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Montagna che vuole vivere

Michele Corti, 27 dicembre, 2021

Tre volte sì alla Strada della transumanza bergamina (valli Imagna, Sassina, Taleggio)

Alla notizia dell'inserimento della qualificazione del collegamento Brumano - Morterone - Colmine tra le opere che il Consiglio regionale invita il governo della Lombardia a realizzare, con i fondi della ripresa, vi sono state moltissime rezioni, sia pure di segno diverso. Un fatto di per sé positivo: i probemi della montagna sono oggetto di dibattito, sia pure da posizioni opposte. Debolissime, però, sono le motivazione dei critici di un intervento di asfaltatura di 8 km di tracciato (8 sono già asfaltati) a quote che non superano i 1300 m. Deboli quando  si appellano alle valenze naturalistiche del sito qui rappresentate da una "foresta" (sic) frutto di rimboschimenti artificiali (con conifere estranee all'ambiente) e dalla spontanea trasformazione in bosco di cedui e pascoli. Deboli quando si richiamano all'esigenza di riempire prima le buche delle strade esistenti. Forti, fortissime sono, invece, le motivazioni di chi sottolinea la straordinaria valenza storico-culturale del collegamento: una vera via della transumanza bergamina, suscettibile di valorizzare l'epicentro di una cultura casearia che si è irradiata da qui, tra XIV e XX secolo, verso il Veneto, l'Emilia, il Piemonte e che, proprio qui, ha visto la nascita, dopo il 1880, dell'industria casearia italiana con le casere della Valsassina (sotto la Colmine). Stiamo parlando di un comprensorio caseario che è forse il più importante al mondo, già insignito del riconoscimento Unesco per Bergamo smart city of gastronomy grazie alle Cheese valleys delle Orobie e alla transumanza dei bergamini, che è alla base della tradizione casearia di questo angolo delle Alpi.


Nella mappa i tratti da asfaltare sono indicati in blu. Quelli in giallo sono già asfaltati o con fondo in misto cementato (la strada forestale in comune di Brumano che rappresenta il primo tratto del percorso per Morterone). In rosso alcuni percorsi pedonali.  I confini comunali dei comuni lecchesi sono indicati con puntinatura, quelli dei comuni bergamaschi con tratteggio.

I comuni interessati sono:

Brumano (valle Imagna, provincia di Bergamo); sul suo territorio si sviluppa parte del percorso e che otterrebbe un collegamento a Nord con Morterone e Lecco (cui era stato unito per secoli), oltre che con la Valsassina e la val Taleggio;

Fuipiano (valle Imagna, provincia di Bergamo) non è toccato direttamente dal collegamento ma esso inizia a soli 3 km dal centro del paese , il più alto della valle, senza sbocchi, né verso Morterone, né verso la val Taleggio e apporterebbe gli stessi vantaggi di Brumano con la contrada Arnosto, per il suo valore storico e architettonico, candidata a divenire un elemento forte della proposta culturale complessiva legata alla Strada;




Morterone (val Taleggio, provincia di Lecco) è al centro di tutto e può ambire a uscire dalla condizione di "presepe" e al poco invidiabile record di "paese più piccolo d'Italia", grandi sono le potenzialità di valorizzazione, in chiave di turismo culturale e accoglienza, delle sue tante suggestive contrade;

Vedeseta e Taleggio (val Taleggio, provincia di Bergamo) non sono direttamente interessati al tracciato ma otterrebbero un collegamento, tramite il passo della Colmine di S. Pietro (1258 m) con la valle Imagna, la Valsassina e Lecco.

L'ambiente del percorso visto in prossimità del "terminale" Nord (la Colmine di San Pietro)


Cremeno (Valsassina, provincia di Lecco)  il territorio comunale è interessato al tracciato.  Le prospettive di recupero delle casere storiche in località Casere (frazione di Maggio) potrebbero ricavare impulso dal nuovo collegamento e dalle iniziative da essere suscitate (in raccordo con le Cheese Valleys Unesco) inserendosi in un più ampio circuito a tema;

Cassina e Moggio (Valsassina, provincia di Lecco) sono entrambi interessati al tracciato in corrispondenza della Colmine di San Pietro (frazione divisa tra i due comuni) e possono trarre vantaggio dalle nuove possibilità turistiche del valico e dalle iniziative di turismo culturale ad esso connesse (specie con riguardo al rilancio della fiera di san Pietro). Va notato che, al passo, oggi vi sono solo due ristoranti e nessuna recettività (un tempo i ristoranti erano anche alberghi).



Vediamo ora le caratteristiche attuali del tracciato partendo da Brumano e arrivando alla Colmine di San Pietro:

Brumano - Inizio strada forestale per Morterone: 2,4 km asfaltati aperti al traffico;

Inizio strada forestale - Limite comunale con Morterone: 1, 4 km di strada forestale con fondo misto cementato a pedaggio;

Limite comunale Morterone  - Fine strada forestale: 4,5 km di strada forestale regolamentata con fondo sterrato a pedaggio;

Fine strada forestale - Morterone: 0,7 km, strada comunale asfaltata aperta al traffico;

Morterone - Olino:  4,2 km: strada provinciale asfaltata;

Olino - Colmine: 4,4 km: strada forestale regolamentata chiusa al traffico.

Complessivamente, le strade "bianche" da asfaltare sommerebbero a 8,7 km; 8,2 km risultano già asfaltati o cementati. I tratti "bianchi" sono rappresentati da strade forestali di recente realizzazione (non da "piste" forestali o da pittoresche stradine rurali, come si vorrebbe far credere), con pendenze contenute e larga carreggiata (4 m). La strada forestale Morterone - Brumano è stata realizzata nel 2005.  La percorrenza è consentita pagando un pedaggio di 10 € a veicolo. In alcune circostanze anche la strada dalla Colmine a Morterone è stata aperta alle stesse condizioni. A dimostrazione che il tracciato ha caratteristiche stradali (strada forestale di III categoria). Va rilevato che, dall'apertura della forestale del passo del Palio ad oggi, la strada, in seguito di eventi meteorici caratterizzati da intense precipitazioni, ha subito gravi danneggiamenti che hanno richiesto costosi lavori di ripristino.  Solo l'ultimo lotto appaltato ha comportato un impegno di 70 mila euro, soldi buttati perché alla prima "bomba d'acqua" l'intervento sarebbe vanificato. Per lunghi periodi, duranti questi annni, la strada è stata percorribile solo da autentici fuoristrada.  Il comune di Brumano, a fronte dei pesanti costi di manutenzione dell'infrastruttura, ha provveduto, per il tratto di competenza, a stendere un fondo misto cementato.

Asfalto? Un babau da demonizzare sempre e comunque?

Dove le pendenze diventano importanti, il mantenere il fondo sterrato per un puntiglio ideologico ("l'asfalto e il cemento impermeabilizzano") comporta costi e disagi inutili.  Le modalità di realizzazione e manutenzione delle strade ("bianche" o "nere" che siano) determinano l'efficienza dello sgrondo delle acque piovane. Una strada bianca in cattivo stato può trasformarsi in un torrente e contribuire peggio di una asfalta a gonfiare i corsi d'acqua. Ma poi, in casi di forti piogge che differenze ci sono tra asfalto e terra battuta? L'acqua non è assorbita né dall'uno né dall'altra e quello che conta è la regimazione efficiente dei flussi.  In caso di intasamento delle canaline e delle tombinature, il flusso dell'acqua e il trasporto di materiale solido determinano un'azione erosiva  della superficie stradale, quindi la creazione di solchi profondi che accelerano il deterioramento della strada e determinano difficoltà di transito. Quando lo stato delle strade diventa precario, anche le scarpate sono esposte a rischio di erosione e innesco di smottamenti. Il tipo di veicoli in transito determina la minore suscettibilità ai danni: i veicoli senza trazione integrale, causa la minore aderenza e il più facile slittamento delle ruote, possono contribuire al deterioramento del manto stradale. Ragione per la quale se si pensa a un transito, sia pure limitato e regolamentato di mezzi con due solo ruote motrici e alle motociclette è bene optare per l'asfalto.


