Ruralpini  

 ?

Inforegioni/La resistenza di un formaggio contadino

 

 

Home

Mi presento

Attualità

Alpeggi

Ruralismo

Osterie

Foto

Lin k

 

Condividi l'articolo su Facebook

 

 

 

Articoli correlati

 

(05.01.10) L'escolo de Sancto Lucìo de Coumboscuro (Cn)

Da una esperienza esemplare una serie riflessioni su scuola, montagna, identità e uno stimolo per tante comunità alpine a mantenere o riaprire le proprie scuole.

Una riflessione sulle conseguenze culturali dello statalismo, dello svuotamento (prima spirituale che materiale) delle comunità, dell'affermazione di gerarchie di valori che antepongono le colate di cemento, i presunti business (per pochi o per altri , de foravia) all'investimento in capitale umano. Mantenere le scuole di montagna, socializzare i piccoli nella cultura e nella lingua dei veci apre alla comprensione e alla valorizzazione delle diversità. Sancto Lucìo, attaccato tenacemente alla propria identità provenzale alpina, è aperto al mondo. Si può dire lo stesso delle scuole di tanti centri di fondovalle dove sono stati 'concentrati' gli alunni 'montagnini'?

 leggi tutto

 

(24.08.10) Fine estate. Ovunque si preparano tavolate e pseudo sagre selvagge

Il fenomeno, stigmatizzato nei giorni scorsi anche sulle prime pagine dei quotidiani e sui TG nazionali. Si rischia di 'sputtanare' le sagre autentiche. Che sono una risorsa di cultura e identità e un'occasione preziosa di promozione del cibo e della gastronomia territoriali. Urge una regolamentazione da parte delle regioni e maggiore selettività nelle sponsorizzazioni pubbliche leggi tutto

 

(01.09.10) Coumboscuro (CN) Colture e culture d'identità

Chi pensa che le culture e le lingue ancestrali siano espressione di chiusura, egoismo, sguardo fisso al passato farebbe bene a farsi un giro a Coumboscuro. Dove l'attaccamento alla cultura e ai valori tradizionali, la volontà consapevole e caparbia di preservarli, ha consentito ad una piccola comunità di restare a vivere in montagna, coltivando contatti con tante realtà culturali in giro per l'Europa (e non solo). Ha consentito  di coniugare la manualità (artigianato, agricoltura, cura del territorio) con le espressioni culturali e artistiche 'colte'. Un miracolo? Forse si. Ma  ripetibile. Con difficoltà, però, perché riannodare i fili spezzati e i valori della continuità e della comunità corrosi dall' individualismo è arduo. Servono  punti di riferimento molto saldi. E comportamenti personali coerenti. vai a vedere il fotoracconto

 

(16.06.10) Nella giornata della tangentopoli valtellinese si fa sentire la voce della 'dissidenza' di Albaredo

Dura presa di posizione contro il Parco eolico da parte della Pro loco di Albaredo per San Marco, il comune dove dovrebbe sorgere il 'Parco' . Il progetto, che è entrato nell'occhio del ciclone delle inchieste sul malaffare, è sostenuto dai comuni di Bema (ex sindaco e notabile Silvano Passamonti, presidente della CM, ora incarcerato a Lecco)  di Albaredo (ex-sindaco e notabile Patrizio Del Nero, con numerose poltrone a livello provinciale e - ultimamente - anche alla Fiera di Milano).  leggi tutto

 

(05.12.09) Poca tutela per le Vie storiche (il caso della Via Priùla in Valtellina) 

Presentiamo una serie di immagini che documentano le condizioni del tracciato storico della Via Priùla nel tratto che collega il Passo di San Marco con Albaredo. Le immagini sono particolarmente eloquenti perché in diversi casi è possibile confrontarle con altre immagini 'storiche'. Selciati sostituiti da asfaltature, tratti in abbandono, muri di sostegno cementificati. Un vero peccato perché la rete viaria alpina rappresenta un bene di valore storico-culturale e paesistico di notevole importanza che può essere adeguatamente valorizzato nell'ambito delle iniziative di turismo sostenibile vai al servizio

 

