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(03.01.10)  L'importanza della messa in rete di gruppi di consumatori urbani solidali e di produttori rurali 'assediati' dalla politica di omologazione agroalimentare

La resistenza casearia (e in generale rural-alimentare) trova una sponda nei consumatori solidali e consapevoli

Nella rete GAS di consumo critico e consapevole trova spazio una componente attenta a coniugare i valori della qualità sensoriale con la coesione e l'equità sociali e la responsabilità ecologica. Una saldatura che consente di sviluppare il movimento del consumo solidale in direzione del sostegno ai piccoli produttori agroalimentari di eccellenza (contadini, pastori, alpigiani, pescatori artigianali)

Per capire il senso dell'incontro tra prodotti alimentari di eccellenza, connotati in senso artigianale, espressione di precisi contesti di produzione rurale, e il movimento del consumo critico e solidale è bene richiamare il concetto di 'edonismo virtuoso' quale chiave per capire quella componente della realtà del consumo, (emersa da non più di 15-20 anni) in grado di sostenere catene 'alternative' di approvvigionamento di beni alimentari.

 

Edonismo virtuoso

 

Stili di consumo sobri e sostenibili oggi non comportano la mortificazione del piacere del cibo.  Anzi. Basta richiamare l'esperienza del consumo di un frutto colto da una pianta, di una verdura dell'orto per capire che la forza che può efficacemente contrastare il consumo insostenibile, bulimico è quella dell'edonismo virtuoso, non certo quella della macerazione ascetica o pauperista.

 Il junk food (o comunque il cibo massificato) del world food system risponde all'esigenza di soddisfazione immediata di un gusto diseducato o, meglio, mal-educato (fino a ridursi a mera oralità e attivazione neuroendocrina). Il cibo di qualità, invece, è  difficilmente riproducibile, ricco di sfumature e di impronte che derivano da combinazioni di armonia e di rispetto per gli equilibri ambientali, di saperi incorporati nelle pratiche tecnologiche e sociali di generazioni (contestualizzate bioculturalmente). Va capito, ma per chi può farlo si aprono grandi soddisfazioni. La sua trasparenza, la sua essenzialità, la sua particolarità, le sue sfumature, l'innocenza della non manipolazione  possono fornire un piacere, una gratificazione più profonda di quella di un 'cibo-massa' standardizzato ed ampiamente manipolato nell'aspetto, gusto, consistenze, un piacere e un appagamento che risultano dal coinvolgimento attivo dei sensi nonché della sfera emotiva e cognitiva. Il 'buono' nella sua dimensione inscindibile di etica ed estetica. Ma bisogna saperlo cogliere. I nostri sensi sono acuti, ma vanno 'allenati', indirizzati.

 

Dimensione collettiva

 

Riuscire a coniugare piacere personale e responsabilità sociale ed ambientale, fare la cosa giusta, non è facile.  Un consumo 'evoluto' e professionalizzato, un gusto (ben)educato richiede molte informazioni. Per il consumatore isolato raccoglierle è oneroso, dis-economico. Il consumatore atomizzato, facile vittima di scelte di consumo eterodirette, ha scarsi mezzi per uscire dal ruolo di passivo ingranaggio della grande macchina per quanto ne percepisca gli effetti distruttivi sulla società e sugli equilibri ecologici. Il consumo massificato resta un atto sociale (che coinvolge catene interminabili di relazioni), ma largamente fuori controllo dei singoli consumatori. Il controllo lo mantiene la 'filiera', l'agroindustria (e gli apparati tecnoscientifici ad essa consustanziali).

D'altro lato anche un consumo 'critico', armato delle migliori intenzioni,  ma atomizzato presenta limiti evidenti. Anche il consumerismo 'puro', quello che si affida al shop bag power, alla 'democrazia del consumatore' che, da solo, in mezzo ad una corsia di un ipermercato, opera una personale e meditata 'selezione' degli acquisti non è privo di valenza politica. Se la GDO e i discount hanno inserito bio ed 'equosolidale' negli scaffali e creato persino delle delle private label connotate in tal senso è stato per assecondare tendenze palesi e riportare nell'ambito del mainstream del sistema distributivo queste nuove tendenze.

