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Politica


Il capitale sostituisce la sinistra con il
liberal-ambientalismo?




di Michele Corti


(13.07.19) Vi sono segnali importanti circa la volontà dei circoli capitalistici euromondialisti di  puntare sul liberal-ambientalismo quale nuovo strumento di plagio di massa, utile per avere a disposizione nuovi maggiordomi politici. Lo smaccato "fenomeno Greta", il "pompaggio" mediatico elettorale pro verdi, il prossimo sinodo sull'Amazzonia, la candidatura di Sala (l'"ambientalista" della piastra Expo) indicano in modo univoco questa direzione di marcia. Del resto la crisi verticale della sinistra in Francia, Italia, Germania non può non porre il problema di un cambio di cavallo. Dopo aver reso ottimi servizi al capitalismo per decenni, aiutandolo a vincere la lotta di classe e a imporre l'attuale spietata forma di capitalismo senza limiti, la sinistra ha perso la capacità di creare e mantenere il consenso degli strati popolari ; è un cavallo bolso che è meglio sostituire. Il nuovo soggetto politico liberal-ambientalista è funzionale e pienamente coerente con la forma post moderna di capitalismo assoluto: una bioeconomia e una biopolitica che non esclude alcun aspetto delle vite umane e della natura dalla mercificazione e dallo sfruttamento. La sinistra fingeva di difendere i diritti dei lavoratori mentre questi erano smantellati. Il nuovo soggetto politico liberal-ambientalista allo stesso modo deve fingere di promuovere libertà e diritti illimitati e di tutelare l'ambiente nascondendo, in un gioco di illusioni e di spregiudicato uso della neo-lingua,la realtà dell'affermazione di nuove forme di servaggio e di schiavitù e della distruzione senza sosta, in nome del profitto, di ecosistemi cruciali per il pianeta attuata con la copertura delle foglie di fico delle compensazioni di CO2 e di analoghi giochi di prestigio, nonché delle politiche di "rinaturalizzazione" in Europa (che oltre a nascondere la deforestazione in altri continenti , mirano all'eliminazione del popolamento umano delle aree rurali , in vista dell'obiettivo della concentrazione di plebi sempre più amorfe, sradicate e subalterne nelle aree urbane onde esercitare politiche di controllo panoptico e feroci strategie malthusiane e eugeniste, da sempre chiodo fisso dell'ambientalismo. 

Ciò che il neo-potere liberal-ambientalista dovrà far digerire alle plebi sradicate, senza identità, memoria e storia, è ancora più indigesto delle "ricette" ultraliberiste della fase storica recente. Nonostante l'umanità stia per smettere di crescere e che l'agricoltura sarebbe in grado di sfamare tutti, il neo-potere liberal-ambientalista deve convincere della necessità di "superare" l'agricoltura (per non parlare dell'allevamento animale). Metà delle superfici emerse del pianeta dovranno diventare "area protetta", non per tutelarle - come la narrazione del biopotere liberal-ambiental-capitalista  suggerisce - ma per sfruttarle in modo spietato con la mani libere, una volta eliminata, in nome della rimozione del "disturbo antropico",  la presenza di popolazioni indigene, tradizionali, rurali.


All'agricoltura e all'allevamento, che hanno la colpa di perpetuare sia pure in forme diverse dal passato, la relazione tra l'uomo e la terra, di riprodurre radicamento, forme di economia in grado di sottrarsi dalle filiere agroindustriali mondiali, saranno sostituite le industrie del cibo dove la materia prima non è più fornita dall'agricoltura e dall'allevamento ma è essa stessa industriale. In queste fabbriche si produrranno alghe, insetti, carne artificiale, il meraviglioso cibo delle prossime generazioni che i media stanno già convincendoci a dover mangiare (e al quale ci sta abituando il cibo senz'anima e senza gusto dei tanta agroindustria attuale). Le antiche superfici agricole e pastorali, utilizzate per produrre cibo sin dal neolitico, torneranno alla "wilderness" per la gioia dell'ideologia conservazionsta, naturalista, antiumanista.


Dove serie interminabili di generazioni hanno prodotto cibo in grado di garantire la vita (e la sua perpetuazione) oggi il sistema liberal-ambiental-capitalista vuole vedere nuovi boschi "naturali" mentre in Asia,  in Sudamerica disbosca foreste primarie per creare piantagioioni (soja, palma). E questi boschi devono essere regolarmente popolati da orsi, lupi, linci, sciacalli. Sì, serve proprio che l'ideologia liberal-ambientalista trionfi per mettere ulteriormente in riga le moltitudini. Queste ultime devono credere in modo fideistico e acritico ai dogmi "scientifici" sulle devastanti conseguenze della crescita demografica e del riscaldamento globale. Premessa per poter far subire politiche fiscali "verdi"che rendano i ricchi ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri , per es. finanziando con sovratasse le auto a benzina e gasolio di chi vive in montagna e nelle aree interne per finanziare gli incentivi all'acquisto da parte dei ricconi di costose e (nel ciclo di vita) inquinanti Tesla. Premessa per far accettare politiche demografiche suicide e la definitiva demolizione dell'istituzione famigliare. 


La sinistra, per decenni, ha puntellato efficacemente il capitalismo, inducendo ampi strati popolari ad accettare come una necessità, quasi fossero una catastrofe naturale ineludibile, le politiche liberiste e di austerity.  In nome di un falso solidarismo che nulla ha a che fare con quello cristiano o proletario, la sinistra ha sostenuto con forza la politica di porte aperte all'immigrazione extracomunitaria che, in un contesto deflattivo e unitamente ai processi di delocalizzazione e all'abbattimento dei dazi, hanno fortemente contribuito alla creazione di un esercito industriale di riserva riducendo ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori, già indebolito dalla demolizione del sistema di diritti collettivi e sindacali.


Quel sistema non era stato un grazioso regalo di padroni illuminati. Contro un capitale chiuso a ogni concessione, la sinistra dovette impegnarsi sul serio nella lotta di classe.

Venne poi il tempo delle "conquiste sociali", delle "garanzie", dei contratti collettivi di lavoro, dei rapporti a tempo indeterminato. Il capitale, organizzato ancora largamente su base nazionale, finì per accettare una politica di pieno impiego, di 40 ore settimanali e di alti salari, che consentiva agli operai di comprarsi le merci che producevano (e al capitale di godere di una domanda interna in espansione). Lo stato, da parte sua, attraverso le politiche keynesiane di investimenti pubblici, sosteneva la domanda e la piena occupazione  sosteneva l'erogazione di servizi sociali che garantiva, insieme agli alti salari e alle tutele sindacali, la pace sociale. Il periodo d'oro di questo "compromesso sociale", fiorì nei "gloriosi" venticinque anni, tra il 1950 e il 1975. Va precisato che il prezzo di questa pace sociale consistette nell'accettazione, da parte della sinistra, della logica di meri miglioramenti economici all'interno di un quadro di definitiva accettazione dell'assetto capitalista e della rinuncia alla lotta di classe. Nel mentre venivano celebrati i trionfi dei modelli socialdemocratici, del capitalismo renano, si creavano le premesse per la rivincita del capitale. 

Dietro la facciata della forza della sinistra politica e sindacale si nascondevano già quei fattori di indebolimento della coscienza collettiva che, nella fase storica successiva, sull'onda di radicali cambiamenti geopolitici, socio-culturali e tecnologici, avrebbero sbriciolato il potere contrattuale del declinante proletariato di fabbrica, quello delle identità solide, del posto fisso,  dell'impiego a  vita in un'azienda.  Quello della fabbrica fordista, della catena di montaggio e della produzione di massa standardizzata, della condivisione della identica condizione salariale e di lavoro, ma anche di vita (fuori dei cancelli degli opifici nei luoghi di aggregazione popolari). La condizione di lavoro, per quanto dura, era condivisa con  innumerevoli altri lavoratori, con i quali era facile intendersi, organizzarsi, lottare. I compagni di lavoro condividevano non solo le stesse esperienze ma anche gli stessi valori, le stesse aspettative, l'etica del lavoro, l'orgoglio di classe. Consapevole del potere del capitalismo, la classe operaia, pur dominata, non ne subiva la subalternità, non ne subiva l'influenza ideologica, non si beveva le sue narrazioni. Gradualmente, però, tutto ciò venne meno.

Con l'aumento del "tempo libero", dei salari e dei consumi si sono fortemente differenziati gli interessi, le sensibilità, i valori e ha prevalso la ricerca dell'interesse individuale e dell'aumento di reddito, sotto forma di secondo lavoro, straordinario, avanzamento individuale di carriera. Diventava sempre più importante guadagnare di più per poter consumare di più come condizione di affermazione individuale. La contrattazione collettiva perdeva terreno. Per approfondire l'analisi sociale della transizione all'individualismo e alla crisi della militanza politica e sindacale degli anni '80 vedi qui.

