Ruralpini   Commenti/Export, km0, qualità

   

Condividi l'articolo su Facebook

 
per seguire ogni giorno cosa succede intorno al biogas-biomasse
http://sgonfiailbiogas.blogspot.com/

Articoli correlati

(01.01.12) Non c'è solo l'IMU a preoccupare i contadini Miope politica del governo a danno dell'agricoltura (specie in montagna. La politica di cassa del governo Monti non solo introduce l'ICI (sotto mentite spoglie) sui fabbricati rurali, ma aumenta le accise sul gasolio e riduce le agevolazioni contributive per le zone di montagna. Quando, invece, andrebbe sostenuto il ruolo dell'agricoltura per uno sviluppo (diverso). Il tutto gabellato per "equità". leggi tutto

 

(15.01.11) Biogas: una trappola per l'agricoltura  Ora che la corsa al biogas è scatenata c'è una parte di mondo agricolo che inizia a rendersi conto della 'fregatura'. Compito delle regioni fermare una speculazione che spaccia per 'agricoli' impianti da 1MW che 'divorano' gradi estensioni sottraendole alla produzione foraggera. leggi tutto

 

(01.04.11) Sistemi agroalimentari locali a valenza storico-identitaria (3)

Valorizzare le valenze storico-identitarie dei sistemi agroalimentari è possibile nel contesto del riconoscimento di specifici sistemi locali di produzione. Senza aspettare Godot, ovvero inseguire il mito degli elenchi dei beni 'patrimonio dell'umanità dell'Unesco' ma puntando a ben più accessibili e concrete iniziative regionali. Questa la nostra proposta aperta alla discussione di tutti gli interessati a far sì che l'agriCultura non resti un gingillo o un Mulino Bianco.leggi tutto

 

(28.02.11) AgriCultura (2). Le produzioni stoiche come risorsa

I prodotti agroalimentare a valenza storico-identitaria (heritage food), realmente ancorati a sistemi culturali, agronomici, ecologici, territoriali, rappresentano una risorsa chiave per le aree montane e per lo sviluppo rurale in generale.  Servono un salto di qualità e idee nuove. La 'materia prima' a cercare c'è ancora. leggi tutto

 

(18.02.11) AgriCultura: una risorsa ancora sottovalutata

Nonostante il gran parlare di multifunzionalità non si è ancora svilupapta la consapevolezza circa l'importanza delle funzioni culturali e storico-identitarie dei sistemi agroalimentari territoriali. Una risorsa chiave per le aree montane  e per lo sviluppo rurale in generale. leggi tutto

 

(12.02.11) Multifunzionalità agricola: qualche commento alla 'casa'

L'agricoltura è sempre stata multifunzionale e ha sempre garantito un equilibrio tra funzioni. Ci si è accorti che qualcosa non andava quando l'esasperazione dell'aspetto produttivo-economico a danno delle altre funzioni (ecologiche, culturali e sociali) ha messo in evidenza il rischio di un collasso della 'casa'. Ma anche l'esasperazione dell'attenzione all'ecologia - se va a scapito delle altre funzioni - causa la morte dell'agricoltura e, in qualche altro tempo-spazio problemi ecologici ancora peggiori. Sarà la saggezza contadina a salvarci dalla follie industrialiste ed 'ecologiste

' leggi tutto

 

Scorri i principali temi di Ruralpini e accedi agli indici degli articoli

 
Motore di ricerca libera interno
'Ruralpini finder'
 
Articoli correlati
 
(08.02.12) Felonica (MN): cresce la protesta rurale  leggi tutto
 

(18.12.11) Mezzolara (Bo). 4 NO alla centrale-truffa leggi tutto

 

(02.07.11) Nasce nel bolognese il movimento contro il biogas leggi tutto

 

(01.07.11) Il biogas è un danno. In montagna lo è ancora di più leggi tutto

 

(23.06.11) Imbroglio ecologico, agricoltura truffata  leggi tutto

 

(02.05.11) Cresce in tutta la Padania l'opposizione alla folle corsa al biogas

leggi tutto

 

(06.03.11) Energie 'rinnovabili': un business sempre più sporco . leggi tutto

 

(15.01.11) Biogas: una trappola per l'agricoltura leggi tutto

 

(01.07.11) Estendere la coraggiosa iniziativa di Slow Food cremonese leggi tutto

 

 

 
Scorri i principali temi di Ruralpini e accedi agli indici degli articoli

 

 

 

 

(22.02.12) La globalizzazione non determina solo crisi, delocalizzazione, finanziarizzazione dell'agricoltura, marginalizzazione di aree e comparti ma anche enormi opportunità

 

Agricoltura tra land grabbing

e politiche di qualità

di Michele Corti

L'export agroalimentare continua a tirare la bilancia commerciale. Si aprono nuovi mercati impensabili sino a pochi anni fa in grado di assorbire prodotti di altissima gamma. L'agricoltura italiana - se non si fa male con le proprie mani - è in una posizione privilegiata per cogliere queste opportunità. Che significano anche un fote incentivo all'economia turistica e quindi il rafforzamento delle filiere corte

 

Domenica scorsa su "Libero" venivano riportati i dati sull'andamento del saldo della bilancia commerciale italiana negli ultimi venti anni. Il contributo del settore agroalimentare non ha fatto che rafforzarsi specie se rapportato all'andamento poco brillante degli altri settori.

