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Agricoltura e società

Michele Corti, 27  Gennaio, 2022

Preparano la carestia (agricoltura, energia, "ambiente")

C'è un piano per programmare condizioni di insicurezza alimentare sino al limite della carestia? I fatti dicono che c'è la volontà di distruggere l'agricoltura e l'accesso alle risorse alimentari della terra. L'agricoltura deve fare i conti con aumenti diretti e indiretti del costo dell'energia e delle materie prime. Aumenti che, a differenza di altri settori,  non riesce se non in modesta misura, a trasferire sui prezzi che le vengono riconosciuti. L'aumento più forte è stato quello dell'urea, ma le prospettive per i prezzi del gasolio agricolo sono nere, specie se torneranno alla carica le lobby che chiedono l'abolizione del gasolio agricolo. Nel frattempo, la Commissione europea prospetta scenari allucinanti relativamente alla sostituzione di fonti fossili con le bioenergie, in particolare con il biogas. Spinta da incentivi abnormi, la produzione di biogas si mangerebbe una buona fetta delle terre agricole europee. In un contesto in cui l'import di commodities agroalimentari sarà sempre più problematico. Si profila quindi una preoccupante strategia del "o mangi sta minesta..." per imporre, con lo spettro della carestia, il cibo spazzatura (prodotto senza terra) degli oligarchi e nuove forme di schiavitù. Oltre alla terra che sarà sottratta dalle bioenergie, concentrandosi in poche mani, vi sarà quella destinata a wilderness. Il tutto attraverso la rovina delle aziende agricole e l'esproprio di massa della proprietà terriera. In questa chiave si capiscono tante cose.

Gli effetti della pandemia e le direzioni che prenderà la transizione energetica incideranno profondamente sugli assetti economici e sociali. Su questo sino tutti d’accordo. Quando poi, però, si osserva che quanto sta avvenendo non è affatto “socialmente neutro”, che è palese la volontà dei poteri oligarchici di utilizzare questi frangenti per imporre un nuovo ordine sociale, allora il coro mass-mediatico deve alzare cortine fumogene, far credere che certe scelte siano imposte dall’ordine naturale delle cose (il riscaldamento climatico sostituisce la volontà divina di un tempo), denigrare anche i timidi accenni di critica sociale con  il bollo d’infamia del “complottismo” e “no-vaxismo”. E’ sotto gli occhi di tutti, però, che, mentre i miliardari alla Gates e Bezos hanno fatto affari d’oro con la pandemia, interi settori di piccola e media impresa siano sotto stress e come nei  settori del commercio al minuto, del turismo, della ristorazione vi sia un picco di mortalità impressionante.

La penetrazione delle multinazionali nella distribuzione alimentare continua inesorabile. Se i francesi hanno subito perdite e battute d’arresto, i gruppi tedeschi avanzano. Dopo aver messo in crisi il “negozio di vicinato”, le grandi catene hanno lanciato le loro formule di “punto vendita di prossimità”. Non era quindi obsoleta la formula (era evidente che un mondo di ipermercati come solo luogo, o piuttosto “non luogo” commerciale rappresentasse una follia in termini di consumo di suolo e di mobilità e viabilità insostenibile) era “obsoleta” (dal punto di vista capitalistico) la piccola impresa commerciale indipendente. Andava “fatta fuori” in tempo prima che si scoprisse che è meglio, per la qualità della vita e dell’assetto urbanistico e viabilistico, avere una rete di punti vendita raggiungibili in bicicletta che essere costretti a utilizzare l’auto (e riempirla di scorte settimanali o bisettimanali per poi riempire frigo e freezer alla faccia dei consumi energetici e degli sprechi alimentari). Intanto la “logistica” si incarica di sostituirsi ai centri commerciali in crisi per continuare a consumare suolo e, nei settori del commercio non alimentare, l’e-commerce ha sfondato.  Spinto da una pandemia tanto provvidenziale (per i colossi delle tecnologie informatiche e della comunicazione) da avvalorare i peggior sospetti, che si rafforzano quando si apprende degli intrecci finanziari e societari tra big pharma e big tech, i colossi di internet, i veri “padroni del vapore” del XXI secolo.