Fig. 1 - Percentuale di reddito del 10% più ricco della popolazione (Stati Uniti)


Tutto non è stato più lo stesso dopo l'avvio delle politiche liberiste alla fine degli anni '70 e, soprattutto, dopo il 1989, quando il capitalismo e il sistema politico liberale sono rimasti senza alternative e il mondo si è trovato unificato all'interno dell'unico capitalismo globale, di una società di mercato (prima era solo un'economia di mercato) allargata a tutto il pianeta. Da allora la perdita di sovranità degli stati e di diritti sociali sono procedute parallelamente, la forza contrattuale dei lavoratori è stata spezzata dalla delocalizzione, dall'aumento della disoccupazione legato alle politiche deflazioniste, dalla diffusione del precariato che pone il lavoratore in condizioni di forte concorrenzialità con chi è nella stessa condizione al fine di ottenere (spesso implorare) un rinnovo del proprio contratto, sino a forme di nuovo servaggio e sottomissione personali. Le politiche liberiste e rigoriste non hanno colpito e destrutturato solo il lavoro ma anche i ceti sociali più deboli, i territori più fragili che hanno subito le politiche di "aziendalizzazione" della sanità e di altri servizi, con la chiusura di scuole, uffici postali, punti nascita (che continua sino ad oggi). Il ridimensionamento dei servizi sociali e sanitari (sempre più affidati al mercato, ovvero alle assicurazioni integrative della pensione e sanitarie) è stato invocato e attuato in nome di "sprechi", che pure esistevano ed esistono, ma si è reso necessario a causa di un colossale trasferimento di ricchezza verso la cupola finanziaria mondiale che si è avvantaggiata della deregulation, mentre il debito pubblico è cresciuto ancora, nonostante i tagli, gli irrazionali blocchi della spesa pubblica che paralizzano le amministrazioni locali (anche quando non hanno problemi di bilancio).

Parallelamente alla compressione dei salari, il top management ha sganciato le proprie retribuzioni da quelle dell'insieme dei dipendenti delle grande aziende mentre alla speculazione finanziaria si sono aperte nuove immense possibilità di guadagno grazie alla deregulation e alle nuove tecnologie della comunicazione. Ampi praterie verdi  (verde dollaro) si sono aperte per nuove forme di sfruttamento. Solo che l'intermediazione di meccanismi anonimi e la subalternità ideologica impediscono agli sfruttati di rendersene conto e di individuare i loro sfruttatori. Con chi prendersela? Con le grandi banche d'affari internazionali, le società di rating, il Fondo mondiale internazionale, la Banca mondiale, le multinazionali di Internet, le multinazionali "tradizionali", la Bce? Una cosa è certa: il trasferimento di sovranità a organismi internazionali ha enormemente aumentato il potere della finanza internazionale.


La fine della fabbrica (letteralmente dissolta nello spazio sociale) e la frantumazione delle modalità contrattuali (outsourcing, partite iva, cococo, lavoro a contratto, a progetto, part-time, interinale, a termine, suddiviso, a chiamata) hanno spezzato ogni resistenza alla vittoriosa lotta di classe di restaurazione di un (di nuovo) ferreo dominio degli sfruttatori su una plebe disgregata, facilmente manipolabile, conquistata dall'ideologia liberal-liberista della competizione individuale, della microimprenditorialità, delle supposte pari opportunità per tutti.  Una circostanza che emerge con evidenza plastica nella tragedia sociale e culturale dei precari che affollano (costosi) corsi che promettono miracolose ricette per far soldi (trading ecc.) e si identificano nelle saghe delle start-up della radio di Confindustria.
Alla perdita dei diritti sociali si è offerta, come compensazione, la prospettiva oppiacea della "conquista" di sempre più numerosi diritti individuali che consentirebbero ai singoli di poter esprimere liberamente le proprie inclinazioni, di perseguire desideri e soddisfare bisogni (spesso accortamente indotti dal sistema consumistico). Sbarrata la strada all'emancipazione sociale delle masse, si trasferisce la tensione emancipativa verso la "sfida a competere" (persa in partenza per la stragrande maggioranza) o, fuori dall'ambito economico, verso altre forme di "liberazione", funzionali, oltre che al consumo, alla demolizione di quanto resta della famiglia e delle altre istituzioni che si frappongono alla definitiva dissoluzione della società in un amorfo insieme di individui.  Tutti facilmente manipolabili in forza nel loro isolamento e dell'incapacità di coalizzarsi, dell'assoluta mancanza di ancoraggi, di sponde, di visioni e discorsi non omologati al pensiero unico liberal-capitalista.


La sinistra ha contribuito efficacemente a promuovere il passaggio dalle lotte per i diritti collettivi alle campagne per i diritti individuali. Bastava scopiazzare gli Stati Uniti. Emblematiche di queste campagne sono quelle che vedono oggi protagoniste le cosidette "minoranze" LGTB, già cresciute con successive addizioni a LGBTQIAPK che si decifra in Lesbica, Gay, Transessuale, Bisessuale, Queer (che non sa bene cos'è), Intersessuale, Asessuale, Pansessuale/Poligamo, Kink (sadomaso e simili). A ben guardare questo campionario di "orientamenti sessuali" rappresenta la graduale legittimazione di ogni perversione (attendiamoci di veder aggregati alle "minoranze" i pedofili stupratori di bimbi mentre, per gli zooerastri, lo sdoganamento appare più in salita scontrandosi con l'animalismo che assegna più tutele e diritti all'animale che ai bambini).

La sinistra, con questa rivoluzione copernicana (dal sociale all'individuale), è tornata alle origini settecentesche, ovvero a collocarsi sul terreno del liberalismo "progressista", libertino, utilitarista, individualista che la caratterizzava prima che da essa, prima che dal ceppo liberale si staccasse il movimento socialista che, per quasi tutto il XIX si mantenne indipendente dalla sinistra borghese e che anzi non si considerava di sinistra tout court.  Per un periodo piuttosto lungo le forze socialiste restarono infatti estranee e contrapposte alla sinistra (radicali, repubblicani) . Un primo riavvicinamento, giustificato dalla necessità di riunire le forze contro la "reazione clericale", si ebbe in Francia e in Italia negli ultimi anni dell'Ottocento. Fu una sciagura. Da allora socialismo e sinistra finirono per identificarsi tanto più in forza dell'esigenza di esorcizzare i casi di Mussolini e delle tendenze socialiste del primo movimento hitleriano. Anche i partiti comunisti, che pure rivendicavano la loro differenza contro i "social traditori", che avevano abbandonato la lotta di classe per il riformismo e l'accordo con la borghesia, continuarono a identificarsi con la sinistra (nonostante le tante affinità tra esperienze totalitarie fasciste e comuniste). Il rifarsi della sinistra all'illuminismo e alla rivoluzione francese, per "nobilitarsi" e rendersi accetta a strati non proletari, l'ha indotta - dopo il crollo del socialismo reale - a gettare con l'acqua sporca anche il bambino e a rifarsi una verginità reclamando il ritorno alle origini liberali. Ben presto la sinistra non solo si è riscoperta liberale sul piano politico, ma anche liberista (economia) e libertina (costume).


La politica dei diritti individuali, la dissoluzione delle appartenenze collettive e di ogni forma di identità solida (sino alla liquefazione della stessa identità di genere, modulabile a piacere e ridefinibile), hanno "liberato" gli individui dai vincoli della morale tradizionale, dall'esigenza di lealtà nei confronti delle aggregazioni sociali di appartenenza (famiglia, gruppi professionali, vicinato, comunità locale, nazione).

L'individuo è tendenzialmente libero di soddisfare i propri desideri e bisogni; eliminato ogni quadro di riferimento etico, scardinato il "patriarcalismo", demolito ogni principio educativo improntato a trasmettere alle nuove generazioni il senso del limite, della rinuncia. Trionfa il permissivismo, il femminile. Il solo limite al piacere è dato, eccolo il traguardo della libertà liberale, dalla capienza del portafoglio, anche a costo di fare degli altri - smentendo ogni buonismo - dei puri strumenti, degli oggetti della soddisfazione del proprio piacere e dei propri desideri (vedi l'utero in affitto). All'esaltazione della libera ricerca del proprio piacere da parte di chi possiede molto denaro corrisponde la degradazione dell'altro a forme di nuova schiavitù e servitù della gleba. L'amoralità libertina del marchese di Sade trova una sua dimensione di massa non tanto nell'emularne gli eccessi ma nel quotidiano, banale, rapporto utilitaristico.  Con la caduta di ogni limite morale, tutto diventa merce, il corpo umano, parti di esso, la natura (vedi i crediti di carbonio, i titoli di biodiversità, i pagamenti per i servizi ecologici e gli strumenti finanziari derivati). 

Il quadro apparentemente seducente e ammaliatore dell'emancipazione dell'individuo e del fiorire di diritti di ogni tipo, si scontra con una realtà di progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani. Nella liquefazione della società e nella precarizzazione delle relazioni sociali, nell'isolamento dell'individuo dagli altri individui alienati e sfruttati. Così, a rafforzarsi oltre ogni limite, con la "collaborazione" degli sfruttati, che un tempo bisognava disciplinare e reprimere con costosi apparati coercitivi, è stato il capitale. L'esasperata politica dei diritti individuali frammenta la società in un puzzle di minoranze ed è causa di ulteriore disgregazione dal momento che la moltiplicazione dei diritti porta inevitabilmente a conflitti di prevalenza tra essi (e vince sempre il criterio di chi è più ricco).

