnello (va precisato i pastori chiamano agnèl quello che non ha ancora compiuto l'anno) era limitata, poi per via dell'evoluzione del mercato è diventata quasi esclusiva. Ancora all'inizio degli anni '90,  il 16%
dei greggi transumanti lombardi produceva solo castrati (tutti greggi di pastori bergamaschi), il 60% presentava una produzione mista (agnello e castrato), il 22% produceva solo agnelli (quasi esclusivamente pastori bresciani)(Rizzi R., Bolla P., Caroli A., Tremolada F., Messa G.L. Produzione di carne ovine nei greggi vaganti della Lombardia. Atti Convegno Nazionale Parliamo di carni complementari (ovine, caprine, di ungulati, equine), Fossano, Ottobre 1993. pp 217-221.



La produzione di agnello(ne) si è poi imposta come un prodotto in larga misura "nuovo" destinato al mercato dei consumatori di religione islamica che prediligono - specie per il consumo rituale della festa del sacrificio - soggetti di buono sviluppo ma integri (quindi non sottoposti ad amputazioni di nessun tipo). Il castrato raggiunge i 70 kg, ma a un anno di età e oltre (un tempo veniva macellato a 18 mesi). Il vero castrato è un animale in cui è già avvenuta l’eruzione dei primi denti da adulto (la "rotta") che nella razza bergamasca avviene a 15 mesi di età. L'accrescimento del castrato è molto più lento e quindi il costo del kg di carne più elevato. Nel sistema di produzione transumante i costi sono legati alla custodia e conduzione del gregge, ai trasporti, alle cure sanitarie. Mantenere per ulteriori sei mesi nel gregge un capo aumenta quindi notevolmente i costi anche perché il castrato necessita di più pascolo di un agnellone. Dal punto di vista qualitativo la carne di castrato, come tutte le carni mature è superiore dal punto di vista della tessitura e del sapore. Richiede ovviamente una conveniente frollatura specie se deve essere cucinata in umido. Da una decina di anni diversi chef bergamaschi e bresciani (il pastoralismo transumante e la pecora bergamasca – appunto in vista del 2023 - sono un elemento che unisce Bergamo e Brescia), hanno sperimentato con successo l’utilizzo della carne di castrato (e di agnellone) bergamasco per svariate preparazioni. La paventata durezza e "selvaticità" appaiono, invece, come pregiudizi. La succulenza è eccezionale e viene esaltata con adeguate cotture (i pastori la cuociono sul fuoco con maestria ottenendo risultati difficilmente raggiungibili in cucina).



La
bergna

La bergna, parola arcaica entrata nel gaì, la lingua segreta dei pastori transumanti, rappresenta una forma di conservazione delle carni. Nata sugli alpeggi dove il sole e l’aria facilitavano l’essicazione. Nel mondo "pittoresco" dei pastori bergamaschi che si recavano con grandi greggi in Svizzera (per gli scrittori svizzeri di influenza rousseauiana, che ne restavano affascinati) la preparazione della carne delle pecore morte in alpeggio era uno degli elementi caratteristici. A metà dellOttocento non era ancora in voga nei ristoranti di lusso svizzeri il castrato bergamasco e la carne della pecora bergamasca era giudicata in confronto a quella delle razze locali "grossolana". Probabilmente il confronto era fatto con agnelli e con metodi di cottura inadatti. "La chair du mouton [bergamasque] est dure et peu savoureuse, mais très-grasse"(la carne ovina bergamasca è dura e poco saporita ma molto grassa), scriveva Friedrick von Tschudi, ma aggiungeva una bella descrizione della preparazione della bergna:

