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Agricoltura e società

Michele Corti, 6 Gennaio, 2022


Sovranità agricola sempre più preziosa

Distratti dalla pandemia (o psico-pandemia), usata ampliamente dai media per condizionare atteggiamenti e comportamenti dei sudditi, gli italiani più di altri appaiono del tutto inconsapevoli delle trasformazioni in atto. Ad impedire di capire dove si stà andando, per quali processi, per opera di quali forze, congiura l'altra narrativa dominante, quella sul riscaldamento climatico. Ogni tendenza negativa viene comodamente (per le élites) attribuita alle conseguenze della pandemia e del riscaldamento climatico. Intanto stiamo assistendo ad un aumento preoccupante dei prezzi reali delle derrate alimentari, un aumento non transitorio, solo in parte legato alle conseguenze congiunturali della pandemia, destinato a pesare sul piano geopolitico e su quel poco che rimane di sovranità (alimentare e non). la Cina accaparra cereali e invita la popolazione a fare scorte. E noi? Noi ci gloriamo del made in Italy alimentare e del pareggio della bilancia agroalimentare. Ma ci dimentichiamo che stiamo diventando sempre più dipendenti dalle importazioni per le derrate agricole. Se l'industria alimentare processa sempre più materie prime di origine global, in caso di crisi saremo alla mercè dei ricatti politici dei padroni del cibo, quello vero, qulllo che viene dai campi.

In assenza di titoloni sui giornali e giornaloni (che la pandemia e il governo Draghi hanno reso ancora più allineati riducendo quasi a zero le voci che cantano fuori dal coro), il 2021 è stato caratterizzato dai prezzi più alti delle derrate alimentari - tolto il terremoto della crisi energetica del 1953-74) da quando esistono le registrazioni Fao. Una notizia pesante, no? L'altra notizia è che i prezzi reali annualizzati delle derrate alimentari di base hanno supertato quelli del 2008 (in coincidenza con la peggiore crisi economico-finanziaria dal 1929) e del 2011 (l'anno degli scossoni politici nel medio-oriente spinti dalle "rivolte del pane"). Quello che conta è che si tratta di notizie di rilevanti conseguenze politiche. Non sono in gioco solo la stabilità interna dei paese ma anche i rapporti di forza in un mondo che è sempre più conflittuale. Da che mondo e mondo il controllo degli approvvigionamenti alimentari e l'argomento principe del potere. In questi frangenti ci pare utile riprendere le considerazioni sull'autonomia agricola (più agricola che alimentare) che avevano sviluppato ai tempi del lockdown (La produzione di cibo è sempre più indispensabile).



Se si analizza quale sono le componenti dell'aumento dell'indice dei prezzi reali delle derrate alimentari si scopre che gli aumenti più consistenti sono stati quelli degli oli vegetali seguiti da quelli dei cereali. Sull'insieme dei prezzi agricoli ha inciso l'aumento dei costi energetici, che è in salita dall'aprile del 2021. L'aumento delle derrate agricole è però più elevato (+30% su base annua dal 2020 al 2021) e non può essere spiegato solo con l'aumento dei prezzo dell'energia. Ci sono anche altre cause, evidentemente. L'ecocatastrofismo, componente importante della narrativa finalizzata a far digerire il "nuovo ordine mondiale", non ha dubbi: i prezzi delle derrate alimentari salgono per via del riscaldamento climatico. Come sappiamo qualsiasi fenomeno negativo è oggi ascritto al "cambiamento climatico". Piove troppo? E' colpa del cambiamento climatico. C'è la siccità? E' colpa del riscaldamento climatico. Così, se il raccolto di grano duro canadese (quello al glifosato), è andato male per colpa della siccità, ecco una prova degli effetti del cambiamento climatico. La Cina ha subito i danni per le piogge abbondanti ma, nonostante questi "danni da cambiamento climatico" la produzione è cresciuta comunque del 2%.  Ha però aumentato le importazioni. Perché? Perché per motivi politici vuole mantenere altissime le scorte.

Cereali stoccati danneggiati dalle piogge in Asia

In tema di "è sempre colpa del cambiamento climatico" qualche sospetto comincia ad affiorare quando apprendiamo che l'elevato prezzo dello zucchero, uno di quelli che hanno subito le massime lievitazioni nel 2021, è da attribuire al gelo che ha colpito il Brasile. Non si può neppure ignorare che il cambiamento climatico se, da una parte, può penalizzare la produttività agricola in alcune aree, dall'altra è in grado di estendere l'area coltivabile e le rese. Paesi come la Russia e il Canada potranno mettere a coltura enormi estensioni nella regione boreale. Se la tundra lascerà posto alla foresta, quest'ultima potrà diventare terra agricola.