L'impoverimento del ceto medio, la generale precarizzazione, la coazione a lavorare per compensi miserabili, e anche gratis (pur di poter mettere qualcosa nel c.v.), l'impossibilità di programmare l'esistenza, di farsi una famiglia, una casa, l'instabilità residenziale, affettiva, residenziale, presentate dagli apparati ideologici del capitalismo neoliberale quali "opportunità" di una vita smart e interessante, sono altrettanti aspetti di una nuova miseria, conseguenze della vittoriosa lotta di classe dell'elite transnazionale.   Ora lo sfruttamento non si realizza più solo dentro le mura della fabbrica e degli uffici, ma in forma integrale, in ogni aspetto della vita, a seguito della caduta di ogni distinzione tra i tempi e gli spazi del lavoro e quelli dedicati ad altre attività, tra il momento della produzione e quello del consumo (al consumatore vengono trasferite incombenze che un tempo erano svolte da salariati). Agevolano la diffusione del rapporto di sfruttamento, anche al di fuori di ogni forma di dipendenza formale, le enormi disparità tra piccoli produttori e grande distribuzione organizzata. Il contadino, l'agricoltore indipendente vincolato da mercati tutto tranne che fluidi e concorrenziali sia attraverso gli acquisti di input dall'industria, sia attraverso la vendita è di fatto un operaio delocalizzato, fatto che diventa palese nelle soccide e nei contratti di coltivazione. Agevolano forme di sfruttamento nascosto e ubiquitario la colonizzazione, da parte del mercato e del modello aziendale, di tutte le istituzioni sociali (sanitarie, assistenziali, educative). Non c'è più la classe operaia ma gli sfruttati sono ancora di più, in forme tali da non averne coscienza.

La sinistra "del costume scostumato", alla quale il capitalismo ha volentieri spalancato le porte dei media e degli apparati di produzione del consenso, ha svolto un ruolo decisivo, dal 68 in avanti, per abbattere ogni barriera che limitasse l'estensione del mercato ad ogni aspetto della vita sociale e ogni vincolo che tenesse unite tra loro le persone sulla base di interessi, origini, appartenenze, valori condivisi. La demolizione della sovranità nazionale, dei confini, sempre in nome della "libertà di movimento" (di uomini, merci e capitali), sapientamente mescolata con retorici e impropri richiami all'universalismo e ai vecchi solidarismi, ha dato il colpo di grazia alle conquiste storiche del movimento dei lavoratori ma anche allargato l'area dello sfruttamento a quelle categorie che si ritenevano "indipendenti" (artigiani, contadini, commercianti, professionisti).

Queste figure indipendenti o accettano di entrare in relazione subalterna con le grandi organizzazioni economiche o devono cessare l'attività. Non è facile resistere alla concorrenza sleale di multinazionali, sempre più potenti e capaci di stabilire quanto e dove pagare di tasse, sempre più in grado di controllare l'informazione e la distribuzione delle merci e ogni aspetto della vita delle persone, in grado di battere moneta quando agli stati non è più concesso farlo. Esse sono anche in grado di imporre nuovi modelli di organizzazione e sfruttamento del lavoro che reintroducono persino le catene degli schiavi, in forma di microchip sotto pelle, per il controllo panoptico del lavoratore. Ma nessuno o quasi si scandalizza. Il fascino della tecnologia che viene dalla California fa digerire anche il ritorno alla schiavitù e la volatilizzazione di interi settori commerciali barattati con posti di lavoro poco qualificati e a grande intensità di sfruttamento.


Alle multinazionali, alle agenzie internazionali (FMI, Banca mondiale), alle grosse Ong (simbiontiche alle multinazionali) è stato trasferito, ponendolo al di fuori del controllo politico democratico, gran parte del potere che un tempo era in capo agli stati nazionali. Contro i poteri transnazionali non si può scioperare, non serve fare leggi locali.  Quelli che erano gli strumenti localizzati del potere di pressione dei lavoratori (e dei cittadini) sono spuntati in un contesto globalizzato.

Se il quadro è così fosco ci si può e si deve chiedere come abbia potuto la sinistra ingannare così a lungo i lavoratori, così a lungo da consentire al capitalismo di vincere su tutti i fronti? Innanzitutto attraverso il controllo degli apparati di creazione del consenso che il sistema capitalistico ha pensato conveniente affidarle. La svolta liberal-liberista, attuata con la sinistra al governo in forme ancor più feroci della destra (vedi Tony Blair), è stata presentata dai media main stream (quindi di sinistra, progressisti ) come inevitabile, come un fatto naturale. 



Tony Blair con Lord Levy.  Levy, esponente sionista,  creato baronetto per meriti di business acquisiti nell'industria discografica, era il principale finanziatore del partito laburista. Fu arrestato perché vendeva onorificenze.


Ha giocato però anche l'effetto di riconoscenza, di identificazione e di fiducia inossidabile (almeno per un po' di tempo) verso forze politiche storiche che erano riuscite a strappare importanti conquiste, quindi un fattore inerziale e ...anagrafico. Gli anziani che hanno trascorso la maggior parte della vita nella società solida, dove l'operaio lavorava tutta la vita alle officine Fiat di Mirafiori e risiedeva tutta la vita nel medesimo quartiere dormitorio della cintura torinese, era iscritto alla Fiom e votava PCI. Una condizione stabile e consequenziale che non ammetteva smagliature. Un fideismo duro a morire induceva a credere - con qualche dubbio - che il PD, erede del PCI, non avrebbe mai tradito la classe operaia. Ci sono voluti i colpi d'ariete inferti dalla sinistra al governo allo statuto dei lavoratori, la "riforma delle pensioni", l'accondiscendenza alle politiche di austerity della UE a trazione tedesca, le ondate immigratorie clandestine, (in presenza di elevata disoccupazione e di ripresa dell'emigrazione giovanile dall'Italia), la Fornero. Il PD, oltre che per gli aspetti economici si è alienato le simpatie popolari per l'altezzosa politica da sinistra al caviale, palese nell'opposizione alle misure "securitarie", fortemente invocate dai ceti più deboli, maggiormente esposti alle conseguenze della criminalità diffusa (legata all'immigrazione, alle bande straniere e ai campi rom). Finalmente, la combinazione di fattori economici, sociali e culturali (possiamo anche dire antropologici) ha contribuito ad aprire gli occhi a chi, da generazioni, votava a sinistra. Con conseguenze di vero terremoto politico dove era consolidato il sistema di potere "rosso" (Umbria, Emilia).



Gli esiti della macelleria sociale, l'esempio della Grecia con il caso vergognoso dei bambini morti di austerity, quelli censurati dal vice- direttore del Corriere-Pravda, hanno reso sempre più difficile per i circoli dominanti, i nuovi signori feudali di Davos, continuare a mascherare la realtà della sconfitta dei lavoratori, dello smantellamento dei diritti sociali. Mentre il capitalismo neoliberale impone agli stati leggi a favore del diritto al matrimonio gay, all'utero in affitto, in Grecia per recuperare i suoi crediti ha condannato a morte vecchi e bambini negando il diritto alla salute e alla vita. Come si fa a credere alle campagne buoniste delle Ong degli sfruttatori?
Oggi è divenuta pura illusione pensare di convincere i lavoratori a subire le politiche imposte dall'elite continuando a utilizzare come persuasori i partiti di sinistra. Percepiti dai ceti popolari come traditori, come maggiordomi dell'elite, i politici di sinistra raccolgono il consenso degli stessi privilegiati, dei chierici ben pagati al suo servizio, dei frustrati piccolo-borghesi che pensano di elevarsi socialmente, di darsi un tono e di ottenere qualche briciola che cade dalla tavola imbandita dell'elite, esibendo idee di sinistra. Tutti fenomeni in  esaurimento.  La sinistra non è smart e nella società di mercato che essa ha sposato con entusiasmo, specie se ti identifichi nei suoi valori, questo è esiziale.



Sul piano economico e sociale, malgrado tutte le strategie di persuasione (la globalizzazione è inevitabile, non resta che affrontare la competizione, vanno eliminati gli sprechi dello stato sociale, bisogna recuperare efficienza) diventa problematico far ingoiare ai popoli nuovi rospi, a fronte dell'evidenza dei folli guadagni dei padroni della new economy di internet e degli speculatori alla Soros e della crescita della povertà anche in quelli che erano i paesi con i più alti redditi. Perdenti e vincitori della globalizzazione sono entrambi facilmente identificabili e ogni nuovo appello a stringere i denti e ad affrontare, accettando i sacrifici del caso, la competizione internazionale rischia di suscitare opposizione. Meglio cambiare musica, meglio chiedere sacrifici in nome del... clima.


Via i tromboni dem, largo alle treccine

La vecchia sinistra aveva già provato a riciclarsi in questo senso. Chi non ricorda quel trombone di Al Gore che, con le sue profezie strampalate e la scarsa credibilità del politico di lungo corso, è stato messo in soffitta. Sostituito dalla voce della falso candore di Greta, fenomeno costruito accuratamente in laboratorio ma, per un po', di sicura presa. La fiaba della piccola ecologista con le treccine che  (vorrebbero farti credere) scuote i cuori dei potenti di Davos, dello zio Juncker, ha folgorato gli adolescenti (in buona fede) e molti adulti (in perfetta cattiva fede) pronti, questi ultimi, a sfruttare il fenomeno mediatico virale che, guarda caso, è stato programmato con tempismo sospetto per influenzare le elezioni del parlamento europeo gonfiando le liste verdi.



Greta alla commissione europea.Venerazione e applausi per l'icona vivente anche se dice che non fanno nulla di nulla per evitare la catastrofe  planetaria

Greta ha numerosi manager, a cominciare dagli astuti genitori, passando per Ingmar Rentzhog, esperto di marketing e comunicazione, che creato la società  "We don't have time" e incassa milioni con l'immagine di Greta. In Germania la manager dello sciopero scolastico gretino è Luisa Neubauer. Di professione "giovane" di bella presenza e idee ambientaliste. Ovvero rappresentante e ambasciatrice giovanile di molte campagne e organizzazioni. Una vera professionista che, poverina, è "costretta" a molti voli intercontinentali che le macchiano la fedina ecologica.

