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"Pensieri di ritorno da Vernazza"

 

I nostri vecchi temevano l’ acqua più di ogni altra cosa. Più del fuoco, della siccità, del vento, delle malattie.Per questo hanno impiegato la loro esistenza nel tentativo di governarne il deflusso, i percorsi. Così, ogni pietra posata, ogni muretto, ogni zolla di terra venivano finalizzati a quello scopo. La salvaguardia dei coltivi, il rallentamento della corsa dell’ acqua diventavano funzionali alla sicurezza degli abitati sottostanti.
Vernazza à uno degli esempi più evidenti di questo compromesso dinamico, un miracolo costruito sulla pelle di intere generazioni di uomini e donne consapevoli, nella limitatezza delle loro conoscenze generali, della precarietà di quell’ equilibrio.
Quelle stesse pietre, quella stessa terra fertile, trasportata nelle corbe e nei corbini per secoli da valle a monte sulle schiene e sulla testa dei nostri vecchi, sono, in pochi attimi, precipitate in mare vanificando insieme al senso stesso della loro esistenza quello di un ‘ intera comunità.
Ricordo il filo conduttore di una vecchia intervista dell’ ex Presidente-Faraone del Parco, in cui, a proposito dell’ assetto idrogeologico delle 5 Terre, sosteneva come le simulazioni di laboratorio dimostrassero epiloghi apocalittici a seguito dell’ abbandono dei coltivi e del degrado dei terrazzamenti.
Ora che quell’ epilogo si è concretizzato, viene spontaneo domandarsi il senso di quegli esperimenti.
A che serve patrocinare dei costosi studi, organizzare progettazioni fantastiche, senza far conseguire loro dei fatti concreti e strutturali?
Infatti, l’ acqua ha continuato ad insinuarsi nelle microfrane dei muretti crollati, nelle devastazioni dei cinghiali e degli incendi, preparandosi pazientemente la strada negli incolti fino al gran colpo di mano di questi terribili momenti.
Mi viene naturale pensare allo stridente contrasto tra le risorse, le pietre, la manodopera, la tecnologia impiegata nel delirante progetto di incentivare l’accesso automobilistico alle 5 Terre, tramite lo stradone da Montale e l’ ampliamento della litoranea, rapportandolo all’ esiguità di quello impiegato nella tutela del territorio e a sostegno della produzione agricola.
Penso al beffardo contrappasso dantesco che ha portato in mare centinaia di automobili, in un contesto generale che vede la presenza ossessiva dell’ auto in ogni aspetto della quotidianità.
Mi preoccupa, nelle parole dei politici, l’ idea che sta passando tra il serio e il faceto, che si sia trattato di eventi imprevedibili e fatali, quasi che dovessero essere gli elementi naturali ad adattarsi ai parametri sempre più ristretti della crisi economica.
Allo sbalordito Presidente Burlando che, giustamente, mette in relazione questi eventi con i dati pazzeschi ed allarmanti del recente censimento agricolo ( meno 46% delle aziende agricole e meno 64500 ettari di superficie agricola coltivata in 10 anni in Liguria ), vorrei chiedere il conto della sua politica agricola e di quella dei suoi fantastici assessori all’ agricoltura.
Unica certezza, in piena continuità col passato, quella che da Levante a Ponente vedrà la Liguria al centro di politiche di violenta cementificazione, di micidiali trafori a La Spezia, in Fontanabuona, Gronde porti turistici, colmate a mare, ecc, ecc.
Al dolore per la perdita di vite umane e per le distruzioni, si aggiunge la certezza che nulla cambierà se non in peggio. E che fra poco saremo ancora qui a denunciare la prossima emergenza, lamentandoci del destino cinico e baro e della crisi economica.
Questa sera,prima di arrampicarmi con mio figlio, lungo le pendici violentate delle montagne,per guadagnare la via di casa, mi sono voluto fermare un attimo nel cimitero per trovare un po’ di conforto nello sgurdo dei miei nonni e dei miei bisnonni.
Devo confessare che la fierezza di quei volti non mi è stata di grande aiuto.
 
Nicola Rollando

 

(07.11.11) "... l’ acqua ha continuato ad insinuarsi nelle microfrane dei muretti crollati, nelle devastazioni dei cinghiali e degli incendi, preparandosi pazientemente la strada negli incolti fino al gran colpo di mano di questi terribili momenti..."