Sul perché del successo dell'export agroalimentare non paiono esserci molti dubbi: l'aumento del potere di acquisto dei consumatori dei paesi emergenti e la diffusione planetaria dei modelli di consumo alimentare rappresentano formidabili occasioni per i paesi che possono vantare una forte tradizione e una consolidata immagine di qualità. Le tendenze in atto mostrano come in alcuni grandi paesi (Cina in testa) si stiano creando dei mercati per prodotti di altissima gamma di dimensione inedita. Un paese come l'Italia potrebbe orientare una componente non trascurabile del suo comparto alimentare a produzioni di altissima qualità.

 

Abbiamo tantissimi prodotti che possono essere eccellenze (senza moltiplicare i pani e i pesci)

 

Non si tratta di "moltiplicare" le eccellenze snaturandole (è già stato fatto e con esiti disastrosi); si tratta piuttosto di recuperare sistemi produttivi "appannati", di tornare a pratiche rigorose, a verifiche di tracciabilità severe, di scoprire e valorizzare quei "giacimenti gastronomici"che sono stati colpevolmente trascurati. L'Italia è ricca in tutte le regioni di produzioni agroalimentari storiche che si sono in larga parte adeguate a processi di standardizzazione perdendo - anche a causa dei pretesti igienico-sanitari - alcune caratteristiche che li facevano unici e irripetibili. Il Bitto storico è l'esempio di una produzione eroica che è sopravvissuta a dispetto delle politiche agroalimentari istituzionali, in una Valtellina che incarna il modello agroindustriale trasformativo della bresaola prodotta con carne di zebù sudamericano congelata e i pizzoccheri con semolati di grano duro di varia provenienza (e un po' di grano saraceno cinese). Però il Bitto storico è capace di attirare la curiosità del mercato cinese che cerca prodotti rari ed unici, compresi i formaggi stagionati che non sono certo parte del modello alimentare cinese. Una ditta di Hong Kong ha venduto a vari rivenditori in Cina un bitto storico di quindici anni a 247€ il kg. Non sappiamo ancora a quanto viene venduto al consumatore finale ma è certo un record mondiale. Un record che attira l'attenzione del mondo sulla Lombardia casearia (che vanta parecchi gioielli) e sui formaggi italiani. Non si costruisce una ecomomia su questi prodotti, ma essi sono la spia di competenze eccezionali, di tradizioni secolari, di una somma di condizioni culturali e ambientali che determinano il raggiungimento dei vertici mondiali della qualità alimentare. E grazie all'immagine di questi prodotti mitici - sempre che ci sia la volontà di sfruttarla - vi è la possibilità di commercializzare con sucesso una messe di prodotti di altissima e alta gamma. Tanto da poter riconventire una parte della produzione di massa a produzione di elevata qualità (un fatto concreto visto che nell'immenso mercato cinese, indiano, brasiliano una piccola nicchia assume le dimensioni di un mercato di massa sulla nostra scala).

 

 

Gli avvoltoi dell'agricoltura

 