La "piccola Greta" in tenuta d'ordinanza, con la sua manager tedesca: la ormai navigata ventitreenne Luisa Neubauer, "ambasciatrice" di One, ong sostenuta da Soros, Gates e compagnia brutta


La Neubaumer, a differenza di Greta che, da copione (l'angioletto non fa apparentemente politica partitica, ma vedremo che non è così), è membro del partito verde che non esita a contestare in quanto troppo morbido in materia di azzeramento delle emissioni di CO2. Il suo ruolo più prestigioso è quello di ambasciatrice giovanile di One campaing, uno dei due bracci operativi (l'altro è One action) della Ong One. One è devota alla causa della lotta alla "povertà estrema" congiunta con quella al "sessismo" e alla discriminazione di genere. Attraverso la lotta alla povertà queste Ong veicolano l'ideologia liberale di genere, impongono il controllo delle nascite (anche con l'aborto, ma da quest'ultima pratica si è dissociata Melinda Gates molto impegnata con il marito a ridurre la popolazione africana). Interessante notare come le Ong come One considerino la percentuale di addetti all'agricoltura come uno dei peggiori indici di povertà. Essi, nel loro filantropismo, con i loro "aiuti", cercano infatti di sostituire alla "misera" agricoltura di sussistenza,  quella commerciale, che, se fa alzare il PIL, sia pure artificiosamente, riduce la sovranità alimentare e crea spazio e profitti per i filantropi, tra i quali ci sono le multinazionali del commercio agricolo che sostengono le Ong. Ovviamente il passaggio all'agricoltura commerciale se, a qualcuno, consente di ottenere un reddito restando a vivere nel villaggio, per molti (molte braccia con la transizione all'agricoltura "moderna" sono "liberate") è la premessa allo sradicamento, all'inurbamento e all'emigrazione (ovvero creazione di esercito industriale di riserva per i filantropi). Come da copione come tutte le Ong espressione dei circoli capitalisti mondialisti, anche One è sostenuta da due colonne: lo star system e i "filantropi" (le loro multinazionali, le loro fondazioni).

Note star supportano la campagna di One



Il numeroso basso clero del sistema di creazione del consenso al sistema dell'aristocrazia finanziaria  hanno gridato alla fake news quando i mezzi di controinformazione hanno messo in evidenza il nesso tra Luisa Neubaumer e la Open society foundation e, per proprietà transitiva, hanno osato proporre il "blasfemo" accostamento tra il santino vivente (la Greta) e Soros, il personaggio che, per quanto i pennivendoli si sforzino di presentare come "filantropo", per gli italiani è lo speculatore spietato, il criminale finanziario, che ha sottratto al nostro paese 48 miliardi di dollari speculando al ribasso contro la lira con vendite allo scoperto che gli procurarono guadagni di un miliardo di dollari in un solo giorno. A dimostrazione che in Italia le cose non vanno affatto per il verso giusto, il suddetto arcicriminale viene in Italia a pontificare al festival dell'economia.
I fatti dicono che 
nel consiglio di amministrazione di One siede tale Halperin (foto sotto dal sito di One), un rappresentante della Open society foundation di Soros e che la Open Society Foundations e l'Open Society Policy Center sono tra gli sponsor di One. Così come ben note multinazionali (Google, Coca-cola, Cargill, Bloomberg), Bill e Melinda Gates e altri noti personaggi del capitalismo globale.



Che la Neubamer presti la sua immagine giovanile a una delle tante Ong sostenute da Soros ha poca importanza. Quello che conta è che l'ambientalismo alla Greta, e alla Neubauer, rappresenta un salto di qualità in una direzione ben precisa. Il capitalismo ha bisogno di qualcosa di nuovo e di diverso per controllare politicamente l'Europa. (e gli altri paesi di quello che era l'Occidente). 
Le grandi Ong ambiental-conservazioniste  (le bingos: WWF, IC, TNC, WCS) sono fortemente collegate al mondo accademico e alle
multinazionali (attraverso le sponsorizzazioni e la partecipazione incrociata nei consigli di amministrazione del top management). Esse operano attraverso azioni di lobbying largamente invisibili ma spesso gestiscono direttamente, con budget importanti, le aree protette del mondo e grandi progetti, tanto da sostituirsi, almeno in Africa, ai deboli governi locali nelle loro funzioni. In occidente lavorano come consulenti delle imprese promettendo di incrementare i loro affari grazie a opportune verniciature verdi. La green economy è largamente un gioco di prestigio e di pizzi pagati agli ambientalisti , ma tutto ciò crea profitto ed è cosa buona e giusta (per la green economy vedi qui) Le campagne rivolte al pubblico sono, per le bingos, solo una punta di un iceberg delle loro attività. I messaggi emotivi rivolti al pubblico dalle Ong non hanno la finalità di promuovere attivazione politica, ma servono solo a raccogliere fondi e a costruire un'immagine positiva delle stesse, un'immagine  inossidabile a ogni scandalo, che consente loro di intraprendere iniziative spregiudicate, sino alla violazione dei diritti umani e alla spudorata vendita di indulgenze ecologiche a favore di gruppi economici autori di devastazioni ambientali.



Chiuse nella loro torri d'avorio, impegnate a lavorare a gomito a gomito con il management delle multinazionali, con gli alti papaveri della burocrazia degli stati e degli organismi internazionali, le Ong non si prestano certo a interpretare o suscitare forme di attivismo "di base", di militanza politica (o pseudo tale). Se al WWF si devono attribuire dei volti iconici, l'immaginario collettivo continua a richiamare quelli di Filippo d'Edimburgo, Bernardo d'Olanda (scandalo Lockeed e ex nazista), i padri fondatori. La gente deve identificare il WWF con il Panda, non con dei personaggi in carne ed ossa (tolti i suddetti grandi vecchi che, di certo, non suscitano molto entusiasmo, men che meno nei giovani). E allora ... Greta.


Greta: l'irresistibile fenomeno costruito nei laboratori della manipolazione delle masse

A cosa serva Greta, nel contesto della "svolta" politica ambientalista, non è difficile capirlo. Il "movimento" suscitato da Greta è, in tutta evidenza, nato in provetta e geneticamente modificato, dello spontaneo movimento sociale ha ben poco se non il genuino e ingenuo entusiasmo dei giovanissimi adepti. Ma dubitiamo fortemente che dagli scioperi scolastici nasca un movimento stabile sostenuto da reale militanza volontaria.  Portando in piazza i marmocchi, e anche qualche grandicello, il gretismo ha dato la possibilità ai media dell'aristocrazia finanziaria di rilanciare il fenomeno, gonfiandolo artificialmente a dismisura. I media possono parlare di un'opinione pubblica gretina e sentirsi legittimati a farsene portavoce. In realtà si tratta di un ventriloquio.




A cosa serve Greta? Facciamo un esempio concreto. Il papagallino, il  4 maggio , con il suo iPhone d'ordinanza, ha cinguettato che bisogna smetterla di parlare di cambiamento climatico . Al suo posto il politically correct gretino  vorrebbe imporre  "collasso climatico". Non contenta  suggerisce, bontà sua, possibili variazioni: "crisi climatica", "emergenza climatica", "collasso ecologico", "crisi ecologica" e "emergenza ecologica".



Non sfugge a nessuno che non si tratta di sfumature lessicali ma di adozione del dogma del prossimo, imminente, devastante collasso climatico. Poco importa se sia farina del sacco di Greta o dei suoi suggeritori. Se fosse davvero così, se un collasso irreversibile degli ecosistemi terrestri con rischio di estinzione della specie umana fosse alle porte, dovremmo tutti  smetterla di pensare ad altro e concentrarci su questo problema, sempre che fossimo ancora in tempo a farlo (il rischio è che un terrorismo di questo tipo può indurre la gente all'apatia, "se le cose sono messe così male non sarà certo con l'impegno mio e neppure di tanti altri che si invertirà la sorte). Se, però, la situazione non fosse così apocalittica è evidente che sotto c'è l'interesse a terrorizzare le persone per distoglierle da altri problemi (sociali). Fatto sta che, dopo pochi giorni dal cinguettio del pappagallino, il Guardian, voce della sinistra politically correct british (ma anche internazionale), raccomanda caldamente ai propri collaboratori una nuova "disciplina lessicale" (vedi qui). Viene bandito l'uso del sintagma "riscaldamento climatico", troppo morbido, in favore di emergenza/crisi/collasso climatico. Al posto di global warming si deve usare global heating (in italiano si traduce sempre "riscaldamento", ma nell'originale la differenza è marcata perché warming può essere solo un intiepidimento). La raccomandazione che suona più sinistra (anche nel senso di preoccupante oltre che di leftist) è la sostituzione di "scettico climatico" con "negazionista della scienza climatica". Siamo alla caccia alle streghe. Ovvero attendiamoci che, dopo le leggi sul negazionismoper antonomasia (quello che riguarda all'olocausto di 6 milioni di ebrei, non certo le foibe e altri massacri che, per impar condicio, possono essere tranquillamente negati) vengano proposte leggi tese a punire il negazionismo climatico. Delle belle armi per chiudere la bocca al dissenso politico e sociale.