Le posizioni "puriste" (diffuse anche tra i forestali) non hanno alla base una seria motivazione ambientale. Sono posizioni ideologiche che non tengono conto delle condizioni specifiche (pendenze, fattori climatici, utenze) per affermare il principio: asfalto è brutto, strada bianca è bella. Alla base c'è quel malinteso richiamo al "naturale" che gioca nel determinare dei riflessi condizionati (di tipo pavloviano). Lo sa bene il marketing che, oggi, fa leva continuamente sul richiamo alla naturalità per vendere qualcosa che potrebbe avere anche impatti ambientali gravi. Conta l'evocazione, la suggestione. L'asfalto, nero come il petrolio da cui deriva, si è caricato di connotazioni negative. Come non pensare all'espressione letteraria "giungla d'asfalto" entrata prepotentemente nell'immaginario collettivo con il film di John Huston del 1950. La giungla d'asfalto viene contrapposta ai prati verdi, quelli dove Celentano camminava a piedi nudi; per poi "respirare il cemento".  Nella visione degli artisti, dal Romanticismo in poi, la Natura è riscoperta in una dimensione bucolica, nostalgica, vagheggiata . Una visione di chi viaggiava in carrozza e che poteva permettersi quando pioveva di restarsene a casa e non correva il rischio di restare con i piedi immersi nel fango quando le strade "bianche" delle città e dei borghi diventavano pantani dopo i temporali. "Mangiare la polvere", ecco un modo di dire che sta sparendo o che, comunque, non viene più ricollegato al significato originario. Se, in tempo di piogge, le strade "bianche" del passato erano spesso trappole di fango, tanto che per evitarlo si dovevano continuamente inghiaiare (chi ha qualche anno ricorda i mucchi di ghiaia ai lati delle strade), in estate erano un inferno di polvere, vere e proprie nuvole che si sollevavano al passaggio dei veicoli (e chi era sorpassato mangiava, letteralmente, la polvere). Chi è nato dopo gli anni Cinquanta-Sessanta non ha di questi ricordi e impreca contro l'asfalto. Il fatto è che chi abita in città dà per scontati tutti i vantaggi della vita nella "giungla d'asfalto", si è dimenticato dei disagi della vita quotidiana del periodo precedente al "boom" economico, e anela alla Natura. Ma non sopporta la campagna "reale" (la polvere, il canto del gallo, le campane che suonano, gli insetti), vuole consumare una Natura a suo gusto e comodo: la passeggiata nel prato con il sole, senza caldo né freddo, né insetti. Vuole l'idillio, la strada campestre sterrata, senza polvere né fango, però, vuole le cose a sua misura, quando e come le desidera, vuole il presepe, per consumare un'impressione fugace ma, ben presto, gli verrebbe ad ubbia se dovese viverci realmente; vuole condannare che sta in montagna, nelle aree interne, a vivere nei presepi per poter godere di fugaci immersioni nel "pittoresco". Vuole anche sentirsi la coscienza ecologica a posto (sulla pelle degli altri).

Asfalto sacrilego viola un'area protetta?

Dopo aver chiarito che l'asfaltatura interesserebbe solo la metà del collegamento che si verrebbe a realizzare, chiarito che l'evocare lo spauracchio dell'asfalto è solo operazione ideologica, vediamo di capire come l'opera progettava inciderebbe sull'area protetta (ZPS Costa del palio). Quello che è evidente e che non parliamo di un'opera faraonica ma dell'adeguamento di un tracciato di 8 km che non può comportare impatti significativi: nessun taglio di versanti a forte pendenza, nessun disboscamento. Parliamo di un percorso stradale che raggiunge l'altitudine massima di 1360 restando tutto nell'ambito della bassa montagna. (i fattori di impatto sono rappresentati da pendenze, caratteri geomorfologici ma anche altitudini perché quanto più esse sono elevate, tanto più è breve la stagione vegetativa e il ripristino delle superfici a seguito di interventi).  L'ambiente è prevalente di pascoli e, in minor misura di superfici a copertura arborea di recente costituzione. Non solo di formazione spontanea (per cessazione delle attività di fienagione e pascolamento) ma anche artificiale, per piantumazione con specie di conifere estranee all'habitat (quindi suscettibili facilmente di danni biotici e abiotici): Abete rosso e Larice e Pinus nigra. L'ultima essenza che non è nuppure autoctona in Lombardia). Il Pinus nigra è molto suscettibile alla processionaria e la sua presenza favorisce lo sviluppo di incendi boschivi; il suo utilizzo ha rappresentato un grave errore.  Si tratta di una "foresta" (sic) che non presenta valori ecologici e paesaggistici. Per "arricchire" il valore naturalistico del sito, gli esperti naturalisti (vedi scheda ZPS Ersaf) decantano la "particolarità", della presenza - su terreni di natura carbonatica -, di Nardus stricta, una graminacea infestante dei pascoli (gli animali la consumano solo quando le lamine fogliari sono giovanissime perché, successivamente, si incrostano di silice e tagliano letteralmente la bocca). Ma quale particolarità! In passato era frequente che l'essenza infestante si sviluppasse anche sui suoli a reazione basica perché il sovrapascolamento determinava, con il massiccio apporto di deiezioni animali, l'acidificazione secondaria del terreno.

Un rudere alla Costa del Palio


Oggi la Costa del Palio fa parte del demanio regionale ed è gestita da Ersaf, ente (erede dell'Azienda delle Foreste regionale), un Ente che ha promosso l'istituzione di aree protette ovunque possibile. Per fortuna la Regione ha deciso di trasferire la proprietà degli alpeggi ai comuni.  I comuni cedettero negli anni Settanta il Palio all'Azienda delle Foreste che provvide a realizzare le piantagioni artificiali. Solo sul versante Nord (Morterone) vi sono formazioni di faggio con esemplari in alcuni casi maestosi (ma non si pensi a boschi d'alto fusto "naturali", erano le piante "matricine" dei cedui di un tempo, sfruttati per la produzione della carbonella).
La sommità del Palio è di pertinenza di un alpeggio che non ha precedenti storici: l'alpe di Valmana, creata da zero dall'Azienda delle Foreste. In passato i pascoli del Palio erano utilizzati dagli allevatori di Morterone, Brumano, Fuipiano e, persino, Vedeseta che salivano di giorno con il bestiame dalle cascine a quote più basse. Il grande Serpieri, nella sua grande inchiesta sui pascoli (Società agraria di Lombaria, Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini. Vol III, I pascoli alpini della provincia di Como, Milano, Premiata Tipografia Agraria, 1912) riferisce di come, giornalmente, da Morterone salisse qualche decina di proprietari di bestiame con ben 800 capi bovini, sorvegliati ciascuno dai propri proprietari “senza turno di custodia”, che, per abbeverarsi, dovevano spostarsi ad un’ora e mezza di cammino sotto le falde del Resegone (alla sorgente delle Forbesette) e che, alla sera, rientravano nelle piccole stalle del paese (dove dovevano venir foraggiati perché il pascolo era già stato "pelato"). Successivamente vennero realizzate le pozze d'abbeverata, la più grande è quella di Valmana. Al "laghetto" convergevano centinaia di animali ed era necessario organizzare i turni di abbeverata. Era un luogo di incontro (ma anche di scontro), dove i bovini "brulicavano", come precisa Arrigo Arrigoni, ex sindaco e storico di Vedeseta che, da bambino, negli anni Cinquanta, ebbe modo di fare il pastorello. Oggi, l'erba di giugno cresce alta come in pianura, grazie alle piogge e alla fertilità accumulata in un lungo periodo di sovrapascolamento. mentre in passato bestie brulicanti si contendevano il ciuffo d'erba. Oggi, se non sfalciata, matura senza essere consumata o è consumata tardi e non sufficientemente. Così la Costa si sta lentamente inarbustendo. La crisi delle aziende di montagna e un malinteso "criterio ecologico" che impone bassi carichi di bestiame stanno facendo scomparire - in nome dell'ambiente -  il paesaggio dei mammelloni erbosi, con l'erba mossa dal vento come onde del mare e i cento colori delle fioriture spontanee.


