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Commenti/ Biogas: una trappola

 

 

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Galan inaugura un impianto a biogas 'agricolo'

 

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Il biogas è una trappola per l'agricoltura

 

Ora non lo dicono solo i talebani

 

di Michele Corti

 

All'interno del mondo agricolo  le componenti meno appiattite e subalterne all'industria e alla Confindustria si stanno accorgendo che il biogas è un'insidia pericolosa per  l'agricoltura in generale. C'è ancora tempo per indurre le regioni a tirare il freno delle autorizzazioni e dei finanziamenti  concessi in modo scondierato dalle Regioni. Ora vi sono aziende che rischiano di chiudere perché il mercato degli affitti è drogato dalla corsa alla produzione di silomais da 'digerire

 

Il biogas non ha nulla a che fare con l'ecologia. É solo un meccanismo per produrre profitti speculativi  approfittando di una situazione di incentivi anomali per le 'rinnovabili' in generale che non hanno alcuna possibilità di essere mantenuti nel medio-lungo periodo. É però anche un meccanismo pericoloso che mette in ginocchio l'agricoltura. L'Italia deve rimontare il ritardo nel raggiungimento degli obiettivi in materia di energie rinnovabili entro il 2020 e ha spinto in modo sconsiderato su esenzioni fiscali e 'certificati verdi' scatenando una vera e propria frenesia speculativa. Quanto la redditività sia legata al quadro legislativo lo ha dimostrato la legge 'finanziaria' del 2010 che sembrava volesse eliminare l'obbligo per il GSE, il Gestore dei servizi energetici, di riacquistare i 'certificati verdi' in eccesso. Poi un 'provvidenziale' emendamento  - che dimostra quale forza abbia acquisito la lobby delle 'rinnovabili' - ha ripristinato l'obbligo del ritiro a prezzo non scontato dei 'certificati verdi' (autore il Sen. Azzolini).

 

 

Nel 2011, però, la spesa per l’acquisto di certificati verdi dovrà essere del 30% inferiore rispetto a quella del 2010. L’80% della riduzione deve inoltre derivare dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso. Qualche segnale che il bengodi non proseguirà così a lungo c'è già

 

Un business per chi?

 

Per gli interessi che girano intorno al business del biogas ci sono già campanelli d'allarme. Diventerebbe più difficile senza la certezza delle super-sovvensioni - pagate, non va mai dimenticato, con le bollette più care d'Europa da parte dei consumatori-sudditi - convincere gli agricoltori a creare 'parchi solari' o impianti a biogas se non c'è la certezza che al titolare dell'impianto possono disporre per 15 anni di certificati verdi' con 'mercato' (si fa per dire) sicuro.

Ma intanto i contributi a fondo perduto delle regioni (30% in regione Lombardia) ci sono ancora e il business 'tira'. Ma per chi? Per l'industria e vediamo come.

 

L'impulso al biogas 'agricolo' era venuto con la finanziaria del 2008 che prevedeva - per gli impianti autorizzati a partire dal 2008 -  un nuovo certificato verde 'agricolo' per la produzione di energia elettrica con impianti alimentati da biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ivi inclusi i sottoprodotti (residui delle colture, ramaglie e potature, liquami zootecnici, etc.) in cui i prodotti devono essere ricavati entro un raggio di 70 chilometri dall’impianto che li utilizza per produrre energia elettrica. Il certificato verde 'agricolo' è un certificato verde 'potenziato' con un coefficiente di 1,8.

Ma per i 'piccoli' (alla faccia!) impianti di potenza elettrica non superiore ad 1 MW, il produttore può optare  per una tariffa omnicomprensiva (di prezzo energia e certificato verde) che è quella che ha di atto incentivato il business. La tariffa onnicomoprensiva equivale a ben 28 cent/kWh. Nonostante qualche segnale di futuri ridimensionamenti del business degli incentivi  la spinta al biogas è ancora fortissima. E le banche, di solito 'stitiche', in questo caso allargano i cordoni del credito con sospetta 'generosità'.

 

 

Il biogas è stato presentato come un'ancora di salvezza per le aziende agricole alle prese con redditività in calo. Un calo che è determinato da un'integrazione sempre più stretta e subalterna nelle filiere industriali e che alcune aziende hanno contrastato deintensificando, deindustrializzando la produzione agro-zootecnica, cercando vie di approvvigionamento dei fattori di produzione all'interno dell'azienda e sbocchi al di fuori del sistema dell'industria.