Una guida alla denigrazione a priori del negazionismo climatico


Le distopie alla Orwell di 1984 si stanno evidentemente concretizzando. Ma Greta, poverina, cosa c'entra? Beh, basta ricordare il suo cinguettio e considerare che la Viner, la direttrice del Guardian, giustifica la sua "guida" con l'autorità del segretario dell'Onu, del papa, della Ue, di alcuni scienziati di punta in materia climatica ma, soprattutto, appellandosi all'autorità di Greta. Intorno al suo personaggio,  creato in laboratorio, è stata costruita una leggenda di saggezza e autorevolezza.  Lei  è perfetta nel recitare la parte: Non siete abbastanza maturi per dire le cose come stanno, lasciate perfino questo fardello a noi bambini.  Misto di voce dell'innocenza, oracolo arcano di una saggezza perduta.  Ora non basta che far dire al pappagallo quello che si vuole e il gioco è fatto.
Il trucco è semplice: richiamandosi a Greta e ai ragazzi che, in maggioranza, senza neanche sapere il perché, marinano la scuola "per il clima",  la stretta sul dibattito sul cambiamento climatico (e le relative implicazioni sociali ed economiche), l'intolleranza contro gli scettici, sono legittimati dal basso, dalle giovani generazioni che reclamano un futuro negato dall'egoismo dei "vecchi". Trucchi sempre più complessi.  Una volta bastava  "l'ha detto il partito".
Era da tempo che non si vedevano certi episodi di intolleranza contro chi osa esprimere il dissenso nei confronti del pensiero unico (in questo caso climatico). Segnali pericolosi, perché questa intolleranza è istigata dall'alto, dai mezzi di comunicazione, dalle istituzioni, dal sistema che, in teoria, il gretismo dovrebbe contestare. Poi, però, va a Davos con tutti gli onori. E, quel che è grave, perché segna un abissale abbassamento della soglia di discernimento critico di molte persone, gli adepti continuano a credere.
Emblematico il caso della ragazzina svedese che non voleva scioperare per il clima e che è stata bullizzata dai compagni e dall'insegnante. Alla madre, la preside ha avuto la spudoratezza di dire che era sua figlia ad avere torto e che doveva comportarsi come gli altri per una cosa "positiva". Ma non erano brutti i balilla e le giovani italiane? Così la ragazzina si è rifiutata di tornare in quella scuola. Anche a casa nostra, i commentatori politically correct pro Greta, hanno usato ogni insulto contro i "vecchi retrogradi senza futuro" che osano sostenere che di fenomeno teleguidato si tratta. Era dal 68 che non si vedeva instillato nei giovani, dai "grandi vecchi" e burattinai vari, un sentimento di disprezzo e di odio contro i "vecchi" che "rubano il futuro" (chi oggi ha una certa età ricorda di aver sbeffeggiato i "matusa"). 
Si vede che la gerontofobia è meritoria, disprezzare e insultare gli anziani non lede alcun diritto (in generale vale anche per i diritti l'adagio orwelliano adattato: ci sono diritti più diritti degli altri).  Era dal 68 che non si vedevano anche certi isterismi adolescenziali elevati a "coscienza ecologica". Segno che Greta funziona. Del resto se ti convincono che tra pochi decenni vi sarà una catastrofe e che, sepolti i vecchiacci, sarai tu ad andare arrosto, morire di sete e di fame, come minimo odierai tutti i vecchiacci che con il loro criminale negazionismo impediscono di fare qualcosa sino a che si è in tempo. Indurre queste angosce, questo odio negli adolescenti non è plagio, non è un crimine?



Con tanta autorevolezza acquisita dal gretismo, con il "movimento" giovanile  messo in piedi in suo nome dalla sera alla mattina come seguendo un pifferaio magico, non è difficile pensare che si cerchi di trarne dividendi politici. Che servisse tirare fuori dal cilindro un coniglio per contrastare, sui social e nelle piazze, l'ondata populista e sovranista poteva essere facilmente previsto, che tutto quello che sa di sinistra (compreso il verdismo politico) non  faccia più presa sui giovani (e sulla buona parte degli adulti) è un dato di fatto. Come abbiamo visto le organizzazioni ambientaliste storiche sono diventate business e non si abbassano ad andare in piazza. Ai legambientini si richiede di mettersi cappellino e ramazza, e questo è l' "attivismo" richiesto ai simpatizzanti, che non contano nulla. I veri attivisti non sono molti perché non vogliono spartire con troppo la torta dei business. Con la crisi dell'ondata ambientalista degli anni '70-'80 cresciuta sull'onda del movimento antinucleare e con la progressiva istituzionalizzazione e orientamento al business delle Ong era cresciuto un movimento ambientalista grass root, di base, spontaneo,  in opposizione  contro scempi ambientali, i parchi fotovoltaici, discariche, inceneritori, pale eoliche, centrali a biomasse. I primi a combatterlo sono stati gli ambientalisti istituzionali  che  sono capaci di dichiarare "sostenibili" non solo le centrali a biomasse che bruciano legna ma gli stessi inceneritori (in quanto co-interessati ai business). Per  sapere di più vai qui e qui.


Oltre a riempire le piazze e dimostrare che l'attivismo non ha solo marca populista e sovranista, il movimento gretino è servito, con perfetto tempismo a confermare l'annunciato (nel senso di desiderato dai media e dai sondaggisti) boom dei verdi in alcuni paesi. In effetti la grancassa mediatica su Greta è stata martellante e abilmente subliminale. Ma non è certo che i partiti verdi, al di là di un utile argine momentaneo da contrapporre all'avanzata sovranismo rispondano, così come sono, all'esigenza del capitale di avere forze di governo affidabili.  Un altro aspetto che non può consentire al capitale di considerare i verdi quale cavallo da sostituire alla sinistra consiste in quel tanto di anticapitalismo residuale che li caratterizza. Che brava, invece, quella cara bambina che colpevolizza intere nazioni, intere generazioni e non pronuncia quelle orribili parolacce: lotta di classe, sfruttamento, capitalismo. Greta, inoltre, è ancora più cara e giudiziosa in quanto assume in modo acritico i dogmi della scienza. Una delle sue affermazioni tipiche è: i politici devono ascoltare gli scienziati. Ancora un po' li sostituiscono che facciamo prima. Opzione che viene confermata da un'altra frase simbolo della svedesina quando dice che preferisce concentrarsi su cosa deve essere fatto anziché su cosa sia politicamente meglio fare. Gli ebeti che l'hanno applaudita (anche al parlamento italiano) sono stati ipnotizzati  dallo sguardo freddo della bambina con sindrome di Asperger o ritengono che la politica, la democrazia, loro stessi siano del tutto inutili come proclama Greta esprimento idee totalmente reazionarie.
I veri movimenti ambientalisti di base, al contrario di Greta che è una marionetta telecomandata dall'alto, hanno messo in discussione la neutralità della scienza, ne hanno invocato la democratizzazione perché come essa si pone è tutto fuorché neutrale e spudoratamente organica al meccanismo capitalista (vedi qui). Questo va affermato perché essa sistematicamente sottovaluta il rischio quando il profitto è in pericolo e lo sopravvaluta quando c'è in vista, adottando misure di prevenzione dello stesso di ricavare alta remuneratività dai nuovi investimenti . La scienza, attraverso meccanismi del tutto non casuali, tutela il capitale più della salute. La nocività dei pesticidi è ammessa solo dopo che le statistiche accumulano un ecatombe di morti di cancro mentre si poteva presupporre da studi in vitro la tossicità di una data molecola e si sarebbe potuto applicare il principio di precauzione? Cosa c'è di scientifico nei valori massimi tollerabili di veleni (frutto di trattativa politica ma poi avallati a posteriori da qualche test scientifico? Perché la pericolosità degli inceneritori, ancorché accertata anche da indagini ministeriali, è poi sottovalutata anche in sede scientifica? Perché solo per il riscaldamento climatico, e non per l'avvelenamento della terra e dei mari e la cancerogenità dell'aria si delineano scenari sin troppo allarmisti (che poi, in parte si rivelano esagerati) mentre per le altre emergenze ecologiche la scienza capitalista usa il criterio opposto della sordina? E' pensare male ritenere che attraverso la riduzione della CO2 si finanzierà facendo pagare lacrime e sangue ai lavoratori e contribuenti la ristrutturazione di comparti industriali maturi a basso profitto per promuovere nuovi settori ad alta redditività drogata dai sussidi pubblici?  Quanto fa comodo Greta!
All'establishment capitalista serve, eccome, un progetto politico di distrazione di massa, basato sull'ossessione per l'imminente catastrofe climatica ma serve  anche che esso, in modo più convinto dei verdi (che almeno in Germania hanno più che venature sovraniste), agiti l'altro corno della politica e dell'ideologia  neoliberale: i diritti civili, intesi come libertà senza limiti di perseguire il proprio piacere egoistico, come disintegrazione della famiglia e della morale. Nella sfera dei diritti civili e dell'allargamento delle ristrette prospettive localiste (così viene liquidata ogni istanza di radicamento) serve alla bisogna chi esalti e favorisca, in nome della "libertà di movimento", il nomadismo apolide nelle sua versione dei ricchi (pago le tasse dove voglio) e dei poveri (nuovi schiavi in perenne movimento per alimentare l'esercito industriale di riserva). 

Greta mostra al mondo il suo disappunto per una manifestazione del movimento di estrema destra Nordiska motståndsrörelsen. Che brava bambina.

Se, in tema di clima, si sta sviluppando una caccia alle streghe contro i dissidenti, sull'altro fronte (quello dei "diritti delle minoranze"), la repressione della libertà di espressione (diritto obsoleto a quanto pare in mezzo a tanti nuovi di pacca) è stata già ampiamente compromessa dalle leggi contro l'omofobia e il razzismo e dall'imposizione dell'ideologia gender che criminalizza l'identità maschile e il "patriarcalismo". A colpi di gay pride viene veicolata dai media main stream l'idea che ogni perversione e ogni orientamento sessuale siano equivalenti (moralmente indifferenti) e che di spregevole e anormale c'è solo l'attaccamento alla famiglia e alla morale tradizionale. I Gay pride sono così diventati come le processioni di un tempo: le manifestazioni pubbliche di una nuova religione che gode di ogni benedizione: la realtà è stata invertita e questa è la nuova normalità che, pride dopo pride, anche i retrogradi finiscono per accettare se non altro per assuefazione.