Gli spazi che la globalizzazione "desertifica" (Ciò almeno secondo interessati avvoltoi) mettendo fuori mercato i sistemi produttivi che non riescono a competere sul piano della produzione di massa non possono essere riconvertiti, differenziati, qualificati? In ogni regione, in ogni provincia oitaliana ci sono vocazioni da riscoprire o da aiutare a recuperare spazio. Da questo punto le ombre che si allungano sulle campagne italiane e che si concretizza in land grabbing "nostrano" in svendita della campagna alla speculazione agroenergetica è motivo di grande rabbia in coloro che amano la terra e il cibo buono, pulito e giusto. Sentiamo parlare di "terra senza destinazione" di "terra inutile". La febbre speculativa che muove le lobby agroenergetiche ed è rapprsentata (principalmente) dalla Confagricoltura parla delle campagne italiane come di scatoloni di sabbia. "200mila ettari persi con la chiusura degli zuccherifici, 500mila ettari persi nel Sud Italia a seguito della contrazione degli investimenti in grano duro". Il land grabbing procede per stadi. C'è uno stadio in cui all'agricoltore non rimane che una alternativa colturale, il resto è in perdita secca. Questo, ovviamente, se dipende da filiere di approvvigionamento e di sbocco controllate dall'industria, dalle multinazionali, dalla Gdo. Se sei in pianura padana molto spesso non c'è alternativa al mais zootecnico, se sei al Sud al grano duro. Le bioenergie parevano dover prendere il posto delle bietole e di (parte) del mais al Nord mentre al Sud, pareva che il business non potesse attecchire per mancanza di acqua. Le bioenergie infatti riposano sul presupposto di rese in biomassa "pompate" da acqua, concimi chimici + digestati e pesticidi. Al Sud manca l'acqua. Adesso, però pare che si trovi una soluzione per rendere convenirnte anche al Sud il biogas. Non sappiamo se puntando su sorgo o perennanti. Di certo puntando sul mantenimento degli attuali scandalosi livelli di incentivazione con le tariffe onnicomprensive che la stessa Confagricoltura, sempre più priva di pudore, chiede addirittura di alzare per le "piccole" (!?) centrali da 0,999MW. Vedremo se il governo che sta imponendo a tante categorie pesantissimi sacrifici e aumenti fiscali (compresi gli agricoltori gravati dall'IMU) avrà il cattivo gusto di cedere ancora alla lobby delle biotruffe (dopo aver già ceduto sulle serre fotovoltaiche). Le agroenergie scacciano ogni altra coltivazione e mettono la terra in relazione con circuiti di speculazione finanziaria dietro i quali non è azzardato ipotizzare che ci sia anche chi vuole "ripulire" i propri capitali. Dallo stadio in cui una sola coltura e possibile si passa a quello in cui solo le agroenergie sono economiche. E poi? Poi la terra passa di mano, le aziende agricole sono mangiate a loro volta o hanno la forza di diventare piccole (o neanche tanto piccole) multinazionali. Che delocalizzano nell'Est europeo, ma anche in Sudamerica e in Africa. Qui agroenergie, cemento e autostrade e TAV, là il cibo. Non è difficile sentire al giorno d'aggi agricoltori che ti dicono che hanno già investito in paesi extra-europei e che "se qui le cose peggiorano ancora, vado là e qui chiudo".

 

 

La pasta Made in Italy di grano duro canadese al gliphosate

 

Se la biotruffa del biogas non si sgonfierà c'è da temere una ulteriore contrazione delle superfici a grano duro. Un vero controsenso se si pensa alla vocazione climatica del Sud Italia per questa coltura. Un controsenso se si pensa che la nostra pasta è già prodotta per la maggior parte con grano duro estero (import = 60%). La pasta Made in Italy, uno dei prodotti-simbolo dell'agroalimentare italiano è sempre più prodotta con grano duro canadese. Pare incredibile ma - forse anche complice il cambiamento climatico - è sempre più prodotto in un paese dal clima continentale ben lontano da quello mediterraneo. In Canada le rese sono elevate, i costi bassi e la qualità "commerciale" alta, adatta per una pasta ricca di glutine al dente. Ma c'è l'altro lato della medaglia. In un clima non adatto ci vuole un trucco. Si semina tardi e si raccoglie tardi, in autummo quando le piogge fanno esplodere le malerbe. Così si fa una bella passata di gliphosate e si secca tutto. Sembra che migliori anche il tenore proteico della granella. Peccato che il gliphosate sia un erbicida molto contestato. Il glyphosate è il componente principale del famoso erbicida Round-up della Monsanto per il quale sono state inventare delle piante GM resistenti in modo da spruzzare a volontà. Non è selettivo e vi sono diversi studi scientifici che puntano il dito contro le sue proprietà teratogeniche ed embriotossiche. L'autorizzazione italiana del Ministero della Sanità del resto prevede il trattamento diretto con glyphosate soltanto su alcune colture arboree lignificate, mentre su altre erbacee ne prevede il ricorso soltanto con attrezzature di irrorazione selettive, così sul mais autorizza l'uso solo nell'interfilare, vietando espressamente il trattamento pre-raccolta, mentre sul grano non ne è consentito affatto l'uso. In Canada spruzzano poco prima della raccolta. Questa è la qualità del prodotto globale al quale le leggi sulla libertà di commercio ci impongono di spalancare le porte mettendo in crisi le nostre produzioni. Detto questo bisogna arrendersi lasciare i campi incolti o subire il ricatto delle bioenergie? No. Le industrie pastaie italiane in alcuni casi hanno stabilito dei contratti di produzone con gli agricoltori che impegnano l'industria ad acquistare determinate quantità di grano duro a fronte di precise garanzie qualitative (impego di determinate varietà ad elevato tenore proteico). Poi vi è il revival di varietà moderne (frutto di selezione "scientifica") ma che erano ormai state dimenticate. Caso ben noto quello della famosa varietà Senatore Cappelli che ciene impiegata per la produzione di pasta di alta gamma. Vi è poi la carta del biologico che fuori dall'ambiente adatto mediterraneo ha ben poca possibilità di essere coltivato. Figuriamoci in Canada...