(02.11.09) Valtellina (So). Poliziotti del gusto per imporre la burocrazia del gusto. Il Bitto 'storico' è fuorilegge

Il giorno 21, giusto due giorni dopo la conclusione della mostra del Bitto 'ufficiale', funzionari del MIPAAF si sono presentati al 'Centro del Bitto' (presidio Slow Food ed Ecomuseo risconosciuto dalla regione) per notificare due sanzioni (per un max di 60.000 €) per violazioni delle norme sulla Dop. I produttori 'storici', come è noto, sono usciti dalla Dop per non confondere il prodotto nato nelle loro valli e che essi continuano a produrre in modo tradizionale con il Bitto Dop 'modernizzato' fatto 'per legge' in tutta la Provincia (Foto Cheese Time). leggi tutto

 

(21.06.10) Nevicate sugli alpeggi

Cronaca (fotografica) della giornata di domenica 20 giugno  all'Alpe Li Piani (Brusio, Val Poschiavo - Canton Grigioni).  Mentre fuori nevicava si è tenuta l'assemblea dell'associazione Amici Li Piani. Presente Robi Ronza, grande amico della montagna, cui è stata conferita la qualifica di 'socio onorario'. vai a vedere

(22.12.09) Latte e formaggi bio nella montagna alpina?  Si può o no? La scorsa settimana l'ass. 'la Buona Terra' ha organizzato una visita al caseificio Valposchiavo, uno dei primi in Svizzera a passare al bio. Intanto la valle è ormai quasi interamente bio. Un occasione di confronto per capire perché in Svizzera e Austria il bio 'vola' mentre in Italia, sulle Alpi lombarde (e non solo) resta al palo. Alla base di questa differenza ci sono i nessi tra fieno, latte e politiche agricole. (leggi tutto)

 

(05.10.10) I Gendarmi del Bitto

In occasione della Fiera di S.Matteo, dove Paolo Ciapparelli ha annunciato di entrare nell’Unione dei formaggi delle Orobie, il Consorzio Tutela Casera e Bitto ha scritto una dura missiva agli organizzatori della manifestazione brembana avvisandoli che sarebbero stati sorvegliati da ispettori inviati a ‘vigilare’ sul rispetto delle norme di tutela delle DOP leggi tutto

 

Approfondimenti

Il Bitto: un formaggio che fa storia

Gli alpeggi di "Val del Bitt" patrimonio dell'umanità

Per una politica non distruttiva delle risorse dell'economia montana: alcune riflessioni a partire dalla tutela del formaggio Bitto

Link

 

moremaiorum

 

(21.11.10) Ad Albaredo (SO) ieri (e oggi) si è celebrata la Sagra del Matüsc. Una sagra che con quelle tarocche non c'entra nulla ed è un momento importante per tenere in vita una realtà che (consapevolmente o no) è genuinamente e pienamente ruralpina

 

Quel formaggio contadino che, nonostante tutto,

caparbiamente ogni anno 'c'è ancora'

 

 

Erano ventuno le forme di Matüsc  in concorso. Fatte da altrettanti contadini-casari, ciascuno nel suo maggengo, una proprietà privata di 'mezza montagna' con prati da falce e una piccola stalla-fienile. Si è tratta di un  concorso amichevole che però serve a valorizzare questa produzione emblema della resistenza casearia. Un concorso cui hanno fornito un supporto di competenza e professionalità gli amici dell'Onaf di Sondrio e dell'associazione Degustibus.  Tutta la Sagra è organizzata dalla Pro Loco del paese, un'associazione che si prodiga in iniziative di aggregazione e di animazione (in estate tra le altri eventi organizza la Festa dei Pastori sugli alpeggi).

