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(08.01.14) Pubblichiamo un duro e lucido documento dell'ass. Alte Terre di Cuneo che è un atto di denuncia contro l'Europa: "Abbiamo bisogno di risorse per i bimbi, per le strade e l'Europa finanzia i lupi". Ma non basta denunciare; occorre un'azione politica unitaria. Anche sul piano elettorale

 

Una sfida alle prossime europee: ripetere il "miracolo" del '79

 

di Michele Corti

 

Oggi, con la crescita del sentimento anti Bruxelles e la crisi del leghismo, si apre una grande opportunità politica: utilizzare il voto per il parlamento europeo non solo per dire no all'Europa, delle banche, della burocrazia, della tecnocrazia, ma anche per aggregare in un progetto in positivo delle forze autonomiste, delle Terre Alte

 

Il discredito di cui gode l'Europa non è stato mai così forte. Chi un tempo vedeva nell'Europa dei popoli una speranza di libertà e di autonomia oggi è diventato il più fiero oppositore del centralismo europeo, del super-stato che ingigantisce i mali degli stati nazionali. Una prospettiva che richiede da parte delle autonomie storiche un passo avanti verso i riconoscimento che anche le minoranze di "serie B" e tutte le Terre Alte (Alpi e Appennini) hanno diritto ad una forma di autonomia.

In questo contesto la riflessione sull'esperienza del Centro culturale provenzale di Coumboscuro (in occasione della morte del fondatore Sergio Arneodo) e (sempre da Cuneo) un duro documento politico della nuova associazione Alte Terre (riportato sotto), che contesta le modalità di erogazione dei fondi europei, riportano d'attualità quella "magica" esperienza del 1979 in cui le espressioni politiche delle Terre Alte e delle minoranze riuscirono a trovare un accordo per presentarsi unite alle prime elezioni per il parlamento europeo.

 

Il "magico" 1979

 

In occasione delle prime elezioni per il parlamento europeo che si tennero il 10 giugno 1979 si presentò una coalizione che per la prima volta metteva insieme, alleata dell'Union Valdôtaine una coalizione di gruppi autonomisti e federalisti e di movimenti espressione di minoranze etniche e linguistiche. Dentro questa coalizione che si unì sotyto le insegne di Federalismo, Europa, Autonomia vi erano molti rappresentanti delle Terre Alte (e delle isole). Nel simbolo "arcobaleno", oltre al leone rampante valdostano ci fu posto per tanti "bollini" che rappresentavano le tante sigle che avevano stretto l'accordo elettorale. Qualcuno allora criticò lo scarso impatto grafico del simbolo attribuendo in parte ad esso il mancato raggiungimento del "quorum" necessario ad ottenere l'attribuzione di un seggio. Esso fu mancato di poco dal momento che il risultato ottenuto (0,5%) non era molto al disotto di quello della Südtiroler Volkspartei (0,6%) che, sicura di centrare l'obiettivo da sola, non aveva aderito alla coalizione.

L'avere messo insieme così tante tessere del mosaico autonomistico e delle minoranze (al di là di distinzioni tra destra e sinistra che allora erano ancora condizionanti) era però stato un successo politico di non poco rilievo. Basti pensare che l'accordo era stato raggiunto solo pochi mesi prima, in un incontro a Domodossola il 10 febbraio.

E l'aver concesso a tutti di avere visibile nel simbolo il "bollino" era il riconoscimento di un principio base del federalismo: la pari dignità. Nel "cartello" figuravano: Alpazur, Comunità Giuliano-Dalmata, Comunità Istriana, Coumboscuro, Democratici Popolari, Fronte Giustizialista Siciliano, Fronte Nazionale Siciliano, Ladins, Liga Veneta, Moviment d'Arnàssita Piemontèisa, Movimento Autonomista Occitano, Movimento Indipendentista Triestino, Partei der Unabhängigen, Partito Popolare Trentino Tirolese, Partito Federalista Europeo, Sardinya y Llibertad, Slovenska Skupnost, Unione Ossolana per l'Autonomia, Union Valdôtaine Progressiste.