Il "laghetto" di abbeverata di Valmana, sullo sfondo l'alpe di Valmana in occasione di un evento festivo (tra quelli che si organizzano qui vi è la gara dei cani pastore)

Gli ambientalisti, come loro abitudine si appellano al fatto che questo largo crinale pascolivo tra la valle Imagna e Morterone (la Costa del Palio) è interessato a una ZPS (Zona di protezione speciale). Ma ZPS, per chi non lo sapesse, sono le zone di protezione della migrazione degli uccelli e la Costa del Palio, è uno dei tanti punti di passaggio sulle rotte migratorie. Ma non si sta parlando di pale eoliche, si sta parlando di una strada che sarà utilizzata più dalle due che dalle quattro ruote. Giocare (sfruttando l'ignoranza del pubblico) sull'evocazione della "sacra" area protetta senza spiegare che tipo di area sia una ZPS è strumentale e tipico del modus operandi ambientalista. I progetti che interessano le aree protette, ZPS comprese, sono sottoposti a procedura di valutazione di incidenza ecologica. Un conto è la valutazione degli impatti, un conto l'atteggiamento di chi grida, per principio, al "sacrilegio" appena si propongono degli interventi in aree interessate a qualche forma di protezione ambientale (spesso pretestuosa).


Impatto dell'utenza

È sbagliato fare i processi alle intenzioni. Nel nostro caso è sbagliato bocciare a priori un collegamento atteso da molto tempo, ci torneremo più avanti agitando lo spauracchio di orde barbariche che calerebbero da Nord o risalirebbero da Sud. La fruizione ricreativa e turistica della montagna, se ordinata, se non comporta impatti negativi, se prevede ricadute positive per i territori interessati tali anche da compensare eventuali aspetti negativi, rappresenta un valore sociale. Questo valore si incrementa se, in luogo di un turismo "mordi e fuggi" o "passa e vai" si promuove un turismo con ricadute positive sulla salute (sport all'aria aperta, attività fisica), sull'arricchimento culturale delle persone, sulla qualità della vita dei residenti (grazie alla disponibilità di nuovi servizi). Non si deve scoraggiare a priori né il turismo di prossimità, né le temute calate dei motociclisti dall'Europa centrale (che poi sono, spessissimo anche ciclisti). Si devono solo regolamentare gli accessi, i flussi, la sosta. Non sono poche le località che hanno vissuto l'assalto dei turisti "di casa" (della stessa provincia o di provincie vicine) quando, lo scorso anno, è terminato il lockdown e molti hanno legittimamente preso d'assalto alcune località delle nostre valli. Dalla bergamasca alla Valtellina ci sono state polemiche anche accese ed episodi spiacevoli. Quasi sempre evitabili con quelle regolamentazioni già applicate da diverse amministrazioni (vedi, solo in provincia di Bergamo, la strada d'accesso dei Piani dell'Avaro in alta val Brembana, la strada a pedaggio da Grosio a Eita, la strada da Pizzino a Capofoppa in val Taleggio, la strada comunale Plassa di Oltre il Colle-Arera). Strade e parcheggi di montagna a pagamento non sono una rarità. Tra Morterone e Brumano, come già ricordato, il pedaggio c'è già. In questo modo si possono controllare gli afflussi. Ovviamente con un idoneo sistema di pannelli di avviso collocati sulle strade di avvivinamento. Quanto alle preoccupazioni per la sosta, sarà la progettazione dei parcheggi (collocazione, ampiezza) e i controlli messi in atto a determinare eventuali impatti. Con queste premesse, considerate le caratteristiche del percorso e i flussi che già si registrano nell'area (Morterone, Colmine) si può tranquillamente prevedere che il flusso maggiore sarà quello delle due ruote, specie tenendo conto della crescita delle e-bike. Quanto alle ricadute positive, la strada rappresenta una grande opportunità. Gli elementi di interesse che possono attrarre il turista sono molti, valorizzandoli sarà possibile incentivare la domanda di forme di turismo (come quello culturale) che comportano ricadute positive maggiori per il territorio.


Un collegamento storico

Abbiamo considerato alcune obiezioni di tipo "ambientalista" e pare di poter facilmente concludere che i "contro" da questo punto di vista sono più di bandiera che di merito. Si devono ora considerare i "pro" in grado di giustificare l'impiego di risorse. Le voci che si sono levate a favore dell'opera hanno messo l'accento sul valore del collegamento storico. Non tanto nel senso di un'antica via di transito della quale si possono forse rintracciare i resti materiali, quanto di concreta possibilità di riallacciare relazioni storicamente strette tra comunità che, per lungo tempo, sono state in stretta relazione tra loro, esprimendo un'identità specifica. Si tratta di far riemerge, guardando al passato come stimolo per progettare insieme il futuro, quella comunità che esisteva e che la contemporaneità con le strade carrozzabili, i mezzi a motore, l'afferenza a istituzioni territoriali diverse, ha indebolito, quasi sciolto. Separata in due provincie e tre comunità montane l'area omogenea della testata della valle Imagna (con Brumano, Fuipiano e - almeno in parte - Corna), di Morterone, di Vedeseta e Taleggio cui apparteneva anche la comunità della Colmine di San Pietro (abitata solo da fine maggio a settembre) afferente alla parrocchia di Moggio (comune di Cremeno). Questo "nucleo", collocato nella porzione più elevata dei rispettivi territori) rappresentava anche un elemento di unione tra le tre valli. Appena saputo della notizia che il collegamento Brumano- Colmine delle tre valli"  era stato inserito nell'elenco delle 31 opere strategiche per la ripresa che il Consiglio regionale ha trasmesso, con l'invito a finanziarle, al governo regionale, Antonio Carminati, figura nota in valle Imagna (ma anche nelle valli vicine) quale strenuo difensore della cultura e dell' identità locale e promotore di iniziative di sviluppo legate al turismo culturale e all'accoglienza turistica ha dichiarato all'Eco di Bergamo (19 dicembre, vedi sotto):

Un'opera straordinaria, attesa da anni. Il riconoscimento di un'identità storico-culturale secolare che unisce tre vallate. Questi sono gli interventi di cui ha bisogno la montagna. Carminati ha poi scritto un lungo articolo sul suo blog. Il passaggio a Nord, da Brumano in direzione della Costa del Palio (valico situato a 1363 mt.), giace da anni nella fase di una lunga gestazione, poiché il processo di formazione dell’infrastruttura viaria è stato caratterizzato da una serie di parziali interventi, realizzati a distanza di tempo e caratterizzati dall’impiego di esigue risorse finanziarie. Il collegamento con la Valsassina e la Valle Taleggio è atteso da alcuni decenni e consente di perseguire diversi obiettivi. Ripristina innanzitutto la connessione storica intercorsa e consolidatasi nei secoli tra l’Alta Valle Imagna, la Valsassina orientale e la Valle Taleggio; non una relazione accidentale, ma essenziale e un tempo abituale, caratterizzata da legami e vincoli reciproci fondati sulla comune appartenenza alla medesima tradizione socio-economica e culturale. [...] L’opera si pone in sintonia con l’itinerario denominato “Strada dello stracchino e della pietra”, proposto dal Centro Studi Valle Imagna per sostenere iniziative di valorizzazione territoriale, animazione culturale e promozione dell’accoglienza nello spazio rurale, che si sviluppa proprio tra l’Alta Valle Imagna, la Valsassina e la Valle Taleggio.


