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(13.05.10) La razionalità apparente del mercato globale e della burocratizzazione

 

Quando il vitello ha un valore negativo lo si uccide subito con una martellata e ... sparisce

 

di Michele Corti

 

Una serie di meccanismi perversi (mercato globale, burocrazia, iperspecializzazione produttiva) condanna al 'valore di mercato negativo' alcune produzioni accessorie. Ma quando il prodotto 'condannato' è un animale, un essere vivente, questa perversione diventa eticamente inaccettabile e mette a nudo le crudeli contraddizioni e le ipocrisie della nostra società

 

Viviamo nell'abbondanza di prodotti a buon mercato. Un'abbondanza ottenuta in verità a caro prezzo, in forza dello sperpero di risorse non rinnovabili, perdita di fertilità dei terreni, distruzione di biodiversità. A spese delle generazioni future e delle altre specie viventi che popolano il pianeta.

Negli Usa metà del cibo è buttato, in GB un terzo, in Italia si dice che siamo comunque al di sopra del 20%. Il pane stesso che nessuno avrebbe osato gettare in pattumiera (per timore di commettere un grave peccato e violare un tabù) oggi finisce tra i rifiuti in quantità enormi. All'ora di chiusura dei supermercati i banchi di vendita devono essere ancora colmi altrimenti nessuno compra più perché lo scaffale semivuoto comunica al 'consumatore' la non 'freschezza del prodotto'. Colpa del supermercato o del 'consumatore'? Molto del pane acquistato finisce anc'esso tra i rifiuti.

 

Lo scandalo degli annutoli

 

Se però è un animale, un essere vivente, che diventa un rifiuto la cosa diventa ancora più carica di implicazioni etiche. Negli USA è da decenni che i vitelli maschi della Jersey, una razza da latte ancora meno carnosa della Frisona, vengono eliminati appena nati. Un fatto spiegabile con la disponibilità di enormi allevamenti di razze da carne in quel paese. Pareva impossibile che da noi si arrivasse a questi sprechi, invece ...

In aprile in Campania (in provincia di Caserta per la precisione) sono state rinvenute in più siti carcasse di bufalotti, in alcuni casi gli animali erano ancora vivi segno di sistemi di uccisione molto sbrigativi  e dolorosi. Finiti in discariche più o meno abusive i bufali  smaltiti clandestimamente hanno riportato l'attenzione sul drammatico problema dell'inquinamento delle acque e dei terreni derivante da un gestione selvaggia dei rifiuti in quella regione.

Il problema, però, è legato alla drammatica perdita di valore che subiscono alcuni prodotti agricoli e dell'allevamento in un mercato dove le produzioni locali risultano svilite dalla disponibilità di prodotti di ogni tipo e qualità provenienti da ogni dove.

Ingiustamente poco apprezzata dal consumatore (che non ne riconosce le proprietà nutrizionali e salutistiche) la carne di bufalo sconta accrescimenti più lenti (e quindi costi più elevati) rispetto alla carne bovina.

 

Il mercato globale e i macellai sempre più 'esigenti'

 

Il macellaio che ritira i capi è solo l'ultimo anello di una catena. La sua scarsa disponibilità a remunerare gli allevatori dipende dalla possibilità di rifornirsi di bestiame vivo e morto da svariate provenienze a costi concorrenziali ma anche dai costi e dalla concorrenza che egli stesso deve sostenere. Considerazioni simili valgono per chi acquista l'animale per ingrassarlo.

Intanto va detto che a contibuire alla riduzione del ricavo dalla vendita di animali da destinare al macello  ha contribuito la drastica contrazione del numero di macelli imposta dall'euroburocrazia. I piccoli macelli a 'capacità limitata', cui erano richiesti requisiti igienico-sanitari 'semplificati' (e che erano ammessi sino a pochissimi anni fa), hanno dovuto chiudere. Ora il macello commerciale, per quanto piccolo, è sottoposto alle stesse regole dei grandi macelli industriali. E' la logica perversa di schiacciamento delle piccole unità produttive che vale per i caseifici e per tutte le altri laboratori di trasformazione alimentare.

Una logica imposta da paesi che hanno 1-2  grandi imprese di macellazione e hanno saputo fare valere la loro egemonia nell'Europa agricola. Meno macelli =  costi di trasporto più elevati anche perché, al di là di una distanza minima (meno di 50 km), diventa indispensabile, anche per trasportare un solo capo, l'utilizzo di mezzi autorizzati appositi, disinfettati ecc.