 

Il ruolo di Coumboscuro

 

Tra queste sigle alcune sono scomparse nel nulla, altre sono confluite in nuove esperienze e formazioni politiche, altre sono ancora protagoniste della scena, altre ancora sono ripegate sull'azione culturale. Emblematico il caso di Coumboscuro. Coumboscuro era l'espressione politica del Centre Provençal, un'aggregazione con sede a Sancto Lucio (Santa Lucia) della Coumboscuro (Valle scura) in comune di Monterosso Grama (Cn). Protagonista della rinascita della lingua provenzale alpina in relazione con tanti centri al di qua e al di la delle Alpi, Coumboscuro ha nel tempo allargato le sue iniziative culturali a dimostrazione che la difesa della propria lingua e della propria cultura non è fattore di chiusura ma di apertura.

 

 

Anima del movimento provenzale alpino è stato Sergio Arneodo, maestro (magistre), poeta, instancabile organizzatore e animatore culturale scomparso alla fine di ottobre dello scorso anno. Per Arneodo l'impegno politico era proiezione di quello culturale, un unico impegno etico e civile a difesa di una lingua, una cultura, una civiltà. A difesa delle Terre Alte, non solo quelle provenzali alpine. Quando si rese conto che gli spazi per l'azione politica erano troppo stretti (aveva presentato una lista anche alle comunali di Cuneo senza ottenere un risultato) tornò a immersi con naturalezza nell'impegno culturale. Una bella lezione. I legami tessuti allora, però, non si sono interrotti. Coumboscuro è tutt'ora in stretto contatto con il mondo valdostano, anche nelle sue espressioni politiche.

 

La morte di Salvadori

 

Chi aveva tessuto la trama dell'accordo che aveva portato all'accordo elettorale del 1979 era stato, però, Bruno Salvadori, leader dell'Union Valdôtaine. Egli fu vittima, esattamente un anno dopo le elezioni europee, di un incidente stradale sull'autostrada di Voltri e i suoi progetti federalisti vennero bruscamente interrotti.

 

 

Chi era Salvadori? Un politico che aveva saputo reinfondere nel movimento la larghezza e la profondità di vedute di Èmile Chanoux. Esule in Francia e poi martire della resistenza (vittima al tempo stesso dei fascisti e dei comunisti, uniti nel voler mantenere la Valée italiana), Chanoux era un antesignano dell'Europa dei popoli, di quel federalismo che doveva riportare l'Europa al ruolo di spazio politico e di civiltà in cui tutti i popoli del continente, piccoli e grandi, potessero riconoscersi. Era il sogno di un ritorno a quello che era l'Europa prima della modernità, prima dell'invenzione dell'esclusivismo statonazionalitario (un territorio, una sovranità indivisibile, una lingua, un popolo appendice della nazione politica). Un sogno che rappresentava per le minoranze la fine di una condizione di cittadini di serie B. Salvadori e coloro che condividevano i suoi ideali non si sarebbero aspettati che l'Europa sarebbe diventato un mostro di statalismo e burocrazia, un super-stato centralizzato.

Uno stato in cui il parlamento eletto mantiene un ruolo consultivo e il governo (la Commissione) è largamente condizionato da apparati fuori da ogni controllo democratico, in osmosi con le potenti lobby in grado di avere peso a Bruxelles. Uno stato in cui, al di là dei rituali e delle apparenze, a decidere le regole del gioco che condizionano l'economia di 25 stati è la cancelleria di Berlino (sentito l'Eliseo). Non è un caso se tra i più accaniti "antieuropeisti" di oggi, coloro che contestano l'Europa delle lobby, della tecnocrazia, delle banche, di Berlino, vi sono gli europeisti di un tempo, i federalisti. La classe politica "nazionale" qualifica ogni sentimento antieuropeista come "populismo demagogico", ma sono loro stessi - che si sono assunti il ruolo di Gauleiter, di commissari di quell'Europa - a svuotare di credibilità la difesa d'ufficio di Bruxelles.