Va però precisato che il 'consumerismo' puro, inteso come sommatoria di azioni di consumo individuali e isolate, non può andare oltre certi limiti che sono legati ai nessi profondi tra produzione agroalimentare-industria di trasformazione-distribuzione. Il 'bio' della GDO è - di necessità - un bio 'industriale' in cui i valori di località, stagionalità, freschezza, equità sociali sono pesantemente annacquati (se non del tutto assenti). E anche sull' 'equosolidale' vi sarebbe qualcosa da dire ...  I prodotti della filera agroindustriale potranno essere 'un po' più puliti, un po' più equi', ma entro vincoli strutturali molto rigidi (logistica, volumi di produzione, catene del freddo ecc.). E' vero che una strategia di immagine (o i 'piani commerciali' delle regioni) possono indurre la GDO a riservare piccoli spazi (sia in termini di eventi occasionali che di banchi-riserva indiana per i produttori locali), ma si tratta di spazi dove il prodotto è largamente decontestualizzato, non c'è se non in minima misura il 'passaggio' di informazine indispensabile a qualificare, motivare, stabilizzare il consumo. Non c'è certamente quel rapporto personale che caratterizza le 'catene brevi'.

E' la realtà del consumo 'solidale' che tende a superare questi limiti fornendo un 'ambiente' adatto per l'incontro tra reti di produttori rurali e reti di consumatori.

 

Il consumatore collettivo è un consumatore attivo

 

In un gruppo di acquisto solidale si capitalizzano e si socializzano le informazioni, le relazioni personali, le conoscenza pratiche di numerosi consumatori. Sulla base di un orientamento comune (che può essere diverso da GAS a GAS) i membri del gruppo possono intrattenere relazioni continuative, non limitate alla dimensione commerciale, con i produttori. Non solo, ma i membri del GAS possono 'selezionare' i produttori (sulla base della conformità a criteri qualitativi,  ed etici) e possono attivare un flusso bidirezionale. Il produttore comunica le caratteristiche del prodotto (legate al processo, all'ambiente, alla propria sensibilità ed esperienza) consentendo al consumatore di 'capirlo', utilizzarlo, apprezzarlo nel modo giusto. D'altra parte il consumatore può anche comunicare i propri bisogni, preferenze e verificare insieme al produttore in che modo possono essere soddisfatte; in modo da raggiungere un equilibrio ottimale tra le catatteristiche dell'offerta e quelle della domanda. Un processo che nelle 'filiere' avviene con lentezza e approssimazione attraverso i meccanisni dei prezzi e delle variazioni della domanda. La 'personalizzazione' dell'incontro tra domanda e offerta può consentire di valorizzare la stagionalità, di minimizzare lo spreco, gli imballaggi, di minimizzare gli impatti dell'intera 'catena alimentare' (che inizia dove si producono i mezzi tecnici che impiega l'azienda agricola e finisce nella discarica-inceneritore-riciclaggio). In questa interazione la non standardizzazione, la non continuità degli approvvigionamenti, la non uniforme composizione dei 'panieri' (pensiamo agli ortaggi) da limiti diventano opportunità. Che senso ha mangiare tutto l'anno le stesse cose senza sapore?

Imparare a degustare al meglio i prodotti (attraverso quella educazione al gusto che non può non essere una componente chiave dell'attività dei GAS) è condizione per uno spostamento dalla quantità alla qualità. Imparare a trarre una elevata gratificazione sensoriale da un calice di buon vino e da una moderata porzione di formaggio 'naturali' può significare ridurre la quantità dei consumi, evitare consumi d'impulso o di mera abitudine riservando il consumo di determinati prodotti di elevata qualità a determinati abbinamenti e a determinate occasioni.

Si comprenderà che l'edonismo così delineato non comporta di necessità una lievitazione del costo della spesa complessiva per gli alimenti mentre gli effetti benefici sull'ambiente sono evidenti. Anche perché un cibo più'umile' ma 'naturale' e gustoso può sostituirsi ad uno più 'pregiato' e costoso (sia in termini economici che ecologici).

 

La resistenza degli artigiani del cibo diventa più efficace

 

Il sistema agroalimentare globalizzato rappresenta una macchina distruttiva incapace di fermarsi (spinta dal profitto nel breve periodo). Nel mondo la domanda di proteine animali sta crescendo vertiginosamente. I ricchi non sono più ormai solo in Europa e Nord Amercia, le economie emergenti sono affamate (si fa per dire) di carne. La domanda di beni alimentari a forte impatto ecologico cresce e con essa la pressione sulle terre coltivate e quelle potenzialmente coltivabili (una pressione, è bene ricordarlo, che avrà l'esito di isterilire una buona parte delle terre già coltivabili). Anche la risorsa acqua (dolce e pulita) e quella legata alla biodiversità sono rapidamente erose, sacrificate sull'altare del business. Un business, peraltro, che dissipa ingenti risorse per 'curare' le conseguenze delle malattie indotte nei consumatori da un modello di alimentazione eccessiva e squilibrata che l'occidente sta esportando. Per capire perché il sistema agroindustriale combatta con forza e violenza i sistemi rurali nei paesi 'avanzati' come in quelli 'emergenti' e sottosviluppati bisogna pensare che i costi dell'alimentazione sono destinati a crescere con l'esaurirsi delle riserve di energia fossile facilmente accessibili. Siccome ogni altre fonte di energia è più costosa e si devono scontare anche le conseguenze della degradazione dei suoli coltivati, della crescita della popolazione, dell'ampliamento del club dei ricchi, è facile immaginare che la tendenza alla diminuzione della percentuale della spesa per alimenti sul budget dei consumatori è finita. Scesa (quasi) al 10% dei consumi globali, la spesa alimentare è destinata a crescere (i più pessimisti pensano che tornerà al 50%).

