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Diserbo post-emergenza del mais. Il mais richiede pesanti trattamenti erbicidi

Perchè la colpa dell'inquinamento da diserbanti è in gran parte del mais?

La semina del granoturco viene effettuata nei mesi in cui la temperatura del suolo è intorno ai 9°-10° C. Tale situazione climatica rende il mais molto vulnerabile nei confronti delle erbe antagoniste (giavone, sorghetta, ecc.). Questo aspetto è stato aggravato dalla tendenza ad anticipare le semine in relazione all'uso di nuovi ibridi a precoce maturazione ma a ciclo complessivo lungo al fine di assucurare elevata produttività. Più precoci sono le semine tanto maggiore è l’aggressività delle infestanti, mentre se si semina a fine giugno il diserbo può essere addirittura trascurato. Quanto all'investimento (solo 6 piante per m2) esso è andato sempre più diminuendo in relazione alle dimensioni giganti assunte dalle piante ibride (oltre 3 m di altezza).

Il mais è una pianta aggressiva ma dopo l’emergenza, per circa 1 mese, presenta una periodo critico e dal 30° al 48° giorno dall’emergenza esso "deve" essere liberato dalle infestanti sviluppatesi nonostante il primo trattamento erbicida in pre-emergenza (il secondo, quasi sempre necessario è effettuato quando il mais ha 5-5 foglioline). Se aggiungiamo l'effetto della monosuccessione che aggrava I problemi di infestazione ci rendiamo conto del perché il mais è l'imputato n.1 per la presenza di pesticidi nelle acque.Due sono i fattori che determinano la "necessità" di pesanti trattamenti con erbicidi: l'epoca di semina e il basso investimento (semi per m2).

 

Mais da insilato integrale prossimo alla raccolta

 

Raccolta e triciatura del mais da insilato integrale

 

Diabrotica virgifera. Un insetto di origine americana che favorito dalla monocoltura del mais si è diffuso nella pianura padana producendo seri danni e determinando il trattamento dei campi di mais con insetticidi

 

Semi di soia. La soia (OGM) entra largamente nella razione delle vacche del Grana Padano per compensare il defici di proteine dell'insilato di mais. Entra anche nella razione del Parmigiano reggiano, ma meno perché quest'ultimo utilizza sistemi foraggeri tradizionali basati su alimenti più ricchi di proteine. I Parmigiano Reggiano dal 2008 ha promesso di 'liberarsi' dagli OGM. Non c'è ancora riuscito ma alcuni marchi riescono a garantire un prodotto OGM free.

 

Carico di azoto per ettaro di superficie agricola. le zone gialle sono già oltre il limite (170 kg di N per ha) della direttiva nitrati. Quelle arancioni e rosse lo  sforano alla grande. Come si vede il massimo carico è in provincia di Brescia dove alle vacche da Grana Padano si sommano i suini da carne. Dalle parti della sede del Consorzio Grana Padano (Desenzano) c'è proprio un bell' ... inquinamento (anche perchè i terreni sono leggeri e l'azoto è poco trattenuto e finisce dritto nelle falde).

 

Formaggi

 

(24.11.15) L'oasi dei casari (il Lagorai)

Laura Zanetti ripercorre la storia recente delle malghe del Lagorai, la catena montuosa, ricca di laghi e pascoli che divide la Valsugana dalla Val di Fiemme e si prolunga verso il Tesino. Un territorio fortunatamente sottratto (grazie all'impegno di persone come la Zanetti) ai destini della "valorizzazione turistivca" o della "parchizzazione", strategie speculari ma coordinate di assalto alla ruralità  leggi tutto

 

(02.10.15) Bitto storico: rivoluzione permanente. A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata anche per la sua "rivoluzione dei prezzi" leggi tutto

 

 

 

(06.04.11) Le mamme milanesi contestano la società che gestisce le mense scolastiche. Non sarebbe rispettato il capitolato con il Comune: verdure congelate, tonno filippino, Grana Padano al posto del Parmigiano Reggiano

 

 

Le mamme milanesi si inseriscono  

senza saperlo nella sotterranea

guerra tra 'Padano' e 'Parmigiano'

 

 

di Michele Corti

 

 

La polemica scoppiata in campagna elettorale sulle mense scolastiche ha avuto un'ampia  eco mediatica. Per il Grana Padano si è trattato di uno spot al contrario che porta all'attenzione del  pubblico il problema della presenza di un conservante in un prodotto Dop, alfiere del Made in Italy