Morto Salvadori l'Union tornò a gestire il potere locale senza più coltivare ambizionsi disegni federalisti. A raccogliere il testimone di Salvadori fu, disgraziatamente, uno studente di medicina di Pavia che Salvadori incontrò casualmente nel febbraio 1979. Lo studente si chiamava Umberto Bossi e la storia che è seguita è troppo tristemente nota.

 

 

L'eredità di Salvadori

 

Oggi non c'è più un Salvadori ma ci sono tante iniziative (non solo a Cuneo ma qua e la sulle Alpi e non solo) che mostrano come le minoranze linguistiche, le Terre Alte (ovunque minoranza), gruppi e associazioni ispirati alle culture ancestrali e all'autonomismo sono vitali. Mentre la politica "nazionale", entro la quale la Lega Nord è rifluita, è in caduta verticale di credibilità e di legittimazione come dimostra la sua incapacità a gestire temi essenziali per il bene comune. Pensiamo alla tendenza a favorire lo sfruttamento speculativo sempre più spregiudicato delle risorse della montagna (vedi biomasse), alla non gestione del gravissimo problema della fauna selvatica, che sotto forma di cervi, cinghiali, lupi e orsi mette sempre più in discussione le attività tradizionali e la stessa vivibilità della montagna.

Sono tendenze che rendono palese come non si intenda più acconsentire al mantenimento di uno "spazio per l'uomo" ma si voglia trasformare Alpi e Appennini, favoleggiando di grandi parchi naturali e dietro la foglia di fico della "natura che ritorna selvaggia" , in uno spazio da colonizzare senza comunità insediate per i piedi.  Non parliamo della gestione dei servizi scolastici che viene affrontata con un solo criterio : "chiudere"! Quel "chiudere" va inteso riferito agli insediamenti umani che, senza le scuole e i servizi, con le attività tradizionali (ma anche quelle innovative) ostacolate dalla burocrazia, dal fisco, dai vincoli "naturalistici", si spengono lentamente come una candela.

Bisogna essere ciechi per non capire che lo spopolamento della montagna oltre a consentire la "mano libera" sulle ricchezze delle Terre Alte (acqua, biomasse) favorisce il controllo sociale e politico attraverso la massificazione della popolazione, la dipendenza stretta (per l'alimentazione, l'energia, l'informazione, ogni bisogno della vita) da complesse reti e filiere sempre più incomprensibili per chi non dispone di conoscenze esperte e sempre più controllate da pochi soggetti economici e politici.

 

La risposta consapevole e politicamente matura delle Terre Alte

 

In questa situazione le Terre Alte stanno dimostrando quantomeno una capacità autoriflessiva e di analisi. Messi da parte sensi di inferiorità e scrollati i condizionamenti psicologici e i tabù del "politicamente corretto" (così funzionali al capitalismo rapace e allo statalismo) i montanari cercano di farsi soggetto politico. Consapevoli di essere minoranza, consapevoli che la cultura di massa ha esercitato un ruolo di "lavaggio del cercello" in profondo, che oggi nelle aree urbane e di pianura è diventata estrememente difficile la comprensione dei reali termini del conflitto sociale e territoriale in atto. Le masse sono irretite nell'ideologia del "ritorno alla natura" tanto più facilmente sfruttato quanto più esse vivono una condizione di alienazione dalla dimensione naturale e di distacco dai più semplici ed elementari aspetti dello scambio tra la società e la natura (vedasi l'industrializzazione e globalizzazione dell'approvvigionamento alimentare). Ci vuole coraggio e anticonformismo per lacerare il velo ideologico e di falsa coscienza.

Alla lobby animal-ambientalista, componente organica della cultura e degli interessi del potere fa comodo che, ridotti alla disperazione, i montanari imbraccino il fucile per difendere da "bracconieri"  i loro animali. Fa comodo perché è così possibile criminalizzare e mettere alla gogna un'intera categoria (allevatori e pastori) se non tutte le comunità di montagna additandole come violente e primitive, pronte a violare le leggi e i sacri principi ecologici.

