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(11.06.11) Costruttivo incontro tra i pastori che utilizzano superfici nell'ambito del Parco Adda Sud e i responsabili del Servizio Vigilanza del parco stesso

 

Prove di dialogo tra i parchi fluviali e i pastori

di Michele Corti

I parchi fluviali, a partire da quello del Ticino, hanno escluso dal pascolamento ampie superfici. Così è diventato impossibile l'accesso ai fiumi indispensabile per solo per  l'abbeverata ma anche per superare, nelle riparie, il periodo 'critico' primaverile tra l'emergenza del mais e la partenza per la montagna. Ora si prova a dialogare sulla base del presupposto che la pastorizia può anche essere una risorsa ambientale

 

Lunedì la delegazione dell'associazione pastori lombardi - vi facevo parte come fondatore e consulente scientifico a titolo volontario - ha incontrato i resp. del servizio vigilanza del Parco Adda Sud. L'incontro è stato molto costruttivo. L'occasione contingente è legata alla prossima scadenza del 13 luglio entro la quale dovranno pervenire le osservazioni alla Variente Generale del Piano territoriale di Coordinamento. I pastori hanno anticipato la volontà di presentare delle osservazioni  che entrano nel merito del. Il Parco (Servizio Vigilanza) ha colto questa occasione per impostare un rapporto diverso con i pastori prendendo atto che dispongono di una 'rappresentanza collettiva' con la quale è possibile concordare regole nella garanzia che i singoli pastori si conformino ad esse e di un 'referente scientifico'.

Nelle osservazioni alla Variante Generale del PTC verranno esposti i criteri generali sulla base dei quali i pastori chiedono una revisione della Mappa della compatibilità del pascolo ovi-caprino (queste restrizioni non valgono per bovini ed equini). Verrà chiesto che per ciascuna area di pascolo utilizzata da un pastore (la 'batida') ci sia la possibilità di accesso al fiume per l'abbeverata e per l'utilizzo ai fini del pascolo delle fasce riparie nel periodo critico primaverile, tra l'emergenza del mais seminato ad aprile e la partenza per la montagna. Tutto ciò tenendo presente la presenza di vincoli specifici (riserve naturali, servitù militari, ecc.). Un responsabile del Parco nei prossimi giorni si recherà presso le aree di pascolo dei singoli pastori ('batide') per verificare le situazioni puntuali segnalate dai pastori. Oggi come si può osservare nella Mappa sotto riportata, per buona parte dell'asta fluviale non è concesso l'accesso al fiume. Va osservato che parecchie delle aree 'verdi' (pascolo ammesso) non consentono l'accesso al fiume in quanto per lunghi tratti esso è canalizzato.

Una programmazione di dettaglio, da affrontare in una fase successiva, potrà prevedere anche una 'strutturazione' delle aree di pascolo attraverso la definizione di  'corridoi', la sistemazione in punti strategici di abbeveretoi, la definizione di aree di pascolo diurno consentito ma precluse alla mandratura ecc. Una tale 'strutturazione'  è preliminare alla definizione di mappe d'uso è finalizzata alla  valorizzazione della pastorizia transumante come risorsa per il mantenimento e il miglioramento ambientale.  Negli ultimi anni sono divenute numerose le esperienze di utilizzo delle pecore, sia in aree sub-urbane, che collinari e montane per interventi di 'servizio ambientale'. Negli ultimi mesi i media nazionali si sono occupati del caso della Wirlpool di Varese, che ha 'assunto' un gregge di pecore per la cura delle ampie aree verdi dell'azienda. Nello stesso Parco dell'Adda Sud è significativo l'impiego delle pecore nell'area della ex-raffineria Gulf a Bertonico. Gli aspetti aspetti positivi legati al pascolamento ovicaprino sono numerosi. Ovviamente va tenuto conto del ciclo vegetativo e riproduttivo delle specie di interesse naturalistico, dello stadio di rinnovazioe delle formazioni boschive, del carico di pascolo cumulativo e istantaneo. Se gestito in modo oculato il pascolo controllato e guidato da professionisti quali i pastori che hanno un'approfondita conoscenza degli ambienti entro cui operano, può portare numerosi benefici:

  • aumento della biodiversità vegetale ed animale; 
  • pulizia delle sponde e conseguente minori rischi in caso di piene; 
  • contenimento delle specie nvasive alloctone.

