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(02.10.15) A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata anche per la sua "rivoluzione dei prezzi"

 

Bitto storico:

 

rivoluzione permanente

 

 

Come annunciato a Cheese sono iniziate le grandi novità dell'autunno 2015. Tanto per cominciare un listino di prezzi che si articola in tre livelli. Il secondo (da 5 a 10 anni) e il terzo (oltre 10 anni di invecchiamento) sono espressi all'etto e arrivano a 17โ‚ฌ

 

di Michele Corti

 

 

La "rivoluzione copernicana del formaggio" messa in moto dal bitto storico si è concretizzata a Cheese. L'evidenza immediata di ciò che significhi questa "rivoluzione" la offre un'occhiata ad un semplice cartellino dei prezzi: quello riportato qui sotto. Un listino che passerà alla storia dell'alimentazione.

 

 

Dietro questi prezzi, espressi all'etto, c'è la consacrazione della differenza di natura tra il "formaggio" industriale (quello con i fermenti liofilizzati, i trattamenti termici , il latte in polvere, i sistemi di coagulazione in continuo) e il formaggio dei maestri casari, frutto di operazioni manuali, dalla mungitura alla cagliatura, alla cura in cantina.

Questa differenza sinora non era stata per nulla netta. Al sistema agroalimentare conviene non operare, nel caso del formaggio, quella distinzione che nel mondo enologico segna l'incommensurabile abisso tra il Tavernello (1,5 โ‚ฌ/l)  e il più giovane dei Sassicaia, quello del 2012, che a dir poco costa 200โ‚ฌ/l.   La mancata distinzione consente un'ampio margine di indeterminatezza e ambiguità che consente di mimetizzare da artigianali molti formaggi assolutamente industriali.   "Industriale" e "tipico" si confondono tra loro e spesso la Dop è garanzia di ... industrialità.

Nel mondo il prezzo del formaggio è in calo e la fine delle quote latte, oltre che le tendenze deflazionistiche causate dalla politica di austerity, imposta dall'Europa a trazione germanica, contribuiscono a questa tendenza. La forbice quindi si allarga perché il formaggio industriale flette (mentre il bitto storico cresce).

 

 

Nel mondo delle Dop,  che gridano ad alta voce contro l'italian sounding, la corsa al ribasso dei prezzi, all'autotaroccatura, ai continui ritocchi ai disciplinari di produzione, mortifica la componente più seria. E fa scendere il prezzo.

 

 

Quello che succede nella doppona "Grana Padano" è emblematico: l'italian sounding è tollerato perché i protagonisti sono spesso soci del Consorzio e così ci si fa autoconcorrenza spietata e si perde di credibilità in Italia e all'estero. Ma a parte i grossi personaggi sono anche i caseifici e le coop che partecipano all'autodanneggiamento del marchio mettendo in commercio, a prezzi stracciati, formaggio "bianco" non marchiato ma identico al Grana Padano.

Non si salvano neppure le Dop di montagna, come insegna il caso del Castelmagno " re decaduto", la cui produzione è stata moltiplicata in forza della realizzazione di grandi stalle nella bassa valle Grana, stalle che utilizzano solo una piccola quota di fieno locale (e vanno a fare incetta anche di fieno di pessima qualità  pur di raggiungere la quota prescritta).

Su tutte queste miserie si erge cristallina la vicenda del bitto storico. Scomodissima "pietra di paragone" il bitto storico coalizza contro di sè il fronte delle grandi latterie, foraggiate in molti modi dai contribuenti e intrecciate ai circuiti della politica e delle istituzioni . Ma il bitto storico , pur avendo contro tutto l'establishment è sopravvissuto, dopo  vent'anni di "Guerra del bitto"  anche alla farsa della "Pace del bitto" che ha cercato di nascondere davanti all'opinione pubblica la posizione ostile delle istituzioni nei confronti di chi continua a non lasciarsi piegare alle logiche "di mercato" (e politiche). Per conservare integra la leggenda di un formaggio che è un momumento di storia, di cultura, di valori (di integrità morale).

