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La società di certificazione svizzera Bio Suisse precisa di avere sospeso "già mesi fa, la certificazione della ditta" in questione

La sede dell'azienda veronese dove sono state trovate quantità industriali del pericoloso pesticida Atrazina

 

(08.09.09)  

 

I Nas sequestrano ingenti quantitativi di atrazina (diserbante fuorilegge da 17 anni!) di provenienza spagnola. Necessarie norme più severe e maggiori controlli ma, soprattutto, una nuova etica della produzione agricola per andare 'oltre il biologico'

 

Pesticidi in nero persino nelle aziende 'biologiche'. Una questione morale?

 

di Michele Corti

 

Anche l'ultimo rapporto sulla presenza di pesticidi nelle acque dei fiumi italiani dell'Ispra (l'istituto per la protezione dell'ambiente) segnalava, oltre a concentrazioni al di sopra dei limiti di legge dei pesticidi 'legali' la presenza della famigerata atrazina. Quest'ultima è stata messa fuori legge in Italia nel lontano 1992 dopo incresciosi casi di inquinamento e chiusura di pozzi per il rifornimento dell'acqua potabile.  L'atrazina è considerata un potente distruttore endocrino e responsabile di determinate forme tumorali; una delle conseguenze del suo uso era stata la sparizione delle rane (dal momento che anche a bassa concentrazione determina il cambio di sesso delle rane maschio). La presenza dell'atrazina nelle acque, anche nei campioni di acque prelevati negli ultimi anni, era attribuita alla persistenza della molecola eall'uso di 'scorte di magazzino' da parte di commercianti e agricoltori senza scrupolo. Vi era però il dubbio che qualche delinquente (come chiamare chi avvelena consapevolmente la terra, le acque e gli esseri viventi, compresi i propri simili?) potesse ancora trafficare e utilizzare l'atrazina 'in nero'. Questi dubbi sono diventati certezza dopo diversi sequesti di atrazina da parte dei Nas lo scorso agosto. Quello più clamoroso ha riguardato l'azienda Bozzola SpA  una grande azienda da tempo convertita al bio delle valli veronesi e che si fregia di parecchi marchi certificatori come Biosuisse (fino a pochi mesi fa), Bios, Usda Nop, Certiquality .

Vediamo come si presenta l'azienda sul suo stesso sito:

 Da oltre 25 anni, la Bozzola S.p.a. coltiva con amore terreni nelle valli grandi Veronesi, una delle terre più fertili ed incontaminate della pianura Padana .Dalla coltivazione con sistemi tradizionali l’azienda ha rapidamente trasformato il metodo in Biologico in applicazione del Reg. CEE 2092/91.L’azienda, oltre alla produzione agricola, ha in dotazione i più moderni sistemi di conservazione e stoccaggio dei prodotti, al fine di garantire la massima qualità ed il rispetto della rintracciabilità. La Bozzola S.p.a. opera sul mercato Nazionale e, negli ultimi anni, grazie alla tenacia e alla dedizione del Sig. Bozzola Franco, è riuscita ad imporsi per serietà e qualità delle materie prime anche in Europa. L’azienda ha certificato il suo sistema di qualità secondo i requisiti della norma UNI EN ISO 9001:2000  con Certiquality ed è certificata per la produzione e commercializzazione di cereali e semi oleosi biologici con la Bios di Marostica, rispettando i principi della norma Uni 10939:01. Da due anni, inoltre, è certificata per la commercializzazione di prodotti NOP (National organic programme) e Biosuisse


Capito cosa servono tutte queste certificazioni e norme Uni, Iso e chi più ne ha ne metta? Certificare costa, così si ingrassano i certificatori e le aziende in grado di pagare che si 'danno una bella immagine' (ma che se sono senza scrupoli continuano ad operare senza responsabilità come prima o peggio di prima) . Un altro modo per emarginare i piccoli produttori, i contadini, i 'biologici puri e duri'.

