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Altri materiali

M. Corti. L'allevatore diventa un operatore zooenergetico. E il latte? (pubblicato in Caseus, anno XII, n. 2, marzo-aprile 2007, pp. 21-22) (PDF)


 

(01.07.11) Apriamo un dibattito sulle conseguenze del biogas: agronomiche, ambientali, economiche, sociali. In Lombardia senza uno stop si arriverà presto a centinaia di centrali realizzate persino in area montagna

 

Biogas in montagna: che aberrazione

di Fausto Gusmeroli

La realizzazione di impianti a biogas nelle valli alpine allontana invece che avvicinare le soluzioni ai gravi problemi della sostenibilità ambientale ed economica della zootecnia montana

Nonostante ormai da decenni si parli di sviluppo sostenibile, in realtà la gran parte delle scelte d’investimento che vengono ancora attuare sono dettate da ragioni puramente economiche, relegando nella categoria delle esternalità eventuali ripercussioni di carattere ambientale e sociale. Alla regola non sembrano sfuggire neppure le realizzazioni di impianti per la produzione di biogas dai reflui di stalla, impianti proposti in apparenza per ragioni ambientali (riduzioni degli impatti dei reflui e produzione di energia rinnovabile), ma che in realtà nascondono interessi economici non trascurabili, grazie anche agli incentivi di cui fruiscono. Si capisce allora come tali impianti si stiano diffondendo a macchia d’olio, non risparmiando neppure i territori montani, dove la pratica presenta, se possibile, ancora maggiori controindicazioni che in pianura, come più avanti specificato.

 

Meno disponibilità di cibo per l'umanità, più dissipazioni energetiche

 

Il processo di trasformazione dei reflui in biogas necessita, per essere efficiente e conveniente, dell’addizione di materiali organici ricchi di amido. La soluzione più comoda è quella di impiegare il mais, pratica questa assolutamente irragionevole, soprattutto perché sottrae terreni alla produzione di alimenti in un contesto mondiale caratterizzato da perdita di terre e incremento della popolazione. Alla competizione food vs feed che vede contrapporsi il consumo umano diretto con quella agli animali d’allevamento, si viene così ad aggiungere un ulteriore fattore, generando una sorta di triangolo della competizione nell’uso delle terre:

 

Su questo punto occorre essere molto chiari. Uno dei cardini fondamentali della sostenibilità è che le terre coltivabili siano riservate all’alimentazione diretta dell’uomo, perché in tal modo si massimizza la disponibilità di cibo, si mantengono elevati i rendimenti energetici dei processi, si minimizzano le emissioni inquinanti e si risparmiano materie prime, acqua in particolare. Le altre destinazioni sono assai meno efficienti e comportano sempre ingenti sprechi ed emissioni. Si possono giustificare solo per le terre non arabili, come quelle ricoperte dalle praterie permanenti (prati e pascoli), dove la mediazione degli animali costituisce la sola possibilità di trasformare l’energia fotosintetica in alimento per l’uomo.

È la situazione classica dei territori montani, le cui condizioni topografiche limitano molto la diffusione delle colture agrarie vere e proprie. Qui la produzione di biogas si scontra con altre criticità.

 

Biogas in montagna: ulteriori criticità

 

Sono parecchie le criticità della produzione di biogas in montagna che si aggiungono a quelle che valgono per i sistemi agricoli di pianura:

  • La scarsa disponibilità di mais, che costringe ad importazioni dall’esterno (per alimentare gli impianti o gli animali), con aumento dell’azoto da smaltire e lunghi spostamenti che vanno a ridurre i rendimenti energetici del processo;
  • Un sistema zootecnico già fortemente dipendente dall’esterno dal punto di vista alimentare: non solo sono importati tutti i concentrati, ma anche parte del foraggio. Destinare anche le poche superfici a mais alla produzione di biogas non fa altro che accentuare la dipendenza;
  • Gli eventuali trattamenti di denitrificazione consentono di eludere i problemi di smaltimento dell’azoto (Direttiva nitrati), ma, oltre ai tanti problemi ricordati in un precedente intervento su Ruralpini (vai all'articolo) , potrebbero spingere gli allevatori ad aumentare i carichi animali, sbilanciando ulteriormente il sistema;
  • Aziende di piccole dimensioni, che impongono impianti comprensoriali e quindi il trasporto dei reflui e del digestato, con ulteriori abbassamento dei rendimenti energetici e incremento delle  emissioni di inquinanti.

La vera sostenibilità dell’allevamento in montagna si fonda su un rigido equilibrio tra carichi animali e superfici foraggere, essenziale per mantenere alta l’efficienza energetica del sistema, chiudere i cicli dei nutrienti, preservare l’integrità e la fertilità dei suoli e consentire ai reflui di stalla di conservare la loro naturale e ottimale funzione di fertilizzante. Le deiezioni diventano scarti quando non vi sono terreni in grado di riceverli, ossia quando i carichi animali sono eccessivi, situazione che l’intensificazione produttiva verificatasi negli ultimi decenni ha reso comune, tanto da spingere le autorità pubbliche ad emanare normative di contenimento dei carichi azotati a protezione delle acque. L’aver ridotto i reflui a scarto è un’aberrazione sotto il profilo agronomico ed ecologico. Più che investire su impianti di produzione di biogas occorrerebbe, quindi, aiutare le aziende a recuperare un equilibrio tra animali allevati e superfici e, nei comprensori vocati, a rinsaldare il legame con l’agricoltura. Gli arativi, infatti, hanno necessità di apporti organici e sono i migliori valorizzatori di quella funzione ammendante che rappresenta il principale e insostituibile pregio dei reflui di stalla.    

 

Inaccettabili soluzioni a rendimenti energetici netti negativi

          

La destinazione energetica dei reflui può essere ammissibile unicamente in condizioni particolari, dove non vi sono alternative e si dispone di scarti organici da smaltire. Occorre comunque una valutazione rigorosa dei rendimenti energetici, considerando attentamente tutti i consumi energetici, diretti ed indiretti, lungo l’intera filiera. Si tratta da un lato dei consumi per la costruzione, manutenzione e smantellamento degli impianti, dall’altro di quelli per la gestione a partire dalla presa in carico dei reflui e degli altri materiali organici fino all’eventuale trattamento del digestato e sua distribuzione in campo o altro impiego. Naturalmente, la produzione di biogas ha senso solo se i rendimenti risultano soddisfacenti (sono tali se sono positivi o, entro certi limiti, anche negativi se permettono di assorbire degli scarti organici il cui smaltimento comporterebbe spese energetiche elevate), non soltanto se il sistema regge da un punto di vista economico.

 

 

           

 

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