Attribuire ogni difficoltà in ambito agricolo al cambiamento climatico è sicuramente comodo, per qualcuno, ma non offre solidi argomenti per la comprensione delle cause. Se prendiamo i semi oleosi, che sono la categoria di derrate alimentari che ha conosciuto i maggiori aumenti, a parte l'andamento climatico va considerato, come fattore di lievitazione dei prezzi, la crescente domanda di bioenergie (biodisel) che spinge a investire grandi estensioni di terreno in "colture energetiche".  Con il risultato che, come spiega il rapporto finale di uno studio commissionato dalla Commissione europea (The land use change impact of biofuels consumed in the EU Quantification of area and greenhouse gas impacts), investire i terreni nella produzione di biodisel comporta emissioni di gas serra molto più elevate rispetto all'uso dell'energia fossile. Come nel caso di altre forme di "energia rinnovabile", i risultati - in termini di riduzione delle emissioni - sono modesti (o persino nulli e negativi) ma l'effetto certo è l'aumento del costo dell'energia, legato agli incentivi. I maggiori costi energetici pesano sull'inflazione e sul costo delle produzioni agricole (un danno sociale evidente) e premiano la rendita parassitaria dei percettori di incentivi. Quindi va detto che una delle componenti delle tensioni sul prezzo delle materie prime agricole è senz'altro dovuta alle politiche "climatiche" e green.


Il mito del "libero mercato"

Le politiche neoliberali di liberalizzazione del commercio internazionale hanno reso più forti il potere monopolistico delle multinazionali e aumentato il peso della superpotenza cinese, un regime che di liberale non ha nulla. Hanno indebolito la piccola produzione, in particolare quella agricola, in tutto il mondo, abbattuto i prezzi riconosciuti ai contadini. Cina e Usa, peraltro, possono permettersi di utilizzare l'arma dei dazi a differenza dei piccoli paesi. Quantomeno il riesplodere delle guerre dei dazi ha avuto il merito di spascherare l'ipocrisia della "libertà di commercio" mettendo in evidenza che dietro l'ideologia liberista ci sono solo i nudi rapporti di forza.  Le commodities agricole sono controllate da oligopoli di pochi player che fanno il bello e il cattivo tempo. Quattro multinazionali (tre Usa, una francese) controllano il 90% del commercio dei cereali. Un attore ancora più potente, ci si scorda troppo spesso di citarlo, è però il governo cinese. Alcuni si accorgono solo oggi, di fronte all'impennata dei prezzi del 2021 che la Cina possiede il 60% dello stock mondiale di grano tenero, arrivato a un massimo di 150 milioni di tonnellate. Invece che ridurre lo stock, come fanno altri paesi quando i prezzi aumentano (notare l'andamento ondeggiante della linea scura che indica la dimensione dello stock di grano nel mondo, esclusa la Cina e l'India), la Cina lo ha costantemente aumentato dal 2006. Evidente che la Cina segue logiche diverse da quelle dell'Occidente, logiche marcatamente politiche.


Per mantenere il consenso nei confronti del regime comunista, un regime caratterizzato da politiche sempre più autoritarie, il regime vuole assicurarsi che la disponibilità di cibo (e di carne) non venga meno. In Cina il partito comunista ha instaurato il sistema del "credito sociale", ovvero il punteggio del "buon cittadino". Grazie all'uso delle stesse tecnologie sviluppate dalle big tech californiane per il controllo totale del comportamento, in Cina il cittadino è già super controllato e riceve "pagelle" che comportano premi e punizioni (il green pass del governo Draghi è l'anticipazione di un sistema simile). Se sei virtuoso hai connessioni internet più veloci, puoi viaggiare, puoi accedere a scuole prestigiose; se sei "cattivo" tutto il contrario. Per quanto la cultura cinese sia orientata all'obbedienza sociale, un simile odioso sistema non potrebbe reggere se non in un contesto di soddisfazione dei bisogni materiali. Per i cinesi avere abbondante carne avicola e suina sulla mensa è una condizione di "tranquillità sociale".  Nel 2019 l'influenza suina (la Cina è la fabbrica dei virus umani e animali) provocò l'abbattimento di milioni di suini e un'impennata delle importazioni con conseguenze sul mercato mondiale. Con la ripresa degli allevamenti, le importazioni di soia e mais sono schizzate in su. Nel 2021 le importazioni di mais cinesi si sono triplicate, quelle di soia sono raddoppiate. E qui gioca l'industria zootecnica. Le importazioni di grano tenero sono arrivate a 12 milioni di tonnellate (più del 50% di aumento).