 

Pensieri sul disastro

 

di Michele Corti

Tra qualche giorno i media avranno già smesso di parlare dei disastri che stanno colpendo, una dopo l'altra, diverse regioni. Cerchiamo di portare l'attenzione sul nesso tra una politica contro l'agricoltura contadina e la pastorizia e le alluvioni
Fin che sono accesi i riflettori sul 'disastro' varrebbe la pena far parlare i contadini, i pastori, i boscaioli, delle cose molto "minute", che loro conoscono bene, ma che sono in grado - meglio dei soliti discorsi dei geologi, degli ambientalisti urbani e degli esperti - di spiegare perché, con ricorrenza sempre più frequente, l'acqua diventa una maledizione.
 
Immagini fotocopia (1994, 2000, 2011)

 

Cercando in Internet immagini che documentano il disastro di questi giorni si deve amaramente constatare che le foto di questi giorni  sono disperatamente simili a quelle di eventi calamitosi avvenuti anni fa negli stessi luoghi. Dopo la piena, di acqua, di parole, immagini, si torna a dimenticare il problema. Se, però, si avesse una buona volta il coraggio di andare alle radici del problema si arriverebbe alla conclusione che alla base di tutto vi sono le politiche agricole sbagliate che hanno condannato a morte, senza possibilità di appello, l'agricoltura contadina, la pastorizia, le utilizzazioni boschive. In Liguria negli ultimi 10 anni le aziende agricole sono calate di quasi il 50% e quasi nulla si fa per affermare l'emorragia. L'agricoltura specializzata, super meccanizzata, non si cura delle montagne, dei pascoli e dei boschi. Tende a operare a valle sui terreni migliori.

 

Parliamo di agricoltura  invece che di "dissesto idrogeologico"

 

Negli ultimi anni le grandi aziende zootecniche intensive della pianura sono persino riuscite a mettere in crisi la montagna e chi continua ad utilizzarla nell'ambito di produzioni estensive sfruttando le distorsioni della Pac e facendo lievitare a livelli spesso astronomici i cannoni di affitto dei pascoli, pascoli e poi esse utilizzano solo sulla carta per poter lucrare i premi unici della Pac stessa.  L'agricoltura industriale, specializzata, quella delle filiere agro industriali continua a monopolizzare la gran parte della spesa agricola nonostante questa spesa sia spesso etichettata come "sviluppo rurale". La colpa non può essere attribuita in toto alle sia pur rigide regole di Bruxelles ma è in larga misura da attribuire alle regioni che - indipendentemente dal colore politico - nell'applicazione delle misure hanno continuato ad adottare criteri pervicacemente produttivistici favorendo la agroindustria a spese della dimensione rurale. Non ci sono scuse per queste scelte perché non solo la Svizzera -ormai in larga misura allineata agli schemi europei - ma la stessa provincia autonoma di Bolzano hanno seguito politiche differenti. Il confronto, in termini di cura del territorio, di mantenimento di superfici di prati, pascoli, boschi ben coltivati, tra Bolzano e la Svizzera da una parte e i confinanti territori italiani è molto eloquente. Non solo una diversa politica agricola e di sviluppo rurale è possibile sia pure entro i vincoli politici ed economici nel contesto attuale, ma essa è anche economicamente sostenibile. Gran parte del sostegno pubblico alle imprese agricole è rifluito su altri settori:  gran parte degli investimenti delle aziende agricole sono stati destinati ad attrezzature ed impianti forniti dall'industria mentre la maggiore produttività ha finito per favorire solo la grande distribuzione che ha continuamente eroso il margine di valore aggiunto agricolo. Ma non basta: l' una consistente quota dei premi Pac è stata dirottata dalle stesse grandi imprese agricole verso investimenti in settori extra agricoli, immobiliare finanziario, speculativo. Un enorme volume di spesa pubblica che avrebbe potuto finanziare il vero sviluppo rurale.
 