L’agricoltura è tutt’altro al riparo dai contraccolpi di questa situazione. Il fenomeno più evidente è rappresentato dall’aumento dei costi di produzione legati alle materie prime. Vediamo la crescita dei prezzi di alcune materie prime fondamentali per l’alimentazione animale:l’orzo è passato (prezzi al q.le) da metà gennaio 2021 a metà gennaio 2022 da 21,5 a 31,1, il mais da 20,2 a 28,5, il frumento 22,2 a 32,5. L’aumento del latte, dopo difficile trattativa, è risultato di 4 centesimi al litro, portandolo al prezzo a 39. Sempre scarsamente riconosciuta la qualità, in termini di premi perché sulla qualità industria e Gdo si riservano loro un ampio margine di manovra (attraverso politiche di marchio e di packaging più che sulla qualità intrinseca)  entro una forbice che, per un litro di latte al dettaglio, varia da 0,80 a 1,80 €.  Nei fatti, l’aumento delle materie prime di base per l’alimentazione è risultato doppio dell’aumento del prezzo riconosciuto all’allevatore. Tutte le altre componenti minori del razionamento alimentare sono state trascinate in su dall’aumento dei prodotti base e dall’aumento dei costi dell’energia che incide sui processi industriali (vedi preparazione mangimi) che sul trasporto.

L’agricoltura paga pesantemente l’aumento del costo dell’energia

L’agricoltura paga anche direttamente l’aumento del costo dei carburanti. Il prezzo del gasolio agricolo (sino a 1000 l) a metà gennaio 2021 era pari a 0,69 €/l, a metà gennaio 2022 è arrivato a 0,94. Anche in questo caso un aumento di  oltre 1/3 in un anno.  A questo punto, nella struttura dei costi di un’azienda agricola non si può non dimenticare  un altro elemento chiave che ha subito rincari ancora più pesanti: i fertilizzanti chimici. Sempre a metà gennaio 2022 il prezzo dell’urea agricola (46%), principe dei fertilizzanti azotati, è arrivato alla bellezza di 95€ /q.le contro i 31 di un anno prima. In questo caso l’aumento è del 200%. Un fatto che è coneseguenza del fatto che per la sintesi dell'urea servono notevoli quantitativi di energia elettrica. Un'agricoltura resa "tossicodipendende" dai concimi chimici è esposta oggi a contraccolpi pesantissimi. Ben diverso sarebbe se le pressioni di mercato non avessero separato agricoltura animale e monocolture vegetali. Da una parte si è creato il problema dell'eccesso di nutrimenti (che devono essere "smaltiti", basti pensare agli impianti energivori per abbattere la carica di azoto dai liquami zootecnici o comunque ai trattamenti (separazione liquido-solido) per rendere il liquame più gestibile, dall'altra si sono create situazioni di pesantissimo deficit di sostanza organica nei terreni per impossibilità di disporre di concimi animali. In condizioni di una meno squilibrata distribuzione dell'allevamento animale, la fertilità dei terreni, il risparmio di concimi chimici ne avrebbero immensi benefici. Che l'agricoltura biologica ben fatta abbia rese di non molto inferiori a quella che utilizza concimi chimici è un fatto. A chi sostiene che sono stati i concimi chimici ha vincere la fame possiamo ricordare che per secoli le rese del frumento sono state ferme a 6 q.li /ha mentre oggi l'agricoltura bio produce 10 volte tanto.  Basterebbe impedire l'ulteriore consumo di suolo e il rewilding (che sottrae alla produzione agricola anche terreni buoni) e si avrebbero produzioni quantitativamente uguali, con meno inquinamento, con meno utilizzo di energia fossile, con più aziende agricole.  Ma questo non è nella logica del sistema. Comunque non tutto il male viene per nuocere e chi snobbava il letame sta tornando a chiederlo agli allevatori, disposto a pagarlo (come è giusto).

Un impianto di urea in Egitto. I paesi esportatori stanno chiudendo le esportazioni (Cina, Russia, Egitto) e il prezzo è impazzito.

Oltre la congiuntura: si profilano scelte politiche pericolose

Il tema del gasolio agevolato e dei fertilizzanti azotati ci porta a considerazioni che vanno oltre la congiuntura. Entriamo nel campo delle scelte politiche e industriali. La scelta dell’industria automobilistica di puntare sull’elettrico nel contesto di un colossale greenwashing, più in generale, le strategie della “transizione energetica” orientate agli interessi dell’oligarchia mondialista, saranno tali nei prossimi anni dal decidere delle sorti dell’agricoltura. Dal momento che, nell’ambito della motorizzazione agricola, la sostituzione dei motori endoternici risulterà per forza di cose più lenta, l’agricoltore verrà a dipendere da un costo del gasolio che, al di là delle fluttuazioni dei prezzi petroliferi, sarà sempre più elevato a mano a mano che l’industria petrolifera si contrarrà e i costi di produzione e distribuzione aumenteranno.  Sarà bene ricordare che, prima della pandemia, venne sventato il tentativo di introdurre nel “decreto Clima”  l’abolizione dell’agevolazione sul gasolio agricolo. Ma possiamo essere certi che la lobby che sostiene la motorizzazione elettrica (la cui sostenibilità ambientale è tutta da dimostrare) e le “rinnovabili” (spesso solo sulla carta e comunque costose e in larga parte intermittenti) tornerà alla carica. Le prospettive non sono comunque incoraggianti perché, sia passando alla motorizzazione elettrica, sia subendo l’aumento del gasolio, l’agricoltura dovrà pagare un costo elevato. Tutto ciò incoraggerà l’ulteriore chiusura di aziende per mancato ricambio generazionale o per resa a condizioni impossibili di sopravvivenza, la fagocitazione dei loro terreni da parte di agricoltori più grossi ma, andando avanti, di società che di “agricolo” hanno solo il distorsivo riconoscimento della legge per le srl.

