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Per un approfondimento: "Riti" del fieno e del latte (Alpi, inizio XXI secolo)

 

 

 

 

 

 

(09.08.12) Domenica 5 agosto si è celebrata a Monno in alta Valle Camonica la 5a edizione della Festa del Fieno. Un evento a tutto tondo, sempre ricco di iniziative che sottolinea l'attualità della cultura ruralpina

 

 

Festa del Fieno a Monno

 

alla quinta edizione

 

di Michele Corti

 

le foto della Festa sono di Giovanni Moranda

 

 

La fienagione, con l'appassionante gara di taglio è solo un aspetto della rievocazione partecipata e non folkloristica della vita rurale che si tiene ogni anno a Monno all'inizio di agosto. Un appuntamento che si è consolidato e rappresenta uno degli eventi più interessanti dell'estate camuna. Arrivederci al prossimo anno.

 

 

La Festa del Fieno è nata nel 2008. Questo sito è nato qualche mese dopo e ha assunto come logo proprio la Festa del Fieno con la foto di gruppo dei "segadür". Il fieno, lo sfalcio sono l'emblema delle abilità manuali e delle pratiche che non vanno abbandonate. Saper falciare a mano è utile non solo per ricavare foraggio dalle sponde più ripide ma anche per falciare le ripe dei fossi, i piccoli spazi intorno alle case. Fortunatamente vi sono ditte specializzate che mettono a disposizione vari tipi di falci adatti ai diversi usi a testimonianza della loro vitalità. Il fieno nella vita ruralpina significa abbondanza, ovvero una scorta di foraggio per l'inverno per poter mantenere il bestiame e fornire un po' di latte (ricco di proteine e vitamine) anche quando fuori tutto è sepolto dalla neve.

 

 

Riflessioni sulla vita e la morte, la pace e la guerra

Fieno è vita, fieno è un prato luminoso e net. Dove non si sega più arrivano erbacce e arbusti dai colori spenti, rovi e spine. Dove non si sfalcia la montagna si incupisce, i boschi soffocano in una morsa lo spazio dell'uomo, le vipere e i lupi arrivano sotto le case. Il fieno è vita, il prato segato consente al sole di illuminare la montagna e di rifletterne la luce. Spesso i portacote sono ornati con simboli floreali e solari (come il "Sole delle Alpi") a sottolineare questi nessi.

È deprimente come nelle polemiche su argomenti di attualità si arrivi a stravolgere ogni cosa. Per confutare il mio intervento "Poveri orsi" apparso su l'Adige del 12 luglio (http://images.ladige.it/node/195734) c'è chi è arrivato a sostenere che: "I ruralpini si rappresentano con la falce in mano (Baschenis docent), il simbolo della morte".(http://www.ladige.it/articoli/2012/07/09/video-l-orsa-allatta-suoi-cuccioli).

Il riferimento è ai Baschenis, pittori bergamaschi del XVI secolo famosi per alcune celebri affreschi di "danze macabre" come quella dell'oratorio dei Disciplini di Clusone e quelle di Santo Stefano di Carisolo (1519) e di San Vigilio di Pinzolo (1539) nella trentina Val Rendena attribuite a Simone Baschenis. (sotto una performance a tema un po' da fumetto a Pinzolo)

 

 

Tra le varie e fantasiose rappresentazioni della morte c'è anche quella classica dello scheletro con la falce. La metafora della falce della morte allude alla facilità con la quale in occasione di epidemie (ma anche in tempi normali) la morte "miete" le sue vittime così come il mietitore miete le spighe. Sotto la lama della falce-morte le spighe cadono allo stesso modo, senza distinzioni tra ricchi e poveri. L'uso della falce fienaia per la mietitura dei cereali non era diffuso in Italia dove, come in tutti i paesi mediterranei, si usa la falce messoria (il falcetto corto). Facevano eccezione le zone alpine che seguivano l'uso dei paesi a Nord delle Alpi. È però senza dubbio il riferimento al raccolto dei cereali (e non quello alla fienagione) che ha sviluppato la simbologia della morte.

Con la mietitura il ciclo del grano finisce. È un ciclo ben preciso che inizia con la semina e termina con la mietitura, operazioni che cadono in ben determinati periodi dell'anno: la ciclicità di morte e vita. Ma nei culti agrari vita e morte si scambiano di ruolo: il seme muore per far nascere la pianta, la pianta muore per nutrire la vita (il rimando è al classico dell'antropologia Il ramo d'oro. Studi sulla magia e la religione di J.G Fraser, ed or. 1922, Bollati-Boringhieri, Torino, 1990). Un prato si rinnova continuamente e la raccolta del fieno (eseguita in più riprese seguite da un "ricaccio") non rimanda au un ciclo preciso di vita e morte. Piuttosto il prato falciato e ben tenuto si presta ad un immagine di continuità della vita, di vitalità perenne.

 

 

Il contadino desidera la pace. Il ritmo della via vita e del suo lavoro è gravemente danneggiato dalle perturbazioni violente. Eppure i contadini nel corso della storia si sono spesso dovuti ribellare. E le falci e i forconi sono divenuti le loro armi. Strumenti urilizzati per anni e anni nel lavoro dei campi in qualche occasione sono divenuti strumenti di morte. Occasioni molto rare e legate a violente rotture di una situazione precedente, a reazioni a nuove condizioni di sfruttamento. Ribellarsi è giusto.

 

 

Chi attribuisce ai contadini, ai ruralpini, propositi violenti forse è spinto dalla propria cattiva coscienza. Forse si rende conto che i contadini sono angariati oltre ogni limite di sopportazione dalla burocrazia, dall'imposizione di orsi e lupi da parte dei verdi da salotto, dai prezzi ridicoli imposti dal "mercato globale" e più concretamente dalla GDO (e di cui beneficiano i cittadini, i piccolo borghesi che riempiono i carrelli della spesa agli Ipermercati proclamandosi poi ambientalisti, solidaristi ecc. ecc.).

 

 

Oggi non si va a bruciare i castelli, ma prima o poi i cittadini torneranno (come negli anni della guerra) ad elemosinare il cibo nelle campagne. E non sarà per pochi anni... Troveranno campagne abbandonate, terre avvelenate ed isterilite, rovi e boscaglie, i loro orsi e i loro lupi. E i pochi contadini e pastori che saranno sopravissuti - nonostante le politiche anticontadine - li rimanderanno a mani vuote.

Noi speriamo che non si arrivi a questo cupo scenario. L'enorme fatica con cui la montagna e le campagne cercano di "tenersi" contrastate in tutto dalla cultura e dalla politica urbana (in tutte le sue salse) può forse può consentire di salvare il salvabile.

 

 

Le feste come quella del Fieno aiutano a dare speranza e motivazioni ai giovani contadini, a creare una nuova alleanza tra il popolo delle città e quello sempre più ridotto delle montagne e delle campagne. Se i cittadini riescono a disintossicarsi dal consumismo, dall'idolatria tecnologica, dall'ambientalismo da salotto sono in rado di supportare moltiplicandola la forza sociale dei contadini e dei pastori. Questo sta dietro la difesa dei pascoli, di un prodotto storico, di un sistema di produzione tradizionale, degli alpeggi, delle razze in via di estinzione, dei saperi e delle abilità tradizionali. Questa è la politica che conta. Per me. Spero anche per voi.

 

 


 

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