È invece la risposta politica che fa paura, lo smascheramento della natura del conflitto sociale che può far cadere la maschera di ipocrisia così utile al potere.

 

Gli "ultimi dei Mojcani" gridano al mondo chi li vuole sterminare

 

Qualcuno potrebbe pensare: "ma cosa c'entrano lupi e autonomia e minoranze"? Non ci vuole molto a comprendere che spopolare la montagna significa uccidere le non poche minoranze che popolano le montagne del mondo, ucciderne la cultura che è legata all'ambiente e alle attività della montagna. Ma se quelcuno avesse ancora dei dubbi basti riflettere sul fatto che il progetto WofAlp che gli amici di Alte Terre contestano così duramente, è stato approvato da tre regioni alpine a guida leghista e dal Trentino e dal Friuli guidati dal centro-sinistra ma rigettato dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta guidata dagli autonomisti dell'Union e dalla Provincia Autonoma di Bolzano guidata dalla Volkspartei. Union e Volkspartei all'agricoltura, ai contadini ci tengono mentre i partiti italiani (Lega Nord compresa a dispetto di una superficiale e contradditoria patina autonomista) sono permeati di cultura italiana urbanocentrica e antirurale.

 

Di seguito il documento d'accusa di Alte Terre in merito al progetto WolfAlp, ennesimo progetto LIFE con il quale l'Europa - con i nostri soldi - elargisce milionate su milionate (7,1 milioni in questo caso). Proseguendo nella politica di "canali privilegiati" per il finanziamento della trasformazione delle Alpi in un grande parco della (pseudo) natura selvaggia (mentre con i soldi dell'agricoltura - gestiti dalle regioni ma sempre sulla base di regole dettate da Bruxelles - si finanzia l'agricoltura intensiva che viene in montagna a speculare sui premi Pac e a portare via i pascoli ai montanari). Una vera azione a tenaglia contro le Terre Alte. Che quantomeno non vogliono morire in silenzio senza aver lanciato il loro j'accuse. Alte Terre prosegue così la sua linea. Qualche mese fa non aveva esitato a chiedere provocatoriamente l'istituzione di ZPS (zone di protezione speciale) libere da orsi e lupi per l'animale uomo-montanaro, vera specie a rischio di estinzione.

 

Alte Terre accusa il Parco e l'Europa: "ci servono i soldi per i bimbi ma voi fate avere soldi solo per i lupi"

Giorgio Alifredi

 

Alla cortese attenzione della commissione WOLFALPS

Presidente Gianluca Barale

LสผAssociazione Alte Terre intende esprimere alla neonata Commissione WOLFALPS incaricata di gestire il finanziamento europeo Life sui lupi, con a capofila il Parco Alpi Marittime, alcune considerazioni in rappresentanza dei propri associati, 291 montanari delle valli cuneesi, in buona parte contadini e pastori:

1.  Il marcio viene dalla testa.

Esiste ed è molto attivo un network in Europa (diretto dal LCIE, Large Carnivore Iniziative for Europe), che coordinando una trentina di ricercatori, selezionati tutti in base alla loro appartenenza al partito ideologico pro-lupo, elabora politiche protezionistiche e in particolare stabilisce le linee guida delle Direttive e Convenzioni europee senza lasciar spazio a confronti e discussioni con chi queste politiche deve subire. Un altro bellสผesempio, se ancora ce ne fosse bisogno, di questa Europa oligarchica delle commissioni e dei burocrati che non prevede attenzione al metodo democratico e alle comunità umane! Che tristezza rendersi conto che in Europa ci siano molti soldi per ripopolare e proteggere lupi orsi e linci sulle Alpi, mentre manchino del tutto per le necessità primarie dei bimbi di montagna, vera specie in estinzione!