Su scarpate e terreni non consolidati l'azione di costipamento, la diffusione di semi e propaguli, la fertilizzazione operano il miglioramento della cotica erbosa e lo sviluppo dell'apparato radicale superficiale, ma esteso e ramificato delle graminacee che possiede forte capacità di 'imbrigliare' il terreno. La diffusione dei semi e dei propaguli (con le feci ma anche impigliati nel vello) favorisce il ritorno ad una pluralità si specie in superfici degradate e interessate dalla copertura di poche specie, spesso invasiva. Non va dimenticato il valore paesaggistico che si manifesta sia ad un aspetto immediato legato alla presenza dei greggi stessi, elemento dinamico e vivo del paesaggio che ad uno 'culturalmente mediato', legato al valore storico-culturale della presenza pastorale. Una presenza che risale a mille anni fa [1] in corrispondenza con le prime discese dalla montagna  che mettevano in collegamento i pascoli di pianura invernali con quelli di montagna estivi attraverso i percorsi privilegiati delle aste fluviali (i relazione alla presenza di paludi e dense formazioni forestali che ostacolavano altri percorsi). Per mille anni le pecore che calavano dalla Val Seriana e dalla Valle Camonica hanno frequentato le pianure lodigiane. Nel frattempo il territorio e l'agricoltura hanno subito profonde trasformazioni ma il leame fiumi-pastorizia è rimasto. Difficile sostenere che non è compatibile con gli habitat fluviali. Se i pastori non potessero utilizzare i fiumi per l'abbeverata e per pascolare le formazioni vegetali riparie nel periodo critico che segue le semine del mais in aprile e precede la salita in montagna a fine maggio-inizio giugno, la pastorizia transumante sarebbe messa in grave difficoltà e non potrebbe più utilizzare le aree marginali (zone collinari, fondovalle, bassa montagna), ove svolge anche un’importante azione di prevenzione incendi. Migliaia di ettari di pascolo alpino resterebbero abbandonati. Risorse veramente ecologiche, una produzione basata su energia rinnovabile e a impatto ambientale zero (non come certi impianti solari, eolici a biogas) che verrebbe meno.

 