 

Cosa state a tribolare per pochi centesimi?

 

La resa non è obbligatoria. Solo le non certo disinteressate sirene delle speculazioni agroindustrialfinanziarie che cantano la lugubre ma ipnotica melodia del "non rende coltivare più niente". La cantano anche per colture un tempo pregiate. Si sono estirpati gli uliveti secolari pugliesi per realizzare i famigerati "campi solari" che tanto piacevano agli ambientalisti (!?) di Legambiente (una speculazione ora bloccata), si cerca di spiegare ai frutticoltori romagnoli, emiliani, mantovani che le loro pere, le loro pesche non valgono più niente, che le loro actinidie sono malate e che non c'è niente da fare. Tranne .... darsi alle biomasse. La Gdo che in questi giorni si lamenta per regole di liberalizzazione (che la concorrenza francese deve già rispettare) che introducono un po' di garanzie per i fornitori ha in effetti messo in ginocchio molti produttori tanto che le coop pagano pochissimo e tardissimo. Ma anche in questo caso rassegnarsi all'idea che frutta di qualità, prodotta usando con parsimonia i pesticidi e magari cercando di elimonarli del tutto, non valga nulla è un artificio di una economia malata alla quale ribellarsi. Non certo urlando in piazza, ma rimboccandosi le maniche. Qualche giorno fa un produttore di frutta mi faceva vedere il suo negozio. Aveva in vendita la propria produzione, frutta di varietà nuove e vecchie ma comunque raccolta al momento giusto non del tutto acerba. "Vengono dalla città apposta per comprare le mie mele perché hanno sapore, quello che la frutta del supermercato ha perso del tutto". Quella che non matura mai e poi, all'improvviso diventa marcia e la devi buttare. Ma aveva in vendita anche arance siciliane. Ci scambiamo la frutta tra agricoltori. Io gli do le mie mele e loro mi danno le loro arance. La gente si fida perché sono prodotti frutto dello scanbio tra contadini. Non c'è rischio di fregature. Una forma di filiera costa che azzera le intermediazioni e trasforma migliaia di aziende in negozi. Queste filiere corte reggono sulla qualità. La stessa che serve per entrare i nuovi mercati dove si possono spuntare prezzi di diverse volte superiori al prezzo del prodotto commodity. Km 0 e Hong Kong possono andare d'accordo.

 

Pensiamo anche al turismo prima di distruggere risorse preziose in nome della speculazione

 

Sia il mercato d'èlite globale che i mercati nostrani sono ancora tutti da esplorare. È solo la creatività che limita le nuove forme di commercializzazione che bypassano la dittatura alimentare dell'industria e della Gdo. E qui servono risorse sociali, il ricordo e la riattivazione di antiche pratiche sociali.

Km 0 e Hong Kong o Dubai vanno d'accordo anche perché i cibi di elevatissima qualità diventano oggetti di destinazione turistica. Mentre gli enti investono nella BIT (formula un po' stanca anche a detta degli organizzatori) il Bitto storico (Heritage bitto) fa conoscere le Alpi Orobiche considerate sino ad oggi destinaznione turistica di serie B, buona per un turismo di prossimità "da crisi" in Cina senza far spendere un euro a Regione Lombardia, Provincia di Bergamo e di Sondrio (quest'ultima non se lo merita perché il bitto storico lo vorrebbe eliminare in quanto sovversivo della filosofia bresaola di zebù-pizzocchero di grano duro).

I francesi da decenni utilizzano i cibi prestigiosi non solo come "condimento" del viaggio ma come  tema privilegiato. Hanno realizzato musei ed ecomusei e insegnato il modello (da noi copiato quasi sempre male) delle "strade del cibo". Noi avevamo le sagre ma siamo riusciti a trasformare anche quelle in manifestazioni scadenti che fanno concorrenza alla ristorazione tipica offrendo catering a basso costo e "intrattenimenti" di cattivo gusto.

Manca solo che nelle nostre campagne piazziamo miriadi di centrali a biogas con i loro funghi. In realtà lo stiamo facendo perché siamo sul piano inclinato della decadenza che indebolisce gli antidoti morali e sociali al richiamo del guadagno facile a danno della collettività e del futuro. Io comunque credo che sia ancora possibile reagire. La vicenda del bitto, le lotte contro i pesticidi, il movimento contro le agroenergie e il land grabbing casalingo sono altrettanti segni di capacità di reagire.

 

 

 

Commenti

 

 

***

 

 

           commenti, informazioni? segnalazioni? scrivi

pagine visitate dal 21.11.08

Contatore sito counter customizable
View My Stats

 Creazione/Webmaster Michele Corti