2. Per i Parchi il lupo è un business. 

Purtroppo anche qui da noi in provincia di Cuneo alcuni (in primis il Parco delle Alpi Marittime) continuano ad approfittare di queste politiche europee calate dallสผalto, dissennate e antiumane per portarsi a casa dei denari. Certo in tempo di crisi economica, con conseguenti difficoltà di bilancio, ogni Ente deve adoperarsi per finanziare le sue attività, ma riteniamo sia pratica immorale ricercare finanziamenti che sono pubblici (anche se gestiti in modo privato) per sviluppare attività che provocheranno sicuri danni a un intera categoria professionale che da millenni vive in modo sostenibile sulle Alpi. Un dirigente pubblico responsabile non può autogiustificarsi con la solita litania che โ€œlo vuole lสผEuropaโ€. In effetti, a ben guardare, non interessa veramente il lupo in quanto tale, ma piuttosto i finanziamenti che da ventสผanni la politica pro Grandi Carnivori riesce ad ottenere. Con la solita miopia non si fa cosa serve al territorio, ma cosa è finanziato da un potere lontano mosso da interessi spesso inconfessabili. Spiace davvero constatare il nuovo e indebito ruolo assunto dai Parchi, i quali approfittando del vuoto di rappresentanza politica della montagna promuovono o partecipano a progetti che condizionano negativamente la vita dellสผuomo sul Monte, ponendosi in conflitto con la popolazione locale.

3. Lupi e pastorizia.

Nelle zone frequentate da branchi di lupi la situazione è diventata insostenibile per chi svolge attività pastorali. Quale imprenditore può accettare di essere attaccato nella sua proprietà in modo imprevedibile e violento senza aver alcun diritto a difendersi e a reagire? Qualunque ladro o assassino che entri nel mio negozio o in casa per depredare e uccidere, magari avrà le sue ragioni e avrà fame, ma io se riesco non cercherò di fermarlo? E per il pastore il suo gregge, la sua ricchezza, non è fatta di cose o di beni rimborsabili, ma di bestie vive che condividono la sua vita, che conosce e ha selezionato da generazioni e che hanno per lo meno lo stesso diritto naturale di vivere dei lupi aggressori. Con quale diritto contro natura si vuole impedirgli di reagire attivamente agli attacchi? Nessun rimborso può ripagare il danno subito, lo stress imposto, il venir meno del senso del proprio lavoro. Solo riconoscendo il ruolo sociale del pastore con i suoi diritti di pascolo e di protezione attiva delle sue bestie potrà diminuire la conflittualità tra uomini del Monte e lupi, non certo con la politica sin qui adottata di compensare in qualche modo i danni con denaro: non alleviamo per nutrire dei predatori!

4. Antropofagia.

Lสผantropofagia non è fantasia letteraria, ma una realtà concreta, attestata dovunque nella storia, che solo la follia ideologica vuole ignorare ad ogni costo. Eสผ ben vero che i lupi un tempo tendenzialmente evitavano gli esseri umani per timore atavico, ma negli archivi storici si trovano testimonianze (anche in Piemonte o in Liguria) che attestano casi di attacchi ripetuti contro persone da parte di uno stesso branco ormai avvezzo allสผantropofagia, con conseguente mobilitazione dellสผintero villaggio minacciato sino allสผeliminazione dei lupi coinvolti. Le rassicurazioni dei sedicenti esperti, cattedratici che mai hanno vissuto la campagna, sono ridicole e si confutano da sole: se โ€œsecoli di persecuzione hanno portato la specie a temere lสผuomo e a sfuggirlo in ogni modoโ€, oggi che non è più perseguibile si arriverà in fretta a una popolazione di lupi priva di timore nei confronti dellสผuomo... e allora lสผaggressione ad un essere umano non sarà più โ€œunสผipotesi molto remotaโ€! Dสผaltra parte, sono numerose le testimonianze di attacchi allสผuomo recenti in India, in Turchia, in Russia ed anche in Nord America (per questสผultimi, particolarmente significativi perché avvenuti allสผinterno o nei pressi di Parchi dove era avvenuta la reintroduzione, si veda il dossier di Linda Brooks, facilmente reperibile su internet) e purtroppo anche qui da noi nelle valli cuneesi si continuano a moltiplicare le segnalazioni di situazioni critiche di pre-attacco da parte di lupi sullสผuomo (forse il caso più preoccupante dellสผestate 2013 lสผinseguimento da parte di tre lupi di un giovane motociclista tra San Damiano e Cartignano sin nei pressi dellสผabitazione). Abbiamo fondato timore che ormai sia solo più questione di tempo...