Il solo proferire parole come tradizione, identità, patria è diventato riprovevole e forse domani sarà reato. E' fantapolitica individuare nella fusione di questi due "filoni" (l'ambientalismo totalitario giustificato dalla "catastrofe climatica" e il totalitarismo dei "diritti delle minoranze") la chiave del progetto prossimo venturo del capitale? La demonizzazione del sovranismo oggi avviene anche per il potenziale pericolo, che esso rappresenta, di suscitare l'orripilante omofobia e il non meno spregevole e abominevole "negazionismo climatico". Ciò la dice lunga, così come l'orientamento politico della candida Greta che, il primo maggio, ha partecipato a Ludvika a una contro manifestazione antifascista  per difendere la parità dei diritti umani e la democrazia, contro il nazismo come ella stessa ha precisato sui social. Proprio una brava bambina.

Se nella fase storica tra la caduta del muro e oggi, il capitalismo neoliberale ha largamente liquidato gli stati nazionali, i partiti, i sindacati, le associazioni realmente no profit, sostituiti dalla società dello spettacolo (che ti indottrina e al tempo stesso ti fa pagare), dalle agenzie internazionali, dalle fondazioni, dalle Ong, tutte articolazioni dirette delle grandi banche, dei mega fondi (alla Black Rock), delle multinazionali, nella nuova fase che si apre - a meno di una energica reazione popolare - la prospettiva è quella di uno svuotamento ancor più spinto della democrazia e della libertà di espressione, anticamera di una società in cui la finzione dell'eguaglianza e dei diritti di cittadinanza cadrà definitivamente e sarà sancita, anche sul piano giuridico, la condizione di servaggio della plebe, di divisione tra l'aristocrazia finanziaria (gli spartiati) e gli altri, gli iloti. 


Sala: un bauscia (ma dalle idee chiare) che si candida a leader del pertito liberal-ambientalista

Non sappiamo se in altri paesi il liberal-ambientalismo (con il quale si è già cimentato Macron, con esiti catastrofici) avanzerà per mutazione dall'intero dei verdi (aiutata da provvidenziali manine) o attraverso nuove forze politiche. Sappiamo che in Italia non esiste un movimento politico verde e che quindi il problema non si pone. Se il progetto ha da farsi esso deve partire con un cavallo nuovo. I verdi italiani hanno sempre vivacchiato come costola della sinistra e non hanno minimamente fruito del viatico Greta. Troppa distanza tra un movimento, almeno in apparenza, fresco e spontaneo e un verdismo all'italiana nato per riciclare i troppi capi e capetti dei gruppi dell'estrema sinistra post-sessantottesca (per approfondire vedi qui). Unico personaggio che si staccava da questo prototipo e al qual va riconosciuta una statura morale e politica è stato Alexander Langer. Se invece pensiamo ai  e ai Rutelli...  In Italia, a fiutare l'aria che tira ci sono astuti personaggi che sanno bene che il PD ha ripreso un po' di fiato solo per il crollo dei grillini ma che all'appuntamento con le regionali in Emilia-Romagna rischia di arrivare al capolinea.

Nella Milano di Sala che vuole essere a tutti i costi gay-friendly,  una stazione della metro è "intitolata" al "movimento" LGBT


Uno che ha ambizioni di leader politico per nulla nascoste è Sala, personaggio di provata spregiudicatezza, capace di passare da city-manager delle giunte di destra a esponente della sinistra rampante del denaro, ma attenta (a differenza di Renzi e altri personaggi di pari modesto spessore) a mettere in relazione il liberismo economico con il liberal-libertarismo dei diritti individuali spinti e con lo pseudo solidarismo immigrazionista. Come sovramercato, Sala ha da qualche tempo (dopo i tracolli del PD) adottato l'eccentrico vezzo di parlare di "giustizia sociale" (cosa che, almeno, Calenda e Renzi ci risparmiano). Che i temi di Sala siano connessi nei fatti è ovvio in quanto il capitale ha interesse nella tratta dei nuovi schiavi e nel dissolvere ogni residuo di aggregazione sociale (in modo che ogni relazione umana sia mediata solo dal mercato). La novità di Sala è questo voler tenere insieme programmaticamente e ideologicamente liberismo economico e liberalismo dei "diritti", così da creare un consenso "centrista" che vada al di là dell'ambito piuttosto ristretto dei ricchi e dei funzionari e  lustrascarpe dell'elite che oggi votano PD. L'entusiasmo di Sala per i gay pride è secondo solo a quello per le Olimpiadi e si capisce allora il perché.

Il nostro è un ardente sostenitore dei diritti (ma cosa vogliono ancora?) della "comunità" LGBT ecc., così come della Milano multirazziale, ma senza perdere di vista il pragmatismo e l'approvazione dei circoli che contano (Curia e Corriere in primis), tanto da vedere con soddisfazione il trasferimento all'europarlamento dell'ingombrante pasdaran Majorino. Quello che mancava a Sala, per accreditarsi come campione di un liberal-ambientalismo rampante, era una patente ambientalista. Non dovrebbe essere facile dimenticare la piastra di oltre un milione di mq (dove pascolavano le pecore prima di Expo) e le superfici (10 volte tanto) di aree agricole e naturali cancellate dalle opere dell'Expo (raccordi, autostrade). Il tutto in un Nord Milano che ha i record mondiali di impermeabilizzazione del suolo (e quando piove si vede...). Ma il nostro ha un pelo sullo stomaco da Guiness dei primati e, approfittando del rimpasto a seguito della dipartita di Majorino, si è preso le deleghe per la "transizione ambientale". Bisogna ammettere che Sala ha anche coraggio oltre che pelo sullo stomaco perché, quella che ha provocato il subbuglio in Francia,è stata proprio la sbandierata politica di "transizione". 


A seguito di questa "svolta", però, il biglietto del tram, tanto per incentivare il trasporto pubblico, è salito da 1,5 a 2,0 € . Notasi che mentre Sala ha iniziato (non lascia niente al caso) a partecipare al G50 (il summit delle 50 città proclamatesi più ambientaliste) dove conciona di "mobilità sostenibile", è lo stesso Sala, furbone, per paura di perdere voti dalle categorie più retrive e attaccate al trasporto privato, si oppone al progetto di scoperchiamento dei navigli che porterebbe grandi vantaggi turistici e di qualità della vita imponendo una vera rivoluzione della mobilità che porrebbe Milano all'avanguardia e ne farebbe un esempio nel mondo. L'astuto spiega che i navigli costano troppo e imporrebbero sacrifici sul fronte dei servizi sociali dove rischierebbero di essere penalizzati i beniamini della sinistra: rom e immigrati poco integrati.


Sala di ambiente parla solo da pochi mesi, ma già si presenta come un ambientalista convinto e si candida a capo partito liberal-ambientalista. Dopo l'emergere del "fenomeno Greta" il nostro - ma guarda che combinazione - ha intensificato i riferimenti all'ambiente dichiarando che non solo l'ambiente è importante ma che è la battaglia per l'ambiente è "profondamente politica". E' da queste ultime paroline bisogna partire per decifrare il progetto di Sala. Le questioni ambientali sono "profondamente politiche" da quando è nato l'ambientalismo,  un secolo e mezzo fa negli Usa. Sala, che ha ancora poco studiato l'ambientalismo, parla di creare un "ambientalismo 2.0". Dovrebbe prendere ripetizioni da Carlo Monguzzi, classe 1951, sessantottino e poi politico di lunghissimo corso (provvisto di vitalizio parlamentare e di lussuosa buona uscita del consiglio regionale) che, in consiglio comunale a Milano - avanti i giovani - rappresenta il movimento dei gretini.

Il sindaco, che si propone come alfiere del nuovo partito, quantomeno a livello italiano (è decisamente abile e scaltro ma anche bauscia), non sa che di ambientalismi si è perso il conto. Grosso modo siamo all'ambientalismo 4.0, quello che ha già - almeno nelle sue componenti più istituzionali - ampiemente interiorizzato il discorso neoliberale e che da anni sostiene che l'ambiente si salva consumando certi prodotti (di solito quelli delle multinazionali certificate dal WWF) invece che altri, finanziando la green economy invece che le politiche sociali. Questo ambientalismo è perfettamente alleato al capitalismo rampante nel legittimare il land grabbing, l'espulsione dalle proprie terre di intere tribù, gli abusi e gli omicidi, con la scusa della salvaguardia di specie a rischio di estinzione. Esso in partnership con le società estrattive opera in questo modo per mettere le mani su legname prezioso, metalli rari, diamanti ecc. Ne abbiamo parlato ampiamente qui.

Sala, evidentemente ha in testa un ambientalismo che da movimento ambiguo di opposizione o da macchina da soldi (restando quindi sostanzialmente sul terreno economico e non incidendo sulle convinzioni della masse) si ponga come asse portante della gestione del potere politico e del consenso di massa al servizio dell'aristocrazia finanziaria globale. Su questo ha la vista lunga; ha infatti capito perfettamente che a livello europeo la sinistra è al capolinea, per decenni ha fatto gli interessi dei padroni, approfittando del fatto che si era accreditata con una storia di ben altro segno e tradendo la fiducia dei ceti popolari. Ora non può più funzionare.