Al di là delle battaglie locali il bitto storico sta comunque scrivendo pagine della storia, della sociologia, della cultura, del costume della produzione e del consumo alimentare (o quantomeno caseario). Esagerazioni? Intanto c'è già una cospicua letteratura (non solo nazionale) sul "caso bitto storico".  Accusati di essere dei "trogloditi", che non si piegano alle "ferree leggi del mercato", i ribelli del bitto sono considerati da studiosi di antropologia, sociologia, ma anche di economia e marketing, dei grandi innovatori . Una storia ben diversa da quelle meteore tanto celebrate di "casi di successo" nel mondo dell'alimentazione (vedi Grom finito proprio in questi giorni a Unilever). Una storia, quella del bitto storico,  radicata in una comunità di pratica e in una tradizione che non è azzardato definire millenaria.

Enrico: "il casaro" per definizione, sempre presente a Cheese

A Bra, nel corso di uno dei diversi convegni ai quali Paolo Ciapparelli (il "guerriero del bitto") è stato chiamato come relatore, il problema del prezzo e della qualità dei formaggi è stato sviscerato anche da economisti come Francesco Di Iacovo dell'Università di Pisa. Di Iacovo ha messo in evidenza come l'industria sia riuscita ad associare alcune caratteristiche del prodotto industriale quali elementi che identificano la qualità penalizzando i prodotti artigianali che spuntano prezzi assolutamente non adeguati ai costi molto più elevati.  L'accademico ha però anche identificato le soluzioni di "creatività commerciale" messe in atto dal bitto storico quali operazioni di marketing sofisticato, in linea con le visioni più anticipatrici.

Paolo interpreta Paolo: il "guerriero del bitto" innamorato del suo protetto. Sempre combattivo, ironico ma anche pronto a ruggire (quando serve)

Che il bitto storico combatta in solitudine, avendo contro tutte le istituzioni, una battaglia storica a favore del formaggio di qualità sta diventando un fatto riconosciuto. Questo, però, non gli rende più facile la vita. La non concorrenzialità tra produzioni limitate  potrebbe però consentire al bitto storico di avere dei compagni di cordata. Qualche segnale si comincia ad intravedere.

Gente da bitto storico: Albino e Marcello

 

Intanto si va avanti con quella "rivoluzione permanente" di cui i prezzi all'etto (sino a 17 โ‚ฌ) sono solo un aspetto. Un aspetto chiave comunque.  Esso esprime non solo il fatto che il bitto storico è "raro", una qualità che anche la scienza economica ha sempre riconosciuto spiegando che beni e servizi speciali quali quelli di artisti, campioni dello sport (umani ed equini), vini vintage di particolari annate e vigneti, si sottraggono alle logiche di mercati di riferimento di prodotti e servizi analoghi ma "di massa".

Nel caso del bitto storico la "rarità" significa anche qualità intrinseca indiscutibile tale da spiegare la propeensione a spendere 100 e oltre euro per un kg di formaggio. Ma c'è un'altra componente che non accomuna certo gli incassi di un calciatore al top con il bitto storico: il prezzo etico.  Nessuno deve credere che prezzi elevati corrispondano a profitto. Il bitto storico sta in piedi con il volontariato e con l'autolimitazione delle remunerazioni di chi è stipendiato (gli amministratori della società Valli del Bitto non ricevono compensi tranne chi lavora direttamente addetto alle vendite, alla promozione, alla cura del formaggio in cantina). Il bilancio del bitto storico è in pareggio. Nessun profitto, nessun dividendo.  Di fatto si fa "impresa sociale" anche se non si ricevono nemmeno i sostegni che le istituzioni riconoscono normalmente alle società commerciali.  Paradossi del bitto storico, vera anomalia.

