Una visita all'alpeggio dove si produce la 'Raschera d'alpeggio' di nome e di fatto. Sul posto, con il latte di vacche piemontesi alimentate solo con l'erba di pascolo. Uno spunto - partendo dalle amare considerazioni del margaro - per una riflessione generale sull'uso e abuso della designazioni
di 'alpeggio' nelle Dop casearie italiane
Il 3 settembre ero stato all'alpe Seirasso in comune di Magliano Api (Cn) per intervistare il margaro Bruno Bottero vittima di un grave attacco da parte di lupi (vedi
l'articolo). n quella occasione il margaro-casaro, produttore di Raschera d'alpeggio di nome e di fatto mi aveva manifestato la sua insoddisfazione per una dop che equipara il suo prodotto - realizzato a 2150 m di quota con il latte di vacche piemontesi alimentate esclusivamente con il pascolo - a quello di caseifici siti a oltre 900 m di quota. Sia la sua Raschera che quella di questi caseifici di montagna possono recare la menzione 'alpeggio' e utilizzare
una pelure gialla (anziché verde).

Per reagire a questo stato di cose Bottero (che commercializza tutto il suo prodotto attraverso canali diretti) utilizza una propria strategia di comunicazione e di 'personalizzazione' del proprio prodotto sottolineando (foto sopra) che è ottenuta dal pascolo e sul pascolo, a 2.150 m per l'appunto
(altitudine
del caseificio e della cabntina di stagionatura).

Parlando con il margaro-casaro non ho potuto fare a meno di ricordare un episodio di una decina di anni fa. Mi era capitato, al rientro da una escursione gastronomica in val Pesio, di fermarmi a Mondovì. Qui, in un bel negozio del centro volevo acquistare della Raschera. Eravano all'inizio
della primavera e pensavo che forse era ancora possibile trovare della Raschera d'alpeggio della stagione precedente. Nel negozio, però, vedo esposta nel banco una 'Raschera d'alpeggio' che non poteva avere più di due mesi? "Come è possibile che in formaggio così fresco sia d'alpeggio," chiedo con fare diffidente e già un po' indispettito. "E' prodotta con fieno di montagna" risponde il rivenditore". Non mi ricordo il seguito ma fatto sta che non l'ho
acquistata. Poi vedendo spesso la 'Raschera d'alpeggio' nel banco gastronomia dell'Esselunga a Milano ho fatto le mie verifiche e ho scoperto con disappunto che il rivenditore monregalese era perfettamente in regola. La "Raschera d'alpeggio' si può produrre tutto l'anno ... basta che la cosa avvenga ad una altitudine superiore a 900 m e in determinati comuni della provincia di Cuneo (Art. 3).
Vecchio
|
Nuovo
|
Art. 3 La zona di produzione, ivi compresa la stagionatura, comprende l’intero territorio della Provincia di Cuneo. Il formaggio “Raschera” rotondo o quadrato prodotto ad una quota superiore ai 900 m nei comuni di: Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Garessio per quanto attiene la Valcasotto. Magliano Alpi per la parte che confina con il comune di Ormea, Montaldo Mondovì, Ormea, Pamparato, Roburent, Roccaforte
Mondovì, e stagionato nei predetti comuni può portare la menzione “di Alpeggio”.
|
Art. 3 (nuovo) La zona di produzione, ivi compresa la stagionatura, comprende l’intero territorio della Provincia di Cuneo. Il formaggio “Raschera” rotondo o quadrato prodotto e stagionato ad una quota superiore ai 900 m nei territori comunali di: Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Garessio per quanto attiene la Valcasotto. Magliano Alpi per la parte che confina con il comune di Ormea, Montaldo Mondovì, Ormea, Pamparato,
Roburent, Roccaforte Mondovì, e ottenuto con latte della medesima provenienza, può portare la menzione “di Alpeggio”.
|
Nel nuovo disciplinare si precisa che anche il latte deve provenire dalla medesima area. Un passo avanti. Va subito dello che il caso Raschera non è isolato. Prima di esaminare come la questione della menzione 'alpeggio' e relativa etichettatura è affrontata nell'ambito dei formaggi dop italiani
vorrei parlare ancora un po' della Raschera di Bruno Bottero. La Raschera è un formaggio a pasta cruda e, dopo l'estrazione della cagliata, richiede particolari attenzioni per lo spurgo del siero. La cagliata prima di essere messa in forma viene accuratamente reimpastata a mano e poi pressata a lungo sempre a mano. Alla fine, comletata la messa in forma, la si carica con pesanti pietre. La pressatura accurarata (è classificato non a caso formaggio a pasta perssata) è fondamentale per evitare
difetti in un prodotto che può essere destinato a una stagionatura di alcuni mesi. Bottero lo vende dopo due mesi anche se il disciplinate prevede un mese come tempo minimo.

Mi ha colpito il tempo e la cura dedicate da Bruno a queste operazioni. Probabilmente perché più abituato ad assistere a lavorazioni di formaggi a pasta cotta che richiedono tanto lavoro in caldaia ma che poi prevedono una messa in forma e pressatura manuali piuttosto sbrigative. Una volta
che
le tre forme prodotte sono state caricate con i loro pesi Bruno mi ha accompagnato a visitare la cantina.

