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(12.11.11) Seconda edizione della Festa dell'agricoltura lombarda con una piacevole novità: il mercato agricolo, che speriamo Formigoni e De Capitani trasformino in un appuntamento mensile

 

Festa dell'agricoltura lombarda

(contraddizioni ma anche segni di novità)

 

testo e foto di Michele Corti

La nuova attenzione della Regione per il mondo agricolo è indubbia.  Speriamo motivata non solo dall'Expo e dalla crisi  ma dalla capacità di cogliere tendenze profonde che nel cuore della vecchia Europa riportano la dimensione agricola e rurale ad una nuova centralità sociale

Seconda edizione della Festa dell'agricoltura lombarda. È una festa che coincide con S.Martino, celebrazione che - ancora oggi - segna la chiusura dell'annata agraria ma coincide con ritualità agrarie che risalgono ai primordi delle culture agricole e celebrano le raccolte terminate e i magazzini pieni.

 

 

Con la Festa dell'agricoltura il 'primario' torna simbolicamente al centro della dimensione sociale. Lo fa non senza contraddizioni, non senza che il suo stesso ruolo, la sua identità, i suoi confini siano oggetto di interrogativi e di risposte conflittuali. Pur nel quadro di una celebrazione istituzionale alcune fondamentali questioni di ruolo e di identità del "mondo agricolo" sono emerse anche nel contesto della Festa, attraverso i discorsi di circostanza (ma non del tutto) dei presidenti delle quattro confederazioni. Prima di tornare su questi temi chiediamoci però perché una regione che si è sempre rappresentata prima  industriale e poi come 'terziaria avanzata' ora rivaluta l'agricoltura.  

 

 

L'expo, con un tema come "Nutrire il pianeta", non può non  avere a che fare con tutto questo, ma c'è dell'altro: c'è, innanzitutto,  la crisi che morde nelle aree di vecchia industrializzazione e apre impensabili scenari di prospettive di "ritorno alla terra". La crisi, però, assume anche altre implicazioni: induce voglia di concretezza e di solidi ancoraggi con la tradizione. Rappresentarsi come centro della moda, della pubblicità, del "terziario avanzato" in generale (non parliamo della finanza) di questi tempi forse non è più così conveniente.  Le illusioni di un mondo fatto di immagine, virtualità, in continua cangiante trasformazione, le immagini di una società liquida, iperindividualista, sciolta da ogni nesso, sono oggetto di amari ripensamenti.

 

 

C'è desiderio di riferimenti solidi, di concretezza, di organicità. Credo, o almeno spero , che sia per queste motivazioni che la Regione - non solo per iniziativa dell'assessore De Capitani ma anche con il convinto sostegno di Formigoni - abbiano voluto solennizzare la Festa dell'agricoltura. Nel desiderio di sintonizzarsi con una società che sta riconoscendo sempre più centralità al ruolo della produzione e del consumo di alimenti per le sue non più solo economiche ma anche sociali, etiche, ecologiche, culturali.

 

 

Così quest'anno alla premiazione di produttori agricoli si è aggiunto un mercato agricolo che ha animato la grande piazza Città di Lombardia. I gazebo per la verità apparivano un po' sperduti nello scenario delle architetture del palazzo regionale. Ma senza costituire un contrasto stridente.

 

 

Forse più stridente sul piano dell'estetica socio-politica era l'invasività delle bandiere delle quattro confederazioni agricole. Una presenza molto sottolineata. Tanto più che - al di fuori della quadriplice - l'unica altra espressione associativa era l'Aiab. Un po' poco concedere solo alla rappresentanza di una parte - sia pure storica e significativa - del mondo bio di simboleggiare ciò in cui consiste il mondo delle campagne e che non può essere identificato solo con l'agricoltura professionale, spesso molto intensiva e industrializzata che la quadriplice rappresenta (di certo più efficacemente per quanto riguarda le grandi aziende che le piccole).

 

 

Per tutta una fase storica le confederazioni non hanno fatto che tendere alla convergenza. Non si doveva più svolgere rappresentanza sindacale di agrari, coltivatori diretti, mezzadri, contadini, erano diventati tutti farmer (i residui contadini erano dati in via di estinzione). Per anni - complice anche l'evoluzione della scena politica, il declino dei collateralismi, la caduta nell'oblio dell'era della Federconsorzi - c'è stata anche la gara a contendesi gli associati sul piano dell'offerta di servizi (non molto diversa da quella di assicurazioni e altre agenzie che si strappano i clienti tra loro). Così la base sociale delle confederazioni si è ampiamente rimescolata.

