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Ruralpini             Biografia politica: autonomismo

 

68 e postsessantotto (1969-76)

 

Autonomismo (1981-1989)

 

In Regione (1990-1992)

 

Tangentopoli agricola (1992-1993) f

 

Una battaglia troppo in anticipo sui tempi (1994)

 

I limiti del "potere" (1994-1995)

 

Post-leghismo (1995-2001)

 

Ruralismo (2001- )

Autonomismo (protoleghismo)(1981-1989)

 

Durante il servizio militare il mio meridionalismo ideologico si scontrò con una realtà alla quale non ero preparato: ufficiali, sottufficiali, "firme" erano in gran parte provenienti dalle regioni del meridione d'Italia e l'impronta sull'organizzazione ... si vedeva. la differenza di mentalità era forte e la sensazione di un esercito "colonizzato" dai meridionali (ma poi, riflettendoci, valeva lo stesso per gli apparati pubblici a tutti i livelli) mise in moto un processo di completa revisione di tutti i dogmi imposti dal credo di sinistra. Era iniziata la fase protoautonomista o, se preferite, protoleghista. Nei primi anni '80, pur in un sostanziale disinteresse per la politica le letture si orientarono verso i temi delle minoranze etniche e linguistiche (le "lingue tagliate", le "nazioni senza stato").

Non ci volle molto a concludere che la Rai "de Roma", gli insegnanti meridionali, i prefetti "borbonici" (un termine che mi insegnò un anziano montanaro proprio tra la fine degli anni '79 e l'inizio degli anni '80 ) rappresentavano una forma di oppressione etnica. Noi lombardi che (insieme ai veneti) paghiamo la maggior parte delle tasse a "Roma ladrona" dovevamo anche vedere sbeffeggiata e calpestata qualsiasi nostra specifica espressione culturale. Bisognava ribellarsi. Nel 1985 con queste premesse trascorro un anno in Scozia con una borsa di ricerca del British Council. Di fronte a tanto orgoglio per la propria nazione da parte degli scozzesi, di fronte alla loro puntigliosa ricerca di distinzione di ogni forma di espressione sociale da quelle inglesi (nello sport, nella cultura, in ogni aspetto della vita civile) non potevo che provare una profonda vergogna in quanto lombardo. Dalla rabbia in certe notti non potevo dormire e sognavo la "liberazione nazionale" (perchè Scozzesi, Catalani, Baschi, Corsi sì e noi no?). La nostra lingua e la nostra cultura sono proprio spazzatura, la nostra operosità è buona solo per il dileggio? Ma Milano non è stata in alcuni secoli una delle capitali dell'Europa e Petrarca e Leonardo non erano al soldo dei Duchi, della Vipera?

La lingua lombarda è diversa dal toscano-italiano almeno quanto il catalano dal castigliano e poi... le radici celtiche e longobarde dove le mettiamo?  Mi sentivo proprio il  "paga e taci somaro lombardo" della prima propaganda leghista. Nel 1987 la "scoperta" dell'esistenza di un minuscolo gruppo politico denominato "Lega Lombarda" rappresentò una folgorazione e mi iscrissi quasi subito (1987). Nel 1989 venni proiettato inaspettatamente nel consiglio comunale di una città della "cintura rossa": S. Donato Milanese. Nessuno avrebbe poturo scommettere allora che la Lega ce l'avrebbe fatta, ma quel 2 o poco più per cento di voti in una "fortezza rossa" erano l'annuccio della tempesta che si preparava contro il sistema partitocratico.  Ma lì, per intanto, ero solo a sfidare un'ostilità profonda.Nella militanza PCI c'erano ancora atteggiamenti da "trinariciuti" e, nella seduta di inaugurazione, il mio intervento sulla "difesa della cultura lombarda" venne accolto da boati da parte del pubblico dei "rossi". Ero ancora un ragazo timido ma queste reazioni invece che incutermi timore mi incitavano a far valere le mie ragioni, mi sentivo molto simile a quegli "eroi delle nazioni senza stato" che ammiravo. In quanto "razzista" il mio posto era all'estrema destra (avrei voluto essere al centro, a sinistra dei DC, ma niente da fare). Alla mia sinistra c'era il consigliere (unico anch'esso) dell' MSI-DN: Ignazio La Russa. In realtà la Lega e i leghisti erano oggetto di un odio, di un disprezzo, di una discriminazione dai connotati razzistici che oggi si fa fatica a credere. Anni più tardi ho capito che l'atteggiamento degli intellettuali "progressisti" si iscriveva con perfetta continuità nella linea della "satira del villano" e dell'odio per il "bifolco".

Ancora diversi anni dopo, quando nel 1993 venne eletto sindacoMarco Formentini, alcuni militanti leghisti che transitavano dal centro sociale Leoncavallo per fare propaganda furono tirati fuori dalle auto e sprangati. Dopo qualche tempo Umberto Gay, capogruppo di Rifondazione,  in una intervista al Corriere commentava "i leghisti sono nemici politici" e all'intervistatore che incalzava "E questo ammette l'uso della violenza?" rispose "Dello scontro si" e alla controdomanda "Verbale, speriamo?" il nostro comunista replicava "No, fisico. L'hanno fatto anche i partigiani. Purchè sia per difendere le proprie idee" "Distinguiamo tra forza e violenza. A volte è necessario esercitare la forza: la sinistra rappresenta le classi meno tutelate e a volte deve farsi sentire anche andando contro le regole". Questi sono i concetti di democrazia e legalità dei compagni.  Se queste apologie di reato le avesse fatte un leghista è molto probabile che le toghe non avrebbero lasciato la cosa in silenzio, ma in Italia la legge non è uguale per tutti.

Il missino La Russa e i comunisti della maggioranza di San Donato erano peraltro in sintonia quando si doveva dare addosso al "leghista". Devo dare atto ai democristiani di un comportamento molto diverso. Di fronte ad un potere municipale comunista che durava dal 1948 e che - localmente - è crollato solo nel ... 2008, la DC locale - almeno lì - faceva una opposizione molto dignitosa e si notava anche la volontà di cercare di capire il leghismo. Ma la storia era destinata a correre veloce.

 

>>continua>>


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