Acquisti aggressivi

La Cina ha operato acquisti giudicati "aggressivi" sui mercati mondiali rastrellando grano tenero (ma anche orzo) di produzione francese, ucraina e australiana. Qualche politico si è spinto a denunciare l'accaparramento. Oltre alle finalità di politica interna (il regime comunista non vuole correre il rischio cge i sudditi non abbiano la pancia piena) non ci saranno altre finalità politiche internazionali? Forse che Pechino prevede anni di didotta produzione mondiale e si prepara a utilizzare l'arma del cibo? La spregiudicatezza della Cina nell'operare sui mercati per fini strategici rende lecita questa considerazione. Nel 2017 la Cina per motivi legati alla tensione sui dazi con gli Stati Uniti ma forse semplicamente per una manovra commerciale, sospese le importazioni di lana dalla Nuova Zelanda gettando l'industria in una crisi nera che costrinse a ridurre gli allevamenti e a macellare le pecore. Grazie alle quote di mercato (sia di esportazione che di importazione) essa può fare il bello e il cattivo tempo su molti mercati. Con la prima fase della pandemia, l'interruzione dell'importazione dalla Cina di una grande varietà di articoli per il consumo e di beni intermedi mise in crisi le catene di approvvigionamento. Non sono bastati questi avvertimenti?

 

Ma quale solidarietà alimentare?


La solidarietà europea l'abbiamo vista bene con la prima ondata della pandemia nei primi mesi del 2020. Francia e Germania hanno imposto il divieto di esportazione delle mascherine. Difficile credere che in caso di crisi alimentari la Francia rinuncerebbe a vendere derrate alla Cina per darle ai "partner" europei? A parte l'egosimo nazionale dei campioni dell'europeismo (Francia e Germania sono europeiste solo eprché possono imporre la loro egemonia nazionale, se questo è ... europeismo) dobbiamo pensare che di fronte alle pressioni della Cina (in grado di bloccare le catene di approvvigionamento), in caso di crisi globale funzioni la "solidarietà europea"? Se nell'ambito della maggior parte dei paesi europei, maxime in Italia, non prevalesse l'interesse delle élites (che vedono l'Europa come uno strumento a loro favore) le fandonie europeiste non avrebbero corso e potrebbe essere perseguita una sovranità alimentare alla faccia della Pac e di tutti i vincoli imposti da Bruxelles per azzerare quanto rimane di indipendenza nazionale.  Possiamo essere tranquilli con i paurosi deficit di alcune fondamentali derrate agricole? Le importazioni rappresentano il 70% del fabbisogno di soia, il 64% del frumento tenero, il 40% del grano duro, 45% della carne. Il caso del mais è drammatico. Se all'inizio di questo secolo, sono passati solo vent'anni, importavamo il 10% del fabbisogno interno di mais, nel 2015 abbiamo importato il 45% e nel 2020 il 50%. dato preoccupante la superficie a seminativi continua a diminuire.


La battaglia del grano. Rispetto alla situazione del primo dopoguerra, quando le importazioni di grano tenero rappresentava 1/3 del fabbisogno, agli inizi degli anni '30 era stata quasi raggiunta l'autosufficienza passando da 50 a 80 milioni di q.li di produzione grazie al forte aumento delle rese unitarie.


L'illusoria autosufficienza alimentare (senza l'autosufficienza agricola)

Nel 2021 le esportazioni di prodotti agroalimentari hanno conosciuto un forte aumento che, unito all'orientamento verso i prodotti made in Italy del consumatore interno, hanno conseguito uno storico pareggio della bilancia agroalimentare. Chi non consce le filiere agroalimentari potrebbe ritenere che, al di là del dato economico, questi risultati possano garantirci la sicurezza negli approvvigionamenti. Ma le cose non stanno affatto così: il prodotto dell'agroalimentare italiano, specie se di origine animale (ma il discorso vale anche per un prodotto simbolo come la pasta) è ottenuto dalla trasformazione di derrate agricole importate.  L'autosufficienza alimentare è illusoria, è frutto dell'esportazione di prodotti che hanno un valore aggiunto superiore ai "prodotti base" di cui siamo deficitari. L'autosufficienza agricola, che riguarda le derrate strategiche, ed è quella che determina la sovranità alimentare è altra cosa. L'Italia continua nella sua "battaglia del grano al contrario", con blandi provvedimenti sul consumo di suolo e una politica "ambientalista" che incoraggia l'avanzare del bosco e la proliferazione della fauna selvatica dannosa per le coltivazioni e gli allevamenti. Continuiamo a subire una politica agricola europea che, da una parte, incentiva l'agricoltura intensiva, gli allevamenti che richiedono importazioni di soia e cereali, dall'altra - per darsi una facciata green - incentiva il sottoutilizzo dei pascoli e la "rinaturalizzazione" di quote di terreno agricolo. L'implacabile burocratizzazione e la sempre crescente pressione regolativa ammazzano l'agricoltura e l'allevamento su piccola scala imponendo adempimenti che possono avere senso per le grandi aziende. Nel mondo di oggi, però, con le prospettive di scontri tra le potenze a colpi di forniture energetiche e agricole (vedi l'arma dell'export di soia usata dagli Usa contro la Cina) ci si può permettere di fare dei conti come se non ci fossero nubi all'orizzonte, come se vivessimo in un mondo affratellato, senza confini, senza conflitti?