Molto nette anche le dichiarazione di Alberto Mazzoleni, vice presidente Uncem Lombardia, già sindaco di Taleggio e presidente della Comunità Montana val Brembana (su valbrembanaweb.com):

I cultori del verde domenicale subito a dire che, ad esempio, la nuova strada prevista tra Fuipiano-Morterone-Valtaleggio è uno scempio. No, cari amici, è una risorsa per le Genti di montagna! Certo, va fatta bene, sistemando anche le strade di accesso e deve essere concertata con gli enti locali. Speso le strade di montagna e le agrosilvopastorali riprendono in chiave moderna un passato fatto di grandi sacrifici dei malghesi e dei bergamini che hanno lasciato a queste terre la loro vita, dando un futuro illuminato alle Genti di pianura, e che ora stavano vedendole divenire incolte e infrequentabili! Come Uncem siamo da sempre favorevoli alla realizzazione di collegamenti intervallivi, soprattutto se riprendono, migliorandoli, antichi percorsi. Questo ne è un chiaro esempio. O l’assioma è che in montagna si deve continuare ad andare a piedi e trasportare le merci coi muli e in pianura sfrecciare su mega autostrade, alta velocità… e realizzare qualche insediamento logistico, giusto per mitigare il consumo di suolo? Compensazioni a favore della montagna, mai?

Scontate le reazioni soliti ambientalisti, le cui osservazioni da bar (oggi da social) sono state riprese con assurda enfasi dal Corriere, (ma "ci sta" considerando che esprime interessi agli antipodi di quelli della montagna). A loro basta nella loro infinita spocchia sentire la parolina "asfalto" e hanno già capito tutto, così, in una frazione di secondo, senza valutare caratteristiche e finalità di un tracciato du cui si parla da decenni e di un collegamento, tra Morterone e la val Taleggio, atteso da oltre un secolo. Ritengono che Morterone sia un presepio da mantenere così, "incontaminato". Per queste "intelligenze" conta solo la Natura (costruzione sociale e dell'immaginario più che realtà concreta), non conta nulla la storia, la realtà sociale. La montagna per loro è Natura (la storia e la società sono categorie che perdono consistenza fuori dalle mura urbane per questo pensiero "evoluto"). Che la montagna abbia conosciuto industrie, commerci, transiti, evoluzione sociale, è per loro ignoto o inessenziale. La montagna, per gli ambientalisti, è fuori dalla storia, ma, in ogni caso - anche se fosse nella storia - vogliono farvela uscire, condannandola al rewilding.  Ma Morterone non è un presepio, non è quello che agli ambientalisti piace pensare. È un paese che aveva quasi 400 abitanti alla fine del Settecento e che, con vari su e giù, conservò questa consistenza demografica sino al periodo tra le due guerre mondiali, quando i bergamini transumanti si sono stanziati in modo definitivo in pianura o vi hanno comunque trasferito  la residenza. Da cui sono partite famiglie che hanno scalato la società lombarda sino ai gradini più alti (vedi oltre).



Al di là delle rituali reazioni degli ambientalisti, si registrano anche quelle di politici locali (vedi Ivan Todeschini, vice-sindaco di Sant'Omobono Imagna ( valbrembanaweb.com) che, oltre a storcere il naso per l'asfalto, si dichiarano scettici sulla base della considerazione che l'insieme della viabilità , specie quella di avvicinamento a Brumano, è in cattive o pessime condizioni.  Dal punto di vista tecnico si tratta di obiezioni che non tengono conto della destinazione dei fondi. Non è possibile, e i politici lo dovrebbero sapere, trasferire risorse per obiettivi di rilancio del'economia al riempimento delle buche. Seguendo questa logica non sarebbero mai state realizzate molte infrastrutture importanti. Il problema della carenza di fondi, per la manutenzione delle strade provinciali e per quelle di interesse prettamente locale, è legato alle sciagurate riforme che hanno tolto autonomia finanziaria ai comuni e che hanno lasciato in piedi a metà le provincie. Reagire a questo stato di cose, rinunciando all'opportunità di realizzare infrastrutture in grado di creare opportunità e di rilanciare tutto un comprensorio montano, è autolesionistico. Così come è autolesionistico il comportamento della provincia di Lecco che ha molto trascurato il tratto di "prealpina orobica" dal valico della Colmine al confine bergamasco. Pacifico che senza riqualificare questo collegamento il significato della nuova opera viene meno perché non realizzerebbe il collegamento con Vedeseta.  La strada provinciale dal passo al Bordeseglio (confine tra i comuni di Cremeno e Vedeseta e tra le provincie di lecco e di Bergamo) ha un calibro da "forestale stretta" (2,5 m), circostanza che rende difficoltoso il transito, anche pericoloso in assenza di protezioni a valle della carreggiata e in presenza di un intenso movimento di cicli e motocicli.

Un incidente a un ciclista sulla strada della Colmine


La strada deve essere allargata, messa in sicurezza (caduta massi, protezioni) probabilmente prevedendo anche un tratto in galleria. Lamentando assenza di fondi, la provincia trascura la manutenzione delle strade, una specie di "sciopero di protesta" esteso, assurdamente, anche al taglio della vegetazione ai lati della strada. Uno "sciopero" che, se interessa in modo particolare la strada che scende dalla Colmine ("periferia dell'impero" in quanto in val Taleggio) non risparmia altre strade di montagna. Per chiarire il senso della sua posizione, la provincia di Lecco ha abbassati il limite di velocità a 50 km all'ora sulle strade provinciali di montagna e, su tutta la Moggio - Confine bergamasco, nonché sulla Ballabio - Morterone (che ci interessa anch'essa direttamente) il limite è sceso a 30!



Va chiarito che Morterone non attende solo un collegamento a valenza turistica (il che sarebbe comunque importante perché aggiungerebbe un flusso turistico di transito a quello che perviene per la sola e difficile strada d'accesso). Morterone si aspetta un collegamento alternativo affidabile da poter percorre in caso di chiusura della strada della val Boazza. In modo da non restare isolata, circostanza che, in inverno - per via di slavine e frane -, avviene quasi tutti gli anni (anche per più di un periodo durante la stagione). Le caratteristiche del tracciato, che si inerpica con una lunga sequela di tourniquè, rendono difficile escludere queste eventualità. Aggiungasi le caratteristiche delle rocce, suscettibili alla penetrazione dell'acqua e all'azione del ghiaccio.



Valenze turistiche, valenze sociali

Chiarito che il collegamento Brumano - Colmine rappresenta per Morterone anche una possibilità di sviluppo legata alla disponibilità di alternative all'unico collegamento (non esente da criticità), vale la pena un richiamo alla già citata "Prealpina orobica" che, in corrispondenza della Colmine, si  raccorda con il nuovo collegamento.


La "Prealpina orobica" era nata con l'auspicio di collegare il lago di Como con quello di Garda, facendone una strada di interesse internazionale e una leva per promuovere il turismo di valli, ricche di storia, arte, cultura, paesaggi ma, nel tempo, "snobbate" dai lombardi (dopo le fasi del turismo pionieristico di inizio Novecento), a favore di destinazioni più lontane. Era anche l'espressione di un'intelligenza strategica che coglieva, nell'attualizzazione dei collegamenti trasversali intervallivi di un tempo, un modo di rivitalizzare la montagna. Un modo di contrastare l'assoluta prevalenza che, in età contemporanea - specie con la motorizzazione - hanno assunto i collegamenti lungo i fondivalle. Questo modello di rete viaria ha favorito il pendolarismo, le code dei week-end, la montagna mordi e fuggi, la montagna appendice della città, gravitante solo sui fondivalle, sui capoluoghi. A livello microterritoriale, la viabilità realizzata tra Otto e Novecento ha comportato una marginalizzazione della montagna. Non sono stati penalizzati solo gli intinerari minori transalpini, che collegavano valli abitate da genti con la stessa cultura poi separate, in epoca moderna, dai confini di stati nazionali diversi , ma sono stati penalizzati anche i tanti, consolidati percorsi (e relazioni) intervallive. Pensiamo all'importanza dei percorsi che valicavano le Orobie, ai collegamenti (ora solo pedonali) che tenevano unita l'alta val Seriana alla val di Scalve, ai collegamenti tra val Brembana e val Seriana. Grazie alla disponibilità dei mezzi moderni (dinamite, martelli pneumatici, macchine operatrici) e alla facilità di realizzare ponti e gallerie si sono superati i limiti di opere realizzate con il solo piccone e si sono aperti tracciati di fondovalle un tempo impraticabili (per via delle gole) realizzando gravitazioni e contatti un tempo impossibili. Ma tutte queste energie sono state indirizzate in modo unilaterale ai collegamenti lungo i solchi vallivi, un modo di stabilire relazioni centro-periferia, un modo per creare anche dipendenza economica, sfruttamento di risorse, controllo politico, burocratico, militare dei territori. Un modo per non far dialogare le montagne tra loro e indebolirle.