Ieri c'è stato anche un convegno per celebrare l'anno della biodiversità, ed è stato declinato, come giusto, all'insegna del Matüsc e quindi del rapporto fecondo e profondo tra biodiversità e ruralità alpina quale sintesi di società e natura . Il convegno è stato organizzato da Amamont (associazione transfrontaliera "amici degli alpeggi e della montagna") e dalla stessa Pro Loco. Così erano presenti amici di diverse valli svizzere: Poschiavo (culla di Amamont), Bregaglia, Mesolcina. La forza della 'resistenza contadina' è in questa dimensione di 'localismo reticolare' e di consapevole sapersi collocare all'interno di dinamiche 'globali' ma certo a nulla varrebbero gli sforzi per creare reti e consapevolezza 'strategica' se non vi fosse quella resistenza  quotidiana, materiale,  fatta da gente che continua a sfalciare praticelli in forte pendenza, ad allevare due vacche perché è un modo di vita. Ad Albaredo questa 'resistenza ruralpina' fatta di quotidianità è ancora forte e non a caso il primo Incontro Ruralpino si tenne proprio a Albaredo esattamente quattro anni fa, sempre in occasione della Sagra.

 

 

 

 Rispetto a quattro anni fa ieri c'era molta più neve giù caduta sulle montagne. Prima di arrivare ad Albaredo mi sono fermato a Valle (la frazione più alta di Morbegno, che si incontra prima di arrivare ad Albaredo) per scattare due foto. La prima (sopra) ritrae la Cima della Rosetta (in realtà la cima non si vede) e i pascoli dell'Alpe Culino (comune di Rasura, proprietà del demanio regionale). Con le copiose nevicate di questi giorni i pascoli d'alpeggio riposano ormai sotto una spessa coltre nevosa di 'neve novembrina' che 'facendo fondo' dovrebbe garantire un buon innevamento e uno scioglimento lento e graduale della neve in primavera (con tutto vantaggio per la produzione di foraggio). La seconda foto ritrae Albaredo (sotto). Sono quasi le dieci del mattino e la luce e i colori sono quelli che sono.

 

 

 

Una circostanza che spiega perché nel Nord Europa, ma anche sulle Alpi (specie in quelle vallate dove d'inverso il sole si vede pochissimo) si cerca con l'uso di elementi di colore di ravvivare un inverno lungo e bolto 'a bianco e nero'. I carnevali alpini dalle maschere variopinte ne sono l'esempio 'classico'. Anche la 'nostra' manifestazione pare inserirsi in questa ricerca di colore; infatti la Sagra del Matüsc prende anche il nome di 'I colori del Bitto' (riferito al fiume che poi si identifica con la valle).

 

 

Tocca a Ettore Del Nero (foto sotto) presidente della Pro Loco fare i saluti. Prova a farli in lumbart in omaggio alla biodiversità linguistica, al grosso lavoro di recupero del patrimonio immateriale (lessicale, toponomastico) da tempo in atto nelle valli, alla comune identità linguistica che ci unisce agli amici delle valli alpine ticinesi e dei grigioni meridionali.  Ma Ettore che con i suoi 'agricoli' parla ogni giorno in 'dialetto' e che ha un'ottima 'competenza linguistica attiva' , nel contesto un po' formale del Convegno (sia pure tra amici) si dimostra poco disinvolto.  E' il segno di una 'inibizione culturale' che pesa. Una inibizione che in Svizzera non esiste perché in Ticino e nei Grigioni si parla lumbart anche nei consigli comunali. Del resto la Svizzera da bravo paese federale (con tendenze centralistiche sempre in agguato anche lì, peraltro) favorisce il plurilinguismo e molti possono usare più registri: italiano, lumbardt, francese o tedesco. Lo si vede nel successivo saluto di Plinio Pianta, presidente di Amamont  che parte spedito in lumbardt e va avanti un po' per poi passare all'italiano. A parte le considerazioni di circostanza Pianta non manca di ricordare il percorso partito proprio ad Albaredo con gli Incontri Ruralpini e proceduto poi all'Alpe Li Piani in Val Poschiavo (di proprietà dello stesso Pianta). Qui il secondo Incontro Ruralpino gettò le fondamenta di Amamont.