Trattrici agricole elettriche: batterie mostruose per autonomie ridicole: i tempi per la meccanizzazione agricola elettrica saranno lunghi e nel frattempo il costo del gasolio diventerà proibitivo, specie dopo che non saranno più prodotte autovetture e veicoli industriali con modore diesel.

Se il costo dell’energia aumenta, alle aziende agricole viene indicata la strada dell’autoproduzione. Anzi, viene indicata quella della trasformazione in aziende bioenergetiche (ovviamente in “partenariato”  con opache società, magari lussemburghesi). L’ondata di centrali a biogas che ha sfigurato regioni agricol  come il cremonese, incentivando la monocoltura maidicola (una “perla” di sostenibilità agroambientale, specie in versione no food) e facendo schizzare i costi per l’affitto dei terreni a tutto danno degli agricoltori  non coinvolti nella speculazione “bioenergetica”. Ora, però, con il tema della “transizione energetica”  e, in particolare con la classificazione delle fonti energetiche, su cui si sta svolgendo una battaglia furiosa, si addensano nuvole nere. Pare paradossale ma è sul Sole 24 ore (articolo del 25 gennaio) che  si leggono le notizie più allarmanti. A proposito della bozza della Commissione. Luca Bonaccolsi, co-autore del parere della piattaforma della finanza sostenibile sulla bozza di classificazione delle fonti energetiche, afferma:“«Questa bozza è anche il più grande incentivo della storia per la produzione di biogas». E, andando al sodo, mette in guardia: «Per rimpiazzare il solo carbone con il biogas come prevede l’atto delegato – spiega - dovremmo destinare più del 20% della terra coltivabile europea al mais e triplicare la produzione attuale. Parliamo di una superfice grande come tutta la Francia. Se poi,  come dice ancora la legge, dal 2036 volessimo sostituire tutto il gas col biogas ci vorrebbe l'80% della terra arabile. Stiamo parlando di un incentivo a produrre un disastro paragonabile solo a quello che la soia e l'olio di palma stanno causando in Asia e nell'America del sud». Ora, a meno di credere che anche certi ambienti della finanza si siano convertiti al complottismo, cosa si deve dedurre?

Mais per biogas. Una speculazione dannosa per l'agricoltura, una delle "rinnovabili" più impattanti dal punto di vista economico, cociale, ambientale.


La fine dell'agricoltura?