Nell'ambito dei 'servizi ambientali' della pastorizia uno che sta assumendo un significato emergente è il contrasto alla diffusione di piante invasive che mionacciano la biodiversità, banalizzano e semplivicano le comunità vegetali riducebdo anche la capacità di questi habitat di sopportare stress, disturbi, cambiamenti [2]. La Lombardia è la regione col maggior numero di specie alloctone (545 su un totale di 3.220 specie spontanee) e di specie invasive (84) [3]. Oltre alle dimensioni e all’eterogeneità del territorio, questo è dovuto ad agricoltura intensiva, urbanizzazione,industrializzazione, traffico di merci e flussi di persone. Tra gli ambiti maggiormente interessati vi sono i fiumi con Reynoutria sp.pl., Amorpha fruticosa, Humulus japonicus e Sicyos angulatus.  Nei parchi fluviali, però troviamo anche altre invasive meno specifiche legate  alla forte urbanizzazione, al forte disturbo, al degrado dei boschi.  Tra le invasive più dannose troviamo l' Ambrosia artemisiifolia, responsabile delle pollinosi tardo-estive eautunnali, in costante aumento. Grazie all'azione di pascolo è possibile ottenere un contenimento e una regressione di quste invasive, una regressione che risulta quanto più stabile quanto più viene ripristinata una comunità varia. Il pascolo attraverso gli effetti già visti (brucamento, calpestamento, fertilizzazione, diffusione di semi e propaguli) può favorire una 'rinaturalizzazione' ma può essere impeggato anche in modo mirato attraverso tecniche di 'mob grazing' che implicano altissimi carichi instantanei per brevi periodi con l'effetto legato a calpestamento, danneggiamento di organi riproduttivi. L'impiego calibrato di più cicli di questi 'trattamenti' può conseguire l'esaurimento di riserve energetiche delle piante, il danneggiamento degli organi riproduttivi in modo molto più efficace di una 'passata' con mezzi meccanici che spesso ha solo l'effetto di moltiplicare i propaguli vegetativi. Per favorire questo indirizzo risulta però necessario fare i conti con una certa cultura ecologista che inorridisce di fronte al cespuglio brucato dalle pecore. Come se la pecora fosse un essere alieno, non 'naturale'. È un ecologismo paradossale che fa questo ragionamento: fuori dai 'santuari-feticcio' della 'natura' (a volte quattro piante alloctone scambiate per una foresta primigenia) è tutto urbanizzazione, cemento, asfalto, campi spruzzati di erbicidi e insetticidi. La monocoltura del mais e la 'globalizzaizone' hanno 'regalato' anche al lodigiano una nuova 'pest' della maiscoltura: la Diabrotica, un insetto con il vizio di mangiarsi le radici del mais. Per combatterlo si dovrebbe rinunciare alla monocoltura, ma ora che c'è anche la tentazione delle bioenergie chi la ferma più? Così si spruzzano insetticidi utilizzando macchine che si muovono su trampoli per irrorare dall'alto il mais dopo che ha già raggiunto una certa altezza e uccidere gli insetti. I pastori non mancano di sottolineare questi aspetti quandom vengono accusati di 'devastare' scampoli di boschetti ripari. "Un tempo vedevamo un sacco di anatre, fagiani, lepri. Quando andavi a fare i tuoi bisogni ed eri già accucciato capitava spesso che ti passasse un selvatico tra le gambe". Ora non capita più.

Ecologismo di plastica

Nell'ambito dell'incontro tra pastori e Parco non si è mancato di approfondure questo punto spinoso: l'ecologismo da salotto. Il Parco è subissato da mail e lettere di 'amanti della natura' che protestano per una cacchetta lasciata sui percorsi di jogging o per una pianticella scortecciata. Loro stessi (i resp. del Parco) vorrebbero approntare con la collaborazione del pastori un programma di (ri)educazione ambientale per far comprendere che le 'devastazioni ' delle pecore in realtà non sono tali.  Si vorrebe far conoscere da vicino la realtà della pastorizia ai ragazzi delle scuole (il 'recupero' può avvenire principalmente da qui), organizzare incontri divulgativi sulla dimensione storico-culturale ed ecologica della pastoriza, spiegare la stessa 'meccanica' dell'azione di pascolo sul tappeto erboso e sulle piante arbustive spiegando che, anche quando u terreno è apparentemente 'devastato' in realtà, nella maggor parte dei casi, si sono create le condizioni per una ripresa vegetativa più rigogliosa. Far conoscere esempi di terreni abbandonati (es. cave, aree dismesse) tornate verdi grazi al pascolo e alla 'mandratura' delle pecore. Far capire che anche quando le pecore hanno brucato le parti epigee (fuori terra) delle piante, se le radici sono rimaste intatte (e gli organi di riproduzione vegetativa anche) il prato tornerà presto più bello di prima, che gli arbusti hanno gemme di riserva e che non sono da considerare alla stregua di un abete. Un esempio disarmate di 'ecologismo' estetizzante e 'di plastica' è rappresentato dalla lettera a Il Cittadino (quotidiano della Curia di Lodi) del 6 giugno. È l'esempio di un amore mal riposto in una 'natura'  proiezione di fantasie cittadine. Un atteggiamento in buona fede ma veramente distorto che arriva a lamentarsi per il fatto che le pecore ('orde fameliche') hanno messo allo scoperto strati di rifiuti abbandonati dalle piene dell'Adda e coperti da un 'velo pietoso' di rovi. U ecologismo molto estetico, di apparenza.