 

Ma torniamo ai fatti.  Un magazzino di quest'azienda è stato controllato dai carabinieri del NAS di Padova che il giorno 28 agosto hanno fatto sapere ai giornali di aver scoperto, proprio lì, oltre 10 tonnellate di prodotti fitosanitari a base di atrazina e 820 litri di altri prodotti fitosanitari classificati come nocivi e non dichiarati nei registri previsti dalla legge. Chissà come farà a giustificarsi l'azienda per la persenza di tutto cio? A parte le risposte che l'azienda Bozzola dovrà fornire ai magistrati crediamo che l'incresciosa faccenda faccia riflettere un po' tutti nel mondo del biologico. Che vi siano aziende bio che usano pesticidi in nero è voce che circola da tempo tra i tecnici del settore. La normativa che consente ad un'azienda di essere double face (un po' bio e un po' convenzionale) non aiuta (a parte che ci sono aziende che si sono surrettiziamente sdoppiate: un famigliare si intesta l'azienda bio, l'altro quella 'convenzionale').  Probabilmente, però, se non c'è alle spalle un'etica della produzione agricola non ci sarà mai nulla da fare e 'fatta la legge, fatto l'inganno'. Il fatto è che il movimento del biologico si è lasciato prendere parecchio la mano dalla crescita delle superfici, dei fatturati, dalle quote di mercato.

 

Quando si parla di 'biologico industriale' (vedi il capitolo con questo titolo dell'ottimo libro di Michael Pollan, Il dilemma dell'onnivoro, Adelphi, 2008) qualcuno potrebbe pensare che si vuol fare del moralismo, condannare il biologico allo stadio infantile, pre-imprenditoriale. Non necessariamente. Intanto va detto che l'analisi di Pollan riguarda gli Usa dove vi sono enormi catene di grande distribuzione 'bio' e aziende agricole di migliaia di ettari che producono l'insalatina confezionata che finisce nei supermercati di tutto il paese. Quindi da noi le cose sono un po' diverse; l'analisi e le considerazioni di Pollan però, anche se non trasponibili in toto devono far riflettere. Sappiamo - anche perché ci sono studi in proposito - che negli anni del boom (intorno al 2000) il bio si è espanso per l'entrata di tanti nuovi operatori che erano motivati dalla voglia di profitto e basta e, al massimo, da quella di confrontarsi con una nuova sfida tecnico-economica (questione di ego e di prestigio, evidentemente).

Al di là di tante considerazioni anche noi come Pollan sosteniamo che il biologico (anche quello industriale) contribuisce in misura efficace a ridurre gli impatti ambientali dell'agricoltura contemporanea grazie ad una riduzione dell'uso complessivo di pesticidi e concimi chimici. Detto questo, però, il futuro dell'agricoltura non può essere legato a sistemi produttivi solo un po' meno insostenibili (nell'agricoltura bio non dimentichiamoci che si usa più gasolio per via delle maggiori lavorazioni meccaniche).

 

Bisogna andare 'oltre il biologico' ovvero verso l'affermazioni di comparti di agricoltura molto più in linea con criteri elevati di rispetto ambientale, benessere animale, biodiversità, equità sociale, rispetto dei saperi indigeni e tradizionali. L'agricoltura bio ha per principio l'uso di varietà autoctone, 'rustiche' ecc. ma poi si coltivano le mele Golden belle grosse (indistinguibili da quelle chimiche) e, nelle stalle che producono latte bio, c'è la solita Frisona-macchina-da-latte.  Di più i pastori e i contadini sono 'tagliati fuori' dal biologico (che quasi sempre è caratterizzato da aziende mediamente più grandi di quelle convenzionali con il medesimo indirizzo produttivo). Il pastore che utilizza pascoli di proprietà pubblica semi-naturali non potrà mai certificare bio ma sappiamo tutti che è solo quel latte e quella carne, ottenuti su pascoli lontani da fonti di inquinamento e senza l'utilizzo di mangimi, che sono realmente 'bio'.

 

Quello che va chiesto con forza è quindi il riconoscimento - dopo quello dell'agricoltura biologica - di una nuova agricoltura basata sulla piccola scala, la policoltura, le tecniche artigianali di trasformazione, il rispetto certo e rigoroso (ma non amministrativo-burocratico) di criteri ecologici e di equità.  Se usi una varietà di piante o una razza animale da 'agricoltura contadina' a bassa produttività sei certo che a nessuno converrà rimpinzarlo di pesticidi, concimi chimici, mangimi, antibiotici. Per questa nuova agricoltura (da non scambiarsi con un'agricoltura 'primitiva') devono poter valere regole e adempimenti diversi dall'agricoltura così come si è venuta configurando nell'era delle commodities. Questa agricoltura deve poter contare su un a visibilità  presso il consumatore (anche se poi il rapporto personale con il singolo consumatore o con un Gas conta forse di più); dovrà contare su specifici sostegni da parte delle istituzioni pubbliche  (non tanto in termini monetari e tantomeno in termini di quei contributi a superficie o a capo o a ettaro che tanto hanno contribuito a far degenerare l'agricoltura 'imprenditoriale') .

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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