 

Le commissioni dei genitori non hanno contestato solo la sostituzione del Parmigiano Reggiano con il Granapadano.  Secondo i genitori sono parecchi i punti  non rispettati del capitolato con il quale il Comune di Milano ha affidato a Milano Ristorazione il contratto della gestione delle mense scolastiche milanesi: verdure congelate al posto di quelle fresche, carne tritata invece che a fettine, tonno dalle Filippine invece che 'nostrano' ecc.  Quel rifiuto del Grana Padano (di seguito GP) proclamato dalle pagine del Corrierone e di Repubblica ha però dei significati che vanno al di là di una giusta ma generica pretesa di cibi di qualità, possibilmente bio e km 0 per i propri figli.  Alle proteste dei genitori che contestano la presenza del conservante lisozima nel GP e che fanno notare che il GP costa all'ingrosso 3-4 €/kg meno del PR è stato risposto con un po' di faccia tosta che il GP è ... km 0. Per ora per chiudere l'imbarazzante polemica la questione del Parmigiano Reggiano e del GP è stata 'tamponata' sostituendo il GP con il 'Rusticone' un formaggio bio di una ditta lodigiana (si tratta di forme di 7-8 kg con pasta granulosa ma occhiata, quindi di un prodotto con caratteristiche completamente diverse dal GP o Parmigiano Reggiano le cui forme pesano in media 30 kg).

 

Un argomento scabroso

 

La questione sollevata dai genitori milanesi rappresenta un argomento scabroso non solo per il GP ma per le Dop in generale che si (auto)proclamano prodotti di eccellenza, alfieri del Made in Italy ma che poi 'cascano' su conservati e antibiotici (non c'è solo il GP, anzi c'è di peggio). Perché mettere un conservante in un formaggio 'genuino' si chiede la gente e, a maggior ragione, i genitori?

Se un prodotto 'tipico' ha bisogno di essere addizionato di un conservante tanto che le mamme della capitale della Padania non gradiscono che venga somministrato ai propri figli come si fa poi ad andare a vantarne la qualità per il mondo? Interrogativi spontanei che, dalle parti di Desenzano, gli strateghi del Consorzio di tutela non possono non considerare con inquietudine. Le norme sulla pubblicità comparativa hanno sinora impedito al prodotto concorrente (il Parmigiano Reggiano, di seguito PR) di reagire all'aggressiva concorrenza del fratello-coltello. A Reggio Emilia sanno bene che senza poter mettere sotto il naso del consumatore le differenze qualitative tra GP e PR la guerra è persa in partenza per gli emiliani. Il PR è un formaggio blasonato che può guardare il GP dall'alto in basso come un parvenue, ma le strategie produttive e commerciali del GP sono più dinamiche, più spregiudicate. Il PR ha alle spalle un sistema di centinaia di piccoli caseifici che lavorano il latte di un numero esiguo di aziende zootecniche, per di più di dimensioni nettamente inferiori a quelle lombarde.

Il GP ha una struttura di grossi caseifici che spesso producono anche altri prodotti e che quindi sono al riparo dalla ciclicità del mercato del Grana. Ogni anno il PR perde quote di mercato a favore del rivale. Non può reagire anche perché riceve, come i rivali, molti contributi pubblici, e questi dissuadono dallo scatenare una guerra 'fratricida' che sputtanerebbe il Made in Italy. Un aiuto insperato è arrivato dalle mamme di Milano.

 

E1105 cos'è?

 

Le mamme, almeno qualcuna, l'etichetta la legge e vede che il GP ha per ingrediente un conservante: il lisozima proteina dell'uovo, nome in codice,E1105. Il disciplinare per la produzione del Grana Padano DOP all’articolo 5 ammette “l’uso di lisozima, tranne che per il Trentingrana, fino ad un massimo di 2,5 grammi per 100 chilogrammi di latte".  Ma il lisozima è o non è u conservante? É o non è un battericida? La schermaglia semantica su queste questioni è tutt'altro che un fatto irrilevante. L'industria alimentare sa bene che queste parole ('conservante', 'battericida', 'antibiotico') scatenano riflessi condizionati nel consumatore e cercano di esorcizzarle.