Sala e Monguzzi: i giovani gretini (cosa non si fa per riciclarsi)


Ora la sinistra è votata solo nelle grandi città con percentuali da "partito di raccolta" in centro storico a Milano e ai Parioli a Roma. Troppo poco e troppo imbarazzante se si vogliono avere i voti della sprezzata plebe per governare (poi, quando non ci sarà più il suffragio universale sarà un altro discorso).  La prevedibile prossima perdita dell'Emilia-Romagna che, più ancora che la Toscana era il vero fulcro del "potere rosso", segnerà l'inizio dell'implosione del PD. Sala ha capito che l'occasione è irripetibile sa che, a differenza dei competitor che si azzuffano per dividersi le spoglie del PD (i vari Calenda e Renzi) ha dietro di sé un modello Milano che può rendere credibile la sua candidatura. Sa che deve tenere insieme affarismo liberista e l'oppio libertario-libertino dei "diritti" a pro del popolo atomizzato, precario ma, a Milano, "fighetto".

Entrambe queste tensioni sono di natura egoistica, utilitaristica, fanno leva sulla fame di soldi e di piacere. Ed ecco che il tutto deve essere santificato, purificato, sublimato. Altro che il green washing con il quale si impegnano con zelo le Ong ambientaliste. Serve ben altro, qualcosa di "parareligioso" ma che non porti acqua al mulino dell'onda nera tradizionalista. Ecco allora, a compensazione dello spietato utilitarismo egoistico che caratterizza le spinte liberal- libertario- libertine, va messa in gioco per  la suprema moralità della causa, la salvezza del pianeta, un tema che - insieme ai migranti - piace molto anche alla neo-chiesa bergogliana sempre meno scandalizzata da eutanasie, uteri in affitto, diritti sodomiti.


Il ruolo politico di Bergoglio: verso una neo-chiesa o una neo-religione ambiental-sincretica?

Il movimento gretino fornisce utili elementi con la sua focalizzazione sulla santa causa del clima. Ma non sufficienti.  Per santificare la causa serve trasfondere l'antico carisma della vecchia religione (demolito dalla modernità e dalla secolarizzazione liberale) nella nuova botte del credo ecoclimatico. Un affare per entrambi i contraenti, considerato che, da quando la chiesa cattolica ha deciso (Concilio Vaticano II) di adeguarsi al mondo governato dal capitalismo liberale e devoto solo alla massimizzazione dell'utile e del piacere individuale, oltre che al culto della tecnoscienza, non fa che regredire (se non fosse per l'Africa in espansione demografica) e a perdere di credibilità. Messa alle strette con gli scandali pedofili e omosessuali e in crisi di vocazioni la chiesa di Bergoglio è una barca alla deriva alla quale il timoniere, si impegna con scrupolo a infliggere picconate che aprono nuove falle di disorientamento. Così anche Bergoglio ha iniziato un aggiornamento ambientalista della chiesa.

                                                                              

Manca solo poco più di una decade per raggiungere questa barriera[ 1,5°C di aumento della temperatura] del riscaldamento globale. Lo ha detto Greta? No, El papa. Bergoglio non si vergogna di umiliare il suo ruolo (lecca le scarpe letteralmente ai leader islamici..) e quindi non si pone problemi a fare il ripetitore di Greta. El papa, come Macron, come Sala, invoca la "transizione energetica radicale", che andrebbe probabilmente sostituita a comandamenti obsoleti (specie il VI e il IX, messi molto in discussione, se non abrogati, da Amoris laetitia).  El papa ha già manifestato ampiamente la sua intenzione di dedicare il pontificato all'ambiente sin dall'enciclica Laudato Sì.  Essa è stata letta come un assist  all'ambientalismo. In realtà essa riprende le posizioni dei pontefici precedenti ispirandosi all'ecologia integrale (non c'è ristabilimento dell'equilibrio ecologico senza giustizia sociale) anche se, rispetto ai predecessori, entra maggiormente nel merito dei fenomeni dell'inquinamento e del riscaldamento climatico, forse in modo inopportuno, tanto da lasciare l'impressione di legittimare in qualche passaggio le posizioni catastrofiste.  La dottrina però è riaffermata nell'adesione dichiarata ad un antropocentrismo responsabile. Solo in alcuni punti l'enciclica può dare l'impressione di distaccarsene. Così quando cita il documento dei vescovi tedeschi del 1980 (Futuro della creazione e futuro dell'umanità) facendo proprio un passaggio pericoloso che puzza eresia e che assegna alla natura non umana una priorità del suo valore per sé rispetto all'utilità per l'uomo (nella Laudato Sì si legge: si potrebbe parlare della priorità dell’essere rispetto all’essere utile  ). Non è necessario essere teologi per capire che antropocentrismo cristiano, al massimo, dovrebbe assegnare pari valore all'essere per sé e all'essere per l'utilità dell'uomo. Altrimenti si scivola in  un biocentrismo non dichiarato, incompatibile con la fede cristiana e la dottrina della creazione.  Affermare che gli esseri viventi e gli elementi della creazione abbiano valore in sé e non solo sotto il profilo utilitaristico per l'uomo è giusto ma ben diverso dal sostenere che il valore in sé assume priorità rispetto all'esigenza umana. Custodire e coltivare è il compito assegnato da Dio all'uomo nei confronti della natura. Custodire = rispettare l'essere in sé della creazione, coltivare = utilizzare saggiamente della creazione senza compromettere la finalità di custodia. Il custodire non può essere prioritario sul coltivare che deve comunque trovare un limite quando la custodia rischia di essere compromessa.  Uno dei difetti dell'enciclica, che possono far parlare di "appiattimento all'ambientalismo" è l'assenza di una critica chiara alle pratiche messe in atto dall'ambientalismo in materia di esproprio di terre, controllo forzato delle nascite, parchizzazione della natura per scopi egoistici (vedi qui per approfondire). L'ambientalismo non è solo buono e bello e non dirlo, oggi, è grave. Anche se certe politiche delle Ong ambientaliste sono state più feroci in Africa che in America Latina, il teologo della liberazione Leonardo Boff, ghost writer o comunque ispiratore della Laudato Sì, in qualità di esponente dei movimenti ecologisti e dei popoli nativi ne è perfettamente al corrente.



L'enciclica, semmai, critica (blandamente) l'animalismo. Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. El papa e Boff conoscono bene le posizioni eugeniste dell'animalismo e sanno bene che della giustizia sociale agli animalisti non importa nulla. Sanno che l'animalismo è il miglior cavallo di troia che esista sulla piazza al fine di demolire l'etica e la morale cristiane e che il suo veleno rischia di contaminare tutto il movimento ambientalista (vedi qui per un approfondimento). Eppure, El papa, che tuona un giorno si e l'altro anche contro chi si oppone all'invasione afroislamica, di fronte a questo pericolo mortale, capace di predisporre all'accettazione dell'infanticidio e dell'eugenetica, tace (non ha fatto neppure nulla contro l'introduzione in Italia del quasi matrimonio omo e della quasi eutanasia).  Meglio avrebbe fatto l'enciclica a sottolineare come l'animale viene trasformato in un totem divinizzato e a mettere in guardia da un animalismo che assegnando agli umani invalidi, sub-normali, un valore inferiore all'animale sano, apre la porta a un futuro di orrori. Nulla si dice El papa delle relazioni tra ambiental-animalismo e i culti neopagani come la wicca. Perché tanta timidezza? Ovvio, per non compromettere i rapporti delle religioni con il potente movimento ambientalista, con l'aristocrazia finanziaria globale. A pensare bene si direbbe: "per non compromettere gli sforzi unitari per il bene dell'umanità e degli ecosistemi", a pensare male per venire incontro al programma di neo-religione sincretica di Filippo di Edimburgo (leggi massoneria).



A voler guardare, anche l'attacco al sistema economico capitalista, nella  Laudato Sì è molto soft, anzi non c'è. E qui si scopre il gioco di Bergoglio e dei gesuiti, finissimo invero, come da lunga tradizione dell'ordine: farsi fama di comunisti per sostenere meglio il capitalismo più spietato. A "destra" molti bacchettoni ci cascano (e el jesuita se la ride della grossa). Forse perché il furbastro invita i "movimenti sociali" e preferisce i "centri sociali" ai devoti cattolici.



L'enciclica non morde gli sfruttatori responsabili dell'ecocidio e della crescente concentrazione della ricchezza, in barba, anzi, proprio a causa del ruolo di marxista-ecologista del su consigliere Boff .  Si parla di "interessi particolari", mai di sfruttamento. Si adotta la neo-lingua del politically correct ("gli esclusi"). Non pochi pensano che, in ottobre,  in occasione del sinodo sull'Amazzonia si possano produrre "strappi" più gravi rispetto alla Laudato Sì che, comunque, tranne qualche sbavatura, e una sostanziale timidezza nell'individuare le cause della sofferenza ecologica e sociale, rappresenta un buon documento, molto migliore della quotidiana, spesso sconcertante, pastorale bergogliana. Il timore è che il rispetto e la valorizzazione della cultura e della spiritualità dei popoli indigeni rappresenti un cavallo di troia per introdurre forme di accettazione del neo-paganesimo cheispira i movimenti anima-ambientalisti occidentali e di posizioni panteiste e biocentriche.
La voce che il sinodo sia ispirato da
Filippo d'Edimburgo è inquietante ma non strampalata. L'anziano esponente della massoneria e del WWF, infatti, nel 1986 (era in carica quale presidente del Panda) costituì nuova Ong: l'Alliance of Religions and Conservation (ARC), costituitasi  a seguito di un incontro ad Assisi dei leader di cinque delle principali fedi cui seguì, nel 1995, il coinvolgimento di ulteriori quattro religioni. La ARC opera con il sostegno della Banca mondiale 

Immagine emblematica: il WWF, cinica ed efficiente macchina da soldi capitalista, si assimila, in posizione egemonica, alle religioni storiche dell'umanità.  Ci si chiede perché tanta condiscendenza da parte delle religioni.