Il biogas promette di sfruttare anch'esso le prospettive della multifunzionalità e delle filiere corte ma ... acquistando impianti e tecnologia dell'industria e ... vendendo alle società elettriche l'energia. Il fatto è che gli industriali non sono fessi e a questo punto il biogas se lo fanno in proprio. Così si scatena la corsa alla ricerca di terreni in affitto per produrre insilato di mais da 'digerire. I profitti speculativi ottenibili con i 'certificati verdi' fanno sì che 'i signori del biogas' possano offrire cifre spropositate. Tanto i costi sono riversati sugli utenti dell'enegia elettrica. E così il consumatore viene spennato per rovinare gli agricoltori . E così si produce energia a costi cinque volte quelli dell'energia termoelettrica. Sì ma è 'pulita'! Manco per niente. Oltre a risparmiare solo una frazione di energia fossile la produzione in monocoltura del silomais ha impatti pesantissimi sul terreno, sulle acque superficiali, sulle acque di falda.

 

Speciale dell'Informatore zootecnico sul biogas

 

Piazzisti mascherati da 'tecnici', 'consulenti', 'esperti'.

 

Nella promozione commerciale degli impianti di biogas si sono distinte le riviste 'tecniche' dell'Edagricole. Questa casa editrice agricola  da tempo è stata acquisita dal gruppo editoriale della Confindustria. Ma non sono state da meno  quelle delle organizzazioni agricole e allevatoriali e le 'istituzioni' che hanno organizzato innumerevoli convegni e iniziative di ogni tipo per 'promuovere' presso gli agricoltori la 'soluzione' biogas, presentata come un'opportunità percontrastare il declino di redditività delle imprese agricole. La  'soluzione' proposta dai pifferai magici  impone forti investimenti in impianti e tecnologie industriali e la vendita dell'energia alle società del settore. Un modo per legarsi ancora più strettamente all'industria.

La via agroenergetica viene presentata in technicolor mentre quella dell'agricoltura e della zootecnia 'convenzionali' a tinte fosche (più nero che bianco, nonostante si parli per lo più di latte). Un anno fa (25 gennaio 2010) sul Corriere della Sera ('classico' portavoce degli interessi forti industrial-finanziari ) era apparso un articolo che ben rappresenta gli argomenti dei piazzisti del biogas. Viene intervistato un allevatore di Soresina (Cr):

 

"Con cinquanta tonnellate al giorno di biomasse vegetali, mais insilato, e in parte sorgo e frumento, Marco Pizzamiglio produce energia elettrica civile sufficiente a soddisfare il fabbisogno di 4.000 persone. «Con il mio impianto vendo energia elettrica - ha spiegato l' allevatore -. E poi cedo tutto al gestore dei servizi elettrici». Una scelta quella dell' agricoltore dettata da un futuro grigio. Il settore agricolo langue: «Basti vedere quanto viene pagato il prezzo del latte. Gli agricoltori sono molto penalizzati. L' ho fatto per il reddito, l'azienda non rendeva più. Ho capito che era il momento giusto per produrre energia. Mi sono reso conto che era impossibile fare solo agricoltura tradizionale o produrre solamente latte». Ed ecco la svolta: l' allevatore si è buttato sulle biomasse. «Perché l' ho fatto? È una svolta risolutiva, mi permette di mantenere le mie mucche senza l' assillo di continuare a dire chiudo, perché gli industriali non pagano il latte. Ora guardo avanti senza timori e vedo finalmente la luce in fondo al tunnel. E' stata una scelta meditata, ma felice»".

 

 

Biogas agricolo? Non scherziamo: è anti-agricolo

 

É triste che questa storia sia ambientata proprio a Soresina, al centro di un distretto lattiero 'storico' con la famosa Latteria Sociale. Possibile che nemmeno qui si sappiano trovare strade nuove per mantenere vitale l'economia zoocasearia?

Intanto la Coldiretti lancia l'allarme ed è lo stesso 'Agrisole' (supplemento del Confindustriale 24 ore) che in un articolo dei primi di novembre (vai all'articolo) riprende il grido di dolore ella Coldiretti: 'Affitti d'oro con il biogas aziende agricole cremonesi a rischio chiusura'.  

"l’avanzata di grandi impianti industriali rispetto a quelli medio-piccoli che affiancano l’attività agricola – spiega sempre Coldiretti Lombardia – sta generando una bolla speculativa sugli affitti dei terreni destinati al mais e alla segale usati come carburante energetico piuttosto che come foraggio per gli animali, facendo schizzare i valori da 500 euro a oltre 1.000 euro all’ettaro». Simone Solfanelli, direttore di Coldiretti Cremona, rileva addirittura picchi di 1.500 euro a ettaro e dà le stime delle superfici monopolizzate dal biogas in provincia: se ogni impianto di biogas si mangia circa 200-300 ettari coltivati a mais si arriva a un totale di quasi 25mila ettari destinati a usi energetici su un totale di quasi 54mila ettari investiti solo a mais. Questa crescita può avere un effetto stabilizzante sul mercato fondiario".

