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(29.02.12)  La protesta NO TAV è diventata un pretesto per azioni di gruppi estremistici cui non importa nulla della val Susa, della montagna, dell'alta velocità

 

TAV e NO TAV

 

due volti del colonialismo

testo e foto di Michele Corti

Il movimento NO TAV si è lasciato ampiamente colonizzare e strumentalizzare dai gruppi estremistici alla disperata ricerca di pretesti per la "lotta" (contro cosa non importa). Un esito che non contribuisce alla causa delle Terre alte

La val Susa e la montagna ci perdono in ogni caso

Non sappiamo se la scelta di cavalcare la tigre dell'estremismo violento e di giocare sino in fondo la carta dell'ordine pubblico frutterà ulteriori ritardi nei lavori, ulteriori modifiche del tracciato. Le parole del ministro Cancellieri che invitano al dialogo lasciando supporre cedimenti del governo suonano come un incitamento agli estremisti a spingere ancora più a fondo la loro sfida alle forze dell'ordine. Ma anche se la val Susa otterrà qualcosa non sarà certo la cancellazione dei quell'opera assurda che è la TAV e il prezzo sarà alto: un movimento snaturato, un movimento colonizzato dalla cultura estremistica urbana.

Gli estremisti NO TAV e lo stato avranno comunque ottenuto un risultato: dimostrare che la montagna, i territori in generale, da soli non riescono a difendersi, che le armi della democrazia partecipata e della non violenza sono spuntate. Per lo stato è molto più conveniente arrendersi all'estremismo violento che alla protesta pacifica. Gli avvoltoi della protesta professionale si mobilitano solo in determinate circostanze mentre i movimenti sociali spontanei locali possono spuntare ovunque e mettere molto più in difficoltà il sistema in quanto mossi da obiettivi trasparenti e poco manipolabili. Obiettivo, abbastanza evidente, dei movimenti estremistici organizzati è anche la delegittimazione delle lotte sociali non violente ma per questo più pericolose per le strutture di potere. Questo spiega la natura ambigua dei movimenti estremistici, i loro rapporti con settori delle caste dominanti, le coperture e gli incoraggiamenti.

Il solito copione dell'estremismo urbano (anche se oggi recita NO TAV)

È una storia che attraversa tutto il novecento e di cui ciò che va in scena in questi giorni sotto il titolo "No TAV" -appiccicato per l'occasione -rappresneta la ripetizione di un trito copione. Gli slogan incendiari, i muri imbrattati, i blocchi stradali fanno parte della messa in scena. Fa ridere, se non fosse per il danno provocato,vedere scritte "la valle non si tocca" nel centro di Milano vergate probabilmente da teppisti che la val Susa non sanno neppure trovarla su una carta geografica. Fanno meno ridere altre scritte (che non ho potuto fotografate) che incitano apertamente ad aggredire la polizia reiterando quella mistica della violenza, dell'atto esemplare, che parte con i nazionalisti (nati anarcosindacalisti finiti fascisti) di inizio novecento e arriva alla P38, ai lanciatori di estintori e ai guerriglieri (di importazione) della val Susa. È una cultura che non ha nulla da spartire con i movimenti per la libertà e l'autogoverno delle Terre alte che puntano sulla coesione comunitaria, sulla pressione dal basso sulle istituzioni, su azioni pacifiche.

NO TAV ma con coerenza e senza lasciarsi espropriare

La TAV rappresenta un progetto dai costi enormi e ingiustificati, espressione di un modello di sviluppo che insegue ancora le grandi realizzazioni, la velocità fine a sé stessa, le connessioni basate su pochi snodi principali e si pone in aperta contraddizione con i modelli che si prefigurano l'uscita dalla crisi attraverso la valorizzazione di energie e risorse inattivate e marginalizzate dallo "sviluppo" fatto di iper-industrializzazione, finanziarizzazione, globalizzazione. La TAV fa della montagna un corridoio, imponendo ulteriori servitù di passaggio. È espressione coerente del colonialismo metropolitano che vede nella montagna un "parco giochi", un ambiente da cui estrarre risorse (emergia, acqua) e al tempo stesso un grande parco della natura pseudo-selvaggia in funzione di pseudo-riparazione della devastante artificializzazione delle pianure cementificate e degradate delle campagne annullate dalle monocolture agroindustriali e agroenergetiche. Ma la TAV non vuole solo bucare le montagne della val Susa. C'è anche il progetto TAV del Brennero, altrettanto megalomane, che sposta inimmaginabili volumi di roccia. Perché sulla TAV del Brennero nessuno dice nulla? Non è forse una prova della strumentalità del movimento NO TAV?

La val Susa - che non va dimenticato - è già un corridoio solcato da autostrada, statale, ferrovia, di fronte alla nuova aggressione avrebbe dovuto molto tempo fa opporre un muro invalicabile cercando la coesione interna e la solidarietà delle altre valli invece che quella degli estremisti metropolitani. La ricerca di compromessi e i calcoli politici hanno però creato divisioni. Nella speranza che il progetto si insabbiasse da solo si è perso del tempo prezioso utile alla costruzione di una intransigente ma pacifica opposizione in grado di mettere in difficoltà le istituzioni. Così il progetto è andato avanti e la leadership del movimento NO TAV si è caratterizzata sempre più in senso estremista e nel rapporto ambiguo con i transumanti della violenza che oggi, a cantieri aperti, la fanno da protagonisti. Così al colonialismo metropolitano che degrada la montagna a corridoio si somma l'esproprio dello stesso movimento di protesta, con la consegna la bandiera NO TAV all'estremismo metropolitano che ha una visione delle Terre alte non molto diversa da quella di chi vuole la TAV.

 

 

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