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L'alpeggio nel Lario Intelvese - di Michele Corti

Materiali in parte utilizzati per la redazione del volume: Gli alpeggi dei monti del Lario Intelvese (C.Carminati, M.Corti, Bellavite editore, Missaglia, 2007)

 

Gli elementi del paesaggio pastorale del Lario Intelvese. Identificazione, recupero, rifunzionalizzazione

M. Corti , P. Scarzella, L. Trivella

Atti Incontri Tramontani XVI edizione, Costa Valle Imagna, Bg, 22-24 settembre 2006

 

Evoluzione delle forme di colonizzazione pastorale nell'area alpina lombarda - di Michele Corti

(Workshop museo archeologico Paolo Giovio, Como, 1 aprile 2006: "Il popolamento della montagna tra Sesia e Oglio")

 

Alpe a villaggio (Paglio)  Valsassina . Notare le coperture in paglia di segale

 

Alpe a villaggio in Val San Giacomo (Avero)

 

Alpe Lenno (Tremezzina, Como): la nevèra

 

Barech  in val Trompia

 

Calecc' in Valgerola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Conoscere gli alpeggi: paesaggio

 

L’alpeggio, forma peculiare e centrale della colonizzazione pastorale alpina e di strutturazione del paesaggio

 

di Michele Corti

 

 

 

 

 

Il paesaggio pastorale viene –non senza ragione – percepito come ‘seminaturale’ esprimendo con questa qualificazione il concetto della supposta prevalenza della componente ‘naturale’. In realtà il paesaggio pastorale (in realtà silvo-pastorale). può rappresentare qualcosa di totalmente diverso dal paesaggio ‘naturale’ che si instaurerebbe in assenza di interventi antropici per effetto dell’estrinsecarsi dei fattori climatici e geologici. Proprio nell’area da noi studiata possiamo osservare al posto del bosco di latifoglie (che rappresenterebbe la formazione ‘naturale’) la presenza di pascoli alternati a fasce di bosco artificiale di conifere. Il paesaggio pastorale è un paesaggio culturale, come il paesaggio agricolo. Le influenze antropiche sul paesaggio datano al VI millennio a.C, quando vi sono evidenze di aumento dei pollini fossili delle specie erbacee a scapito delle arboree. Nel tempo l'alpeggio diventa una realtà strutturata con tracce di ricoveri in pietra a secco nel II millennio a. C.

 

I "paesaggi" che stratificano il paesaggio

 

Il paesaggio pastorale alpestre è caratterizzato dalla sovrapposizione di diversi paesaggi stratificati e interagenti tra loro: il paesaggio geobotanico, quello antropico, quello animale (rappresentato principalmente dall'influenza degli erbivori domestici).

Il paesaggio geobotanico manifesta importanti differenze tra l'area con substrato geologico calcareo (con problemi di approvvigionamento idrico per mancanza di sorgenti e quindi la necessità di creare invasi artificiali e quello a roccia silicica, per l'esposizione dei versanti (vi sono alpeggi che nella denominazione sono indicati come “solivi” e “vaghi” a dimostrazione dell'importanza dell'effetto sulla vegetazione e quindi sulla quanti-qualità del formaggio e il reddito. Vi è poi l'influenza determinante dell'altitudine che, però, è spesso una differenza entro gli alpeggi stessi che possono partire con un piede nel piano del bosco misto e salire al livello del bosco di conifere e quindi della vegetazione arbustiva.

Il paesaggio animale esprime l'interazione tra tipo di erbivori, vegetazione climax, substrato geologico, condizioni di esposizione, piovosità ecc. Vi sono “monti” o “montagne” come venivano e vengono ancor oggi indicati in lingua corrente gli alpeggi da bovini (che hanno assunto rilevanza predominante solo a partire dal XVI secolo), monti da pecore e da capre (o “misti”). L'ovino (ma spesso anche i giovani bovini più agili e leggeri e meno esigenti dal punto di vista alimentare) occupa i monti (o le parti di monti) più ripidi, con terreno più superficiale, con più tare (rocce affioranti) e con altezza del pabulum – in conseguenza dei fattori già indicati – più modesta. All'opposto il bovino da latte.

Il paesaggio antropico è quello che si manifesta in modo evidente la “culturalità” del paesaggio alpestre. In relazione alla presenza di manufatti (ricoveri più o meno rudimentali, muri di protezione o confine, fontane, opere di captazione e accumulo dell'acqua, infrastrutture viarie, cippi di confine, ponticelli). L'azione dell'uomo si manifesta anche attraverso l'effetto delle bonifiche (spietramenti, drenaggi e prosciugamento di zone umide). Vi sono poi opere di architettura vegetale oggi in disuso (le siepi vive, i meriggi ovvero piantumazioni di faggi o altre essenze per dare ombra e mitigazione della persecuzione degli insetti nelle ore più calde della giornata agli animali quando i pascoli erano diventati “tavole la bigliardo” e non un solo albero era sopravvissuto). Le differenze di substrato geologico e altri fattori quali l'altitudine influenzano profondamente anche il paesaggio antropico e la tipologia dei manufatti. Alpeggi prealpini a modeste altitudini a causa delle temperature più elevate e della mancanza di acqua di sorgente fredda dovevano conservare in appositi pozzi (nevère) la neve primaverile e collocare sopra la sua superficie le bacinelle con il latte da lasciare sostare per far affiorare la panna.