La definizione di 'conservante' nell'ambito della legislazione europea è sostanzecheprolungano il periododi conservazione degli alimenti proteggendoli daldeterioramento provocato damicrorganismi. Dal momento che il lisozima non è usato per questo scopo ma per evitare l'insorgenza di difetti prima della immissione sul mercato si è potuto classificarlo nella categoria degli 'altri additivi alimentari'. Il suo largo uso come conservante alimentare nel mondo fa si che esso sia classificato come tale nella letteratura scientifica e nel Codex alimentarius dall'apposita commissione della FAO (vai alla scheda). É usato nel vino, nel sidro, nella frutta e verdura fresca, nel tofu, nei frutti di mare, nella carne e nelle salciccie, nell'insalata di patate e in parecchi formaggi quali Edam, Gouda e .... "alcuni italiani". É in buona compagnia si direbbe il nostro GP. Ma non si dica che il lisozima non è un conservante

 

Quel negare, contro ogni evidenza, che è un 'conservante' e un 'antibatterico'

 

ll fatto che sia un enzima, una proteina dell'uovo potrebbe rassicurare il consumatore. Dopotutto non è una molecola di sintesi. È naturale. Sì, ma proprio perché è una proteina naturale dell'uovo la sua presenza nel GP non può passare inosservata. Deve essere indicato in etichetta ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modifiche ed  integrazioni. Il decreto riguarda l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari e stabilisce che le uova e i prodotti derivati dalle uova in considerazione delle loro proprietà allergeniche “qualora utilizzati nella  fabbricazione di un prodotto alimentare e presenti anche se in forma modificata debbono figurare in etichetta col nome dell’ingrediente da cui derivano”. Il lisozima di uovo di gallina è ovviamente diverso da quello umano. Le proteine con attività allergenica hanno una piccola componente specifica (epitopo) che in forza di modifiche della sequenza di aminoacidi può variare la propria attività di legamame anticorpale. Dire che "il lisozima è una proteina del corpo umano" è una mezza verità (o una mezza bugia). Il punto è che nel GP c'è lisozima di albume d'uovo. In quantità notevoli se si pensa che per "proteggere" un kg di formaggio mediante l'azione antifermentativa del lisozima serve il contenuto in lisozima di 3-4 uova.

 

Con parere  del 17.07.2008 (Lisozima nel Grana Padano) il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare presso il Segretariato nazionale della valutazione del rischio della catena alimentare del Ministero della salute "raccomanda  la messa in atto di ogni intervento utile a favorire la  scelta consapevole del consumatore e, in particolare, di quella quota dei consumatori allergici alle proteine dell’uovo" e caldeggia la seguente dicitura in etichetta di GP: “Ingredienti: latte, sale, caglio, lisozima da uovo” oppure “Ingredienti:  latte, sale, caglio, lisozima-proteina dell’uovo”.  In questo modo - conclude il Comitato - le persone sensibili alle proteine dell’uovo sarebbero correttamente informate.Sì, però si evita la parolina 'conservante' e nel preambolo del parere si definisce l'attività del lisozima in termini di 'modulatore dei processi fermentativi'. Evidentemente  il suddetto Comitato pare preoccupato del possibile effetto sul  consumatore dalla paroline 'conservante' e 'antibatterico'. Ma è un Comitato per la sicurezza alimentare o per la sicurezza del business dell'industria alimentare? Lasciano poi perlessi anche le seguenti considerazioni del Comitato (sempre riferite nel "Parere sul Lisozima nel Grana Padano"):

 

"Nei formaggi che nel corso della caseificazione sono stati addizionati di lisozima la  molecola si ritrova analiticamente anche dopo lunghi periodi di stagionatura ma scarse sono le  informazioni sui livelli della sua effettiva presenza. Questa carenza d’informazioni è stata recentemente evidenziata anche dal Panel on Nutrition dell’EFSA [Ente europeo per la sicurezza alimentare] il quale – in carenza di dati analitici  – ha affermato, da una parte, che si stima che il lisozima contenuto nel formaggio sia pari a circa 250-400 mg/kg di prodotto in dipendenza del tipo di formaggio e del processo di produzione  e, dall’altra, che non sono disponibili dati analitici sui residui di lisozima effettivamente riscontrati sul prodotto finito. A suo tempo, il più volte citato DM 1° agosto 1983 aveva stabilito che il residuo dell’enzima nel formaggio non dovesse, comunque, superare i 300 mg/kg di prodotto".  

