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Ruralpini                        Biografia politica: 68

 

68 e postsessantotto (1969-76)

 

Autonomismo (1981-1989)

 

In Regione (1990-1992)

 

Tangentopoli agricola (1992-1993) f

 

Una battaglia troppo in anticipo sui tempi (1994)

 

I limiti del "potere" (1994-1995)

 

Post-leghismo (1995-2001)

 

Ruralismo (2001- )

68 e post-sessantotto (1969-1979)

 

Nel 1968 frequentavo la terza media in un istituto statale (Luigi Majno) a fianco del Liceo classico Berchet. L'eco del '68 nel vicino liceo arriva anche a noi ragazzini della "media". I muri si riempirono di scritte inneggianti al Che e leggevo i volantini delle "Guardie rosse" liceali. Anche alla media si organizzarono "proto-contestazioni" contro la "preside fascista". Ramanzine e sette in condotta. Nell'autunno '69, a 13 anni, entrai nel "mitico" Liceo della contestazione e non vidi l'ora di partecipare a scioperi e manifestazioni (oltre alle suggestioni ricevute dalla vicinanza del Liceo faceva il suo effetto anche l'indottrinamento marxista ricevuto dagli insegnanti delle media).

Allora non si recitava uno stanco copione come gli studenti anti-Gelmini di oggi. Quello scorcio di 68 è durato il breve volgere dell'autunno. In piazza si scandivano gli slogan in francese del "maggio" e si inneggiava al Che (che pensavo fosse realmente ancora vivo). L'inverno è venuto subito, e che tetraggine! Il Movimento Studentesco di Capanna (farebbe bene a fare un po' di "autocritica" e a smettere di celebrare il "suo" 68), Toscano, Cafiero (docente di filosofia e capo dei katanghesi, alias sprangatori), Martucci, Alberganti (partigiano dell'ala "dura" militarista) ecc., virò subito in direzione dell'ortodossia marx-leninista nella versione più orrenda: quella stalinista. Però la "causa rivoluzionaria" imponeva di turarsi il naso e mi andava bene lo stesso. Del resto la "concorrenza", ovvero i "gruppuscoli" operaisti (Potop, Lotta continua - al Berchet il capetto era Gad Lerner) e trotskisti (Avanguardia operaia) era persino peggio. Così dal '70 al '73 mi sono (coscientemente) autoinflitto una overdose di riunioni, assemblee, cortei (quasi tutti i sabati più le date liturgiche del 25 aprile, 1° maggio, 12 dicembre), "mobilitazioni antifasciste", volantinaggi davanti alle fabbriche (con gli operai che - molto giustamente - non  ci "cagavano").

Nel Movimento Studentesco "della Statale" prendeva sempre più spazio il servizio d'ordine e un vero e proprio culto della violenza fine a se stessa (fino al feticismo della chiave inglese che, da simbolo del lavoro "metalmeccanico" divenne l'emblema dell' "antifascismo militante"). Ricordo che, a parte i "fasci", che non avevano "agibilità politica", anche quelli dell'Undicesima Ora (poi CL), nonostante Don Gius insegnasse al Berchet, rischiavano le botte ogni volta che osavano parlare in assemblea (e pensare che, mentre i beceri stalinisti leggevano il "libretto rosso" del "Grande timoniere", Jaka Book pubblicava fior di autori marxterzomondisti). Anche i "revisionisti" della FGCI subivano ostilità e sbeffeggi.

La rottura con il MS avvenne nel '73 in occasione dell'ennesimo scontro a sprangate tra "stalinisti" e "trotskisti" in Piazza Fontana. Andava bene sprangare i "fasci" (allora la pensavo così) ma tra "compagni" .... Un po' di creanza ,suvvia, le "contraddizioni interne al popolo" è meglio risolverle con altre forme di dialettica, non a sprangate. Ero ingenuo. Non avevo ancora realizzato che i comunisti le "contraddizioni interne al popolo" le hanno risolte con i Gulag, le "purghe", le forche, i carri armati. Da bravo studentello diligente in materia di marxismo (i tre libri del Capitali me li sono sciroppati a 15 anni), che a 17 anni di autori marxisti, marxiani (vetero e neo) ne aveva già macinati parecchi, ritenni che una "casa politica" confacente alla bisogna fosse "Il Manifesto". Molto fumo rivoluzionario, ma - almeno - alle parole non seguivano i fatti e,i fatti, in quegli anni erano sempre più brutti. In quel '73-'74 (ultimo anno di Liceo) si era affacciata l'Autonomia Operaia; un ragazzetto strafottente di quel gruppo al Berchet era un certo Marco Barbone che divenne tristemente noto ai tempi del terrorismo. All'Università l'impegno  è proseguito ma in maniera meno ossessiva (il Manifesto, per fortuna, non richiedeva un impegno di militanza totalizzante). Sciolto il Manifesto vi fu la confluenza nel PDUP (Partito di unità proletaria). Sono stato responsabile della "cellula" universitaria ma con  entusiasmo sempre minore quanto più l'originario Manifesto si annacquava con la conflenza di quei "gruppazzi" che oramai detestavo. Siccome da pduppino non rifiutavo di dialogare a priori con i "revisionisti" (FGCI) dai "compagni" del CUB (Avanguardia Operaia) ero trattato da "destro" e con molta ostilità. Il capo del CUB era tale "Gioele", ovvero Giovanni Di Domenico, condannato a 15 anni per l'efferato omicidio di Sergio Ramelli, poi condonati a 7 (dicono che le toghe rosse sono invenzione di Berlusconi...). Seppi parecchi anni dopo che il PDUP campava con il sostegno di quelli che i raffinati intellettuali del Manifesto, sin dallo strappo dal PCI nel 1969, avevano identificato come gli "imperialisti" di Mosca. Nel 1976-77 durante il servizio di leva ultimi sprazzi di militanza di estrema sinistra nel "movimento democratico dei soldati" (onda lunga del '68 in fase di esaurimento).

Il movimento del '77, l'emergere del terrorismo la confluenza di tutte le fallimentari esperienze di ultrasinistra in Democrazia Proletaria (ma come non vi sprangavate tra voi...), la P38, rappresentarono altrettanti elementi per il distacco da quel mondo politico (quanto alle BR pensai invece ancora per un pezzo che fossero "provocatori" al soldo della Cia). Dopo il servizio militare ci fu una partecipazione ad una manifestazione contro i Pershing II, i missili americani (erano manifestazioni pagate dal KGB) e poi ... sinistra addio. Tra l'altro c'era da studiare sul serio, adesso.

 

 >>continua>>


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