 

 

Da allora la 'rete' di Amamont che dall'inizio comprendeva già soci fondatori da Lombardia, Ticino, Grigioni, Piemonte e Trentino si è allargata a parecchie altre valli di queste regioni e cantoni. Anche a valli piuttosto lontane della provincia di Cuneo. Doveva essere presente ad Albaredo Anna Arneodo del Centro di Coumboscuro. Motivi famigliari l'anno trattenuta nella sua Valle Grana ma i contatti con il centro di cultura provenzale alpina sono stretti (e rafforzati dalla presenza mia, di Fausto Gusmeroli e di Gianpiero Mazzoni allo scorso Roumiage de Setembre vai a vedere il fotoracconto). Il riferimento a Coumboscuro, località famosa a livello internazionale per la sua 'resistenza culturale' e la famosa 'scuoletta pluriclasse' (vai all'articolo) impone di dire due parole sulla sede del convegno. Quella che si vede nella foto sotto è, inequivocabilmente, una palestra scolastica. Purtroppo non è così, o meglio, non lo è più. Oggi è il Centro della Protezione Civile, un destino di molte sciuole di montagna. Colpa della crisi demografica, ma non solo; anche di scelte politico-amministrative che privando i paesi della scuola 'spengono' un indispensabile punto di riferimento in un contesto in cui anche i negozi di vicinato soccombono alla presenza invasiva dei Centri commerciali del fondovalle.  Coumboscuro dimostra che una pluriclasse di un villaggio alpino può essere 'aperto al mondo' più dei 'plessi scolastici' dei fondovalle.

 

 

Dopo i saluti è toccato a  Dario Benetti (nelle due foto sotto seduto alla sinistra degli 'oratori') introdurre i lavori ricordando il legame tra biodiversità e diversità culturale con riferimenti all'architettura alpina in equilibrio tra elementi di specificità e forme comuni espressione di un adattamento all' ambiente. All'intervento dell'architetto sono seguiti quelli di due 'formaggiai'.  Cornelio Beti  (foto sotto) , presidente del caseificio S. Carlo di Poschiavo (vedi articolo),  ha esposto la strategia del caseificio sociale che da alcuni anni ha operato una completa conversione al biologico con la soddisfazione delle aziende conferenti (praticamente tutte quelle che producono latte bovino in valle). Beti ha spiegato come i formaggi del caseificio poschiavino hanno ottenuto un ottimo successo non solo nel Canton grigioni ma anche nella Svizzera interna e, di recente, anche in Germania non solo in forza dell'immagine del bio e della montagna ma, soprattutto, grazie alal sottolineatura del forte legame territoriale con la Val Poschiavo resa peraltro celebra grazie al 'Trenino rosso dell'Unesco'. Beti, che pure ha sottolineato come il formaggio del Caseificio S. Carlo abbia ottenuto un buon riscontro anche in occasione delgi eventi sui formaggi che si organizzano a Sondrio, si è detto un po' costernato dal vedere a 'Formaggi in Piazza' a Sondrio formaggi venduti a 5-7 €. Un prezzo in effetti 'vile' anche per il mercato italiano.

 

 

Ciapparelli 'guuerriero del Bitto storico' ha preso la palla al balzo e ha ricordato come la politica di eccellenza perseguita dal Bitto storico è sempre stata contrastata dalle istuituzioni. Con la formalizzazione della Dop nel 1994 quando la produzione, ai tempi ancora limitata alla Comunità Montana di Morbegno, venne estesa a tavolino tutta la Provincia di Sondrio togliendo l'obbligo del latte di capra. Poi con i cambiamenti del disciplinare del 2006 che introducevano mangimi e fermenti. Mentre il Bitto storico è riconosciuto a livello mondiale quale formaggio che promuove la biodiversità (valorizzando la capra Orobica, l'identità dei singoli alpeggi, la flora microbica autoctona del latte) a livello locale si cerca ancora di distruggere questa realtà come dimostra l'accanimento dimostrato nel far si che il Ministero applicasse la sanzione pecuniaria (ora vicina alla scadenza) per aver i produttori storici della valle del Bitto 'abusato' della Dop (vedi articolo). Un paradosso ma anche un'odiosa volontà repressiva contro i più noti protagonisti del movimento della 'resistenza casearia'.