 Se anche solo si dedicasse alle bioenergie il 20% della superficie agricola, considerata la situazione mondiale - che non lascia ben sperare nella possibilità di approvvigionamenti facili ed economici sul mercato internazionale -, le tensioni sui prezzi dell'agroalimentare e i rischi di difficoltà di approvvigionamenti si farebbero seri. Ancora più seria se si considerano le superfici agricole che si continuano a perdere per il consumo di suolo (sono tutti gretini ma al cemento non rinunciano e i primi a cementificare sono i big - ultra ambientalisti quando c'è da tagliare le gambe agli altri - ma bramosi di nuove "logistiche"). E cosa dire del terreno agricolo che si perde per il rewilding, sostenuto attivamente dalle politiche delle lobby animal-ambientaliste e, passivamente dalla vecchia legislazione forestale di stampo ottocentesco (che, guarda caso, non si vuole aggiornare), che si perde per i danni e la diffusione sempre più massiccia della fauna ungulata e dei grandi predatori (che non si fa nulla per controllare, sempre per lo strapotere delle lobby animal-ambientaliste, mantenendo, anche in questo caso la vecchia legislazione protezionista). Proviamo ad aprire gli occhi: i "conservazionisti" vogliono imporre per il 2030 il 30% di "aree protette" (destinato a salire al 50%). Se le superfici utilizzabili per l'agricoltura vengono dedicate alle produzioni bioenergetiche nelle folli proporzioni prospettate nei disegni della Commissione europea ... non rimane nulla per coltivare il cibo. Niente paura: c'è la carne sintetica di Bill Gates, ci sono le insalatine vegane idroponiche (ma a che costi?), c'è la farina di camole e ci sono le alghe. Come fare a indurre la gente a convertirsi al neo cibo? La risposta viene dalla storia. Per far digerire l'uso alimentare della patata ai nostri contadini, che la reputavano alimento adatto ai suini, l'élite (che aveva capito che con la patata si producono più calorie per unità di terreno agricolo che con i cereali, anche se a prezzo di più fatica e ore di lavoro di zappa, ma tanto quella non ce la mettevano loro che avrebbero ottenuto maggiori rendite dall'estensione della superficie di cereali destinati al mercato),  le provò tutte, mobilitando anche i preti (il sostituto dei mass media di oggi). Ma fu la carestia che culminò nel 1816 (l'anno senza estate a causa dell'eruzione del vulcano Tambora Indonesia che riempì di polveri l'atmosfera abbassando la temperatura), l'ultima da noi, che fece "mangiare la minestra".L'èlite non gradisce che la plebe studi la storia. Loro la conoscono, però. E sanno che solo la minaccia di "saltare la finesta" può far accettare la loro "minestra". Oggi, però la "minestra" si profila molto, ma molto peggio delle patate (di cui il contadino diffidava, non senza motivo, per via della solanina presente nelle patate non adeguatamente conservate).


Un mondo così, in cui sei controllato in ogni tua azione (il green pass è il primo... pass, ma ci sono già lo smartphone e l'internet delle cose che operano da occhio e orecchio del Grande Fratello), in cui devi mangiare il tristo cibo artificiale che ti propineranno gli oligarchi, in cui non potrai fare una passeggiata perché nella wilderness non si dovrà mettere piede per non disturbare gli animali selvaggi sarà un mondo che merita vivere? La wildernes, infatti sarà privilegio degli oligarchi, e dei tecnocrati ambientalisti che visiteranno i parchi con le scorte armate, con la soddisfazione di godere - essi soli - della natura incontaminata, mentre agli schiavi sarà proibito uscire dalle metropoli. Sarà un mondo con il pass alimentare (per nutrirsi di porcherie) e il reddito universale di cittadinanza, sarà degno di essere vissuto o non procurerà piuttosto depressione di massa? Ancora una volta niente paura: ci pensa il Grande Fratello. Il Canada ha già legalizzato le cure psichiatriche con ecstasy, lsd, psilocibina e vi è notizia che, attraverso le solite start-up (chi c'è dietro sono sempre quei cari signori), si stanno investendo miliardi di dollari nelle applicazioni terapeutiche delle sostanze psichedeliche. Gli schiavi saranno controllati anche così. Ma siamo veramente sicuri che distruggere l'agricoltura e la società con la scusa del riscaldamento valga la pena? Per l'umanità no di sicuro. Probabilmente, invece, la vale, eccome, per chi vuole sfidare Dio e diventare onnipotente riducendo il 99% dell'umanità a formiche da poter schiacciare a piacimento

La vaccinazione antipolio veniva somministrata con uno zuccherino (chi ha una certa età se lo ricorda). La vaccinazione con le droghe pesanti sintetiche contro la depressione indotta da una società senza libertà idem. Così si somministra la dietilamide dell'acido lisergico, versione sintetica del principio attivo della segale cornuta.

 
Difendere l'agricoltura che produce cibo sano è difendere la libertà, la vita. 
 
Il timore è che l’agricoltura come la conosciamo da millenni possa essere smantellata, non certo in favore del benessere dell’uomo e degli ecosistemi ma per assecondare quella tendenza – che si palesa sempre più demoniaca – da parte dei circoli che aspirano a un effettivo governo mondiale oligarchico e tecnocratico, ad assumere il controllo totalitario delle vite delle persone oltre che dell’economia e dell’uso dei territori. Il controllo delle fonti alimentari, la perdita di ogni autonomia personale, famigliare, comunitaria, locale, nazionale sulla produzione e distribuzione delle risorse alimentari, l’eliminazione delle comunità rurali, il controllo  tutale delle superfici oggi agricole, forestali, pastorali rappresentano pericoli reali. La nuova religione di stato, il pensiero unico animal-ambiental-climatista sono l'oppio ideologice per nascondere tutto questo. In attesa della droga obbligatoria (si comincia con i vaccini, che dovevano riportare alla normalità, che non avevano effetti collaterali, che erano la salvezza). 

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