Ma fino a che punto è lecito considerare 'agricoli' gli impianti industriali da 999kW (ovvero al di sotto di un pelo di 1MW)? É evidente che le istituzioni e gli organi 'tecnici' hanno delle sepsse fette di salame (cremonese?) sugli occhi.

 

L'idea del biogas agricolo è nata tanti anni fa (qualcuno si ricorderà il 'Totem') per soddisfare i fabbisogni energetici delle aziende stesse e per 'valorizzare' i liquami che, già allora erano un problema. Non è nata per produrre energia elettrica da vendere utilizzando, come substrati energetici  coltivazioni  in competizione con la produzione foraggera e quella di alimenti per l'uomo. Invece è successo proprio questo. Quel biogas, quegli impianti non sono 'agricoli' sono 'anti-agricoli'.

 

Alla fine il biogas cannibalizza l'agricoltura

 

Gli scarti rappresentano una fonte di approvvigionamento aleatoria e i costi di trasporto limitano ad un raggio di 15 km la loro provenienza. Richiedono spazi per lo stoccaggio e accorgimenti per la loro conservazione. Vi è poi il rischio che al posto di materie di scarto vengano impiegati in modo poco corretto rifiuti più o meno mascherati. Quanto al liquame esso ha una resa molto bassa, una composizione variabile che non facilita l'impiego nei digestori. Per alimentare un 'piccolo' (in realtà grande) impianto da 1MW servirebbero i liquami di migliaia di capi di bestiame. Non parliamo del siero e di altri 'rifiuti speciali' agroalimentari che sono ancora più difficile da gestire degli 'effluenti zootecnici'.

 

Non meraviglia quindi che il biogas 'venduto' come soluzione per risolvere il problema dei liquami venga prodotto in impianti di biogas che - nella maggior parte dei casi - utilizzano solo materie agricole: mais, sorgo, frumento. Materie tolte dalla bocca degli umani o, quantomeno, dalla bocca delle vacche da latte. Nella pianura padana la produzione che fornisce le più altre rese per ettaro è l'insilato di mais e così, invece di usarlo per le vacche da latte, lo si usa per i digestori.

Per alimentare un 'affamato' digestore da 1MW serve ogni giorno l'equivalente di 1 ha di terreno coltivato a mais. Incauti e, diciamolo pure, creduloni e ingordi agricoltori se ne sono accortitroppo tardi. A loro spese.

Servono quindi centinaia di ettari da 'tirateinsieme' con terreni propri, in affitto, in concessione. In provincia di Cremona la SAU (superficie agricola utilizzata) è pari a 135.000 ettari (censimento 2000, ora sarà diminuita). Se anche si coltivasse tutta la superficie agricola della provincia per produrre energia non si otterrebbe che 1/4 dell'energia che produce una centrale termoelettrica come quella di Ostiglia (nella vicina Mantova) che non è neppure la più grande della Padania. In termini di energia netta (tenendo conto cioè che per produrre il mais ci vuole energia, per lo più fossile) le cose stanno però diversamente. Avremmo sostituito 25% del termoelettrico con energia 'verde' ma il risparmio di energia fossile non sarebbe 25% ma solo il 15%.

 

Speciale biogas di Terra e Vita

 

Gatti e volpi per intrappolare l'agricoltura

 

Che il biogas diventi una trappola per l'agricoltura e, soprattutto la zootecnia, se ne sta accorgendo anche qualcuno nel mondo zootecnico 'ufficiale'. Sull'organo ufficiale dell'AIA, (Associazione italiana allevatori): 'L'allevatore magazine', nel numero del 9 dicembre 2010, è apparso un significativo articolo dal titolo. 'Nelle stalle da latte la redditività è in calo'. L'autore, Claudio Destro, non è certo l'ultimo arrivato e non certo un anti-industrialista neocontadino arrabbiato. Tutt'altro, è il direttore generale della Matarrese spa, una delle più grosse aziende agricole italiane.  Destro nell'articolo individua come secondo fattore del rincaro del mais, che sta facendo lievitare i costi dele aziende zootecniche, proprio: "l'incontrollato proliferare degli impianti di biogas" e aggiunge:

 