Prima della generalizzazione delle reti di strade carrozzabili e della motorizzazione lo svantaggio della montagna era minore. Tutti si muovevano a piedi, il mulo era il mezzo di trasporto merci maggiormente utilizzato. Le rare strade carrozzabili (come la via Priula) consentivano trasporti più economici ma la differenza di costi tra il carriaggio e il someggio era ben diversa di quella che si impose poi come differenza tra camion e mulo. Le mulattiere (o, meglio, le "strade cavalcatorie", in lingua locale caalere), erano larghe 2 m (per consentire il passaggio di due muli con i basti) e, dove la pendenza era forte, erano gradinate. Questo tipo di infrastruttura, con i suoi limiti, superava i crinali, passava di valle in valle consentendo percorsi quasi "in linea d'aria". Muoversi in direzione di una valle vicina non era più difficile di spostarsi lungo i solchi vallivi, anzi; questi ultimi, infatti, erano spesso impraticabili sia per la presenza di gole che per l'esondazione dei corsi d'acqua, e le mulattiere dovevano restare alte, a metà versante (dove si trovavano spesso anche i centri abitati). Se, oggi, con la larga disponibilità di mezzi meccanici, è possibile realizzare collegamenti intervallivi che consentano il passaggio di autoveicoli perché, verificati i costi e i benefici, non investire anche in questa direzione? Non si sta affatto sostenendo di costruire strade ovunque ma là dove, riattualizzando collegamenti già esistenti, consentendo a comunità vicine (ma divenute in tempi recenti estranee), di incontrarsi, di discutere i problemi comuni, di progettare insieme, si possono ottenere benefici sociali. Questi ultimi non sono solo quelli facilmente individuabili: la riduzione dell'isolamento, il migliore accesso ai servizi, la più agevole manutenzione di opere pubbliche e del patrimonio privato, il transito più agevole dei mezzi agricoli e forestali ai fini. La strada va vista come un investimento che va a beneficio del capitale sociale, del rafforzamento delle comunità, grazie alle relazioni (ri) attivate, prima di tutto con i vicini.


Occasioni strategiche per un turismo "da scegliere" e non da subire

Come si inserisce la prospettiva turistica? Abbiamo già visto come è strumentale evocare, nel caso del collegamento Brumano-Colmine di San Pietro, le orde di turisti devastatori e come non mancano gli strumenti per regolamentare il flusso. Molto più importante, però, è attirare il turista "giusto". La prealpina orobica aveva dietro una visione, l'opportunità non è stata colta forse anche per circostanze storiche. Oggi il turismo di prossimità non è più un turismo di serie B, ma un turismo di consapevolezza. Il lockdown ha consentito a molti lombardi di accorgersi che molte mete a portata di mano possono soddisfare le loro esigenze turistiche. L'idea che ciò che si trova lontano è più interessante è in declino anche senza virus, senza terrorismo, senza complessi di colpa ecologici per le emissioni di un viaggio aereo. Bergamo è una riconosciuta capitale della gastronomia (insieme alle valli orobiche) e i nuovi flussi turistici sono legati all'aereoporto di Orio, a reti di viabilità ciclabile in connessione con gli itinerari che collegano le nostre Alpi al centro Europa. Nell'ambito di questa grande domanda turistica sia "interna" che "da fuori" è possibile, con opportune iniziative (stumenti di visita, strutture di accoglienza, allestimenti interattivi, percorsi a tema) selezionare il turista. Morterone, ma non solo, con il suo patrimonio di edilizia rurale, con un mix di recupero e di realizzazione di strutture ex novo (come previsto dal PGT)  può offrire formule interessantissime di ospitalità. La pionieristica esperienza del bait&breakfast di Taleggio (della quale andrebbe incoraggiata la generalizzazioneanche attraverso adeguamenti alla normativa vigente sull'albergo diffuso) apre la strada alla proposta di formule di agriturismo e B&B su misura per il pregevole patrimonio di architettura rurale dell'area unita da nuovo collegamento (proposta altretattanto affascinanti di quelle dei trulli di Alberobello, dei sassi di Matera). Nell'ambito di questo grande patrimonio di edilizia rurale non è difficile individuare anche strutture con finalità didattico-museali e le esperienze positive di Cà Berizzi e dell'Antica locanda Roncaglia a Corna Imagna sono lì a dimostrarlo. La valle Imagna, con la progettualità del Centro Studi, che hanno coniugato, recupero di fabbricati pregevoli con attività culturali e di ospitalità turistica (oltre Cà Berizzi e la Roncaglia ci sono anche progetti di valorizzazione culturale che interessano Arnosto di Fuipiano a 2,4 km dall'inizio del nuovo collegamento per Morterone), è lì a testimoniare che non stiamo parlando di un collegamento stradale fine a sé stesso ma di un'opera attesa, indispensabile perché le idee e i progetti avviati possano avanzare. Il potenziamento dell'ospitalità alla Colmine, il recupero delle casere storiche di Maggio, esempio ineguagliabile di archeologia industriale casearia (dove scendevano dalla Colmine, lungo l'antico percorso, le carovane dei mulattieri con gli stacchini da stagionare), sono tasselli di un grande progetto di valorizzazione del comprensorio valle Imagna, Valsassina, Valtaleggio quale ineguagliabile "parco culturale caseario e della transumanza".  Al di là delle emergenze collocate lungo la "Strada delle transumanza bergamina", il collegamento Brumano- Colmine consente di intraprendere una serie di percorsi pedonali e ciclistici che portano a luoghi quali contrade, alpeggi, sentieri che sono legati alla storia della transumanza oltre a presentare anche altri elementi di interesse storico e valenze paesaggistiche e naturalistiche.

Le basi storiche, il lavoro culturale fin qui svolto

Il tematismo che motiva la realizzazione del collegamento, quale strada di grande interesse storico-culturale, presenta, a suo supporto, un lavoro di ormai diversi anni.  Nel 2007, il Centro Studi Valle Imagna pubblicò un volume importante: A. Carminati, C. Locatelli (a cura di) Morterone. Sedici racconti di vita contadina sulle pendici del Resegone.