 

Le reazioni allergiche

 

Uno studio presentato al convegno Arna (Ass. ricercatori nutrizione alimenti) del 20111 mette in evidenza come in soggetti pediatrici con allergia specifica il Grana Padano provochi reazioni allergiche anche severe. Il TN (Trentin Grana) che non utilizza lisozima non da luogo ad alcuna reazione. Nel formaggio con stagionatura oltre 20 mesi l'insorgenza di reazioni allergiche. Appare quindi importante che sia mantenuta nell'etichettatura del formaggio e di tutti i prodotti che lo contengono la dizione "lisozima da uovo" o "lisozima proteina da uovo". Con buona pace del Consorzio che avrebbe desiderato far sparire del tutto la scomoda menzione.

http://www.arnaweb.org/images/convegni/arna2011/documenti/relazioni/Rossi.pdf

 

 

 

 

Raccomandato dalla FIMP (pediatri)

 

Le mamme che storcono il naso di fronte ad un prodotto che si presenta 'tipico' ma contiene conservanti sono state guidate dal buon senso ed evidentemente non hanno ascoltato la Federazione Italiana dei Medici Pediatri che ne 2005 aveva stipulato una convenzione con il Consorzio del GP che consentiva a quest'ultimo di apporre sulla confezione la dicitura "prodotto raccomandato dall Federazione italiana medici pediatri". Poi con è successo? I pediatri si sono fatti prendere dagli scrupoli? No. É successo che una 'raccomandazione' della FIMP rischiava di divenire un boomerang. Nel 2008 infatti  la FIMP è stata stangata dell'Antitrust con una bella multa di 300.000 euro  rea di aver  sponsorizzato una marca di uova, la Novelli, apponendo sul prodotto l'etichetta "Ovito: l'unico uovo approvato dalla Federazione Italiana Medici Pediatri". Secondo l'Autority per la concorrenza e la pubblicità il  messaggio pubblicitario, falsava in misura rilevante le scelte dei consumatori facendo leva sulla sensibilità che i genitori, e inducendoli di fatto a credere erroneamente che Ovito fosse l'unico uovo ad aver ottenuto 'l'approvazione', tra i tanti esaminati da FIMP, e che tutti gli altri fossero stati esclusi perché non meritevoli. Dietro la 'raccomandazione'  non c'era alcuna attività di analisi o di ricerca medico-scientifica sui prodotti ai quali veniva concesso il logo. Alla sanzione di 300.000 euro, comminata per aver sfruttato, esclusivamente per finalità commerciali, il credito riposto dai consumatori nei medici pediatri  si aggiungeva anche  quella di 40.000 euro comminata per "aver fornito informazioni non veritiere" all'Autorità nel corso dell'istruttoria. Con questi precedenti in tempi più recenti la 'collaborazione' tra Consorzio del GP e la FIMP ha assunto forme più eleganti, mediata dall'Osservatorio Nutrizionale GP, un ente sostenuto dalla filantropia del Consorzio GP.

 

 

Se si va nel sito dell'Osservatorio   però, oggi non si trova più traccia di FIMP; sono solo indicati i pediatri che vi partecipano a titolo personale.

 

Mamme ingenerose verso le nobili attività di sponsorizzazione del GP

 

Oltre che diffidenti nei confronti dei pediatri le mamme milanesi appaiono anche insensibili rispetto alle nobili attività di sponsorizzazione del GP che sostiene efficamentente (in larga misura con i contributi pubblici) i viaggi in Cina dei top chef, i più prestigiosi congressi di cucina, persino Slow Food (attraverso la sponsorizzazione ufficiale dei Master of Food, oggi cessata). Sostiene insomma l'immagine nel mondo della gastronomia italiana.  Non sappiamo cosa pensino i cinesi della presenza del lisozima; intanto, però, sono state realizzate lussuose pubblicazioni in cinese con le ricette dei top chef testimonial del GP. Forse la legge cinese non imporrà di indicare i conservanti e gli allergeni. Chissà? Fatto sta che alle mamme di Milano il Lisozima non piace. Ma  allora perché si mette nel GP qualcosa che può far storcere il naso ai consumatori più sensibili ai valori salutistici?