 

La varietà delle forme di alpeggio imprime (imprimeva)la sua caratteristica al paesaggio

 

L'alpeggio non è l'unica forme di colonizzazione pastorale che organizza il paesaggio alpestre. Vi è anche il maggengo, a volte realtà “autonoma” a volte legato funzionalmente all'alpeggio come “tappa intermedia” primaverile ed autunnale della migrazione verticale alpina. Altrove, dove i villaggi sono a distanza di meno di un ora di cammino dai pascoli non vi sono alpeggi ma strutture semplici (fontane, tettoie).

Non va dimenticato che nell'ambito della colonizzazione alpina ampie superfici di praterie in quota non adatte al pascolo erano utilizzate come "sagaboli" ovvero per lo sfalcio del "fieno magro" o "selvaggio".

 

Alpe Cardoné, Valdidentro (alta Valtellina) quasi a 2000 m di quota la tipica struttura del "maggengo", ovvero il fienile con al livello inferiore una piccolissima stalla.

 

L'alpeggio è la forma più tipica , la più importante – nel senso che struttura ampie estensioni a cavallo del limite superiore della vegetazione arborea - quella di più lunga durata.

Lo stesso alpeggio, però, è (o meglio era) caratterizzato da una varietà di forme varietà di forme che condizionano il paesaggio. Oggi la possibilità di più facili trasporti (elicotteri, piste percorribili da automezzi), la disponibilità di ausili tecnologici come il “pascolo elettrico, la scarsità di manodopera, la più facile disponibilità di energia, la sopravvivenza del solo modello zootecnico della media azienda, ha portato ad uniformare il modello di alpeggio riducendo una variabilità frutto di differenti condizioni naturali, economiche, sociali, istituzionali. Prevale oggi il tipo “unitario”, basato cioè su una gestione unica sia tecnica che economica e sulla presenza di strutture in grado di assicurare ricovero a numerosi animali, di lavorare centinaia di litri di latte al giorno, di conservare in condizioni idonee i prodotti caseari (CORTI, 2004). Questo modello prevede la presenza di un “centro aziendale” dove si trova anche la casera di stagionatura e, spesso, di stalle di dimensioni tali da ricoverare almeno in parte le mandrie più una o due “stazioni” secondarie (“alta” e “bassa”; “di fondo”, “di mezzo” e “della cima”). Il “centro” dell’alpeggio coincide spesso, ma non sempre, con il “piede” dell’alpe. L'escursione altimetrica che caratterizza gli alpeggi, spesso estesi su centinaia di ettari, mai più piccoli di alcune decine consentono di sfruttare al meglio la risorsa pabulare, grazie alla scalarità della maturazione delle piante foraggere, dall’altra impongono la dislocazione di strutture “periferiche” per la lavorazione del latte dove le distanze e l’asperità del terreno precludono lo spostamento delle mandrie per la mungitura o il trasporto del latte munto. La disponibilità di mezzi di trasporto e la presenza di una viabilità interna consentono di portare spesso il latte presso un unico locale di lavorazione; verso questa soluzione spingono anche le prescrizioni normative in materia di “adeguamento igienico-sanitario” delle strutture di conservazione e lavorazione del latte e di conservazione dei prodotti caseari.

 

L'Alpe Lendine nella valle del Drogo (alta valle Spluga)

 

Come in altri campi di attività la disponibilità di mezzi moderni riduce quella che era la mirabile capacità di adattamento delle forme di utilizzo umano dello spazio. La distribuzione dei fabbricati d'alpeggio, la loro tipologia, il loro rapportarsi all'intorno entro il quale si inserivano raccontavano di una diversa forma di organizzazione dell'alpe e persino di quali fossero le produzioni casearie realizzate.
Accanto al modello dell’alpeggio “unitario” ve ne erano, in passato, altri che oggi risultano in larga misura scomparsi. Dal punto di vista del paesaggio le differenze sono sostanziali. Un tipo di alpeggio che si distacca nettamente da quello “unitario” è quello “a villaggio” che può comprendere decine di baite. Diffuso anche in altre regioni delle Alpi occidentali, l’alpeggio “a villaggio” è presente nella realtà lombarda in alcune aree delimitate: bassa Valchiavenna, val S. Giacomo, val Malenco, alta Valtellina, alta valle Canonica, val Marcia (Lecco) (CORTI, 2004). Ogni famiglia era (è) proprietaria o titolare dell’uso (civico) di una baita che serviva al tempo stesso per ricovero delle persone e per la lavorazione del latte. In questi contesti la produzione era limitata a formaggini e formaggelle per autoconsumo e al burro. Spesso la maggior parte delle baite si sono trasformate in residenze secondarie mentre quelle delle famiglie (a volte ve ne è una sola) che hanno continuato l’attività zootecnica sono state ampliate e, con l’aggiunta di nuove edificazioni, hanno assunto a i connotati degli alpeggi “unitari”.