[1] F. MENANT, 1993. Campagnes lombarde du Moyen Age: l'economie et la societé rurales dans la region de Bergame, de Cremone et de Brescia du 10. au 13. Siecle, École Française de Rome, Roma. torna su

[2]. È il concetto di 'resilienza' meno volgarizzato che quello di 'biodiversità ma altrettanto importante. La resilienza di un ecosistema indica la sua capacità di tornare ad uno stato simile a quello iniziale dopo avere subito uno stress. Lo stress può essere dovuto ad un evento di tipo antropico (ad es. inquinamento, disboscamento, cambiamento climatico, l'invasione da parte di una o più specie aliene) o di tipo naturale (ad es. un evento atmosferico, un incendio, una frana). torna su

[3] G. GALASSO, E. BANFI, 2009, Lombardia, la regione più invasa d'Italia, in: L. Celesti-Grapow, F. Pretto, G. Brundu, E. Carli, C.Blasi (a cura di ) Le invasioni di specie vegetali in Italia, Ministero dell’Ambiente e della Tuteladel Territorio e del Mare - Direzione per la Protezione della Natura, Roma, 2009, p. 15. torna su

Lettera al Cittadino (quotidiano di Lodi) del 6 giugno 2011

Le pecore nel Belgiardino: che disastro

Chi nel mese di aprile e fino a due settimane fa circa ha fatto bellissime passeggiate nel verdeggiante e profumato bosco di Belgiardino, cosparso di fiori e ricco di promettente sottobosco, non riconoscerà ora più quell'oasi di verde nella devastata landa lasciata dal passaggio delle pecore.

E la sottoscritta, che in marzo, al primo sbocciare delle violette, approfittando del rado bosco invernale, aveva ripulito il sottobosco - dove possibile - da immondizia di ogni genere, aiutata nell'impresa da volontari collaboratori intervenuti a rimuovere i sacchi raccolti, ha fatto evidentemente un servizio alle pecore e non ai cittadini amanti della natura, come suo intento.

Le pecore, però, irriconoscenti, muovendosi in branco hanno mosso il terreno e portato alla luce nuovi vecchi residui alluvionali di spazzatura, prima nascosti sottoterra odal verde lussureggiante, che aveva cercato di stendervi sopra un pietoso velo. Nonostante la cocente delusione, la sottoscritta è già tornata all'opera di ripulitura, ma poco potrà fare per i fiori, gli arbusti e i tanti getti di alberelli divorati dalle pecore.

[...] Comunque sia non sembrano certo esserci le condizioni per poter permettere che un prezioso sottobosco, foriero di rigenerazione del bosco, venga elimitato da orde di pecore  affamate. certo anche loro devono pascolare e nutrirsi.

Sì, ma non in una zona dove terre coltivate e logistica hanno lasciato solo uno spazio irrisorio all'ambiente naturale originario. In tutto questo contesto il Belgiardino ha anche ospitato la "Caminada Ludesana": che cosa avranno pensato i partecipanti vedendo il parco pelato e pieno di escrementi animali?

Semplicemente quello che è sotto gli occhi di tutti: che anziché curarlo per il cittadino, il Parco Adda Sud preferisce lasciare il Belgiardino in pasto alle pecore.

Ma perché questo stato di cose non permanga, io chiedo a tutti gli amanti della natura e del aprco di chiedere entro aprile dell'anno prossimo al direttore del Parco Adda Sud - come farò io - di dirottare le pecore verso altri siti, più ampi e in migliori condizioni di salute.

 

Simonetta Saccardi

 

           

 

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