 

Gente da bitto storico: Gloria. I giovani del bitto storico guardano lontano

 

In un sistema alimentare sostenibile il consumatore dovrebbe arrivare a comprendere che un formaggio a 4โ‚ฌ/kg è molto meno etico di un bitto storico da 100โ‚ฌ/kg. Dietro il formaggio low cost ci sono trasporti intercontinentali di latte e derivati, la spinta devastatrice alla concentrazione industriale e zootecnica che comporta lo sfruttamento degli animali, delle persone, della terra, la distruzione della biodiversità e della diversità culturale, la desertificazione produttiva ed umana di intere regioni, l'eutrofizzazione dei mari e l'inquinamento dell'atmosfera.

Quanto costa alla società e alle future generazioni il danno sociale e ambientale della spinta all'iperindustrializzazione agricola? Il cibo low cost per di più consente di attutire le conseguenze sociali delle selvagge politiche neoliberiste e di austerity che causano elevata disoccupazione e di orientare il "paniere della spesa" verso consumi che creano dipendenza tecnologica, individualismo narcisista, omologazione culturale.

Al contrario dei prodotti agroalimentari industriali che scaricano sulla società le loro esternalità negative il bitto storico produce esternalità positive. Esso deriva la sua qualità e le condizioni della sua continuità produttiva da un rispetto (che non è fuori luogo definire religioso) per l'erba, per la terra, per l'animale, per il paesaggio per le fatiche di una serie lunghissima di generazioni che hanno perfezionato il "sistema bitto delle valli del bitto". L'etica consiste anche nel rispetto del lavoro di chi munge, di chi lavora il latte al di fuori dalle logiche che remunerano in modo irrisorio il lavoro dei contadini (per poi concerdere loro i "sussidi", facendo contenti al tempo stesso l'industria della trasformazione, la grande distribuzione e la politica ).

 

Gente da bitto storico: Luciano e Joseph

 

Il buon cibo è eversivo perché può essere prodotto, distribuito, consumato al di fuori dei circuiti controllati dal sistema globale agroindustriale (dominato da grandi società transnazionali che fanno il bello e il cattivo tempo). Non solo. È eversivo perché consente di apprezzare i fattori della qualità al di fuori del condizionamento del sistema industriale e mette in discussione le forme di manipolazione del consumatore. L'industria gioca sui gusti elementari ed infantili: riempie di zucchero non solo i dolci, i gelati, ma ogni cibo (si tratta di zuccheri estratti da mais ogm coltivato in monocoltura per di più). Così come carica di zucchero moltissimi prodotti carica di sale alcuni prodotti da formo.  È il junk food (che completa il carico di zuccheri e sale con quello di grassi, con grande uso del famigerato olio di palma).

Il sistema agroindustriale ha corrotto il gusto del consumatore sino ad accettare la frutta insipida e non matura. Ha condizionato a tal punto a cucinare e consumare carne non frollata (dura) per ridurre i costi di stoccaggio in cella frigo (3 giorni di contro le settimane necessarie ad attivare i sistemi enzimatici della frollatura naturale).  Se il consumatore condizionato prova frutta e carni "come si deve" le rifugge, troppo ricche di gusto, e la giusta maturazione e frollatura vengono scambiate per "marcescenza" (da nasi sterilizzati dall'uso dei malsani deodoranti e dall'assuefazione cibi asettici sotto plastica).

 

L'indiscusso Re dei formaggi è oggi il bitto storico

 

Anche nell'ambito dei formaggi il consumatore eterodiretto dal sistema agroalimentare globale è regredito allo stadio infantile. E l'industria propone i suoi pseudoformaggi in forza del loro "candore" del "sapere di latte", del "gusto dolce". Con queste caratteristiche è facile trasformare cattivo latte in un mediocre "formaggio" gradito al consumatore-bambino.