Quand une bête vient à périr sur la montagne, on la désosse, on la sale, on l'étend au moyen de petites baguettes et on la fait sécher sur des perches ou sur le toit du chalet. Souvent on voit de 20 à 30 pièces suspendues de cette façon contre les murs. Cette décoration habituelle n'offre pas un spectacle bien agréable; mais au moins elle ne sent pas mauvais, car l'air des hautes Alpes ne favorise ni la décomposition, ni la formation des vers. Cette viande ainsi séchée en plein air trouve un grand débit en Italie où on la paie 24 creutzers la livre (Quando un animale muore sulla montagna, viene disossato, salato, steso con bastoncini e fatto essiccare su pali o sul tetto della baita. Spesso si osservano da 20 a 30 pezzi appesi in questo modo contro le pareti. Questa consueta decorazione non offre uno spettacolo molto piacevole; ma almeno non ha un cattivo odore, perché l'aria delle alte Alpi non favorisce la decomposizione o la formazione di vermi. Questa carne, essiccata all'aria, è ricercatissima in Italia dove veniva pagata 24 creutzer al chilo.(F von Tschudi, Le monde des Alpes ou description pittoresque des montagnes de la Suisse et particulièrement des animaux qui les peuplent, Genève, J.-G. Fick, 1858, p. 362).



Maliziosamente, l’autore chiosava poi che le pecore che morivano "per incidente" erano forse troppo numerose, cosa di cui i capi pastore, proprietari dei greggi non mancavano di lamentarsi. Nella capanna dei pastori non mancava carne fresca in pentola e altra ad affumicare: "Ces bonnes gens ont toujours de la viande fraiche de mouton dans leur marmite ou en fumaison, et les propriétaires des troupeaux se plaignent, non sans fonde"(Queste brave persone hanno sempre la carne fresca nella pentola o nel fumo, e i proprietari dei greggi si lamentano, non senza ragione). (ivi, p. 367). Da una fonte di primo Ottocento (1808), alla quale attinge un articolo della rivista del club alpino della Suisse romande del 1875, apprendiamo che la bergna, non era il chewingum dei pastori (quando è molto secca), ma un prodotto pregiato che veniva portato in Italia a fine alpeggio. Non solo, ma gli stessi macellai engadinesi impararono a utilizzare al meglio le pecore locali per “copiare” la preparazione dei pastori e poi vendere la bergna in Italia a buon prezzo. "Cette viande se vend si bien en Italie, que nos spéculateurs n'ont pas honte d'acheter pour le préparer de cette manière et l'exporter le bétail mort de l'Engadine"(Questa carne si vende così bene in Italia, che i nostri speculatori non si vergognano di comprare gli ovini morti dell'Engadina per prepararla in questo modo e per esportarla. ( L'Écho des Alpes. Genève, A. Jullien 1875, p. 26).


Maroni-Laboratorio

Tanti prodotti


L’intraprendenza dei macellai engadinesi rappresenta un bell’esempio. Per fortuna esempi di intraprendenza non mancano neppure al giorno d’oggi e li troviamo anche in provincia di Bergamo. Se, per molto tempo, la carne della pecora gigante bergamasca è stata snobbata a partire dagli stessi bergamaschi doc, oggi le cose stanno cambiando. Da qualche anno aziende come Agricola Maroni di Ranzanico e Massimo Balduzzi di Clusone hanno intrapreso una giusta opera di valorizzazione della carne ovina bergamasca, proponendola fresca e sotto forma di preparazioni tradizionali (violini, salsicce, salami, prosciutti) e innovative o assunte da altre tradizioni (arrosticini). Il successo è lusinghiero, sia in forma di vendita diretta che di forniture ai ristoranti. Bergamo, oltre a capitale dei formaggi, è la capitale della carne ovina del Nord Italia, con una razza tra le migliori al mondo. In altre mani questi patrimoni gastronomici avrebbero già messo in moto chissà cosa. Bergamo è comunque diventata Creative city Unesco for gastronomy (grazie ai formaggi delle Cheese valleys). È tempo di pensare a quella straordinaria razza, con una straordinaria carne, che è la gigante bergamasca.


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