"Le regioni dove è concentrata la zootecnia sono anche quelle dove è presente il maggior numero di impianti di biogas alimentati da effluenti zootecnici e colture energetiche (prevalentemente mais) che si sommano quindi agli allevamenti arrivando in alcuni casi ad essere in competizione. Ad oggi sono stimati 20mila ettari sottratti alla zootecnia e destinati alla realizzazione di impianti di biogas. Nella sola provincia di Cremona sono 30 gli impianti di biogas in funzione, 21 quelli in fase di costruzione e 26 in corso di autorizzazione". "Soprattuto nelle regioni a forte vocazione maidicola, il grosso impuslso ricevuto dalla tariffa omnicomprensiva, fa prevedere nei prossimi anni un raddoppio del numero degli impianti mettendo in serio pericolo una sostenibilità ambientale già insidiata con la direttiva nitrati accanto ad una preoccupante speculazione economica dei terreni agricoli, ed imprevedibili aumenti del prezzo del mais. Inoltre, occorre sottolineare il rischio per i tanti prodotti tipici, la cui filiera produttiva è legata strettamente al territorio, dove l'impiego dei foraggi provenienti dalel zone di produzione è uno degli elementi caratterizzanti".

 

Un quadro a tinte fosche che delinea con chiarezza in quale 'trappola' finisca l'agricoltura che cede alle sirene industriali e finisce per essere avvolta e stritolata nelle sue spire. Va osservato che l'apparire di voci critiche nell'ambito del mondo allevatoriale può essere letto alla luce della crescente divarificazione tra la Coldiretti (che negli ultimi anni ha rafforzato il controllo su AIA) dalla Confagricoltura ormai chiaramente lanciata verso prospettive di  identificazione con l'industria e la Confindustria. Non a caso Confagricoltura è l'unica organizzazione professionale a favore degli OGM e al proprio interno conta Agrienergia un'associazione di categoria/lobby dell'agroenergetico. Sul biogas, però, anche la Coldiretti è ancora ben lontana da assumere le posizioni chiare espresse nel caso degli OGM e sullo stesso 'Allevatore magazine' non sono mancati gli 'speciali' promozionali del biogas (tra l'altro lo stesso numero dove Destro attaccava il biogas ospitava la pubblicità di una primaria ditta di impianti, il che stona).

 

Una strada insostenibile dal punto di vista ambientale

 

Trappola economica dicevamo (con la lievitazione del prezzo delle terra e degli affitti) e con quella del mais? E dal punto di vista ambiantale?. Innanzitutto va ricordato che l'efficienza energetica del mais da energia non è poi così alta dal momento che la coltivazione del mais assorbe parecchia energia (lavorazioni del terreno, concimi, chimici, diserbaniti, irrigazione, trasporto). Nel caso dell'etanolo da granella per anni si è dubitato che il bilancio energetico fosse negativo. Recentemente il Dipartimento dell'Agricoltura americano si è assestato su una valutazione del 34% (impegni 100 di energia per ottenere 134). E con il silomais? Negli impianti di cogenerazione l'efficienza arriva al 50% ma se si produce solo energia è sul 20-25%. Quindi deve essere ben chiaro che l'energia 'netta' che si ricava è molto ma molto inferiore a quella prodotta e che quando si parla di tot KWh prodotti va tenuto presente che l'energia fossile ha una 'resa' netta infinitamente maggiore. A volte si rischia di dimenticarlo. La maggior parte dell'energia 'pulita' si ottiene utilizzando energia 'sporca'.

 

 

Poi non si deve dimenticare che la corsa al biogas va a peggiorare il carattere di monocoltura della maiscoltura. Proprio a Cremona (e a Lodi) la monocoltura (monosuccessione ovvero mais su mais occupa già buona parte delle superficie agricole). Le conseguenze sono maggiore resistenza delle malerbe (e quindi più erbicidi), diffusioen della diabrotica (insetto temibile che viene combattuto con gli insetticidi). Mais si mais significa elevate concimazioni chimiche, elevate irrorazioni di diserbanti, elevatissimi consumi idrici. Significa pesticidi nelle acque superficiali, nitrati nelle falde, peggioramento della fertilità e delle struttura dei terreni. E' una prospettiva sostenibile incrementare ancora la monocoltura maidicola per produrre energia?

 

Concludiamo riprendendo le parole di Destro:

 

"In questo contesto è opportuno l'intervento tempestivo di una politica in grado di regolamentare l'utilizzo di biomasse vegetali per la produzione di energia per non creare un conflitto che inevitabilmente porterà ad una drastica riduzione dei nostri allevamenti."

 

 


 

                   

 

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