Importante non solo per le sue 750 pagine e per la minuziosa ricostruzione (attraverso la memoria orale), della storia recente di una comunità ma perché permise di comprendere come la storia di Morterone poteva essere compresa solo attraverso la chiave del fenomeno della transumanza dei bergamini e strettamente legata a quella dei paesi vicini della val Taleggio e della valle Imagna.  A. Carminati, C. Locatelli (a cura di) Bergamini. Ventun racconti di vita contadina in Val Taleggio. Le due opere su Morterone e sulla val Taleggio hanno stimolato un filone di studi e di ricerche. Nel 2014 è stato pubblicato (sempre dal Centro Studi Valle Imagna) il mio lavoro: La civiltà dei bergamini. Un'eredità misconosciuta. La tribù lombarda dei malghesi tra la montagna e la pianura dal quattordicesimo al ventesimo secolo che ha rappresentato il primo lavoro di sintesi sull'argomento. Nel 2015 la serie delle testimonianze di vita bergamina è proseguita con il volume (a cura di A. Carminati e M. Vitali) Bergamini, vacche e stracchini. Ventiquattro racconti di malghesi, lattai e fittavoli dalla Valle Taleggio alle cascine di Gorgonzola e dintorni. Nel 2015 è stato pubblicato anche il volume di M. Corti, G. Camozzini, P. Buzzoni: Zootecnia a caseificio. Tradizioni da leggenda in Valsassina (Editore Bellavite, Missagli) Di recente, novembre 2021,  è stato pubblicato (Edizioni festivalpastoralismo) il volume di Natale Arioli: Bergaminus vagabundus. La transumanza bovina tra le valli bergamasche e la Bassa (XIV-XIX secolo). Per FrancoAngeli (Milano), è in corso di pubblicazione il volume collettivo (a cura di C. Besana, M. Corti, R. Ferlinghetti)  Tra montagne e pianure. Transumanza e allevamento bovino sulle Alpi (XIV-XXI secolo) che contiene ben cinque contributi riferibili alla transumanza dei bergamini. Parallelamente a questo lavoro di ricerca ed editoriale, il Festival del pastoralismo di Bergamo ha organizzato convegni e mostre sul tema della transumanza dei bergamini e due rievocazioni storiche, con il cammino di una mandria bovina con carri e cavalli da Bergamo a Gorgonzola (2020) e da Bergamo a Lodi vecchio (2021). Da segnalare anche, nell'ambito del risonoscimento Unesco per le Cheese valley, la pubblicazione (bilingue anche in inglese) Le valli dei formaggi. La culla dell'arte casearia nelle valli orobiche (ITKI, 2020).  Sulla transumanza dei bergamini si veda anche  M. Corti, I 'bergamini': un profilo della transumanza bovina lombarda in La transumanza tra storia e presente (a cura di M. Corti), Edizioni Festivalpastoralismo, Bergamo, 2019, pp. 95-144 (PDF).  Sul tema delle vie dei formaggi orobici sono stati pubblicati anche altri saggi: M. Corti,  Sulle vie dei formaggi “Principi delle Orobie”.  Appunti per un progetto di valorizzazione multifunzionale del territorio alle falde del “Tre Signori” in chiave Expo 2015, in "Quaderni Brembani", 12 (2013) pp. 149-164 ( PDF).  Sulle vie della pietra e dello stracchino (proposta progettuale del Centro Studi Valle Imagna) si veda il lavoro di Marisa Malvasi, Respirando l’atmosfera del passato. La “Strada dello stracchino e della pietra”. in "Documenti geografici", 2018, 1, pp. 89-125 (PDF)

Nei pressi del confine tra la Colmine e Morterone (provenendo da Musciada, contrada della Colmine) si incontra questo grande fabbricato, di certo con qualche secolo di storia denunciati dalla porta ad arco e dai grossi conci. Una vecchia postazione di confine?



Qualche elemento storico anche sul collegamento

Gli studi che abbiamo citato sono basati su testimonianze orali, documenti d'archivio, lavori a stampa. Un insieme di documentazione che mette in evidenza l'importanza quali via di transumanza e di trasporto delle produzioni casearie della Colmine di San Pietro e del Palio.  La maggior parte dei bergamini transumanti di Morterone scendeva, attraverso il Palio, a Fuipiano e, di qui, lungo la valle (la tappa "fissa" era a Ponte Giurino dove vi era uno stallazzo in grado di ospitare le mandrie in transito). I bergamini che si dirigevano a Milano o a Ovest di Milano scendevano però in Valsassina e a Lecco. 



Nel mappale del Catasto Lombardo Veneto del comune di Cassina è indicata una strada consorziale (con Morterone) della Colmine. Tale strada collegava la Colmine con Olino dove proseguiva sulla rete di strade comunali di Morterone (la chiesa di San Pietro, riconoscibile per l'abside, è sul territorio di Cremeno).

Non sono invece molte le notizie circa il ruolo che ebbe questa direttrice quale tratta commerciale. Una certa importanza quale via di collegamento tra Bergamo e la Valsassina il percorso attraverso il Palio e la Colmine lo ebbe probabilmente nel medioevo quale "via del ferro", quando la Valsassina, in anticipo rispetto alle valli bergamasche, sviluppò importanti attività metallurgiche. Anche la valle Imagna, che vide fiorire l'industria della lana (con il "panno valdimagnino") ebbe un ruolo nei commerci ma non sappiamo se prendessero anche la direzione Nord. Un fatto certo è che, in quest'area, come in tutta la Valsassina, la lavorazione del ferro era ancora attiva nell'Ottocento. A Brumano, come in altre località, cessate le produzioni più pregiate, si producevano chiodi che venivano portati a spalla direttamente a Lecco.  Nella seconda metà dell'Ottocento le strade carrozzabili iniziarono a collegare i centri montani ai fondivalle. L'attesa della realizzazione di collegamenti stradali per Brumano, Fuipiano, Morterone fu però molto lunga.  Qualcuno potrebbe pensare che il collegamento tra valle Imagna, val Taleggio e Valsassina rappresenti qualcosa di inedito, di stravagante. Che in passato queste località "da presepio" non potessero neppure ambire a una strada carrozzabile. Invece è dall'inizio del secolo scorso che si discute di tracciati per collegare Morterone, ma anche le valli di cui stiamo discorrendo, tra loro. La parte lecchese ha sostenuto, sino agli anni Quaranta, l'idea di un collegamento Lecco - Morterone - Vedeseta. Il tracciato previsto non avrebbe dovuto transitare per la Colmine  ma unire più direttamente Morterone a Vedeseta arrivando alla frazione di Lavina.  La parte bergamasca, invece, sosteneva il tracciato che si sarebbe poi realizzato alla fine degli anni Settanta, ovvero quello che transita per la Colmine scendendo a Moggio.  Per tutto il periodo tra le due guerre i due progetti concorrenti vennero discussi e caldeggiati rispettivamente dalla Rivista di Lecco e dalla Rivista di Bergamo. Nel 1947 si costituì un consorzio tra comuni per la realizzazione della Ballabio - Morterone - Vedeseta.  Ma, quando non c'è accordo le occasioni sfumano (un ammonimento che suona attualissimo!). Alla fine, pur di risolvere almeno il problema del collegamento di Morterone, negli anni Cinquanta. venne realizzata la strada attuale che, risalendo la val Boazza, collegava Ballabio a Morterone attraverso la Forcella di Olino.  La strada arrivò a Morterone Centro, la frazione più vicina alla chiesa e alla casa comunale (che restano comunque staccate) nel 1963. Nel 1959 la carrozzabile arrivava, finalmente anche a Brumano. Dopo un secolo da quando la carrozzabile era arrivata a Sant'Omobono, il centro del fondovalle.



 Un'area molto omogenea (a dispetto della divisione in tre comunità montane e due provincie)