Prodotti come il bitto storico, esattamente come i grandi vini non omologati alle mode, sanno accendere nel consumatore emozioni e stimoli che vanno al dilà della gratificazione meramente sensoriale. Certo ci vuole un consumatore che sa accostarsi in modo appropriato ad un'esperienza gustativa complessa (diversa dall'ingurgitare velocemente sotto lo stimolo dell'appetito o della "droga" gustativa del dolce-salato). Una degustazione "slow" di un gran vino e di un gran formaggio è esperienza che ricondiziona i sensi ma che va anche oltre: stimola quell'apertura dell'anima al buono e al bello che ci sono nella natura e nella società. Meditazione e sottile estasi sono le condizioni che possono accompagnare il consumo di una porzione di bitto storico frutto di lunghi anni di cure. Facciamo della "mistica"? Assolutamente no, sono tutti concetti "digeriti".

Chi ingurgita junk food (o anche solo cibo scialbo) si deprime e deve cercare forme di compensazione per sfuggire alla depressione. Lo fa  consumando altri prodotti alimentari e bevande, in modo spesso compulsivo, o altri generi di merci. Uno stile di consumo sbagliato ingrassa l'industria del farmaco, le cliniche, le palestre, le riviste specializzate. Una benedizione per il Pil che è del tutto indifferente al benessere e alla felicità delle persone. Chi consuma male, nella dimensione solitaria, tende poi a sfuggire la convivialità e la socializzazione, chi consuma bene si apre all'altro. Inutile sottolineare cosa giovi al sistema.  Ma come è eversivo questo bitto storico che è agli antipodi, in contrapposizione aperta e programmatica al "sistema alimentare"!

 

Cascin di qualche decennio orsono: la storia continua generazione dopo generazione

 

Non è finita.  Vediamo la differenza con i grandi vini. Questi ultimi sono spesso il frutto di grandi investimenti (guarda caso uno dei più grandi vini si chiama Rothschild, a partire da 1000โ‚ฌ la bottiglia).  Il caso Franciacorta, per restare in Lombardia, la dice lunga sul binomio vino-industria (tondini e cemento in questo caso).

Insomma il gran vino è qualcosa che "fa parte del sistema", non solo sul piano economico, ma anche su quello delle pratiche sociali, delle trasmissioni di conoscenze e delle culture che ne accompagnano la produzione e il consumo.

Dietro un gran vino ci sono spesso vitigni non autoctoni (vedi il toscano Sassicaia che è un Cabernet sauvignon) e comunque culture enologiche di importazione (nel caso dei vini di quella francese che ha a partire dalla "rinascita enologica" degli anni Ottanta condizionato forme di impianto e allevamento e tecniche di vinificazione e conservazione). Il gran vino lo fanno quasi sempre gli enologi istruiti nelle università e parla un linguaggio globale anche quando il vitigno può essere autoctono.

Tutto all'opposto nel caso del bitto storico.  Una vicenda incarnata nel locale (aperto al globale), che "nasce dal basso" da ostinati casari che continuano a tramandarsi il loro sapere attraverso i tradizionali meccanismi intergenerazionali (e dell' "imparare guardando"), dalla visione di rinascita della montagna di un "venditore di piastrelle", dal sostegno economico di piccoli imprenditori e professionisti .

Il bitto storico è quindi eversivo su troppi piani (ecologico, culturale, sociale). La sua sopravvivenza, che urta troppi interessi forti, è una sfida, un vero miracolo affidato a quegli impulsi di speranza, di generosità che provengono da chi viene a conoscenza della sua realtà (magari solo attraverso un programma televisivo o una visita alla casera-museo). Il bitto storico è una realtà che sfida la "legge del mercato" che qualcuno pretende ferrea come la "legge di gravità" gabellando per "naturale" e "inevitabile" ciò che è frutto di convenzioni sociali che si reggono, come tutto ciò che è sociale, su ciò che la gente è spinta a credere. Ma si può credere anche diversamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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