Il panorama delle forme dell’alpeggio e la conseguente varietà tipologica delle strutture insediative comprende anche forme intermedie tra “alpeggio” e “maggengo”. Così in alta Valtellina (TESTORELLI, 2001) e in alta valle Canonica (TONIOLO, 1913; AGOSTINI, 1950) e nella Tremezzina (CORTI et al., 2007)

L’alpe “unitaria” è contraddistinta da una gestione che fa capo a un singolo imprenditore (locale o “di fuori”) o a un gruppo di allevatori (locali o “di fuori”) che si assumono in società la gestione in comune o, infine, a un “direttore tecnico” (il casaro) incaricato (e stipendiato) dal comune o da un’associazione tra piccoli allevatori locali. Essa stessa, però, non si presentasempre con la stessa forma.

 

Quando il "costruito" è un segno leggero e provvisorio

 

Il modello dell'alpe “unitaria” “classico” con due-tre stazioni d’alpeggio (oggi spesso una sola) provviste di strutture per il ricovero del personale e la lavorazione del latte in passato non era così diffuso. Un chiaro esempio di modello diverso di organizzazione pastorale – pur nel contesto di una gestione tecnica ed economica “unitaria” – è fornito dalle valli del Bitto (bassa Valtellina) e da alcuni alpeggi dell’alta val Brembana (Bg) e val Varrone (Lc). Qui ancor oggi troviamo la presenza, oltre ad una “casera” che ha la funzione di stagionatura del formaggio Bitto e della maschèrpa (ricotta grassa e salata), di un numero elevato di calècc’ e/o piccole baite, utilizzati per la caseificazione (SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA, 1904, NANGERONI, 1940, SAIBENE 1959, FANCHI, 1967; RAVELLI, 1979). Il calècc’ rappresenta una forma primitiva di capanna casearia: realizzato in muriccia a secco (tranne i più recenti che impiegano legante) è una struttura senza copertura permanente (per la copertura, in caso di pioggia, si utilizza un telone impermeabile sorretto da pertiche). In passato (meno di un secolo fa – SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA, 1904, BIANCHINI, 1985) i calècc’ erano coperti da tavole di legno (un sistema che trova riscontro negli articoli dello statuto del comune di Tirano del XVI secolo – MARCONI, 1990). Va precisato che il modello “bitto” ripropone quella che era una realtà un tempo generalizzata. Le cassine d’alpeggio erano strutture (in pietrame a secco) soggette ad essere frequentemente e periodicamente “rifatte”.

 

Un calecc' di un alpeggio in Valgerola

 

Tutt’oggi in diversi alpeggi delle valli del Bitto sono presenti decine di calecc’ dei quali solo una parte viene utilizzata ogni anno secondo un saggio criterio di rotazione che consente, anno dopo anno, di utilizzare in modo uniforme ed al meglio il pascolo evitando accumuli di deiezioni (e reflui del caseificio che degradano il pascolo determinando l'insediamento della flora dei riposi. Un sistema simile a quello delle valli del Bitto è (era) attuato anche in val Tartano (altra valle orobica valtellinese) (BIANCHINI, 1985) dove, però, già un secolo fa i calecc’ erano stati sostituite da piccole baite con copertura permanente (SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA, 1904). Spostandoci nell’alto Lario Occidentale troviamo una situazione intermedia tra l’alpe con poche stazioni principali (ben strutturate) e il sistema dei calecc’. Qui gli alpeggi erano articolati in numerose mudate (sino ad una dozzina) (SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA, 1912). Le mudate (altrove denominate cort), erano spesso costituite da un bàrech (recinto in muriccia a secco) e da piccole capanne anch’esse costruite in pietra a secco. Queste capanne (di cui esistono ancora degli esempi allo stato ruderale) erano a volte così piccole che non era possibile entrarvi in piedi ed erano coperte da un’unica grande lastra scistosa (in tempi recenti in alcuni casi sostituita da una gettata di calcestruzzo). Il modello della capanna in pietra a secco addossata al bàrech è diffuso anche nelle valli bergamasche (lo statuto di Costa Volpino del XV secolo - PROVINCIA DI BERGAMO, ASSESSORATO CULTURA, CENTRO DOCUMENTAZIONE BENI CULTURALI, 1994 - fa riferimento ai baregi), in val Canonica (SGABUSSI, 2004), in val Trompia. Altrove, invece, il modello “primitivo” del bàrech più una piccola capanna in pietra a secco è stato soppiantato da nuove costruzioni e la presenza del primo è solo ruderale (caso osservato in val Camonica).