A battersi per la strada fu soprattutto don Piero Arrigoni (sopra), un vedesetese che avrebbe preferito collegare Morterone con Vedeseta, non per campanilismo ma consapevole che le relazioni dei Morteronesi erano, per ragioni di distanza e di difficoltà dei tracciati, più strette con il paese della val Taleggio  che appartenne allo Stato di Milano sino a Napoleone all'arcidiocesi di Milano sino al 1995 e che resta di rito ambrosiano, quindi per diversi versi omogeneo a Morterone e per molto tempo entro gli stessi confini. Se aggiungiamo che anche Brumano ha conosciuto lo stesso percorso civile e religioso ci accorgiamo che quest'area a cavallo di tre valli, posta alla testata della val Taleggio e della valle Imagna, rappresenta, in realtà, un territorio diviso in tre comunità montane e due provincie ma molto omogeneo, basato sull'antica unità di massiccio che univa le comunità alle testate delle valli sui diversi versanti. Se Brumano e Vedeseta sono stati a lungo milanesi, Morterone, che pur essendo in val Taleggio è sempre appartenuto, politicamente, alla Valsassina conferma anch'esso il carattere di anomalia rispetto alla concezione della rigida coincidenza di appartenenze politiche, geografiche e religiose; un'idea illuministica (messa applicata in grande stile da Napoleone) che si era però già imposta proprio nell'area di cui stiamo trattando, sin dal Settecento, quando Giuseppe II volle che le parrocchie dell'alta val Brembana e Taleggio, già della chiesa di Milano, passassero sotto il vescovo di Bergamo. Era già un primo "giro" di "normalizzazione".  Fatto sta che le relazioni continuarono anche quando Morterone si trovò in una provincia e Brumano e Vedeseta, con le quali era stato sempre unito, dall'altra. Da Morterone, a dorso di mulo, gli stracchini freschi, venivano portati a piccoli stagionatori di Vedeseta. In quest'ultima località erano un tempo numerosi i Manzoni e gli Invernizzi, provenienti da Morterone. Ancora più numerosi erano (e sono) a Brumano e a Ballabio, altri centri confinanti con Morterone.  I Locatelli, dalla valle Imagna, si erano spostati in Valsassina e in val Taleggio. Anche i Valsecchi, dalla valle Imagna, e gli Arrigoni, da Vedeseta, si spostarono in Valsassina. Gli Invernizzi, da Morterone, si sono sparsi a Ballabio e negli altri centri della Valsassina ma anche in valle Imagna. Movimenti avvenuti nel tempo, che hanno a che fare con motivazioni economiche ma anche politiche (si pensi alle lotte tra guelfi e ghibellini e all'affermazione del dominio veneto, dal 1428, che spinse i ghibellini, a volte espropriati ed esiliati, a spostarsi sui territori rimasti milanesi. Un'osmosi analoga si trova, sempre lungo la dorsale orobica occidentale (lecchese) più a Nord, con la presenza di cognomi distribuiti sui versanti valsassinese, brembano e valtellinese in funzione di interessi economici (commerci, alpeggi, miniere) sui quali si sovrappose qui la tripartizione politica (oltre a Milano e Venezia c'erano i Grigioni a controllare la Valtellina a Nord). Viene da dire che i confini politici, stimolando la distribuzione di famiglie con interessi economici rilevanti su entrambi i lati e incentivando, attraverso il contrabbando, i traffici, hanno rappresentato elementi di unione più che di separazione (specie in presenza di omogeneità etnico-culturale). Ciò, almeno, sino al consolidamente degli stati nazionali nel XIX secolo.


Un'immagine di Morterone quando i prati erano ancora tutti falciati


Morterone: al centro di tutto

Tra le tante contrade di Morterone, Frasnida, hanno mantenuto le caratteristiche dell'architettura  di questo angolo di Orobie. Alcune sono più grandi, altre sembrano case di hobbit.



In qualche modo siamo in una "terra di mezzo", una specie di terra di nessuno, nascosta, tra l'area milanese/valsassinese e quella bergamasca.  Vista, però, non da punto di vista degli stati (o delle provincie che ne hanno ereditato una forma di geloso esclusivismo) ma da quello "del monte", della "terra alta", questa terra era (è), invece, un "centro".  Il centro della "civiltà dei bergamini".  Morterone ha un etimo abbastanza trasparente:  murteer è il mortaio e murterun/murterù è un grande mortaio, se si preferisce in calderone.  Morterone è indubbiamente il punto di incontro e di snodo di quella realtà omogenea dove confluiscono Valsassina, valle Imagna, val Taleggio. Morteron, per certi versi, è parte della valle Imagna (dalla quale è separata - o unita? - da un largo crinale, a soli 1300 m). La frazione Palio, oltretutto, rappresenta un lembo di territorio di Morterone che si incunea oltre la Costa del Palio, in valle Imagna. Morterone è parte della val Taleggio per via della geografia anche se la sua conca, collocata alla testata, sotto il monte Serrada (Resegùn, grande sega per via delle punte che, in lontananza, sembrano denti di una sega da boscaiolo) è separata dal resto della valle da un diaframma di dura Dolomia attraverso il quale si apre la via, in una stretta gola, l'Enna. Morterone è parte della Valsassina perché sempre ad essa legata politicamente.

Quando la strada della val Boazza era ancora in costruzione e si doveva trasbordare la merce sui muli

Quello che unisce la val Taleggio (con Morterone lecchese e valsassinese) all'alta valle Imagna è la "civiltà della pietra e dello stracchino". La "civiltà dello stracchino" ricomprende il fenomeno della transumanza bovina, transumanza di allevatori-casari che si muovevano da queste terre, vero epicentro del fenomeno, per svernare alla Bassa ricca di fieni. La transumanza dei bergamini (gli allevatori/casari che si spostavano tra valli e pianura) portava i montanari non solo nella bassa Lombardia ma anche nel vicino Piemonte ed Emilia, sulle vaste pianure padane. Alla transumanza bovina, durata dalla fine del Trecento alla fine del Novecento, è legato lo sviluppo della moderna zootecnia da latte, la nascita del caseificio e del salumificio industriale agli inizi del Novecento. Una delle principali imprese casearie italiani, la Invernizzi di Melzo, prese le mosse da "lattai" che si erano fissati in pianura, nella zona della Martesana, e che appartenevano a una delle tante famiglie Invernizzi che praticavano la transumanza provenendo da Morterone. Tra gli altri nomi del caseificio lombardo figurano i Galbani (da Baiedo in Valsassina), i Locatelli, da Ballabio, gli Arrigoni da Vedeseta. A Novara, ai primi del Novecento gli intestatari dei caseifici erano, in ordine di numerosità: Invernizzi, Ticozzi e Ticozzelli (da Pasturo), Arrigoni (e Arrigone), Galbani, Annovazzi (originari di Valtorta si spostarono poi in Valsassina alla fine del Cinquecento); a Milano (con Lodi) negli anni Trenta dello stesso secol0, Invernizzi, Locatelli, Vitali (da Pizzino di Taleggio), Manzoni (e Manzone), Ticozzi (e Ticozzelli). Tra i personaggi più illustri che sono originati dalla storia della transumanza e da queste terre vi sono Egidio Galbani, il grande capitano d'industria, l'innovatore che diede un'impronta all'industria casearia italiana, Umberto Locatelli, industriale, senatore del regno, figura di benefattore a Lecco,Romeo Invernizzi, di famiglia discendente da Morterone che , sia nella sontuosità delle dimore che nella generosità dei lasciti all'Ospedale maggiore, arrivò a emulare la più ricca aristocrazia milanese.

Parco di Palazzo Invernizzi nel centro di Milano

Morterone, al centro di reti di percorsi e ralazioni, ribalta l'idea dell'isolamento valligiano, un'idea che retroproietta nel passato l'isolamento, la marginalizzazione che si sono affermate sono in età contemporanea come portato, ma su questo punto avremo modo di tornare, sull'evoluzione della rete stradale, oltre che sugli sviluppi istituzionali.  Va anche sottolineato che la "fusione", la circolazione di ceppi famigliari tra le valli fu anche il frutto di unioni matrimoniali combinate in pianura per via della transumanza e che la storia della montagna, come quella della pianura, qui, ma anche altrove si possono leggere solo nella loro relazione reciproca.


La Chiesa della Colmine in occasione della festa di San Pietro

Morterone e la Colmine di San Pietro (comune di Cassina Valsassina e comune di Cremeno), rappresentano il nocciolo del fenomeno della transumanza "dei bergamini".  La Colmine, con le sue borgate sparse sul territorio, era abitata solo da bergamini. Nella cappelletta-cimitero e murate sui miri della chiesa, le lapidi ricordano come gli abitanti della Colmine vivessero tra qui e la pianura (spesso nei paesi a Est di Milano).