 

Come agisce il lisozima

 

ll lisozima è una proteina ad azione enzimatica  presente in vari tessuti animali e dotato di attività battericida. Lisa ('scioglie') la parete batterica protettiva di alcuni batteri (Gram +) catalizzando l'idrolisi (scissione) del legame beta 1,4 tra l'acido N-acetilmuramico (NAM) e la N-acetilglucosamina (NAG) che sono la componente principale del peptidoglicano di cui la parete cellulare è costituita. Gli esperti parlano di 'modulatore delle fermentazioni' quando si parla del Lisozima nel latte e nel GP. Ma la sua funzione è quella battericida o antibiotica che di si voglia. Le disquisizioni circa le differenze tra 'azione battericida', e 'modulazione delle fermentazioni' appaiono francamente cavillose e richiamano l'ipocrisia semantica utilizzata nel definire 'probiotici' quegli antibiotici ('selettivi' per carità) ora messi al bando dalla Ue ma largamante usati da decenni in zootecnia industriale per spingere le performance degli animali (a spese del grave danno dovuto all'insorgenza di ceppi di patogeni resistenti agli antibiotici).  In natura il lisozima protegge le mucose dalla penetrazione dei batteri. Le lacrime tengono umettata la congiuntiva e la 'pattugliano' neutralizzando i batteri che potrebbero oltrepassarla . Si trova anche nella saliva e in concentrazioni elevate anche nell'albume d'uovo da dove viene estratto (sotto forma di cloridrato). Venne scoperto da Fleming prima della Penicillina. Un giorno Fleming raffreddato lasciò accidentalmente colare un po' di scolo nasale (muco) su una piastra di cultura. Osservò con sua meraviglia che il suo muco aveva ucciso le colonie batteriche. Il Lisozima è quindi un antibiotico anche se non efficace su uno spettro così ampio come le Penicillina. La sua grossa molecola lo rende poi poco adatto ad usi terapeutici.  

Diciamo subito che l'uso del lisozima come battericida è un progresso perché, sino al 1991, veniva usata la formaldeide (formalina) un potente battericida usato come disinfettante.  Un disinfettante usato anche per uso domestico. Il famoso Lisoformio (soluzione acquosa di formaldeide al 6%) usato anche come presidio chirurgico per uso esterno di recente ha sostituito la formaldeide con sali di ammonio. La formaldeide è classificata cancerogena dall'International Agency for Research on Cancer, sospetta cancerogena da altre agenzie.

 

Perché ieri la formaldeide e oggi il lisozima?

 

La formaldeide ieri, il lisozima oggi sono aggiunte al latte destinato a trasfromarsi in GP per via della frequente contaminazione del latte stesso con spore di clostridi butirrici. I clostridi sono batteri anaeroici obbligati (necessitano di condizioni di assenza di ossigeno), in condizioni sfavorevoli 'sporificano' producendo una capsula protettiva che consente loro di sopravvivere a lungo nell'ambiente e di 'germinare'  quando le condizioni tornano favorevoli.  Il lisozima, come, visto agisce sulla capsula, uccidendo anche le spore. Le spore, se non neutralizzate,  germina nel formaggio dopo mesi dalla sua produzione e possono provocare gravi difetti; gonfiore tardivo, spaccature della pasta, caverne, sino a far 'scoppiare' le forme. L'acido butirrico prodotto dai closstridi è anche responsabile di gravi alterazioni del gusto del formaggio. Si tratta di difetti che compromettono gravemente il valore del GP che può essere solo parzialmente 'recuperato'.  Il principale 'colpevole' di questi misfatti è il Clostridium tyrobutyricum. Ma perché il latte utilizzato oper produrre GP è a rischio clostridi? É presto detto: mentre con l’alimentazione tradizionale (a base di erba o fieno) si trovano meno di 200 spore di clostridi per litro, con quella a base di insilati se ne possono trovare più di 2000. Va osservato, però, che le moderne tecniche di fienagione (rotoballe) che hanno notevolmente aumentato la produttività dei cantieri di raccolta hanno aumentato l'incidenza della contaminazione del fieno con la terra e fatto aumentare la presenza di Clostridi anche nel latte destinato a Parmigiano Reggiano. Resta il fatto che il problema resta controlabile nel PR anche senza il ricorso al lisozima.

 Il Clostridium tyrobutyricum  fermenta i carboidrati e l’acido lattico, producendo acido butirrico e gas (CO2 e H2).  La presenza dei clostridi butirrici è legata alle condizioni di raccolta del mais e insilamento non ottimali: contaminazione di terra e insufficiente acidificazione naturale dell'insilato (per opera dei lattobacilli). Quest'ultima causa è legata sia ad un insilamento non a regola d'arte che a un insufficiente contenuto di umidità e di zuccheri solubili (in grado di far 'partire' rapidamente l'azione del lattobacilli) dello stesso trinciato di mais al momento della raccolta. Qualità sacrificata alla quantità.