Ora è facile immaginare che in presenza di alternative possibili il consumatore, che sarà costretto a sborsare sempre di più per cibi sempre più industrializzati, sempre più OGM, sempre più addizionati di aromi artificiali, sarà pronto a rivoltarsi contro un sistema palesemente fallimentare sia attraverso la ricerca di soluzioni individuali che i sommovimenti politici (con il cibo che torna ad essere sempre  più al centro della politica e della lotta per il potere).

Il sistema agroindustriale deve disperatamente dimostrare che le sue dissipazioni energetiche, di risorse, di biodiversità sono inevitabili, 'razionali', 'sostenibili'. Non può permettersi che esistano catene 'alternative' (a meno che non restino confinate in una dimensione folkloristica'.

La reazione rabbiosa contro i distributori di latte crudo è stata quanto mai indicativa.

Attraverso obblighi burocratici, normative igienico-sanitarie, gabbie 'istituzionali' come le DOP l'agroindustria vuole eliminare le sacche di resistenza contadina che - da qualche tempo in qua - hanno ripreso un po' di ossigeno grazie alle tendenze a rilocalizzare la produzione alimentare, al quasi disperato aggrapparsi a elementi di identità affermati attraverso cibi e modalità tradizionali di consumo del cibo. Vuole fare piazza pulita prima che le cose cambino.

Oggi  resistere all'omologazione alimentare è improbo perché il muro delle istituzioni è compattamente a favore dei modelli quantitativi, dei sistemi intensivi, delle aggregazioni industriali, nonostante i falsi compiacimenti in mome del km 0, della tipicità ecc.

L'agroindustria è sinora riuscita con largo margine di successo ad espropriare tipicità, a replicare malamente i prodotti di eccellenza, ad 'ammorbidire e annacquare i disciplinari di produzione', ad 'adattare' a gusti massificati alimenti già pieni di personalità cui rimane a volte solo la crisalide di un nome accattivante 'che suona tipico'.

Stante il carattere ambigio della  'tipicità' possono essere solo il segmento più consapevoel della 'cucina d'autore' e il consumo solidale a venire incontro alla resistenza dei produttori rurali che, è bene rimarcarlo, non sono delle nostalgiche retroguardie ma le avanguardie di un modo di lavorare la terra, coltivare le piante e di allevare gli animali che non sia distruttivo.

Per sintetizzare la 'razionalità' della moderna agricoltura intensiva basti pensare che utilizza energia elettrica per 'catturare' le molecole di azoto atmosferico e 'condensarle' nei concimi chimici (urea) necessari dove non vi è più allevamento e concimi organici nel mentre deve impiegare poi altra energia per  eliminare l'eccesso di azoto che si accumula in allevamenti con troppi animali (rispetto alla superficie coltivata) facendo sviluppare ammoniaca dalla massa del liquame e ri-producendo (a caro prezzo energetico) un concime chimico (al posto del concime organico che arricchirebbe la fertilità e migliorerebbe la struttura del terreno agrario).  Si potrebbe poi solo pensare ai danni della monocoltura, al crescente (sì, crescente) uso di pesticidi indotto dalla specializzazione e dall'intyensificazione produttiva. Così, però, i fatturati delle multinazionali crescono e cresce il loro potere. Anche senza OGM l'agricoltore è sempre più costretto a compreare sementi e pesticidi dalla stessa multinzionale. Quanto poi alle libertà di scelta oggi il produttore è spesso dipendente mani e piedi da chi gli compra le commodities. Chi produce latte oggi è spesso nelle mani non solo di chi lo compra ma anche da chi gli porta via il liquame in eccesso (anche in questo caso operano consorzi - come se non bastassero quelli che c'erano -   in cui il singolo produttore diventa un misero ingranaggio totalmente dipendente).