 

 

All'intervento di Ciapparelli è seguito quello di Fausto Gusmeroli. Fausto ha messo in evidenza sulla base di stringenti considerazioni ecologiche come biodiversità e Alpi facciano parte di un binomio indissolubile. La varietà di altitudini, esposizioni, substrati geologici e la combinazione di questi ed altri elementi crea una grande differenziazione di ambienti (in primo luogo vegetazioneli) in spazi ristretti, nemmeno da paragonare con quello che può succedere in pianura. Comprimere la biodiversità (e il caso del Bitto è emblematico' va contro quella che è l'identità stessa delle Alpi ma anche una sua risorse e una ricchezza che può compensare altri fattori di svantaggio. Un aspetto interessante della biodiversità è stato affrontato da Antonio Codoni, un micologo proveniente dalla Val Mesolcina (valle molto vicina in linea d'aria ma lontana in termini di distanze stradali). Codoni ha ricordato anche i diversi atteggiamenti nei confronti del fungo (macromiceti) da parte di diverse culture introducendo una divertente distinzione tra micologi, micofagi e micofobi (i britannici per esempio temono i funghi e non li consumano). Ha anche sfatato alcune 'leggende' come quella che metterebbe in relazione una eccessiva raccolta con la rarefazione della presenza dei funghi ("l'unico senso dei divieti in certi periodi è la riduzione del disturbo della fauna").

 

 

A me è toccato collegare la dimensione ecologica tracciata da Fausto Gusmeroli con quella della 'resistenza casearia' di Ciapparelli. Prendendo spunto da quanto detto da Fausto ho ricordato come la biodiversità legata ai fattori naturali è stata storicamente moltiplicata dalla presenza degli animali e del loro 'disturbo' sulla vegetazione. Un 'disturbo' che spesso si trasfrorma in un ambiente più eterogeneo dove trovano un habitat molte più specie di piante, di insetti, di vertebrati. Il caso della capra Orobica, legata al formaggio Bitto storico è emblematico perché non solo ha una sua 'originalità' genetica che la distinge da altre popolazioni delle Alpi centrali ma, dato il sistema particolare di pascolo attuato suglia lpeggi del Bitto, contrinuisce attivamente a mantenere un'elevata biodiversità vegetale e faunistica. Al sistema di pascolo poi sono legate strutture, manufatti umani particolari, come le 'capanne casearie': i calecc' (vedi foto sotto con il logo della Pro Loco di Albaredo) , le mascherpere (livello superiore delle casere di stagionatura), i garocc' (stampi per la mascherpa = ricotta grassa salata) che sono diventati in questi anni di 'conflitto identitario' dei simboli efficaci di 'resistenza'. La diversità difende sé stessa grarzie ad una ricca costellazione di simboli e di richiami. La stessa capra Orobica e il Pizzo dei Tre Signori (emblema dell'unità delle Orobie al di sopra dei confini un tempo statuali, oggi provinciali) sono stati stilizzati e trasformati in simboli riconoscibili. Per non parlare del mitico Homo selvadego e dei almeno parzialmente storici 'casari-guerrieri' celti. Una grande mobilitazione simbolica e mitopoietica a favore di un formaggio che ha dietro la storia e sta facendo ancora storia.

 

 

 

Ha chiuso i lavori della mattinata Renato Ciaponi, presidente dell'Onaf di Morbegno. Ciaponi pur riconoscendo la grande qualità del Bitto storico (constatata obiettivamente attraverso il lavorio deglia ssaggiatori professionali) ha richiamato come le scelte - poi rivelatesi foriere di cintrasti - assunte ai tempi della nascita della Dop erano 'figlie del loro tempo' tanto che il Ministero aveva messo le mani davanti dicendo che se fosse stata avanzata la richiesta di 'sottodenominazioni' la pratica sarebbe stata bloccata. Argomenti sicuramente validi anche se poi, con la modifica dei disciplinari del 2006, quando se, da una parte si è lasciata la possibilità di imprimere sullo scalzo il nome dell'alpeggio nel caso di non uso di mangimi e fermenti (come ricordato da Ciaponi) dall'altra si è 'concesso' quei tre kg di mangime che possono cambiare le caratteristiche del formaggio. La discussione però non si è aperta perché, nel frattempo, si era fatto tardi (era ormai passata l'una) e abbiamo tutti approfittato del pranzo preparato con spirito di ospitalità dalla Pro Loco.