 

 

Questa nuova oggettiva unità tra le rappresentanze agricole ha penalizzato - come nel resto d'Europa - i soggetti che non si identificano con l'agricoltura professionale, quella che fa girare le pratiche Pac, che necessita dell'assistenza delle organizzazioni, tanto più indispensabile quanto più gli adempimenti burocratici sono onerosi. Di fronte alla politica e alla società le rappresentanze agricole dei farmer hanno preteso di rappresentare il "mondo delle campagne" capitalizzando i sentimenti di riconoscenza della società per le funzioni (mal ricompensate) di mantenimento di valori preziosi quali il mantenimento del paesaggio, la prevenzione degli eventi calamitosi, la difesa di elementi forti di identità storico-culturale. Così il core-business agricolo, rappresentato da una minoranza di aziende economicamente forti e politicamente accreditate, responsabile di impatti sociali, ambientali e culturali a volte pesanti, sfrutta una rendita politica che è in larga misura legata alla persistenza di un'agricoltura di piccola scala, di artigiani alimentari, di pastori, di custodi della biodiversità, di aziende che praticano varie forma di agricoltura "più che bio". Esercitata spesso da quelli definiti sprezzantemente "hobbisti", part-time, pensionati, idealisti, trogloditi.

È successo in tutta Europa. In altri paesi, però, la rappresentanza agricola tradizionale è stata insidiata da organizzazioni che si presentano come espressioni di un nuovo mondo contadino tutt'altro che in estinzione. È il caso della Francia dove la fortissima Fnsea è stata affiancata dalla Confederation paysanne. In Italia, compresa la Lombardia, la galassia dei nuovi-vecchi contadini è ancora frammentata e le organizzazioni professionali (più le associazioni allevatori) monopolizzano efficacemente la mediazione tra le istituzioni e il "mondo agricolo".

 

 

Anche se il nuovo movimento contadino, fatto di nuovi e vecchi contadini, artigiani del cibo, pastori, montanari, esperienze di agricoltura sostenuta dalla comunità, agricoltura sociale, gruppi di produzione e consumo, Gas rappresenta ancora una nebulosa con scarse espressioni organizzate non si può dire che non esista altro al di fuori delle organizzazioni professionali e di Aiab. Per esmpio esistonoi presidi di Slow Food e le comunità del cibo di Terra Madre e una serie di Mercati agricoli "indipendenti" ma a volte ben organizzati. Speriamo di assiste ad un allargamento di rappresentatività nelle prossime edizioni della Festa dell'agricoltura.

 

 

In Piazza delle Città di Lombardia c'erano però diversi gruppi tradizionali, alcuni di recente formazione, che sanno andare oltre il folklore nostalgico. Il folklore era compiacimento estetico delle élites dominante, socialmente tranquillizzante nelle sue conferme di subalternità. Diverso è l'impegno dei gruppi tradizionali raccolti intorno all'associazioneCulture popolari e tradizioni della Lombardia” con sede in Calco (Lc) presente alla Festa dell'agricoltura. Oggi questi gruppi sono mossi da un progetto culturale, convinti dell'attualità degli elementi della cultura tradizionale, del significato educativo della sua trasmissione, dell'importanza di farne cultura vivente.  Erano presenti i Sèm ci inscì di Laveno, il gruppo della val Cavagna (Co), i brianzoli suonatori di firlinföo (flauto di Pan), i Bèrghem baghèt (banda di cornamuse bergamasche), i Giaröi di Gerola alta (So).

 

 

Prendiamo un esempio non a caso: i  Giaröi. Non hanno una divisa, sono vestiti con i loro indumenti montanari, rappresentano se stessi. Sono parte dell'Ecomuseo della val Gerola, come gli alpeggi, come il Bitto (storico), come la casera di stagionatura di quest'ultimo (nella foto sopra raffigurata nella foto del pannello appoggiato alla balla di paglia). Il Bitto è al centro del loro stendardo, è il cuore dell'identità locale, della storia locale. Che la tradizione rappresentata dai  Giaröi non sia folklore ma tradizione che rivive ce lo dice la forma di Bitto storcico (con tanto di dedica a Slow Food) della foto sotto. Essa campeggia al centro del rudimentale "stand" degli amici di Gerola. In più davanti alla forma di Bitto ribelle c'è anche il mio libro (scritto da me, edito da Slow Food). Puntualizzo che il libro era già lì prima che arrivassi a fotografare.