 

La libertà del produttore è la libertà del consumatore

 

La spirale di dipendenza del produttore agricolo comporta aumento della dipendenza del consumatore. Quando non ci sarà che da mangiare una minestra bisognerà sorbirla, OGM naturalmente, e a caro prezzo. Questo Moloch, però, può essere contrastatoUn gruppo di acquisto che entra in contatto con un produttore può consentirgli di 'disindustrializzarsi'.  Se invece di dare il latte all'industria riduce fortemente il numero di mucche, potrà  trasformare da sè il suo latte e magari dedicarsi a qualche coltivazione. E lavorare in modo meno intensivo, con meno chimica. Oggi il consumatore solidale riunito in gruppi e reti può indurre con la sua domanda aggregata e sicura (l'elemento di continuità e di fiducia del rapporto rapresentano un valore aggiunto sia per il produttore che per il consumatore) una nuova offerta. Nuova offerta in termini di metodi e processi di produzione, tipologie di prodotti,  livello qualitativo.

I GAS possono anche fare qualcosa di più oltre a garantire l'assorbimento di determinati volumi di produzione, possono incoraggiare produzioni diversificate, bio, 'naturali'  attraverso acquisti anticipati e persino anticipando mezzi tecnici (magari le sementi di una varietà autoctona, magari capi di una razza in via di estinzione), formendo supporti tecnici, informazioni, contatti con enti, altri produttori, tecnici, partecipando a fasi del lavoro agricolo (raccolta di prodotti ma non solo). E' un rapporto che ribalta la tendenza del sistema agroindustriale a separare rigidamente la fase di produzione da quelal di consumo. E in questo riconnettersi il potere dell'agroindustria diminuisce. Il rapporto di potere si ribalta. La 'legge' del mercato è aggirata. Uno spazio per una economia solidale diventa reale.

 

Casi concreti

 

E' di grande significato che la rete GAS di Milano abbia già inserito tra i propri 'fornitori' (andrebbe coniato un termine più aderente alla nuova realtà della relazione) i produttori del Macagn. Trattasi di un formaggio degli alpeggi biellesi e valsesiani che si è trovato a subire la concorrenza e l'imitazione di caseifici di pianura decisi a farlo tutto l'anno e ad ottenere la DOP per il 'Maccagno'. Nel contrasto la DOP non è stata attribuita nè agli uni nè agli altri (meglio così considerata la deriva delle DOP verso l'appiattimento verso il basso - al minimo comun denominatore - della qualità). Ma intanto la confusione tra i due prodotti non va certo a favore di quello autentico, fatto in alpeggio con il latte ancora caldo di mungitura. Nel caso del Bitto storico la questione è ancora più pregna di significati. Questo prodotto che ha 5 secoli (almeno) ed è sempre stato associato ad un area di produzione ben definita - la Valle del Bitto - ha visto 15 anni fa con la burocrazia della DOP allargare la produzione a tutta la provincia di Sondrio. Nel frattempo, nonostante le proteste dei produttori storici, il disciplinare è stato modificato per consentire l'uso dei mangimi (in alpeggio) e dei fermenti selezionati (che appiattiscono la qualità specie in un formaggio a lunghissima stagionatura). Lo scorso ottobre il Ministero ha comminato pesanti sanzioni perché il Bitto storico 'usurpa' la DOP (i produttori storici sono usciti per protesta dal Consorzio di 'tutela' nel 2006). Notare che la casera di stagionatura del Bitto storico è in fregio al torrente Bitto e che per secoli - come già ricordato - il nome del Bitto è stato associato alla Valle del Bitto.

Pur essendo il Bitto storico un prodotto di eccellenza (e quindi di costo elevato) vi è ora un forte interesse dei GAS milanesi per sostenerlo specie ora in un frangente in cui l'Associazione dei produttori e degli alpeggi storici è sottoposta (oltre alle sanzioni ministeriali contro cui ha inoltrato ricorsi) anche ad altre forme di pressione miranti a staccare singoli produttori dall'Associazione stessa per indebolirla nella sua coraggiosa resistenza che data ormai 14 anni. Unito al sostegno di Slow Food quello dei GAS potrebbe veramente rivelarsi decisivo per poter continuare a sostenere una battaglia cui guardano in molti con attenzione. Dal suo esito infatti potrebbe dipendere un incoraggiamento per tanti piccoli produttori a resistere o, al contrario, un incoraggiamento alle grandi latterie e alla burocrazia per assestare degli affondi contro i 'sovversivi del gusto' che qua e là hanno osato alzare il capo negli ultimi anni.

Intanto a sottolineare il valore simbolico e non solo dell'esperienza dei produttori del Bitto storico i GAS milanesi hanno deciso che nell'ambito del loro spazio all'interno della Fiera del consumo critico e sostenibile  'Fai la cosa giusta' (12-14 marzo a Fiera MIlano City) ci sarà uno spazio per il Bitto storico a marcare il significato dell'alleanza strategica tra produttori rurali tradizionali (i nemici 'modernizzanti',  li chiamano 'trogloditi') e i consumatori 'metropolitani'.

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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