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(22.04.12) Se fare politica è concorrere ad individuare le soluzioni per il bene comune come chiamare ciò che le istituzioni e i partiti (ectoplasmi in balia della burocrazia e delle lobby) stanno facendo? La risposta non è difficile: antipolitica

 

Biotruffe a danno della salute, dell'agricoltura e delle tasche dei cittadini: avanti tutta

 

Mentre il governo è orientato a mantenere alti livelli di incentivi per le biomasse la Regione Lombardia emana delle linee guida ma è una beffa perché per ora si tratta solo dei chiarimenti relativi alle procedure autorizzative. Le "linee guida" che possono frenare la corsa selvaggia, quelle relative alla indicazione delle aree non idonee possono aspettare (pare sia la Lega a bloccarle). Un regalo smaccato agli interessi speculativi.

 

di Michele Corti

 

In queste settimane i partiti lanciano strali ed esorcismi contro l'antipolitica. Pare che alle porte ci siano degli alieni mangiatori di bambini. Ma l'antipolitica c'è già. È quella dei partiti e delle istituzioni. Mentre si tenta di distrarre il pubblico con storie di caviale, ville, diamanti, sesso, il vero scandalo, la vera oscenità si consuma quotidianamente con l'abdicazione della "politica", ovvero di quei soggetti che si arrogano un ruolo (e molti privilegi) sulla base di una presunto impegno della "cosa pubblica". Il grado di delegittimazione della "politica" (e della paura dell' "antipolitica") è tale che non osano neppure più attaccare Grillo. "Prego si accomodi sig. Grillo, c'è stato posto per Bossi figuriamoci se non ci può essere posto anche per lei, che diamine".

 

Le biomasse sono l'antipolitica

 

Per ora Grillo, però, non ha nessuna intenzione di abboccare, di farsi fagogitare e si guarda bene da creare un partito, una qualsivoglia organizzazione strutturata, tossicodipendente dal finanziamento pubblico e - alla fine - legata da un patto omertoso, "trasversale" a maggioranze e opposizioni, destre, centri e sinistre.

Intanto l'antipolitica trionfa ma non c'entra nulla Grillo. L'antipolitica la fanno i partiti, tutti quelli che hanno responsabilità di maggioranza nel governo di Roma, nei governi regionali, nelle provincie, nei comuni. Non c'è migliore cartina di tornasole per mettere alla prova il carattere "antipolitico" di tutti (ma proprio tutti) i partiti della vicenda delle "rinnovabili", delle "biomasse" in particolare. Una vicenda dove diritti fondamentali, elementari, naturali, riconosciuti da secoli (anzi da millenni) sono cancellati con un colpo di spugna. Parliamo del dititto alla salute, ma anche di tutti quei diritti (il non essere fatti oggetti di disturbo, rumore, emissioni odorose moleste a casa propria, il non dover subire la quasi totale perdita di valore della propria proprietà a seguito di iniziative speculative altrui).

In questa vicenda delle biomasse è spesso messa in campo una presunta "libera iniziativa privata". La difende con particolare puntiglio il PD, con quel puntiglio di chi cerca di fingere anche a sè stesso, per cercare di essere un po' credibile davanti agli altri. Inutile ricordare a questi neofiti del liberismo (finto) che le biomasse sono occasione di alti guadagno con bassissimi rischi. Più che profitto d'impresa il lucro è della categoria delle rendite di posizione (chi è meno giovane ricorderà che, per tanti anni, il vecchio PCI è andato avanti a reitare il mantra contr le "rendite di posizione").  Il lucro è garantito dallo stato. Si rientra rapidamenti dall'investimento,  le banche (e altri soggetti che offrono capitali) sono pronte ad aprire i cordoni della borsa viste le ampie garanzie (pubbliche) dell'operazione. Sai che ardimentosa "iniziativa privata"! In compenso il PD che - quando gli fa comodo - cita la Costituzione come un Libro rivelato pare dimenticare che essa dice (Art. 41) che:

L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana

In realtà, grazie al D.lgs 387 del 2003 che classifica gli impianti di produzione di energia da fonti "rinnovabili" quali "opere di pubblica utilità, urgenti e indifferibili", si è aperta la strada a qualsiasi abuso e l'art. 41 è messo sotto i piedi. Le autorizzazioni rappresentano deroga automatica agli strumenti urbanistici e le centrali possono essere realizzato -  anche nell'ambito di zone residenziali, in assenza di adeguata viabilità, in presenza di altissimi livelli di inquinamento. Una corsia preferenziale larga come un'autostrada che ha fatto sì che le società che si propongono di gestire il business (spesso non con una ma con una serie di centrali afferenti agli stessi soggetti variamente ricombinati) abbiano individuato i siti in base al loro comodo e nella totale indifferenza del rispetto degli abitanti. La corsa alla proliferazione selvaggia delle centrali poggia su due motori: un livello esorbitante di incentivi e la "licenza di uccidere" ovvero un procedimento autorizzativo che favorisce al massimo chi vuole produrre energia "alternativa" (ma in realtà è interessato solo alla incentivazione elettrica).

 

Ma quale riallineamento al livello europeo degli incentivi?

 

Da tempo si parla di riduzione del livello elevatissimo degli incentivi concessi. Un livello che non trova corrispondenza in Europa dove il progresso delle energie "rinnovabili" è assicurato dalla presenza di professionalità e motivazioni che da noi difettano largamente dal momento che nel business si sono imbarcati tutti coloro che hanno fiutato un affare sicuro, lucroso e senza rischi garantiti da uno stato che si impegna a trasferire - tramite bollette - dalle tasche del popolo suddito a quelle degli "imprenditori energetici" un fiume di soldi. In realtà il trasferimento avviene anche attraverso la leva fiscale che consente di incentivare la realizzazione e il potenziamento degli impianti sempre a spese del vulgo disperso che voce non ha. La situazione scandalosa pareva destinata a "sgonfiarsi" di fronte alla constatazione che gli obiettivi "imposti dall'Europa" in materia di produzione elettrica da "rinnovabili" sono già stati raggiunti. Come è possibile continuare a sostenere che le centrali a biomasse rappresentano "opere urgenti" quando lo stesso governo nel testo del decreto per il nuovo conto energia dice che:

  • È stato già raggiunto con largo anticipo l'obiettivo 2020 che giustificava le misure “urgenti;
  • nel settore elettrico in particolare a fine 2011 la capacità è di 94 TWh/anno, a fronte dell’obiettivo di 100 TWh previsto nel 2020;
  • occorre rilanciare lo sviluppo delle energie rinnovabili con un approccio più virtuoso, basato sull’efficienza dei costi e sulla massimizzazione del ritorno economico e ambientale;
  • si deve dare maggiore impulso ai settori calore e trasporti e all’efficienza energetica, che sono modalità, in media, economicamente più efficienti;

Con queste premesse - e con poca consequanzialità - il livello di incentivazione previsto dal decreto governativo per gli impianti a biomasse fino a 1MW di potenza elettrica varierebbero tra i 269 e i 180 cent/Kwh. Attualmente il livelli di incentivi è pari a 250 cent/kwh mentre nell'Unione europea è in media di 130 cent kwh. Ma Spagna e Portogallo hanno deciso di azzerarli.

 

Nella seguente tabella (ricavata dal testo del decreto governativo) le nuove tariffe. nella prima colonna la potenza in kwh, nella seconda gli anni di applicazione, nella terza il contributo "base" (cent/kwh) che viene elevato con quello previsto in caso di "cogenerazione" ovvero di impianti "virtuois" che utilizzano il calore senza dissiparlo nell'atmosfera (se, però, i criteri sono quelli sinora applicati basta una quota ridicola di riutilizzo del calore per i fabbisogni dell'impianto stesso per farlo figurare "virtuoso").

Con queste tariffe il business (specie quello del biogas) non sarà per nulla frenato e la speculazione è pronta a "mangiarsi" l'agricoltura.

 

 

 

Solo la Lombardia aspetta ancora a definire le aree "non idonee"

 

Le regioni avevano la possibilità di porre dei freni al dilagare delle centrali attraverso l'emanazione di linee guida sulle aree da classificare inidonee alla realizzazione di centrali. Il decreto legislativo faceva esplicito riferimento all'esigenza di salvaguardare l'agricoltura da una corsa troppo sfrenata alle biomasse dedicate. Da questo punto di vista le regioni si sono mosse in ordine sparso. Tutte, però, in un modo più o meno organico hanno provveduto a porre qualche timido "paletto". Tutte tranne la Regione Lombardia, quella dove il business è più massiccio (ci sono più centrali che in tutto il resto d'Italia), quella dove la lobby ha le sue "centrali". La Regione Lombardia un anno fa garantiva che a fine estate 2011 le Linee guida sarebbero state emanate. Ma sino a pochi giorni fa nulla è successo. Nel frattempo le provincie allargavano le braccia "senza linee guida regionali e stante la normativa nazionale è quasi impossibile negare le autorizzazioni". Ora è uscita la prima parte, quella riguardante la procedura di autorizzazione.