 Una certa realtà sgradita al quadro istituzionale, alla burocrazia fatta uscire dalla porta rientra dalla finestra. Buon segno. Chi pensa di usare ancora la tradizione come innocuo soprammobile e di strumentalizzarla per replicare all'infinito il paradigma del Mulino Bianco deve rivedere i suoi conti. L'ancoraggio alla storia, alla tradizione, alla ricerca di "patine" e di blasoni porta con se una rimessa in discussione di modelli di standardizzazione agroalimentare di scelte che privilegiano le filiere industriali.

 

 

Nella futuristica Piazza i milanesi curiosi chiedono come si fa a filare a mano e gli amici di gerola di buon grado si prestano (foto sotto). Le donne di lì filano ancora a mano per confezionare gli scalfarocc, i robusti calzettoni in lana nostrana, ideali da indossare con scarponi e stivali (io li uso a volte ma - poco avvezzo - infilo una calzetta di cotone sotto per evitare l'irritazione della ruvida lana).

 

 

Nel corso della giornata, durante il Mercato i gruppi si sono esibiti sia con gli antichi mestieri che con performance musicali. Al termine del mercato (ore 17.30) tutti si avviano verso l'ingresso che dalla Piazza conduce direttamente con una scala elicoidale alla Sala dei 500.

 

 

Si avviano i brianzoli con la loro ricercata divisa di ispirazione secentesca (i Promessi Sposi, si sa ... ), si avviano gli altri gruppi, dal vestire "campagnolo", quello immortalato in tante foto del "come eravamo". Magari la camicia potrebbe essere più rural ovvero di lino e senza colletto (sul mercato se ne trovano facilmente anche di lino nazionale bio). Però va bene così. Non si deve fare folklorismo stucchevole se è un contenuto culturale e non un'estetica che conta.

 

 

Mi è molto piaciuto vedere il gruppone dei "tradizionali" che stazionava in attesa dell'ingresso per il pertugio che mena alla Sala. Il sole ormai calato da un pò si erano intabarrati (foto sotto). Da quanto tempo a Milàn non si vede una scena così? Io mi ricordo di averli visti sulla piazza di Melegnan e de Lood "a fare mercato" i nostri agricoli (ricordo anche mio nonno materno - fitàul - cunt el tabàr). Non mi ricordo - eppure da Piazza Fontana da ragazzino ci passavo ... la scena che descrive la Cederna (Camilla) nel seguente passo di un articolo divenuto un classico del giornalismo:

 

“Eran sensali, proprietari o fittabili di aziende agricole, bergamini o malghesi, coltivatori diretti, commercianti in mangimi, granaglie, macchine agricole o lubrificanti per trattori, che vengono dalla bassa e dal lodigiano, tutti quelli che ancora qualche anno fa portavano il tabarro […]  Camilla Cederna, Una bomba contro il popolo, L’Espresso, 21 dicembre 1969

 

Sì, è dalla bomba di Piazza Fontana che non si vede più una scena così. Una bella emozione relalata da questa Festa dell'agricoltura che ha reso più vivo e umano il Palazzo impegnandolo di un zic di lombarditudine.

 

 

I gruppi hanno preso poi posto in sala.

 

 

Nel pubblico parecchi funzionari, amministratori, anche agricoli ma più del tipo "imprenditore" che oggi lavora più  al PC che in campagna (niente di male, per carità, ma una certa retorica del sudore della fronte e del duro lavoro dei campi si potrebbe evitare). In ogni caso c'erano giovani e anziani. Montanari pochi.

 

 

La sala dei 500 è accogliente con buona acustica ma sobria e va dato atto che non si è sprecato in inutili coreografie. Anche se agricoltura è anche vivaismo e produzione di piante verdi e fiori si sono scelte delle variopinte zucche e cesti di ortaggi per ornare il palco. Un messaggio positivo in tempi di austerità. Merito della segreteria dell'assessore che si è molto prodigata per organizzare l'evento in prima persona senza appoggiarsi a costose agenzie.

 

 

