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                    Inforegioni/Potenziare lo sci non basta 

 

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 Comunicato di Legambiente Lecco

 sul progetto di potenziamento del comprensorio sciistico Val Brembana Valsassina

La croce di Maria Rosa (foto M. Corti) fanciulla d'anni 11 colpita dal fulmine il 10 luglio 1874. E' l'unica testimonianza storica ai Piani di Bobbio, salvatasi come un naufrago sullo scoglio dall'azione degli escavatori alla fine degli anni '90 (vedi sotto  le foto, speditemi da Pierfranco Mastalli, tratte dall'opuscolo 'Maria Rosa 1874' di Martino Gargenti che testimoniano l' 'impatto' dei lavori per la realizzazione dei nuovi impianti sciistici)

 

(24.02.10) Tre accordi di programma peraltrettanti comprensori sciistici lombardi  (per 61 milioni di €) rilanciano il dibattito sui modelli di turismo sostenibile per la montagna lombarda e del non inossidabile 'ruolo trainante' della pratica sciistica

Nuovi investimenti nei comprensori sciistici lombardi. Ma con quale strategia turistica complessiva delle destinazioni? 

 

Di fronte alle prospettive di un riscaldamento climatico nuovi investimenti nelle stazioni sudalpine sotto i 2000 m sono giustificabili sono se inseriti in azioni coordinate per promuovere altri elementi di attrattività: in primis gli aspetti legati all' enogastronomia, al turismo culturale, alla ruralità

 

Tra i progetti di rilancio di alcuni compensori sciistici lombardi quello più importante riguarda l'alta Val Brembana e  la Valsassina. Gli interventi prevedono un costo totale di 25.350.000 €; dalla Regione Lombardia sono attesi 5.910.000 €, gli altri dagli enti che sostengono l'accordo: la Comunità Montanadi Valle Brembana, le Province di Bergamo e di Lecco, i Comuni interessati e delle società gestori e/o proprietarie degli impianti sciistici bergamaschi e lecchesi. Tutti sostengono che 'il grosso devono metterlo i privati'. Intanto, però, la mano pubblica interviene pesantemente.

Si tratta di interventi che contemplano la realizzazione di parcheggi (da parecchio in progetto quello multipiano di Barzio) e l'ammodernamento degli impianti esistenti, ma anche la realizzazione di nuovi impianti di risalita e di invasi e impianti per la neve artificiale. Ha sollevato forti critiche da parte di Legmbiente e WWF il progettato tunnel di collegamento (50 m ?, 1,5 milioni di €) tra i Piani di Bobbio e quelli di Artavaggio (trattasi di luoghi di rilevante valenza ambientale e paesistica anche se il Sindaco di Cremeno si è affrettato a dire che il tunnel servirà anche per le MTB e gli escursionisti estivi).

Artavaggio, dopo la crisi degli anni '90 (quando la neve cominciava a scarseggiare), ha risentito della chiusura della funivia (dal 2000 al 2006) ed ora i Piani sono dotati solo di piccoli impianti (tapis roulant) ma senza collegamento con Bobbio nuovi impianti non sarebbero giustificati.

Il comune di Barzio, già impegnato nel potenziamento degli impianti di Bobbio, ha però gettato acqua sul fuoco dicendo che il tunnel non rappresenta una priorità.

 

Accanimento terapeutico o strategia di transizione?

 

La realizzazione della nuova strada che collega Lecco alla Valsassina e gli effetti della crisi (con il ritorno in auge di destinazioni a breve raggio) danno ossigeno al comprensorio sciistico dei Piani di Bobbio. Nessuno si può nascondere il fatto, però, che qualche anno di buone precipitazioni nevose non significa certo una inversione di tendenza nel trend climatico. Gli scenari da qui ai prossimi decenni contemplano situazioni difficili per le stazioni sciistiche a Sud delle Alpi. Sotto i 1.500 m nessuno è così pazzo da investire, sopra i 2.000 le prospettive sono buone (diminuiscono le stazioni concorrenti). Nella fascia tra 1.500 e 2.000 (è il nostro caso) gli investimenti vanno giustificati con concomitanti interventi in termini di diversificazione.

Alle quote intermedie i cannoni per la neve artificiale saranno messi più frequentemente in condizioni di non funzionare a causa delle temperature elevate e, l' innevamento naturale o artificiale sarà sempre più a rischio di pioggia. In ogni caso il periodo con accettabile manto nevoso tenderà a ridursi. Gli investimenti nell'ammodernamento e nel miglioramento degli standard di sicurezza - per non parlare degli impianti di innevamento artificiale che utilizzano grandi quantità di acqua - possono essere 'sostenibili' solo se inseriti in una strategia di transizione che preveda il graduale affiancamento al turismo della neve di altri motivi di interesse e servizi. Strategia di 'svezzamento' sì, di accanimento terapeutico no.