5. Quale convivenza?

    Eสผ impossibile una convivenza pacifica e duratura tra lupi e animali domestici allสผinterno di uno stesso areale: i territori di caccia degli uni non possono coincidere con le zone di pascolamento degli altri. La compresenza genera inevitabilmente conflitti, come lสผesperienza di questi anni mostra in modo inequivocabile. Le misure di prevenzioni proposte, recinzioni elettrificate e cani da difesa, come abbiamo già da tempo denunciato (e spiegato nel Documento sul Lupo del 2012
http://www.alteterre.org/p/documenti.html), sono per lo più inefficaci e solo in alcune situazioni utilizzabili. I pastori e la gente del Monte sono consapevoli che le mutate condizioni antropiche e sociali della montagna, così come i cambiamenti della mentalità collettiva giù in pianura, renderanno per lungo tempo (misurabile in decenni) necessaria la convivenza forzata con i lupi. Occorre dunque creare le condizioni giuridiche affinché tale convivenza non si attui a tutto svantaggio della gente e dei pastori di montagna, ai quali bisogna garantire la possibilità di difendersi quando si sentono minacciati nelle persone e nei propri animali. Negare il diritto naturale allสผautodifesa, oltre che espressione di intollerabile arroganza e disprezzo per chi si trova nella condizione di vittima, significa abbandonare a se stessa unสผintera categoria sociale, non riconoscere dignità allสผantico mestiere praticato, non accettare che lสผinevitabile scontro tra pastori e lupi sia giocato ad armi pari! Se si vogliono risolvere problemi concreti, occorre guardare in faccia la realtà, non nascondendosi dietro false rappresentazioni ideali. Il lupo è un carnivoro predatore, che evidentemente ha un diritto naturale ad uccidere altri animali per nutrirsi. Sceglierà in base alla sua convenienza, alla disponibilità della preda, alle possibilità di successo, allสผesperienza già acquisita dal branco, indipendentemente dal fatto che siano animali selvatici o domestici. Esiste un diritto, anchสผesso naturale, del pastore alla difesa attiva di fronte a predatori specializzati che si muovono in branco. Non sarebbe davvero il caso di ricordarlo se lสผattuale civiltà urbana, pur in profonda crisi ma ancora dominante, non avesse perso il senso delle cose. Ora, da quando sono disponibili armi da fuoco (nelle Alpi a partire dal XVII secolo), lสผuomo ha contrastato la predazione del lupo sparando. Lสผintento deve essere quello di non far scordare alle nuove generazioni di lupi reintrodotti lสผantico fondamentale imprinting: tenersi lontano dagli esseri umani perché possono rappresentare un pericolo per la loro sopravvivenza. Non si tratta di sterminare, ma di far comprendere al lupo nellสผunico modo tecnicamente possibile che il bestiame domestico non è mai una preda conveniente! Sullสผesempio di quanto accade in altre aree geografiche extraeuropee dove si convive tradizionalmente con i lupi ed anche di quanto si sta già sperimentando in alcune zone delle Alpi francesi dove il Prefetto ha concesso di pascolare armati (con primo sparo in aria), sarà anche da noi necessario superare il tabù e concedere ai pastori che lo reputino necessario per la vicinanza di lupi ai propri animali di portare unสผarma durante il pascolamento. Basterà dotarsi di un regolare porto dสผarmi e limitarsi ad agire allสผinterno dei propri terreni di pascolo.


Cuneo, 2 gennaio 2014
Associazione Alte Terre
Presidente G.Alifredi

 

 

 

 

 

 

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