 

Ampi barech all'alpe Azzaredo (alta val Brembana)

 

A volte, però, come nelle Valli del Bitto e ancor più in alta Val Brembana i barech rappresentano un vero e proprio sistema, un reticolo di “camere di pascolo” utilizzato non solo per il confinamento notturno in sicurezza della mandria ma anche per attuare un pascolo accuratamente razionato e aumentare la fertilità.

 

 

Altopiano di Asiago (anni '30

 

All'uso della pietra fa riscontro, almeno alle quote meno elevate anche quello di un altro materiale naturale: il legno. Utilizzato per la struttura di baite e stalle e spesso anche per le coperture (scadole, grezzi scandoloni lavorati con l'ascia) laddove la struttura era in muratura (a secco o con legante che fosse).  Coperture oggi sostituite da lamiera ondulata. Da una forma di bioarchitettura intimmente integrata con il paesaggio (in forza di materiali tratti per necessità sul sito) si è passati a replicare in alpeggio moduli edilizi che hanno determinato il degrado di tanta parte del paesaggio rurale in pianura.

L’alpeggio resta una realtà in ogni caso profondamente viva che continua a modellare il paesaggio anche se spesso servono occhi attenti per comprenderne e distinguerne i segni visibili. Facendolo si potrà aprire un libro capace di trasmetterci gli echi di saperi antichi che forse vale la pena non dimenticare.


Bibliografia


AGOSTINI G. (1950) La vita pastorale nel gruppo dell’Adamello, Saturnia Arti Grafiche, Trento

BIANCHINI G. (1985) Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini, Tip. Mitta, Sondrio, 1985

CORTI M. (2004) Süssura de l aalp. Il sistema d’alpeggio nelle Alpi lombarde. in Annali di S. Michele, 17, pp. 31-155.

CORTI M., SCARZELLA P., TRIVELLA L. (2007). Gli elementi del paesaggio pastorale del lario intelvese identificazione, recupero, rifunzionalizzazione. in Abitare le Alpi Insediamenti rurali e cultura del paesaggio, Centro studi valle Imagna, S. Omobono Imagna (Bg), pp. 209-277

FANCHI A. (1967) Alcuni aspetti del popolamento attuale nella valle del Bitto: le dimore rurali e l’alpeggio. in Bollettino Club Alpino Italiano, XLVI, pp. 57-94.

MARCONI W. (1990) Aspetti di vita quotidiana a Tirano al tempo dei Grigioni, 1512-1797, Tirano (So), Biblioteca civica Arcari, Tirano

NANGERONI G. (1932) Note antropogeografiche sulla Valle del F.Dezzo (Val Camonica). in Boll. D. R. Soc. geog. It., fasc. XI, pp.731-760

PROVINCIA DI BERGAMO ASSESSORATO CULTURA, CENTRO DOCUMENTAZIONE BENI CULTURALI , (1994) Statuto di Costa Volpino 1488, Grafica Monti, Bergamo

RAVELLI G. (1979) L’alpeggio nella Valle del Bitto di Albaredo, estratto dal n. 2 (marzo-aprile) della Rassegna economica della provincia di Sondrio

SAIBENE C. (1959) Il versante orobico Valtellinese ricerche antropogeografiche, Consiglio nazionale delle ricerche, Roma

SGABUSSI G.C. (2004) Storie di pietre ricamate nell’erba, in: Terre alte di Lombardia, Banca di Valle Canonica, Breno (Bs), 2004, pp.306-361.

SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA (1904) I pascoli alpini della Valtellina e del Chiavennese. in Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini, Vol I, Fasc. III, Tip. Agraria, Milano.

SOCIETÀ AGRARIA DI LOMBARDIA (1912) I pascoli alpini della provincia di Como. in Atti della commissione d’inchiesta sui pascoli alpini, Vol III, Tip. Agraria, Milano

TESTORELLI M. (2001) L’alpeggio in Valfurva: un caso emblematico in Arge Alp –Comunità di lavoro delle regioni alpine- Commissione 1 (Cultura e Società) (a cura di) Economia alpestre e forme di sfruttamento degli alpeggi, Athesia, Bolzano

TONIOLO A.R. (1913) Ricerche di antropogeografia dell’Alta Valcamonica. in Memorie geografiche, 23, 245-362.


 

Per approfondire singoli temi

 

 

 

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