L'assessore De Capitani, ha aperto la parte dedicata alle premiazioni richiamando il significato della Festa che vuole dare un segnale tangibile di attenzione all'agricoltura. Un'attenzione che le istituzioni (erano presenti anche rappresentanti delle provincie) si impegnano a mantenere e rafforzare nonostante i tempi difficili ma che tutta la società dovrebbe prestare. C'è stato spazio anche per parlare della Pac. De Capitani ha fatto bene a ricordare che i fondi comunitari non piovono da cielo, anzi! L'Italia versa più di quanto riceve e la Lombardia è la regione che più da allo stato. Il sostegno alla nostra agricoltura, ormai quasi esclusivamente ridotto ai fondi europei - Psr in primo luogo - non lo da l'Europa ma i contribuenti lombardi (che, aggiungiamo noi foraggiano anche le agricolture di altre regioni italiane e quella della Polonia e di altri paesi). Che affare questa Europa! Con la prossima Pac poi le cose potrebbero peggiorare perché - ha sottolineato l'assessore - la Pac vuole puntare più sul Greening, il che penalizzerebbe la Lombardia che è caratterizzata da sistemi intensivi. Qui ci sarebbe parecchio da approfondire ma in attesa di saperne di più c'è da chiedersi se non sarà prima o poi il caso di riconsiderare un livello di intensificazione (che poi in molti casi deve leggersi industrializzazione) della nostra agricolatura. Un conto è un Greening che imponga la rinaturalizzazione, la wilderness, la non coltivazione di aree vagamente di inteersse ambuentale. A questo Greening bisogna dire di no chiaro e tondo perché in Lombardia abbiamo già perso sin troppe superfici agricole a favore delle boscaglie, delle felci e degli arbusteti. Altera cosa è un Greening che riduca gli impatti innegabili della sin troppo industrializzata agricoltura e zootecnia lombarde.

 

 

Nonostante il clima di festa nei discorsi dei quattro presidenti delle quattro confederazioni si sono còlti accenti dissonanti e in filigrana si potevano leggere le contraddizioni dell'agricoltura lombarda. Al di la delle retoriche adesioni alle parole d'ordine di qualità, filiera corta, difesa dai tagli all'agricoltura, largo ai giovani, dell'innovazione tecnologica ecc., Coldiretti e - in modo più esplicito Copagri - hanno rimarcato come l'identità agricola si gioca sulla produzione di cibo e che questo ruolo è imprescindibile. Il presidente di Copagri (sotto) è andato oltre e, in evidente polemica con Confagricoltura (che rappresenta le aziende agroenergetiche) ha detto che gli agricoltori non devono produrre energia elettrica sottraendo terreno alla produzione di cibo e tagliando erba sotto i piedi alla zootecnia. Segno che il problema è grave e che sta creando una nuova divisione tra le organizzazioni agricole: da una parte Confagricoltura, fautrice deella super-industrializzazione e della trasformazione degli agricoltori in industriali tout court del tutto inseriti nei meccanismi industriali, dall'altra, con minore o maggiore verve, gli altri. Che contestano anche gli OGM amati da Confagricoltura. Va anche detto che dal punto di vista culturale gli 'altri' non fanno nulla per schiodarsi dall'ideologia del produttivismo, dall'idolatria della tecnica, perpetuando una cultura che - alla lunga - li rende subalterni al modernismo estremo e senza peli sulla lingua di Confagricoltura. Andena della Coldiretti (ma anche presidente Aia - associazione italiana allevatori) ha tirato ancora fuori la storia che i nitrati li producono "gli altri" e che bisogna respingere al mittente certe prese di posizione ambientaliste "come le barzellette che dicono che i rutti delle vacche causano l'effetto serra".

 

 

L'assegnazione dei premi - attraverso le loro motivazioni - ha ribadito quelle che sono le contraddizioni dell'agricoltura lombarda. Del suo rappresentarsi, dei valori in cui si identifica (o si vorrebbe che si identificasse). Sono stati premiati un agricoltore "storico" (uh che bella questa deifinizione, mi ricorda qualcosa...) e un giovane per ciascuna delle 11 provincie. La parte del leone l'hanno decisamente fatta le aziende di bovine da latte (quasi tutte di vacche Frisone). L'unico agricoltore di montagna premiato, oltre ovviamente ai due di Sondrio, è stato un giovane viticoltore di Domaso. Curiosamente (o no?) anche il giovane lecchese premiato è viticoltore collinare. Giusto riconoscimento ad un settore che rinasce, ad una viticoltura dalle forti radici storiche (specie quella brianzola). Per il resto non è stata molto premiata la differenziazione e la multifunzionalità: un'azienda di Mantova che produce in modo specializzato ortaggi tipici per le conserve, una fattoria didattica di Milano (ma con le solite Frisone).

 

 

Poi, a parte un allevatore di suini a ciclo aperto di Lodi (premiato per l'attenzione al benessere), un viticoltore dell'oltrepo (ci mancherebbe), un melicoltore valtellinese, un viavaista brianzolo (anche qui attività molto consolidata), un allevatore di ovaiole (premiato , ahi, ahi, per la produzione di energia elettrica), gli altri erano tutti allevatori di vacche da latte. OK è quella che connota la Lombardia ma i premi devono seguire i pesi dei fatturati? Ma poi: se in diverse provincie è difficile premiare qualcuno che non sia un allevatore non ci sarà qualcosa che non va?