 

 

Dopo pranzo in attesa della ripresa del convegno ho approfittato per fissare qualche immagine emblematica. Nelle foto (sopra e sotto) sono ritratti i cartelli, applicati agli striscioni di carta colorata, recanti i nomi dei tantissimi maggenghi di Albaredo. Sono quarantuno. La maggior parte ancora abitati. Di per sé costituiscono un bell'inventario toponomastico. La maggior parte si riferiscono alla conformazione del terreno, a qualche caratteristica del sito. I maggenghi di Albareso si trovano a  vari livelli altitudinali al di sopra del paese (alcuni prossimi agli alpeggi) e rappresentano un insediamento stagionale disperso dove si trasferiva per buona parte dell'anno la maggior parte della popolazione. Sugli alpeggi in estate saliva solo qualche pastore e caricatore ma questi venivano spesso da fuori. Non esisteva infatti una 'riserva' per i residenti nemmeno per i due alpeggi comunali (gli altri erano privati). Nei maggenghi un tempo restavano per tutta l'estate le capre mentre le mucche erano inviate all'alpeggio in cambio di una buona remunerazione per il latte prodotto. Il Matüsc, prodotto con latte vaccino con eventuali aggiunta di latte di capra, era prodotto solo nel periodo pre-alpeggio e post-alpeggio dopo lo scarico delle alpi. Un aspetto curioso ma indicvativo della centralità del  maggengo ad Albaredo è la mancanza di un nome comune che li definisce; altrove sono muunt, praa, lögh. Qui erano contraddistinti con il loro nome proprio e basta; erano località abitate a tutti gli effetti senza bisogno di specificazioni.

 

 

Il biglietto lasciato vicino ad una forma in concorso dal 'casaro Remo Tarabini' (che evidentemente non ha potuto comunicare in altro modo i dati) è uno 'spaccato' di questa realtà che ancora vive. "Prodotto il 25 aprile loc.(alità) Dosso comune". Doss comun è uno dei diversi Doss presenti nel 'catalogo' affisso alle pareti della palestra.

 

 

Le forme presenti hanno diversa pezzatura e stagionatura (alcune sono primaverili, altre di settembre-ottobre. Ognuno utilizza la quantità di latte disponibilené più né meno che una volta. Standardizzare la pezzatura non avrebbe alcun senso.

Alla fine le forme in concorso sono state ventuno, ciasuna di un 'casaro'. Anche per Ettore Del Nero è stata una piacevole sorpresa constatare che il numero dei partecipanti 'tiene'. Sembra quasi un miracolo che in un paese ci siano ancora così tanti contadini che falciano a mano (o con la bcs) i loro ripidi praticelli e che tengono due mucche. Eppure ad Albaredo succede. E non è certo merito delle 'istituzioni'. Il comune ha decisamente puntato sulle stalle 'imprenditoriali' incoraggiando l'ampliamento delle due aziende più grosse. Il loro latte viene lavorato nella nuova Latteria Alpi del Bitto che è gestita dalla Latteria Sociale Valtellina di Delebio, la più grande struttura lattiero-casearia della provincia .

 La vecchia latteria di paese dove conferivano i piccoli produttori, e che era stata ristrutturata da non molto, è stata chiusa e il casaro licenziato. Così tra la 'filiera' e i contadini si è creata una frattura. E le due aziende 'imprenditoriali' hanno problemi di smaltimento dei reflui zootecnici tanto che è stata prospettata la geniale soluzione di portare i loro liquami sino ad una centrale a biogas comprensoriale a Postalesio giù nel fondovalle (Albaredo è a 900 m)  distante 30 km (poi dovrebbe risalire il digestato). In compenso salgono i camion di mangimi. La Latteria Alpi del Bitto  produce il Matusc San Marco. I contadini il Matüsc di barilocc (barilocc è il soprannome degli abitanti di Albaredo). Due storie che si sviluppano in uno stesso unico piccolo paese ma che non si incontrano.

La sroria che hanno raccontato in coda al convegno Francesco e Michele Mondora

 


 

                   

 

pagine visitate dal 21.11.08

Contatore sito counter customizable
View My Stats
commenti, informazioni? segnalazioni scrivi

Registra il tuo sito nei motori di ricerca

 Creazione/Webmaster Michele Corti