Non è solo una questione di cambiamento climatico. Il turismo della neve è un segmento maturo, rivitalizzato temporaneamente dalle ultime stagioni con buone precipitazioni (ma non sarà per l'effetto del 'godiamoci le ultime annate con la neve prima che sia tardi'?).

Una recente ricerca condotta dal CISET sul turismo invernale nelle Alpi italiane  ha rilevato come nella stagione invernale la pratica sciistica non rappresenti più oggi la motivazione principale per recarsi in montagna. Se il 51,8% dei turisti raggiunge le località alpine italiane per sciare, il 48,1% anche in inverno lo fa per praticare altre attività come 'rilassarsi'.

Pur rappresentando ancora il core business del turismo invernale della maggior parte delle località alpine l'industria della neve non è certo quella che offre un elevato grado di ricaduta e degli investimenti e della spesa corrente dei turisti sull'economia locale. Impianti realizzati a Bolzano, attrezzature sportive prodotte in Austria e Francia ecc. Il turismo delle neve di prossimità' significa anche che lo sciatore si porta il panino da casa.

Stimolati dalle avvisaglie della 'crisi di innevamento' molte destinazioni turistiche competitive hanno iniziato negli ultimi anni a proporre formule di turismo invernale 'alternative' basate sul benessere, l'enogastronomia, il turismo culturale, le attività sportive soft all'aria aperta.

Dove il rapporto posti letto in strutture alberghiere  e in seconde case è elevato la necessità di offrire proposte di qualità è ovviamente più forte. In Valsassina il turismo è basato in larghissima misura sulla seconda casa. In assenza di un forte settore alberghiero gli stimoli a diversificare e qualificare l'offerta turistica sono meno sentiti, meno immediati. Sono le case vuote, difficili da vendere e ancor più da affittare che spingono a fare qualcosa per ridare valore al 'mattone'.  Ma se si pensa di agire sul solo fronte dello sci per risolvere il problema però non si fa altro che ritardare una crisi più grave e profonda.  Anche perché altre destinazioni non stanno con le mani in mano.

 

Moggio: costruzioni di modesta  qualità (che 'scacciano' il turismo pregiato e quello 'consapevole')  nei pressi della stazione di partenza della funivia per i Piani di Artavaggio

 

Non basta fare nuove piste

Mario Cotelli è intervenuto sulla 'Gazzetta di Lecco' del 20.02.2010 dichiarando che senza servizi i finanziamenti per le piste ecc. sono soldi buttati,  perché a contare non sono tanto gli impianti quanto i servizi offerti per il dopo sci ( ristoranti, centri benessere, musei ecc.) e nel periodo estivo, quando il verde e il fresco della Valsassina rappresentano ancora una attrazione - ma che non può essere l'unica - per chi si ferma a soggiornare. Oggi in Valsassina la qualità della ristorazione lascia a desiderare (se va bene si mangia simil-valtellinese) e difficilmente può interessare i gastronauti, turisti esigenti ma non necessariamente alla ricerca di locali lussuosi e dispendiosi.  Sia il gastronauta (che si orienta principalmente - se non esclusivamente - in base all'offerta di prodotti tipici e della ristorazione), che il turista interessato alla componente gastronomica quale 'ingrediente' del viaggio non hanno molti motivi di venire in Valsassina.

 

Un territorio ricco di culture pastorali e casearie

 

Eppure le specialità non mancano (Bitto storico in Varrone, Camisolo all'omonima alpe, formaggi di capra Orobica in alta valle, stracchini quadri di Biandino e di diversi altri alpeggi, strachitunt del mitico Guglielmo Locatelli ai Piani di Artavaggio, sì quelli dove si vuole rilanciare lo sci!). Peccato che la produzione casearia artigianale sia molto limitata (e poco valorizzata commercialmente e gastronomicamente). Peccato che parecchi alpeggi siano sottocaricati,  che il 'Parco dei bergamini e della civiltà degli stracchini' tra Valsassina, Val Taleggio e Valle Imagna resti a livello di aspirazione. La Valsassina (con i territori limitrofi bergamaschi), con i suoi Piani utilizzati per l'alpeggio, le grotte per la stagionatura naturale dei formaggi, la cultura dei bergamini transumanti, la parrocchia 'nomade' della Colmine di San Pietro (rimane la bella chiesa ma la parrocchia non c'è più dal 1972), rappresenta un territorio dove le culture pastorali e casearie hanno conosciuto uno sviluppo senza paragoni degno, per l'appunto, della creazione di un 'Parco ecoculturale'. Basti dire che dalla Valsassina, seguendo le rotte della transumanza (giù lungo Adda e serio ma, soprattutto, verso la valle del Ticino), si sono travasate nella pianura tecniche e culture dell'allevamento e del caseificio che hanno dato un impulso decisivo all'economia zoocasearia lombarda. Venivano da qui quelli che erano i titolari dei gloriosi marchi caseari lombardi ed italiani  ceduti alle multinazionali negli anni '80 : gli Invernizzi, i Locatelli, i Galbani. L'immagine della Valsassina (e della Val Taleggio) sono utilizzate per dare un blasone (non meritato) a tanto prodotto industriale ma su di esse non si è costruita una filiera agro-turistico-culturale, per la quale ci sarebbero tutti i requisiti.