Le utopie "internazionaliste" sono servite a fare ingoiare a tanti paesi la rinunzia alla difesa del mondo agricolo, la rinunzia della sovranità alimentare, ma si sono rivelate una truffa che ha fatto delle multinazionali e delle grandi potenze i "padroni del cibo". Hanno imposto soluzioni politiche in nome dell'economia. In questo quadro la sovranità alimentare rischia di essere solo uno dei tanti slogan buonisti, sottoscritto anche da chi, in realtà, sostiene le politiche che la stanno ulteriormente cancellando. Troppi hanno paura che, affermando il principio di un grado minimo di autosufficienza nazionale per i prodotti agricoli, si venga assimilati ai "sovranisti" (che parolaccia!).

In realtà l'esperienza del Covid ha messo in evidenza non solo l'egoismo nazionale dei campioni di europeismo ma anche la fragilità delle catene di approvvigionamento. Logico sarebbe garantire obiettivi di autosufficienza anche a livello locale (il "localismo" altra parloaccia per il mainstream prono alle élites) che accorcino le catene garantendo fonti di approvvigionamento quando tutto salterà (le famose "reti", i "sistemi esperti").

Al di là della "scorta casalinga", dei tot kg di pasta e altri articoli indispensabili che la prudenza ci spinge a tenerci in casa, sarebbe opportuno poter contare su qualcosa di più. Dal piccolo orto famigliare al campetto di patate e di fagioli si può arrivare (cooperando tra famiglie e coinvolgendo piccolo coltivatori) ai campi di cereali. Utilizzando il lavoro umano (attività da vedersi come benefica al pari di quella sportiva, ma utile) e una piccola meccanizzazione dedicata (vedi le piccole mietitrebbie asiatiche adatte per operare sulle coltivazioni di riso terrazzate) i tanti spazi di una disordinata urbanizzazione e quelli lasciati all'estensivizzazione o all'abbandono della montagna e nelle aree rurali possono essere teatro di un'agricoltura urbana-civica-sociale che può trovare senso e spazio nelle periferie delle grandi città, nelle aree rurbane (le aree "nè carne nè pesce" che non sono più agricole ma non sono neppure urbane e dove comunque non si coltiva più la terra) e in quelle rimaste rurali (Appennini, alcune aree alpine e prealpine). Oltre alla dimensione dell' "agricoltura civica", comunque importante per garantire autonomia alimentare a famiglie e comunità, l'obiettivo della sovranità agricola va perseguito anche sul piano dell'agricoltura su piccola scala, dell'agricoltura contadina, dell'agricoltura di montagna (delle piccole aziende) che deve essere liberata da tutti gli adempimenti, regole, inquadramenti che valgono per le attività agricole imprenditoriali gestite con dipendenti e importanti fatturati. Queste forme di agricoltura sono in grado di produrre anche prodotti animali utilizzando le risorse foraggere (pascoli, prati stabili, erbai di leguminose) in un contesto di reimpieghi circolari che riduce l'import di soia e cereali e valorizza risorse che l' "ambientalismo" vorrebbe trasformare in wilderness, sterile dal punto del vista del cibo. 


Se, in passato, abbiamo sottolineato l'importanza sociale di queste iniziative, cruciali anche per ricostruire l'identità delle comunità e riattivare relazioni sociali (vedi la pagina Cibi di comunità qui su Ruralpini), oggi l'obiettivo di un'autonomia alimentare assume anche connotati più chiaramente politici. Troppo scoperta è ormai la strategia del controllo delle risorse alimentari che non si limita più a soggiogare l'agricoltura all'industria e al grande commercio ma che punta apertamente a produrre cibo prescindendo dalla terra (vertical farms) e dagli animali (vedi la carne sintetica). In attesa che, sulla scorta dei "social credits"  cinesi, venga applicato un punteggio  per l'accesso al cibo, il food pass, con il quale se non ti comporti come vogliono le élite, il bravo schiavo ubbidiente, avrai solo... farina di insetti e alghe (e non ci sarà nessuna borsa nera, nessuna scappatoia, perché la tecnologia non concede scampo).

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