Le cantine del Raschera si chiamano 'selle' e sono quasi completamente interrate (foto sopra). Le condizioni interne si avvicinano a quielle di una grotta anche se qui l'umidità è controllata atraverso la circolazione d'aria che avviene grazie a piccole aperture praticate alle estremità
del manufatto. Quest'ultimo è lungo è stretto e la copertura consiste in una volta a botte. La 'sella' è l'unico fabbricato tradizionale ancora utilizzato. Le capanne di caseificazione (simili ai calécc del Bitto) qui all'alpe Seirasso sono solo allo stato di ruderi e il caseifico )come da foto sopra) è regolamentarmente piastellato. Le murature sono realizzate in blocchi di roccia calcarea qui abbondante legati con malta naturale cui, ( foto sotto) si è
aggiunta quella cementizia). L'ingresso è costituito da una bassa porticina (Bruno mi raccomanda di fare attenzione alla testa).

Varcata la soglia si ha la piacevole sensazione di trovarsi in un ambiente 'storico'. Quante casere di stagionatura (anche del Bitto e di altri antiche e nobili formaggi d'alpeggio) sono state manomesse sulla base della rigida applicazione delle normative igienico sanitarie (e dell'ignoranza dei progettisti)!
Sulla sinistra, appena oltre l'ingresso i formaggi in fase di salatura. La salatura nel Raschera viene eseguita solo a secco con sale grosso (foto sotto).

Il pavimento è in terra battura, le pareti grezze sino ad una certa altezza; oltre intonacate con malta naturale ('storica'). Tutto 'respira'.


Le forme che hanno già qualche settimana di stagionatura sono coperte da patina batterica rossa (tipica degli ambienti di stagionatura piuttosto umidi). Col tempo a questa patina si sostituisce una crosta di colore non uniforme, castano con macchie grigie. A questo punto riporto sotto la scheda
di analisi
organolettica compilata dall'amico Marco Imperiali sul campione di formaggio donatomi da Bottero. Si trattava di una Raschera di quasi tre mesi di stagionatura. Dall'analisi sensoriale emerge un prodotto di gusto e aroma intesi e complessi e di struttura molto interessante (grande piaceviolezza in bocac); peccato per qualche difetto ovvero per un po' di amaro e salato di troppo. Difetti comunque facilmente controllabili dal momento che la pasta presenta una più che buona occhiatura e quindi non si evidenzierebbero
problemi di spurgo. Il Dr. Imperiali che ha condotto l'analisi sensoriale credi di individuare nello specifico difetto di sapore amaro un problema di salatura Dopo la scheda riprendiamo il discorso su 'alpeggio' e dop.