La creazione del 'distretto culturale' in Valsassina può rappresentare una occasione per puntare anche sui questi valori. Valori che hanno una immediata rispondenza  in termini turistici, e non solo dal punto di vista gastronomico. Percorrere la dorsale orobica lecchese (chiamata anche 'La via del latte', ma quanti lo sanno?) consente di fare un viaggio nella storia e nella scoperta di quei prodotti che sono rimasti uguali all'archetipo (di quelli che sono gli attuali Gorgonzola e Taleggio per esempio) transitando per luoghi ricchi di storia. Luoghi che testimoniano dei traffici del passato, quando i tracciati non seguivano i fondovalle, dell'attività delle miniere di ferro, del culto  legato alla pratica pastorale - come a San Pietro ma anche alla Madonna della Neve di Biandino. E' un turismo che va incentivato promuovendo forme di ospitalità innovative, attività didattiche ed educative, feste dell'alpeggio, eventi rievocativi come il rilancio della grande kermesse che si teneva ai SS. Pietro e Paolo alla Colmine e che richiamava gente, che saliva a piedi, sin da Lecco (in questa occasione  veniva fatto il prezzo degli stracchini, si siglavano accordi di compravendita e di trasporto del formaggio, si stabilivano nuovi contratti per gli alpeggi ecc.). Turismo che non fa girare grandi fatturati ma che moltiplica le ricadute della spesa turistica sull'economia locale (laddove l'industria della neve le demoltiplica facendo fluire lontano una parte consistente dei profitti).

 

 

Salvaguardare i valori ambientali, storici e paesaggistici

 

Torniamo, prima di concludere,  allo sci per richiamare la necessità che questo 'fulcro' dell'industria turistica  (almeno ancora per un po' di anni) non provochi impatti negativi su quelle altre componenti (ambientali, storiche, paesaggistiche) del turismo montano. L'impatto degli impianti da sci sul paesaggio estivo della montagna - già compromesso da onnipresenti elettrodotti - non è lieve. Anche certa architettura 'sciistica' e 'rifugistica' non contribuisce alle 'valenze paesistiche'. Ma il paesaggio è ricchezza, è capitale turistico (altre regioni e provincie autonome lo dimostrano ad ogni stagione estiva ed invernale).

Ai Piani di Bobbio la realizzazione di piste e impianti sciistici ha cancellato anche le memorie oltre a scarnificare i pascoli (che, dopo il ripristino,  hanno per anni fornito foraggio scadente).

Non può non attirare l'attenzione del visitatore l'unico elemento che ricollega il presente ad una densa storia umana dei secoli passati: la croce di Maria Rosa. Essa è il simbolo di un passato sommerso, cancellato. Eretta su un masso, nei pressi del punto in cui la bambina fu uccisa dal fulmine il 10 luglio 1874, la croce in ferro battuto è rimasta come un naufrago su uno scoglio. Tutt'intorno, come testimonia la foto in alto a sinistra, gli escavatori hanno spianato. Non erano pochi i segni del passato: massi e cippi di confine che segnavano quello che non era solo il confine tra il pascolo di Barzio e quello di Valtorta ma anche quello tra Milano e Venezia. Stati che vennero coinvolti dalle contese (anche con spargimento di sangue) tra i bergamini 'milanesi' e 'bergamaschi' che utilizzavano i ricchi pascoli di Bobbio (siamo nel '700).

Vicende che ci raccomandano che la monocoltura della neve non deve essere invasiva. Non lo diciamo solo per 'romanticismo' ma anche per quei motivi economici che abbiamo indicato e che troppo spesso sono sottovalutati, anche a livello locale, per la prevalenza di interessi consolidati o anche per semplice chiusura a tutto quello che suona meno che scontato o meno  solido del calcestruzzo.

 

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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