Conclusioni

Iniziative più o meno recenti, ma coerenti tra loro, indicano, che è tutt'altro che fantapolitica la prospettiva di un nuovo ambientalismo come strumento di imposizione, attraverso armi di distrazione di massa, sofisticate truffe ideologiche, repressione del dissenso,  di una condizione di dominio capitalistico ancora più dura (emblematica  l'imposizione del neo-cibo a base di insetti e di tessuti animali e vegetali prodotti in laboratorio). C'è ben di più delle spacconate di Beppe Sala, del gran lavorio dietro le quinte necessario per "lanciare" il fenomeno Greta, delle posizioni ambigue di El papa. Questi sviluppi possono implicare pericoli molto gravi per le realtà rurali per le quali, il progetto del neo-liberal-ambientalismo, prevede niente meno che una drastica cancellazione sulla base dell'esigenza ecologica (motivata dal collasso climatico e ecosistemico) del "ritorno alla natura" di territori che hanno visto millenni di storia di utilizzazione umana. Cancellare storia, memoria, identità è nel programma del nuovo potere totalitario che si profila dietro l'angolo, sempre che una resistenza consapevole, e da subito,  si opponga al disegno delle elite.




  


Articoli ruralpini sul tema. L'ambientalismo messo a nudo


L'ambigua cultura del bosco
(30.03.19) L'ideologia del bosco ha radici plurime che si richiamano a una... selva di simboli. Essa è capace di richiamare valori che si collocano agli antipodi: libertà e autoritarismo, peccato e innocenza, razionalità e irrazionalismo, individualismo e statalismo.  Come tutte le suggestioni ambigue anche il richiamo apparentemente innocente all'amore per il bosco è capace di suscitare un consenso manipolato.

Idolatria boschiva: cosa c'è dietro?
(24.03.19) La superficie forestale ha superato nel 2018 quella agricola, rappresenta il 40% del territorio nazionale contro  l'11% del 1950.  L'Italia à dunque un paese ricco di boschi (di che qualità?) e gli ambientalisti da salotto (ma anche tanti esperti con il paraocchi) giubilano. 

Ghiacciai alpini inquinati dai pesticidi
(17.03.19) I risultati di un gruppo di ricerca dell'Università Bicocca, ricavati dallo studio delle acque di fusione di sei ghiacciai alpini, mettono in evidenza la gravità del fenomeno. e dovrebbero far riflettere chi ha fiducia nell'ambientalismo neoliberale che fa credere che creando i parchi e reintroducendo il lupo si possa proteggere e ricreare una natura "incontaminata".

Ambientalismo, neocolonialismo, capitalismo: violenza ed ecoingiustiziacontro gli ultimi
(23.02.19) La gestione delle aree protette nei paesi ex-coloniali rappresenta l'ambito nel quale è più evidente la continuità con il vecchio colonialismo. In nome della tutela della natura le grandi organizzazioni ambientalistiche gestiscono floridi business e non hanno esitato a scacciare con l'inganno, a volte anche con la violenza,  milioni di persone dalle loro sedi ancestrali. 

 Il lupo riduce la biodiversità alpina
(29.12.18)  Materiali per un manifesto pro pastoralismo, contro la diffusione del lupo sulle Alpi.

Le radici storiche e ideologiche del beceroanimalismo
(09.12.18) L'Italia le circostanze storico-sociali hanno prodotto una cultura fortemente antirurale lontana anche dalla dimensione naturale concreta. Nella realtà contemporanea su questo sfondo si è sviluppato un animalismo ben poco ecologico, molto ideologico che sconfina nel culto pagano e che reitera i cliché anticontadini 

Animalismo, biocapitalismo, ecototalitarismo

(30.06.15)   Proseguiamo la riflessione sul biocapitalismo e le ideologie ambientaliste allargando la riflessione all'animalismo che in modo più esplicito e violento nega il valore della vita umana. Esso si presenta come un perfetto strumento per legittimare i paradigmi del nuovo biocapitalismo in cui l'uomo diventa una merce da fabbricare e la vita umana può essere rliminata senza particolari scrupoli (come e peggio che nei Gulag e nei Lager) 

Gli orsi sparigliano politica e istituzioni 
(01.09.14) Le destre cavalcano l'animalismo ma rischiano di scottarsi (loro e la sinistra)  La gestione degli orsi trentini è scappata di mano. Il conflitto sociale, ideologico, territoriale innescato dall'aver sovraccaricato Life Ursus di valenze di ogni tipo impatta in modo imprevedibile sulla politica

 

 Il lupo riduce la biodiversità alpina
(29.12.18)  Materiali per un manifesto pro pastoralismo, contro la diffusione del lupo   sulle Alpi

Le radici storiche e ideologiche del beceroanimalismo
(09.12.18) L'Italia le circostanze storico-sociali hanno prodotto una cultura fortemente antirurale lontana anche dalla dimensione naturale concreta. Nella realtà contemporanea su questo sfondo si è sviluppato un animalismo ben poco ecologico, molto ideologico che sconfina nel culto pagano e che reitera i cliché anticontadini 

Animalismo, biocapitalismo, ecototalitarismo

(30.06.15)   Proseguiamo la riflessione sul biocapitalismo e le ideologie ambientaliste allargando la riflessione all'animalismo che in modo più esplicito e violento nega il valore della vita umana. Esso si presenta come un perfetto strumento per legittimare i paradigmi del nuovo biocapitalismo in cui l'uomo diventa una merce da fabbricare e la vita umana può essere rliminata senza particolari scrupoli (come e peggio che nei Gulag e nei Lager) 

Gli orsi sparigliano politica e istituzioni 
(01.09.14) Le destre cavalcano l'animalismo ma rischiano di scottarsi (loro e la sinistra)  La gestione degli orsi trentini è scappata di mano. Il conflitto sociale, ideologico, territoriale innescato dall'aver sovraccaricato Life Ursus di valenze di ogni tipo impatta in modo imprevedibile sulla politica

 
L'imbroglio ecologico (IV e ultima parte)
(09.12.13) Nella storia di Legambiente si rispecchia un ambientalismo di regime, apparato di controllo sociale e di "acculturazione" funzionale alla greed economy turbocapitalista. Con un "pensiero ecologico" debole appiattito sulla modernità e l'ideologia scientista, tecnocratica. Centralismo comunista accoppiato con i meccanismi delle corporation. Ma il dissenso cresce.
 
 L'imbroglio ecologico (parte III)
(02.12.2013) Dalla critica al capitalismo della prima ecologia politica alla partecipazione all'affarismo della green economy. L'ambientalismo, nel solco del progressismo illuminista,  come supporto ideologico e cosmetico al biocapitalismo dello sfruttamento integrale 
 
L'imbroglio ecologico (parte II)
(16.11.2013)  La nascita dell'ambientalismo come movimento sociale negli anni '80. I condizionamenti sulla nascita del movimento ambientalista del travaso dell' "eccesso di militanza" dalla "sinistra rivoluzionaria" e dell'egemonia culturale del PCI. La divaricazione tra localismo e ambientalismo quale occasione mancata. La necessità di andare oltre la sinistra (e la destra) per recuperare spazi di autonomia sociale 
 
 L'imbroglio ecologico (ambientalismo, sinistra, trasformazioni sociali nell'era del capitalismo neoliberista)(I)
(07.11.2013) Oggi l' ambientalismo è la proiezione della Green economy capitalista e i movimenti devono imboccare con coraggio nuove strade, oltre la sinistra e la destra e oltre l'ambientalismo per una nuova autonomia dei soggetti e delle comunità popolari. L'imbroglio ecologico è finito perché il ruolo dell'ambientalismo istituzionale è palesemente di controllo sociale. Prima parte di un ampio contributo che ripercorre la storia dei rapporti tra ambientalismo, sinistra, capitalismo e movimenti sociali dai primordi del movimento ambientalista ad oggi.  
 
Per una gestione comunitaria delle risorse e dei problemi ambientali (IV)
(08.01.13) Attorno ai problemi, dei rischi per la salute legati alla nocività ambientale e alla volontà di gestire in positivo le risorse territoriali sta crescendo nel mondo un movimento post-ambientalista. 

Dalla tecnocrazia alla scienza comunitaria (III)
(02.01.13) La tecnocrazia ha imposto un modello di scientificizzazione della politica che svuota la democrazia. Si è imposta anche nella forma di "ecopotere" con il pretesto della "tutela della natura dall'uomo". La riduzione del rischio presuppone però una strada diversa, quella di una scienza civica e comunitaria e più ampi spazi di democrazia
 
Ripensare la relazione tra la natura e la società (II)
(02.01.13)  L'affermazione di una gestione partecipata dei problemi ambientali e delle risorse è indispensabile per fronteggiare crescenti rischi e la tendenza tecnocratica a concentrare decisioni con pesanti implicazioni sociali nelle mani di pochi e sulla base di incerti presupposti scientifici. Per muoversi in questa direzione, però, è necessaria una profonda revisione di alcuni fondamenti ideologici della modernità e della "civiltà occidentale" e dello stesso ruolo della scienza. 

Oltre l'ambientalismo istituzionale crescono nuove reti (I)

(01.12.12) Da una ventina di anni in qua sta emergendo un post-ecologismo "di base" non ideologico che opera nella dimensione del monitoraggio ambientale e della stessa gestione sostenibile e partecipata delle risorse

 

contatti:  redazione@ruralpini.it'.


 

 

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