Caratterisiche organolettiche della Raschera d'alpeggio dell'alpe Seirasso (tre mesi di stagionatura) a cura di Marco Imperiali
Forma. Quadrata (parallelepipedo), scalzo convesso con piatti piani.
Superficie esterna: Crosta rugosa con presenza di macchie e vaiolatura; colore non uniforme, bruno scuro con macchie nere e grigie.
Aspetto della pasta: Colore leggermente ambrato, unghia evidente; struttura legegrmente elastica, untuosa, liscia; occhiatura: uniformemente distribuita, diffusa, di forma
irregolare (ellittica), di dimensione piccola.
Odore: Intenso, abbastanza persistente, note animali, lattiche (burro), fruttate (frutta secca, noce), note vegetali (erba fermentata).
Sapore. Moderatamente dolce, leggermente acido, mediamente salato, mediamente amaro, leggermente astringente e leggermente piccante.
Aroma. Intenso, persistente, animale, vegetale (erba fermentata), lattico (burro), altro (salamoia).
Struttura. Legegrmente duro, non friabile, pocio elastico, leggermente adesivo, molto solubile, poco deformabile, leggermente umido.
Nel complesso struttura molto interessante, aroma odore e sapore equilibrati complessi ed intensi pur con presenza di un sapore eccessivamente amaro e salato
|
In cattiva compagnia
Ancora peggio rispetto alla Raschera stanno le cose per il Bra che, tenero o duro, può recare la menzione 'di alpeggio' se realizzato in tutti i comuni classificati montani (ai sensi della legge 25-7-1952, n.991) della provincia di Cuneo. Restando in provincia di Cuneo si riscontra anche una distinzione tra Castelmagno Dop 'della montagna' e 'd'alpeggio'. In precedenza la
differenza era solo altimetrica (quello d'alpeggio era prodotto sopra i 1.000 m, tutto il resto era 'di montagna'). Nel nuovo disciplinare il formaggio «Castelmagno» prodotto e stagionato può portare la menzione aggiuntiva «di Alpeggio» a condizione che: il latte sia proveniente esclusivamente da vacche, capre e pecore mantenute al pascolo in alpeggio per un periodo compreso tra l’inizio di maggio e la fine di ottobre. Gli animali devono essere alimentati al pascolo
con almeno il 90% di flora locale; tutto il processo produttivo avvenga in alpeggio; la caseificazione avvenga al di sopra dei 1000 metri s.l.m. Un bel passo avanti anche se la definizione di riferisce ad un formaggio prodotto con latte d'alpeggio più che ad un formaggio d'alpeggio inteso nel senso di lavorazione nell'ambito dell'area pascoliva stessa.
Quanto alle modalità con cui viene comunicata al consumatore (intermedio e finale) la natura 'd'alpeggio' le soluzioni sono le più diverse (e francamente contradditorie)
La Raschera "d'alpeggio" (in realtà 'di montagna') utilizza una pelure gialla (a differenza di quella verde che connota la versione versione "di pianura"). Le forme di Bra dop "d'alpeggio' possono portare la menzione "d'alpeggio": in questo caso il campo dell'etichetta
cartacea è di colore verde (giallo nel caso del prodotto di pianura). Il Castelmagno etichetta una pelure gialla a quadrifoglio ma le scritte Castelmagno della Montagna e Castelmagno d'Alpeggio sono rispettivamente su fondo azzurro e verde. Il Formai de Mut dell'alta val Brembana (Bg) d'alpeggio reca impressa sul piatto una serigrafia blu (l'altro rossa). In Trentino alcuni formaggi Dop recano la dicitura M ('di malga'). Si tratta di formaggi realizzati con latti di malga conferiti ai caseifici di fondovalle.
Le variegate e tra loro contradditorie definizioni di 'montagna' e 'alpeggio' che sono state formalizzate nei disciplinari di produzione dei formaggi Dop italiani e le variopinte (arlecchinesche?) etichette o fantasiose 'menzioni' che contraddistinguono le forme 'd'alpeggio' non aiutano certo
il consumatore ad orientarsi. Anzi, paiono fatte apposta per confonderlo. E la confususione, si sa, non va a premiare chi opera nel rispetto di tradizione e criteri rigorosi ma di chi punta alla quantità, utilizzando i richiami alla 'montagna' e all' 'alpeggio' solo come strumenti di un marketing che sfrutta immagini e suggestioni.
Le regole svizzere
In Svizzera, al contrario, le designazioni 'montagna' e 'alpe', rappresentano qualcosa di univoco, stabilito dalla normativa fede possono essere impiegate per caratterizzare i prodotti nei documenti commerciali e nella pubblicità solo a determinate condizioni fissate nell'Ordinanza del
consiglio
federale del 25 maggio 2011. Un unico marchio federale 'montagna' e 'alpe' contraddistingue poi le etichettature. Il consumatore non deve studiarsi per ogni formaggio il disciplinare di produzione per capire cosa diavolo si intenda per 'di montagna' e 'di alpeggio' e per decifrare i sistemi di etichettatura. Va precisato che la nuova ordinanza definisce meglio quanto già stabilito con l'ordinanza del 8 novembre 2006. In particolare vengono stabiliti criteri precisi in merito all'alimentazione degli
animali da latte.
Oltre ad essere prodotti rispettivamente nelle regioni di montagna e nelle 'regioni di estivazione' (l'area dei pascoli alpini) la denominazione «montagna» può essere impiegata per i prodotti d’origine animale soltanto se almeno il 70 per cento della razione alimentare per ruminanti, calcolata in
materia secca, proviene dalla regione d’estivazione [alpeggio] o dalla regione di montagna mentre la designazione «alpe» può essere impiegata per i prodotti d’origine animale soltanto se sono adempiute le esigenze riguardanti il foraggiamento giusta l’articolo 17 dell’ordinanza del 14 novembre 2007 concernente i contributi d’estivazione [alpeggio]. Tale articolo stabilisce che un capo grosso equivalente di bestiame ruminante nel corso della stagione d'alpeggio di 100 giorni non possa
ricevere più di 100 kg di concentrati e 100 kg di fieno. Quindi non più di un kg di mangime al giorno. Criteri troppo rigidi? Per nulla. La Svizzera è il paese in cui la ricerca ha maggiormente approfondito le caratteristiche salutistiche dei formaggi d'alpeggio
Un auspicio
È chiedere troppo che anche in Italia designazioni 'montagna' e 'alpe' così' ampiamente utilizzate (sia per i formaggi dop che no dop) siano defnite sulla base di criteri seri, univoci, non equivocabili? Non è una questione di minor conto. Nella corsa ad attribuirsi qualifiche improprie si tende a
svalutare
tutto. Se seriamente definita (c'è il solito problema dell'origine della materia prima) la qualificazione 'montagna' rappresenterebbe una seria attribuizione ... e non ci sarebbe bisogno di usurpare quelal di 'alpeggio' che è cosa diversa e ben precisa. Più i generale se le dop non allentano troppo i vincoli di legame territoriale, costranza di metodi di produzione ecc. non ci sarebbe bisogno di rincorrere a ulteriori distinzioni e queste ultime potrebbero essere riservate ai prodotti
che hanno realmente il diritto di fregiarsene.