Questa delibera chiarisce alcuni aspetti di controversa interpretazione della normativa quadro nazionale e - di fatto - semplifica ulteriormente la vita a chi vuole presentare dei progetti dal momento che essi sono in grado di prevenire meglio obiezioni e adempimenti. La Regione Piemonte ha emanato contemporaneamente questa parte delle Linee guida e quella più sostanziale riguardante l'individuazione delle aree inidonee. Alla fine l'unico ambito di discrezionalità rimasto ai poteri locali è proprio e soltanto questo. La Regione Emilia ha escluso dalla realizzazione di centrali a biomasse tutta l'area del Parmigiano Reggiano e ciò senza uscire dalla norma nazionale. Il paradosso è che a Mantova si può fare Parmigiano Reggiano in un comune saturo di centrali mentre a Reggio Emilia no. La Regione Piemonte invece che tutelare intere aree di potenziale produzione di una sola DOP (politicamente forte) ha tutelato le superfici interessate alla produzione di tutte le  dop, doc, docg, igt, igp, pat senza discriminazioni consapevole che la corsa al biogas può cancellare del tutto la produzione di un prodotto tipico localizzato laddove la convenienza di destinare i terreni alla produzione di biomasse dedicate diventa irresistibile. Va ricordato che melle norme piemontesi, come i qualle di altre regioni ci si preoccupa di tutelare aree di rilevanza naturalistica, storica, paesaggistica e delle condizioni di qualità dell'aria.

Quello dell'aria è il punto più critico. Pur avendola recepita l'Italia, con un sistema di deroghe che ne svuota il significatoi, non rispetta la sostanza della direttiva 2008/50/CE in materia di qualità dell’aria che stabilisce il principo che la qualità dell'aria non deve peggiorare dove è buona e deve migliorare dove è cattiva.

 

In Emilia si fa almeno finta di frenare la corsa selvaggia delle biomasse

 

La regione Emilia-Romagna in seguito al dilagare delle proteste contro le centrali a biomasse (gli Emiliani sono meno disposti a subire passivamente dei Lombardi) in aggiunta alle linee guida già emanate (non molto incisive per la verità) sta producendo una nuova serie di delibere con lo scopo di evitare che in un singolo territorio si concentrino troppe centrali e di rispettare - almeno nelle intenzioni - il principio del "non aumentare l'inquinamento dove è già oltre i limiti di legge". Nelle aree dove si superano i limiti (35 giorni con media PM10 > 50µg/m3 di aria) l'autorizzazione delle nuove centrali a biomasse sarà subordinata a un "computo emissivo" ovvero alla dimostrazione che l'aumento di inquinamento determnato dall'accensione dei motori delle centrali sarà compensato da diminuzioni di emissioni.

Peccato che poi si scopre che basta costruire una pista ciclabile per dimostrare che si sono ridotte le emissioni di PM10 e NO2.

 

 

Aria velenosa: una chanche per la politica per pulirsi l'immagine

In Lombardia, nonostante i colori più "ottimisti" dell'ARPA (vedi sotto) la situazione è peggiore che in Emilia. Si salva solo la montagna (esclusi i fondovalle principali). Che farà la Regione Lombardia? Vuole continuare a dare retta agli interessi speculativi o anche ai polmoni dei lombardi (che nelle aree più inquinate ci rimettono già due anni di vita, ma molti di più in termini di "vita sana")? Nel business - come è naturale - ci sono dentro grossi gruppi privati, ma anche multiutility, fondazioni, coop rosse e CdO.

Per la Regione Lombardia un po' di manifestazione di coraggio nel difendere le tasche e i polmoni dei lombardi e nello scontentare gli avvoltoi della speculazione potrebbe essere un viatico nella situazione di immagine molto offuscata in cui si trova (per essere eufemisti). La sfrutterà? Le speranze sono poche. Però... Però aumenterebbero se sempre più comunità uscissero dalla passività, dalla logica fatalista del "tanto hanno deciso", "ormai non possiamo farci più nulla". Invece non è così.

 

 

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