 In teoria è possibile anche realizzare un macello aziendale ma  gli adempimenti e le prescrizioni sono pesanti e il costo diventa insostenibile per la maggior parte delle aziende zootecniche. Bisogna poi essere in grado di commercializzare la carne fresca o trasformata.

 

Razze super lattifere = vitelli che valgono meno di zero

 

La perdita di valore che interessa tutte le categorie di vitelli (che non siano di razze espressamente da carne), porta quelli delle razze specializzate da latte ad assumere un valore negativo. Non è solo la Frisona a soffrirne ma anche la Brown swiss (bruna Italiana) i cui vitelli sono a volte pagati dai macellai ancora meno di quelli della Frisona. La Brown swiss ha sostituito la vecchia Bruna alpina in molte zone delle Alpi dove questa razze era molto diffusa (Lombardia, Piemonte nord-orientale ma anche Trentino e montagna veneta).

La riduzione della fertilità e della longevità dei capi ha determinato anche in montagna la necessità di un'elevata rimonta. Non ci si può pertanto permettere il lusso di fecondare le vacche da latte con tori da carne (di solito ricorrendo alla fecondazione artificiale) perché diventa indispensabile allevare tutte le vitelle che nascono.

Ma i maschi continuano a nascere. E rappresentano un guaio: una dfemmina da allevare in meno, un capo che vale meno di zero da gestire.

La tecnologia ha così messo a disposizione degli allevatori il seme 'sessato' ma questo rimedio ad un problema di fertilità e di longevità scandalosamente basse (determinate da  una irresponsabile selezione per le super produzioni di latte) rischia di essere  peggiore del male. Intanto il sessaggio è una tecnologia complessa (il materiale viene 'trattato' in Inghilterra). La razza Bruna poi, che già soffre per la mancanza di differenziazione di linee di parentela separate, con l'uso di pochi tori sessati rischia di procedere ancora più velocemente verso la consanguinetità. Si aggiunga che la fertilità con il seme sessato è più bassa e che in almeno 1 caso su 10 il sesso del nato è 'sbagliato'. Il seme 'sessato' richiede poi manipolazioni molto attente e costa 60€. Un business per qualcuno, non certo per la maggior parte degli allevatori.

Va anche detto che in montagna, anche a prescindere dai costi, è sempre più difficile trovare chi pratica la fecondazione artificiale e c'è un discreto ritorno all'uso della monta naturale che migliora un po' la fertilità. Niente 'fiale' di tori da carne, quindi, niente 'fiale' sessate e la certezza che nasceranno non desiderati vitelli maschi di razza da latte.

Vitelli che il macellaio paga 50€, molto meno di quello che costa il 'latte in polvere' per nutrirli. Succede così che, dalla disperazione, qualche allevatore arrivi a 'togliersi il pensiero' e a uccidere il vitello alla nascita a martellate. Poi la carcassa sparisce.

La morale è che, con tutto il castello di norme  su: anagrafe del bestiame, smaltimento delle carcasse, trasporti, macellazione (costruito con poca o nulla volontà di adattarlo alla montagna e alle piccole aziende) ... si arriva alla regressione a pratiche del tutto fuori legge e fuori controllo.

 

La razionalità solo apparente delle filiere lunghe e dell'iperburocrazia

 

L'iperburocrazia, che dietro le motivazioni igieniche tende a imporre la scomparsa della produzione su piccola scala, agisce di conserva con i meccanismi dell'industria alimentare e della grande distribuzione.

 Il vicino di casa dell'allevatore che arriva a eliminare a martellate il vitellino e a farlo sparire va a rifornirsi in un centro commerciale a decine di km di distanza acquistando carne di qualità spesso scadente. Apparentemente la paga poco. Ma consuma benzina e spreca tempo girovagando tra i labirinti degli ipermercati, utilizza un prodotto che può presentare risvolti non positivi per la propria salute, alimenta filiere lunghe caratterizzate da tanti aspetti poco sostenibili.

Produrre in modo 'artigianale' carne per un mercato così strutturato è impossibile, specie in montagna. Ma produrre per una filera corta (una volta risolto il nodo della macellazione) può essere una soluzione. L'ingrasso è improponibile se, alla fine, si deve vendere il capo al macellaio, ma se è un gruppo d'acquisto che alimenta una piccola filiera locale i termini economici possono ribaltarsi. E allora anche un accrescimento relativamente lento, utilizzando fieno e erba di pascolo può essere possibile (specie se i consumatori/coproduttori imparano a riconoscere le caratteristiche di una carne così prodotta e ad utilizzarla in modo appropriato).

 

 

 

 

 

 

 

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