 

La pianura padana è diventata un paesaggio monotono, dominato da due monocolture: la capannonicoltura e la maiscoltura

 

 

Il latte contaminato dai clostridi è un latte con problemi di qualità

 

Nelle condizioni favorevoli allo sviluppo dei clostridi (scarsa acidità) oltre ai clostridi saccarolitici (che utilizzano gli zuccheri e che sono responsabili dei difetti del formaggio) possono svilupparsi anche  i clostridi proteolitici (Cl. sporogenese  Cl. bifermentans) che, a loro volta, distruggono le  proteine (proteolisi) e gli aminoacidi (putrefazione), liberando, oltre ad acidi organici e CO2, ammoniaca (che tampona l'acidità e peggiora la situazione) e una gamma di composti azotati tossici e maleodoranti )ammine).  La conclusione è semplice: si usa il Lisozima perché il latte utilizzato per produrre GP contiene molte spore di Clostridi e se ci sono molte spore di Clostridi l'insilato non sarà di grande qualità anche sotto altri profili (con detrimento della salute delle vacche e della qualità del latte).

Gli allevatori e la 'filiera' del GP sa benissimo tutte queste cose, ma siccome gli insilati abbattono i costi della 'razione' delle lattifere, il loro uso continua ad aumentare. La colpa, però, non è solo dell’insilato.  In tutto questo problema non conta solo cosa mangiano le vacche ma anche come viene somministrato loro l'alimento. L’unifeed è l’altro 'imputato'. La tecnica dell’unifeed ovvero del 'piatto unico', mediante la quale si somministrano - in un’unica 'passata' - tutti i componenti della dieta mescolati tra loro, è stata adottata per guadagnare tempo nella distribuzione degli alimenti.

 

Distribuzione dell'unifeed con il carro miscelatore

 

Il problema clostridi è legato all'insieme del sistema di alimentazione e allevamento

 

Per distribuire l'unifeed alle vacche si utilizzano enormi carri miscelatori superaccessoriati (da 20 metri cubi di capacità!) che estraggono l’insilato dai silo, lo mescolano a mangimi, altri foraggi ed altre materie prime (anche liquide) o acqua. L'alimento così trattato è consumato dalle mucche senza lasciare 'avanzi'. In più, somministrando insieme mangimi e foraggi, si possono far ingerire quantitativi più elevati di mangime rispetto a quanto  sia possibile fornendo il mangime da solo.  Si riesce insomma a 'pompare' ancora di più le povere 'macchine da latte'. Quanti vantaggi!  Peccato che con questo sistema la polvere e la terra che contaminano i foraggi finiscano nella miscelata e che la presenza di acqua, amidi e zuccheri favorisca lo sviluppo dei clostridi. Le mucche ingeriscono le spore e le 'restituiscono' nelle feci; con il liquame, sparso copiosamente sui terreni. le spore tornano al terreno, i clostridi proliferano ... e il ciclo ricomincia.  L'intensificazione produttiva con il crescente carico zootecnico (e quindi quantità di reflui) per unità di superficie e la più frequente distribuzione dei liquami sul terreno è stata roconosciuta come una delle cause che hanno provocato  un aumento costante dei clostridi anche nel latte destinato a PR (unita alla già citata meccanizzazione spinta e alla tendenza a tagliare il foraggio ad altezza troppo ridotta dal suolo).

 

Vacche ammassate in attesa della mungitura. Si notino il forte imbrattamento con sterco (che contiene elevata carica di spore di clostridi) e lo 'spigi-vacche elettrificato (i fili verticali) che provoca una scossa alle bovine per farle avanzare

 

Veniamo al latte. La sua contaminazione avviene principalmente attraverso le feci e l’imbrattamento delle mammelle. I moderni sistemi di stabulazione 'libera', che non prevedono l’ uso di paglia, sono spesso caratterizzati da 'aree di esercizio'  sporche, dove le mucche si imbrattano di deiezioni; ammassate nelle sale di mungitura esse si sporcano ulteriormente. Stalle e impianti sottodimensionati rispetto all’aumentato numero di mucche presenti, la contrazione della manodopera e l’inevitabile aumento dei problemi gestionali contribuiscono a peggiorare la situazione in quanto non si puliscono abbastanza le aree di riposo, le attrezzature a contatto con gli animali, le mangiatoie (dove restano i residui di alimento). Quanto alla mammella e ai capezzoli non c’è sempre il tempo per pulirli adeguatamente. L’uso 'industriale' di disinfettanti non risolve il problema, semmai lo aggrava perché riduce la flora microbica ‘buona’, in grado di contrastare i clostridi. Loro, invece, resistono.