[La Colmine] È posta su un colle a metri 1340. È abitata unicamente da famiglie malghesi le quali vivono in diverse cassine sparse in mezzo a ubertosi pascoli, a guisa degli antichi Celti. La popolazione ascende a 180 anime e al venir dell’inverno discende con le sue numerose mandrie nella bassa Lombardia. Anche il Curato abbandona la sua residenza estiva, per risalirvi coi parrocchiani verso la fine di Maggio  C. Gianola, Memorie storico religiose della Valsassina, Milano, 1895, p.93-98

Per secoli quella delle Colmine funzionò da parrocchia stagionale, una parrocchia "transumante", in quanto il titolare scendeva in pianura con i bergamini e risaliva a maggio.  La chiesa di San Pietro alla Colmine fu edificata nel XVI secolo dove esisteva un antica rocca; nel 1649 divenne parrocchia, soppressa definitivamente nel 1973 e aggregata alla parrocchia di Maggio in Valsassina. Se alla Colmine tutti erano bergamini transumanti, a Morterone lo era la gran parte delle famiglie. I bergamini erano maggioritari anche a Fuipiano, sebbene non in modo netto come a Morterone, a Brumano lo era il 30% della popolazione. Parecchi ma minoritari erano i bergamini nei centri alle quote più basse. In val Taleggio prevalevano solo in alcune delle frazioni (Avolasio di Vedeseta, Pizzino di Taleggio) dove abitavano nelle contrade collocate sopra i centri abitati.  Se Morterone è un centro geografico di interconnessione tra le valli, la Colmine di San Pietro, il valico tra Valsassina e val Taleggio, ha rappresentato un centro religioso e commerciale. Grande era l'importanza della festa di giugno dei SS. Pietro e Paolo. Allora confluiva gente che saliva sin da Lecco a piedi. Tra i numerosi bergamini presenti, ivi confluiti dai vari alpeggi della Valsassina e della val Taleggio, e i commercianti (neguziànt) si stabiliva il prezzo di vendita degli stracchini che sarebbe restato valido per tutta la stagione alpestre. I commercianti, poi, durante l'estate, inviavano sugli alpeggi le carovane di muli che, dalla Colmine, scendendo lungo la strada (mulattiera) omonima, portavano gli stracchini ("tondi" e "quadri"  sino alle casere di stagionatura di Maggio, realizzate alla fine dell'Ottocento.


La carta topografica di epoca Lombardo-Veneta (sopra) mette in evidenza il tracciato tra la Colmine e Balisio che passava dalla zona dove poi sorsero le casere. Un flusso minore si dirigeva verso piccoli stagionatori della val Taleggio (osti, piccoli commercianti). Il valico della Colmine, che oggi ha interesse quasi esclusivamente turistico, ha rappresentato un itinerario importante per i collegamenti della val Taleggio e i commerci locali sino al 1910, quando venne realizzata dalla Società Gas e Elettricità di Lecco la strada dell'Orrido che collega Taleggio con San Giovanni Bianco. Per secoli la Colmine ha collegato la porzione milanese della val Taleggio con il resto dello stato. I bergamini transumanti (sia di vedeseta che di Taleggio), prima dell'apertura dell'Orrido, potevano scegliere se passare in val Brembilla, attraverso la forcella della Büra o in Valsassina, attraverso la Colmine. Tutt'oggi in confine tra le provincie di Bergamo e di Lecco, come in antico, non segue il crinale ma le acque e il territorio di Cremeno (comune lecchese della Valsassina) "scollina" oltre la Colmine sino al solco dell'Enna (a Sud) ed è delimitato a Est dal solco del torrente Bordeseglio (che confluisce nell'Enna).


Le grandi casere Locatelli di Maggio. Sorsero negli ultimi anni dell'Ottocento come Casere Rigat, dal nome di una ditta di Torino (Pietro Rigat). Successivamente, prima della grande guerra, vennero cedute alla Mattia Locatelli. Il legame con la Rigat consentì alla Locatelli di insediare in Piemonte i primi caseifici industriali. Il complesso, oggi in stato di conservazione cattivo, rappresenta un esempio unico al mondo. I fabbricati presentano diversi livelli interrati dove, dalla roccia, soffiano le correnti di aria fredda. Un laghetto provvede alla produzione del ghiaccio, conservato poi nell'estate sotto una collinetta artificiale coperta di alberi.


Un esempio di tetto con accentuata pendenza. In questi piccoli edifici che richiamano un mondo perduto, il recupero dello spazio sottotetto consente di realizzare degli ambienti molto suggestivi. Proporre a un turismo internazionale forme originali di ospitalità (il bait & breakfast), abbinate a proposte di enogastronomia e attività culturali può rappresentare un'offerta molto accattivante


Civiltà della pietra

"Vie della pietra e degli stracchini" ha chiamato il centro Studi valle Imagna gli itinerari culturali nell'area (sotto). Questi itinerari si collegano con quelli che più a Nord, seguendo la DOL (Dorsale orobica lecchese) sono stati proposti come "Vie del latte" (Comunità Montana Valsassina) o "Vie del ferro e del bitto" (vedasi il già citato lavoro del sottoscritto, Sulle vie dei formaggi “Principi delle Orobie”.  Appunti per un progetto di valorizzazione multifunzionale del territorio alle falde del “Tre Signori” in chiave Expo 2015.



Se la realtà casearia assurse in zona a un livello ineguagliabile, si può ben sostenere che anche l'arte muraria e, soprattutto, di realizzazione delle coperture, ha assunto qui una notevole perfezione. Il modo di costruire e, soprattutto, di realizzare le coperture, sovrapponendo le piccole e spesso piöde, è legato alla compatta pietra carbonatica locale, che si spacca facilmente ma mantiene il forte spessore della stratificazione originale della roccia. Ne consegue che, con l'uso delle piöde si realizzano coperture dalla pendenza accentuata e molto pesanti, del tutto diverse da quelle utilizzate per le coperture con le più comuni ardesie. Le costruzioni valdimagnine e valtaleggine sono espressione di un'elaborata arte di picaprìda/picaprèia. Un'arte che non si è del tutto persa.



L'inclinazione accentuata delle falde dei tetti è la stessa delle vecchie coperture in paglia di segale (leggere ma a forte rischio di incendio). L'uso della paglia, che metteva a rischio gli uomini e le bestie ricoverate nelle stalle, è regredito a partire dal Settecento. Ma in immagini di inizio Novecento si possono vedere ancora delle stalle-fienile con la copertura in paglia (sotto a sinistra).


Un elemento caratteristico, che è assurto a valore emblematico dell'architettura rurale delle nostre "Trevalli", è anche l'apertura che consente l'accesso ai fienili. Molto stretta in basso, per consentire il passaggio solo alle gambe di una persona, lapertura si allarga in alto per consentire il passaggio con la capiente gerla e il carico del fienile. Stilizzata, l'apertura dei fienili a T è diventata il logo del Centro Studi Valle Imagna. Una bandiera, di un territorio, di una cultura che, in qualche modo, cercano di trovare il loro ruolo anche oggi. Che manifestano con un certo orgoglio la loro identità e la vogliono affermare anche progettando sviluppo, rifiutandosi si richiudersi su sé stesse, accettando fatalisticamente il declino in balia degli accadimenti esterni.


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Montagna accessibile per contrastare l'abbandono

(26/10/2020)In passato, la realizzazione di strade in alta montagna si è prestata a critiche: opere realizzate con caratteristiche non congrue con l'ambiente alpino e le reali necessità delle attività silvo-pastorali, interventi eseguiti laddove non vi era possibilità di recupero degli alpeggi. Oggi, però, la realizzazione di strade di accesso alle alpi pascolive che ne sono ancora prive, va valutata positivamente anche dal punto di vista ambientale. Le regole sul transito sono infatti diventate rigorose e la rete delle piste solvo-pastorali favorisce un turismo "dolce" (escursionisti, biker, equiturismo). Ciò che ancor più conta, il mantenimento della pratica alpicolturale produce servizi ecosistemici importanti. Dalla val Maira un esempio virtuoso di rilancio di un alpeggio a vantaggio della comunità degli allevatori locali..