Nelle motivazioni si sciorinavano dati di tot decine di migliaia di quintali di produzione di latte come attestati di merito, indugiando anche sui meriti nella "selezione animale", sulla meccanizzazione, le tecnologie. Ma siamo nel 2011 o nel 1911?  La "selezione" ha peggiorato la vitalità e l'adattamento biologico delle macchine da latte (che infatti consentono gli incroci). Sarebbe ora di cambiare registro (lo ha detto un panel di scienziati di una commissione dell'agenzia eupropea per la sicurezza alimentare di Parma - EFSA - non lo dico solo io). La meccanizzazione, se non adottata con criteri critici, "contadini",  rappresenta un costo molto pesante (anche qui non lo dice solo il tapino che scrive ma fior di studiosi). A volte pareva di essere tornati cent'anni fa ai tempi dei Comizi agrari e del "progresso agricolo" con l'alba radiosa dell'era della meccanica e della chimica. Si è visto quanto radiosa.

E poi perché ha parlato Baldrighi il presidente del Consorzione del G.P. (Grana Padano) e non altri rappresentanti di prodotti tipici?

Comunque tra i premiati molti il premio se lo meritano veramente. Ne cito solo uno perché è un caso di resistenza umana e contadina. Cocciuta, idealista. Trattasi di Andrea Falappi che ha tenuto duro con gli sfratti esecutivi per anni nella sua "ridotta agricola" quasi in centro di Milano. Ora sorgerà il Parco del Ticinello.

 

 

I gruppi tradizionali hanno eseguito brani vocali e strumentali spezzando le altrimenti lunghe serie delle premiazioni. E hanno donato altre emozioni. Le cornamuse bergamasche sono diventate una vera banda che potrebbe fare la sua figura al castello di Edinburgo dove una volta  sono stato a sentire le bande militari.  Quando I nostri sono entrati in modo molto marziale, ma non militaresco,  con i tamburi e le muse mi è parso di riascoltato le pipes and drums sul Castle.  Quando sono entrati  ho ripensato anche agli antesignani della rinascita del baghett, all'amico Piergiorgio Mazzocchi con i suoi Samadùr e a Walter Biella con la Bandalpina. Di strada se ne fatta tanta. Oltre a gruppi di suonatori che rinnovano la tradizione dei suonatori popolari, oggi c'è questa gagliarda banda che rende onore alla tradizione alpina e lombarda della musa. Una cosa non esclude l'altra.  Manco a farlo apposta Formigoni ha fatto il suo ingresso quando entrava in scena la banda di cornamuse. Un regalone. Unica nota stonata la pronuncia di Marco Gatti, peraltro efficace presentatore, che - ripetute volte - ha proncunciato Berghèmm invece che Bèrghem. Ma Gatti, se è scritto....

Sono stati bravissimi anche i Sem chi inscì che hanno adattato nientemeno che Van de Sfroos al repertorio dei gruppi tradizionali. Hanno eseguito un pezzo che si presta molto bene (nasce con un coro): la ninna nanna del contrabbandiere. Un tema che unisce tutte le provincie lombarde di montagna (persino quelle che non confinano direttamente con la Svizzera ma da cui partivano lo stesso gli spalloni). Come non commuoversi con la ninna nanna? Basta aver sentito dalla viva voce dei tanti montanari-contrabbandieri i racconti del Far-west per non poter non commuoversi a questa canzone. L'incontro tra un cantautore e il repertorio popolare fa comprendere in presa diretta come nasca la musica popolare, non necessariamente anonima e di chissà quale antichità. E ci dice quale sia la presa e quali corde tocchino la poetica del nostro grande Davide.

 

 

La Festa è stata ricca di stimoli e - vale la pena ripeterlo - anche di emozioni (cosa abbastanza rara in queste occasioni istituzionali).  L'impressione ritratta dalla giornata è che si sia vicini a un tornante: sono molte e irrisolte le contraddizioni della nostra agricoltura tra l'esaltazione acritica della modernità tecnologica (e non solo) e la considerazione del passato, divisa tra sterile nostalgia  e desiderio di solidi ancoraggi per andare avanti. Tra km 0 e perduranti smanie produttivistiche. Tra proclami ambientali e prassi ben poco virtuose. Che serve nasconderlo?

La formula della Festa, in ogni caso, è molto azzeccata.

Il mercato agricolo in Piazza Città di Lombardia, visto il successo dell'ambientazione, andrebbe ripetuto una volta al mese (più un grande mercato di Natale). Mi raccomando.

 

           

 

pagine visitate dal 21.11.08

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