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I formaggi d'alpeggio sono ancora genuini?
Sì - quelli veri - ma molti (che si credono furbi perché sfruttano e snaturano patrimoni collettivi per lucrare miseramente effimeri vantaggi) si stanno dando da fare per omologare anche questa produzione alle logiche industrialiste. Forse la sopravvivenza dell'ultimo contadino o dell'ultimo formaggio d'alpeggio - ottenuto senza mangini e fermenti selezionati - è un fatto troppo eversivo per un "sistema" agroalimentare che usa la facciata ipocrita del cibo Made in Itay artigianale e genuino (usato come bandiera) per nascondere una realtà che vede l'Italia ai primi posti per uso di additivi chimici, conservanti, aromi artificiali ecc.
La montagna, la mucca che bruca i fiorellini devono restare icone per la comunicazione commerciale. Io  non ci sto (e spero di non essere solo un Don Chichotte)
 

 

Conoscere gli alpeggi: formaggi

 

La riscossa del buon formaggio comuncia dagli alpeggi

 

di Michele Corti

 

La produzione casearia d'alpeggio è quella che si caratterizza di più per contenuti di "genuinità", artigianalità. Negli ultimi anni però. in nome della quantità e di quel "progresso tecnico" che porta al tecnocibo imbottito di additivi, si sono dati da fare in molti per sfregiare anche l'immagine del formaggio d'alpeggio.

Cosa di meglio per la salute del consumatore e l'esaltazione delle caratteristiche aromatiche del formaggio che l'erba di pascolo di alta montagna? Eppure anche in alpeggio il produttivismo agricolo di matrice industrialista ha imposto l'uso dei mangimi per "integrare" l'alimentazione naturale di pascolo (quante "malghe" con isilos dei mangimi tipici del paesaggio dell'agricoltura industriale di pianura!).

I "tecnologi " hanno imposto fermenti "selezionati che distruggono la biodiversità e le sfumature di gusto, in alcuni casi anche l'uso di sostanze ad attività antibiotica da aggiungere al latte "per evitare difetti".

 

 

ll fondamentalismo igienico-sanitario ha fatto anch'esso la sua parte  imponendo lo stravolgimento delle caratteristiche dei locali tradizionali di stagionatura.

La maggior parte dei formaggi d'alpeggio sono oggi prodotti anche in inverno con lo stesso nome (al massimo quello d'alpeggio ha un'etichetta di un colore diverso). Vengono chiamati "di malga" formaggi che si producono in grossi caseifici mescolando il latte proveniente da più alpeggi e trasportato per decine di chilometri con le autocisterne.

Quelli come il Bitto della Valtellina, che continuano ad essere prodotti solo in alpeggio, hanno visto modificare il disciplinare di produzione per legittimare l'uso dei mangimi e dei fermenti selezionati liofilizzati. Alle mucche può essere somministrata anche la soia OGM proveniente dalle coltivazioni sudamericane frutto della distruzione della foresta amazzonica e il mais che in pianura padana o in Francia è stato prodotto con grande uso di pesticidi e spreco di risorse idriche. Se qualcuno obietta che le Dop dovrebbero "proteggere" anche un metodo di produzione storico, un capitale di immagine e di fiducia del consumatore si becca del "troglodita".

 

 

Il formaggio d'alpeggio

 

Non molti anni fa i montanari lamentavano che il formaggio d’alpeggio (o di malga, che poi lo stesso) spuntasse sui mercati locali prezzi inferiori al formaggio invernale, da sempre ritenuto di minore qualità.

Abituatisi ai gusti ‘addomesticati’ dei formaggi industriali (o comunque ottenuti con latte pastorizzato) anche i consumatori locali – tranne qualche irriducibile – si erano allineati alla nuovagrammatica del gusto che penalizzava prodotti dal colore intenso (giallo) e da altrettanti intensi aromi. Poi, sull’onda del revival per i prodotti ‘di nicchia’,

‘tradizionali’, si è assistito ad una rivalutazione che si è tradotta nella proliferazione di sagre, iniziative, convegni sul tema del “formaggio d’alpeggio” assurto a paradigma di eccellenza. In un convegno del 2002 dell’Accademia della cucina sul tema “L’Insubria a tavola”, Vincenzo Fiori, metteva giustamente in rilievo come questa ‘scoperta’ un

po’ modaiola fosse in realtà una finta scoperta. Il periodo del declino del formaggio d’alpeggio è durato una frazione di secondo, se considerato alla luce di una storia casearia che risale all’età del ferro, e anche prima. Il recente successo, su vasta scala, del formaggio d'alpeggio potrebbe essere interpretato da un osservatore moderno come una conseguenza della  genuinità ‘arcaica’ di questo tipo di prodotto in

un'epoca in cui gli anodini formaggi industriali, a base di latte pastorizzato, sono diventati la norma sulla nostra tavola. La tesi è suggestiva, ma un raffronto con il passato suggerisce cautela: l'eccellenza del formaggio d'alpe è stata sempre riconosciuta. La sua ‘scoperta’ è in realtà una riscoperta dopo un periodo abbastanza breve di relativo oblio (FIORI, 2002).

 

(il resto del saggio "Il formaggio d'alpeggio" con bibliografia è scaricabile in formato PDF   scarica)

 

 

 

Di seguito i link ad articoli di Michele Corti sul tema del formaggio d'alpeggio

Il Bitto: un formaggio che fa storia

Gli alpeggi di "Val del Bitt" patrimonio dell'umanità

Lo strachìn quader

La maschèrpa de l aalp. Molto più di una ricotta

Formaggi d'alpe. Attenzione alle attese del consumatore

Produrre latte e formaggi in alpeggio Dilemmi tecnici e visioni sociali

Mission impossible (come è difficile identificare un vero formaggio d'alpeggio!)

Prodotti senza nome. Nome senza (o quasi) prodotto. Della Maschèrpa e del fatulì.

Quel formaggio di "malga" che di malga non è

Formaggio, mangimi e bustine (come si banalizza e si distrugge l'eccellenza casearia)

La produzione della maschèrpa d'alpe delle Valli del Bitto

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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