 

Lavaggio della mammella con spruzzo d'acqua. Lava via il grosso dello sterco ma, in compenso, lo solubilizza. Se non seguito da accurata pulizia a mano non risolve il problema della contaminazione delle guaine prendiocapezzoli della mungitrice meccanica

 

 

L'impatto ambientale della maiscoltura foraggera

 

Tutto questo sistema, governato dalla  logica della quantità a spese della qualità, non determina solo problemi alla qualità del latte, ma anche gravi impatti sul benessere degli animali (le vacche che 'lavorano' per produrre il latte destinato a GP hanno una vita molto breve e l'incidenza di patologie è molto elevata) e sull'ambiente.

L'insilato di mais produce il massimo di unità foraggere per unità di superficie agricola ma richiede un fiume di acqua di irrigazione. Questo spiega perché nelle zone del PR non usano l'insilati. É la logica del fare necessità virtù. Non che ci sia un etica ambientale superiore dalle parti di Parma e Reggio; semplicemente non possono disporre dell'acqua di irrigazione che in Lombardia è fornita da quegli enormi serbatoi che sono i laghi prealpini! Ma produrre l'insilato di mais per foraggiare le vacche da latte (grazie al Lisozima) ha ulteriori conseguenze: mangiano mais i 4 milioni di suini degli allevamenti lombardi, i vitelloni, le galline, i polli e .... i digestori da biogas. Tutti mangiano mais e le campagne lodigiane, cremonesi (ma anche le altre non sono molto da meno) sono uniformemente dominate dalla  monocoltura maidicola. Le conseguenze sono: malerbe sempre più resistenti, recrudescenza dei parassiti (es. insetti).

Per combattere le malerbe si devono usare fiumi di erbicidi, talmente tanti che in primavera, dopo la semina del mais le concentrazioni dei diserbanti nel Po oltrepassano i limiti di legge. Si devono usare anche gli insetticidi per combattere la Diabrotica virgifera, un insetto americano 'sbarcato' a Malpensa e rapidamente diffusosi nella pianura padana che risulta molto dannoso (le larve distruggono le radici) dove - come è la norma - si coltiva mais per più di due anni sullo stesso terreno. C'è poi la grande quantità di azoto apportato alla coltura. Oltre a quello organico (liquami) serve anche del concime chimico azotato 'pronto assorbimento' per far partire lo sviluppo della piantina a primavera. Se la natura del suolo, la piovosità non sono favorevoli larga parte dell'azoto apportato alla coltura finisce lisciviato e quindi ad inquinare le acque di falda contribuendo ad aggravare il problema dei nitrati.  Laddove, oltre al mais, si coltiva sullo stesso terreno l'erbaio di loiessa (graminacea foraggera 'tradizionale') l'utilizzo dell'azoto apportato al terreno diventa efficiente e il rischio di lisciviazione ridotto. Ma nella maggior parte dei casi si fa mais e basta...in attesa di un nuovo ciclo.

 

Conseguenze 'globali'

 

Vi sono poi le conseguenze indirette. L'alimentazione della vacca da latte a base di insilato di mais richiede una integrazione con fonti proteiche perché il mais - rispetto ai foraggi tradizionali - è povero di proteina. E la fonte proteica per eccellenza è la soia Ogm di provenienza sudamericana la cui coltivazione contribuisce, direttamente o indirettamente, a 'mangiare' le savane e le foreste.  Il PR non è ancora riuscito a liberarsi della soia OGM ma ne fa meno impiego.

Tutta una catena di fatti e di impatti legata ad un 'innocente' proteina dell'uovo. Le mamme, senza rendersene conto, hanno sollevato un vaso di Pandora. Ma non c'è da meravigliarsi: dietro qualcosa che non quadra in un cibo c'è dietro tutto un sistema agroalimentare e agroambientale che non 'quadra'.

 

 

            

 

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