Il costo delle calamità va messo sulla bilancia
 
Qualcuno potrebbe obiettare che, in ogni caso, il consumatore ha tratto vantaggio dallo stimolo al sistema agroindustriale. La tragedia consiste nel fatto che i prezzi vili della materia prima agricola nascondono i costi salati che il consumatore già oggi, e a maggior ragione in futuro, dovrà pagare. Sono i costi dell'inquinamento (dell'aria delle acque del terreno), i danni alla salute, dell'esaurimento di risorse non rinnovabili. Sono anche i danni vendita delle calamità "naturali". Sono costi "nascosti", costi "socializzanti" ma che, per chi non sfugge al torchio fiscale, sono anche costi molto concreti che riducono il reddito disponibile. Se il sostegno pubblico all'agricoltura fosse stato indirizzato al mantenimento di una rete di piccole aziende vitali esso si sarebbe tradotto nella fornitura di servizi inpliciti da parte dei contadini che, per continuare a svolgere le loro attività tradizionali, non possono fare a meno di eseguire una serie di interventi di manutenzione minuta del territorio. Interventi che si eseguono con il badile e non con gli escavatori ma che grazie ad un continuo monitoraggio possono essere eseguiti tempestivamente contenendone l'entità. Purtroppo la politica dello spazio rurale non si è limitata a dirottare verso le aziende più grosse ed intensive il sostegno pubblico ma ha anche introdotto una serie di vincoli che hanno disincentivato le attività tradizionali. Pensiamo alla necessità di chiedere autorizzazioni ai "beni ambientali" per il taglio di una pianta ed a tutti dalla serie delle sevizie burocratiche alle quali sono sottoposti i piccoli produttori per interventi di minima entità. Pensiamo ai regolamenti forestali che, almeno sino a ieri, erano finalizzati a difendere il bosco e a favorirne l'espansione ad ogni costo attraverso misure poliziesche pensate contro i contadini e contro i pastori.
 
I danni dell'abbandono ma anche ambientalismo urbano
 
È anche grazie ad un malinteso ecologismo (ambientalismo urbano) se la cura dei boschi e degli alvei fluviali è stata abbandonata. Sono ancora diffusi vecchi convincimenti che sostengono lo scarso valore del pascolo ai fini del miglioramento della capacità di infiltrazione dell'acqua nel terreno.
Essi facevano riferimento alla situazione dei pascoli del passato, caratterizzata da sovrapascolamento. In quelle condizioni la superficie del suolo  era insufficientemente protetta da uno strato di residuo necrotizzato vegetale, risultava compattata dal forte calpestamento e si instauravano anche fenomeni di erosione legati ai sentieramento e alla denudazione del suolo. Oggi, per fortuna, il pascolo ben gestito (in modo nè troppo intensivo nè troppo estensivo) viene considerato favorevolmente ai fini della capacità di infiltrazione dell'acqua. Non mancano neppure i premi per incentivare il buon utilizzo dei pascoli poi, però, le distorsioni nel mercato degli affitti indotte dagli stessi premi e in generale dalle regole della Pac, la mancanza di strutture di ricovero idonee e di infrastrutture (piste, acquedotti) continuano a far si che molti pascoli restino sottoutilizzati o del tutto abbandonati e altri sin troppo caricati.
Quanto alla pulizia degli impluvi e degli alvei essa sulle aste minori era assicurata proprio dalla presenza delle attività silvopastorali. La mancata cura e pulizia silvocolturale dei boschi favorisce l'accumulo di materiale legnoso che le acque portano a valle e quindi ostacola il deflusso delle acque. La presenza di vegetazione negli alvei ostacola il trasporto di detto materiale creando delle dighe che finiscono per cedere e creare ondate di piena a valle con un effetto a catena, fino ad arrivare a far crollare solidi ponti (uno spettacolo che in questi giorni si è ripetuto più volte).
Anche a proposito delle aste fluviali non si può fare a meno di notare come l'azione positiva svolta dai greggi vaganti che utilizzano le aste fluviali sia stata fortemente ostacolata dai parchi fluviali che, in alcuni casi, hanno del tutto blindato le fasce a lato dei fiumi proibendo il pascolo. Eppure l'azione di rimozione di arbusti e piante infestanti avrebbe un'azione positiva così come il transito e, a determinate condizioni, il pascolo degli argini grazie all'azione di costipamento e di fertilizzazione delle greggi in grado di favorire un buon inerbimento delle scarpate.
 
Testimonianze
 
Marzia Verona nel suo blog pascolovagante è tornata in questi giorni a trattare del rapporto tra pastori e fiumi e consiglio di leggere questo post del 5 novembre Fiumi salvezza e pericolo. Sull'opera secolare di sistemazione agraria e idraulica rappresentato dalle terrazze e dai muri a secco è invece molto toccante la testimonianza di un agricoltore ligure, Nicola Rollando che il 4 novembre aveva scritto su www.fabbricage.org una nota "Pensieri di ritorno da Vernazza" (riportata nella colonna a sinistra) che racchiude il senso di un disastro che non è 'naturale' ma sociale, di civiltà (contadina vs urbano-postindustrial-consumista). E che, non a caso, colpisce indipendentemente dal colore politico delle regioni (per il motivo che - come già ricordato -  le politiche del territorio e agricole adottate nei decenni trascorsi sono state le stesse).

 

           

 

pagine visitate dal 21.11.08

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