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Inforegioni/La beffa della mozzarella blu

 

  

 

 

 

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Galan (e il becero nazionalismo alimentare) beffati al Brennero dallo scandalo mozzarelle blu trentine

 

di Michele Corti

 

La surreale vicenda di un ministro che partecipa alle proteste della Coldiretti contro le mozzarelle tedesche nel mentre, in Trentino, dopo la scoperta di alcune mozzarelle blu 'autoctone', era in corso il ritiro dagli scaffali di 400.000 confezioni . Forse un'occasione per aprire gli occhi sulla realtà e le contraddizioni della zootecnia e del caseificio trentini (e non solo). E sull'ambiguità del Made in Italy alimentare.

 

Chissà che risate in Germania. Un ministro che sale al Brennero per partecipare alle proteste della Coldiretti mentre poche decine di km a valle si consuma la tradicommedia delle mozzarelle blu trentine.  Tragicommedia non solo per la coincidenza con la liturgia del Brennero (alla 'non passa lo straniero') che la Coldiretti alleste regolarmente da decenni (tanto per far vedere ai suoi associati che 'fa qualcosa') ma anche per le dichiarazioni del mega direttore del 'Polo bianco' lattiero-caseario trentino.

Paoli, in merito alla vicenda delle mozzarelle blu prodotte dal Caseificio di Fiavé ha infatti dichiarato serafico che 'è colpa del caldo'. Giustificazione ridicola se solo si pensa che quando è scoppiato lo scandalo delle teutoniche mozzarelle blu era ancora primavera (e faceva freddo). Il tutto aggravato dal fatto che le mozzarelle di Fiavè sono distribuite anche in Germania.

 

La liturgia del Brennero. Un modo per distogliere i produttori dai problemi 'interni'

 

Ma la beffa è ancora più atroce (nei confronti di Galan e dei paladini del 'made in Italy) se si considera che Paoli si è affrettato a difendere la 'sua' mozzarella sulla base del fatto che il latte 'proviene esclusivamente da stalle trentine'.

Il sottolineare questo aspetto non può che avere un effetto boomerang contro i sistema lattiero-caseario provinciale.

 

Ricordate la campagna pro latte e formaggi trentini?

 

Mettendo in relazione la mozzarella blu di Fiavè con il latte trentino De Paoli annulla gli effetti (se mai vi sono stati) della costosa campagna di comunicazione avviata nell'estate scorsa e finalizzata a convincere i trentini a bere il 'loro' latte e a consumare i 'loro' formaggi?  E pensare che lo stesso super-presidente Dellai si era impegnato in questa campagna che  trasferiva in modo ipocrita al consumatore trentino la responsabilità di una crisi della  zootecnia frutto delle politiche della Provincia autonoma  a favore delle grandi stalle intensive e dei grandi caseifici. E di prodotti massificati e senz'anima.

 

Il poster stile Oliviero Toscani che invitava a non 'rimpiangere il latte versato' e quindi a consumare latte e formaggi trentini

 

La mozzarella blu non ha fatto altro che affossare un appello al consumatore per il 'buy local' poco credibile e tardivo. Un appello arrivato dopo che per decenni si è impostata una politica zoocasearia industrialista basata sul dogma delle economie di scala e sulla concentrazione dell'offerta per 'sfondare' sul mercato nazionale. Oltretutto è poco coerente appellarsi al 'consumo locale' e richiamare l'identità territoriale quando tutta l'economia zootecnica e casearia trentina è basata sul Grana padano (sottodenominazione Trentingrana) destinato al mercato extra-provinciale. Un prodotto 'copiato' in quel di Mantova e non proprio espressione di alpinità e trentinità. Del resto anche la rimanente produzione casearia trentina, tolta qualche sparura produzione 'autoctona' come il Puzzone di Moena, è rappresentato da Asiago, Fontal, Stracchino, Scamorza, tutti prodotti tipici, sì ma di ... altre regioni.

 

Qual'è il limite del copyright caseario? Della 'copiatura' indebita?

 

Ci si indigna se si fa la mozzarella in Germania ma che dire della Provola o del Fontal (formaggio 'tipo' Fontina) prodotti in Trentino? L'identità territoriale casearia può essere fatta coincidere con le frontiere degli stati? Non facciamo ridere. Con la tradizione casearia trentina la mozzarella non ha nulla a che fare, questo è certo. Risponde solo ad esigenze industriali. Esigenze che sono le stesse che spingono i caseifici tedeschi a produrla.  La Mozzarella di Fiavè è un prodotto 'di massa' destinato alla grande distribuzione, dove è esitato spesso in 'promozione', e alle pizzerie (esiste anche la confezione maxi). E' l'emblema in negativo di una strategia di inseguimento delle grandi realtà lattiero-casearie padane ed europee.

 

La mozzarella di Fiavè emblema delle contraddizioni del sistema zoocaseario trentino

 

Dovrebbe scandalizzare meno che la mozzarella 'di massa' venga prodotta in realtà che dispongono di latte a costi  bassi e che 'mixano', in relazione agli andamenti dei mercati, latti 'nostrani' e latti del 'mercato aperto'. In definitiva è meno scandaloso che la mozzarella venga prodotta in Padania (dove si usa latte 'locale' ma anche dell'Est) o in Germania piuttosto che a Fiavè, in mezzo alle montagne.

Il latte raccolto dal Caseificio di Fiavé non può avere costi molto bassi. In primo luogo perché i costi di trasporto sono elevati (Fiavé è lontana da grandi arterie di comunicazione e collegata da strade di montagna piuttosto tortuose).

 

 

Fino a pochi anni fa mamma provincia integrava il costo del trasporto del latte, ora non più. Ma anche i costi di produzione del latte delle stalle che conferiscono a Fiavé sono nettamente più alti di quelli della pianura padana (per non parlare della Polonia). Nonostante che per la mozzarella e i 'freschi' si utilizzi latte di vacche 'spinte', alimentate con insilato di mais e mangimi (il latte migliore, prodotto senza insilati, va a Trentingrana) i costi di alimentazione sono sempre ben diversi da quelli delle stalle padane con una razione alimentare simile.

Innanzitutto non serve essere agronomi per capire che a 700 m (altitudine dell'altipiano di Lomaso-Fiavè) il mais produce molto meno (è pianta che ha bisogno di elevate temperature). Poi un po' di fieno va comunque somministrato alle vacche e se i prati scarseggiano (come in quasi  tutte le stalle trentine di una certa dimensione) deve essere acquistato fuori regione, spesso in centro-Italia. Un bel viaggetto e dei bei costi di trasporto. Il risultato è che la qualità del latte non è certo superiore a quella delle stalle lombarde che, quantomeno, sono in grado di coprire maggiormente il fabbisogno alimentare con la propria produzione foraggera. Morale costi elevati, qualità del latte modesta. In definitiva latte 'da mozzarella' ma a costi non competitivi. Qualcosa non va.

Se poi si aggiungono i riconosciuti 'problemi gestionali' del caseificio...

 

Equivoci del Made in Italy

 

Esaminati questi aspetti, relativi alla materia prima della mozzarella trentina, con quale coraggio si può sostenere la superiorità della mozzarella 'di massa' provinciale, regionale o nazionale? Aveva senso approfittare della 'mozzarella blu' per rilanciare una campagna di nazionalismo alimentare? La cruda realtà si è incaricata di sbugiardare coloro che hanno lanciato la crociata contro la mozzarella tedesca: si sono ritrovati tra i piedi la 'mozzarella blu' trentina!

Un fatto che dovrebbe far riflettere sulla pochezza del 'nazionalismo alimentare'. Ma anche senza mozzarelle blu chi può sostenere che il latte delle 'fabbrichette' del latte trentine o delle 'fabbricone' padane (che arrivano a 1.000 e persino 2.000 vacche frisone) sia migliore di quello delle aziende contadine bavaresi con 40 Pezzate Rosse che producono la metà e che sono largamente alimentate con il pascolo?

Siamo poi sicuri che Made in Italy voglia dire 'materia prima italiana'? Come per la 'moda', dove di 'italiano'  spesso ci sono solo la griffe, anche per i formaggi gli industriali (con in prima fila il loro leader, Auricchio) sostengono che quello che conta non è la materia prima ma l'expertising. Del resto Auricchio di Made in Italy se ne intende avendo anche ricevuto il relativo Oscar.

Che senso ha combattere per la protezione del Made in Italy quando si conosce bene questa posizione dell'industria? E' disposta l'industria italiana ad accettare l'etichettatura del prodotto con la provenienza della materia prima? A rinunciare alle 'autotaroccature'?

 

Al produttore alpino (o di altre zone 'svantaggiate' non serve il Made in Italy'

 

Ai piccoli produttori di latte e di formaggi di montagna le Dop non sono state d'aiuto; sono servite ad allargare le aree di produzione, ad 'annacquare' i disciplinari. Sono servite all'industria. Lo stesso vale per il Made in Italy, una volta protetto e istituzionalizzato. Al di là delle ambiguità e del carattere strumentale della 'battaglia' in favore del Made in Italy una cosa è certa: il produttore di latte alpino (e i piccoli produttori in generale) non risolveranno i loro problemi con il 'Made in Italy'.

Ciò parrebbe contraddire l'impegno del sistema cooperativo (cha, dal Trentino al Veneto alla Valtellina) punta sui mercati 'emergenti'  (vedasi le spedizioni a Dubai dei trentini).  Ma siamo sicuri che tutto ciò non rischi di essere un diversivo (e un mezzo per 'mungere' altre risorse pubbliche)?

L'esigenza di 'ampliere i mercati' deriva dal fatto che i prodotti dei grandi caseifici cooperativi delle Alpi si solo allineati al gusto del consumatore 'medio' (prodotti a non lunga stagionatura, di gusto dolce ecc.) tanto da rendersi indistinguibili (non si dice 'ha un gusto 'piatto', 'anonimo', 'banale'?) da analoghe produzioni ancor più 'di massa' (e a prezzi inferiori). E' il risultato della cieca fiducia nelle strategie di marketing degli anni '80, quando il mercato, e il consumatore, erano ben diversi. Ma chi ha il coraggio ora di rimettere in discussione i complessi e costosi organismi produttivi e organizzativi messi in piedi? Di certo non il management e le sovrastrutture cooperative.

Il risultato è che i caseifici alpini sono costretti a vendere 'fuori', sul mercato regionale o nazionale,mentre l'enorme mercato turistico che, sia pure con fluttuazioni stagionali, è a 'portata di mano', è largamente 'coperto' da formaggi industriali importati da fuori. E' poco sfruttato anche il traino turistico che consentirebbe un consumo 'fuori zona' (ma attraverso canali qualificati quali rivendite specializzate, enoteche, ristorazione di un certo tipo) dei prodotti che il turista ha avuto modo di conoscere e apprezzare sul posto. In luogo di una produzione centralizzata e massificata, che ha mostrato il limite delle economie di scala e il peso delle rigidità gestionali, andrebbe incentivato il ritorno ai caseifici aziendali o di piccola dimensione. Che non sono costretti a produrre mozzarella (bianca o blu che sia).

 

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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